CAPITOLO 1 (2/2)

Il giorno dopo ritornai in biblioteca con quelle poche monete che ero riuscito a racimolare aiutando mia mamma. E avevo nuovamente intenzione di leggere. Bastò poco per ritrovarmi nella sezione dove avevo lasciato il libro caduto. Detti un'occhiata alle mie monete in mano, successivamente, con una dubbiosa decisione, mi avvicinai a riprenderlo. Lo aprii.

"Sale"

In una pagina c'era questa frase, mentre le altre erano vuote e bianche. Un po' gialle. La sua comparsa mi aveva fermato il giorno precedente. Spesi tutte le monete in quel libro. La bibliotecaria mi salutò, e quando mi avvicinai alla porta aveva già preso la cornetta del telefono. Forse per parlare con il corriere. Il libro, tenuto stretto tra le dita di una mano, dondolava a ogni passo che piantavo con audacia sulla strada, appena sistemata da qualche addetto alla manutenzione. Avanti e indietro come una lancetta di un orologio a pendolo. Non avevo ancora ben chiaro cosa dovevo farci, anche se pensai fosse stato interessante sapere che magia avesse. La frase iniziale, per qualche strano motivo, non si trovava più. E adesso era stata sostituita dalla seconda. Giunsi in piazza: una zona con un monumento abbastanza lodato al centro. Alcuni non sapevano nemmeno cosa rappresentasse, ma si lasciavano convincere dal fatto che fosse comunque importante. Un campanile, poco curato e quasi nascosto da due piccoli cespugli posti come da guardia, mosse la sua campana scoccando le quattro del pomeriggio. Qualche panchina si trovava lì intorno, e dei negozi fermavano i vari passanti. Molte volte decidevano di addentrarsi in un certo bar. Poi arrivai a casa. Si distingueva facilmente, vista la presenza di due modeste aiuole nel giardino, che costituiva un carattere particolare. Avevamo anche due alberi di mandorle. Entrai in cucina, e mi sedetti su una sedia guardando mia mamma. «Mamma, per favore, mi...» dissi, ma non ci fu bisogno di finire la frase, poiché mi fermò abbassando e alzando la testa, con il suo consueto sorriso. Ormai sapeva bene cosa intendessi dire: volevo del the. Ogni pomeriggio lo prendevo. Nel frattempo andai a prendere alcuni biscotti da una confezione un po' stropicciata e chiusa a malapena. Era lì da diversi giorni, e i biscotti ormai avevano assunto un colore più scuro, ma non avevano perso l'odore di cioccolato che tenevano al loro interno. Mia mamma mi aveva ricordato di finirli entro oggi, altrimenti li avrebbe buttati, e per fortuna ne erano rimasti solo quattro, giacenti sul fondo della confezione e poggiati su un manto di briciole. Li misi sul tavolo quando il the era già stato messo sul fornello. Trascorsi quei due minuti osservando il mio Fiordaliso sul ripiano della finestra davanti a me. Forse più tardi avrei dovuto dargli dell'acqua, ma non ne voleva mai molta. Si accontentava anche di poche gocce, e ogni giorno era sempre bello. I suoi petali si aprivano lentamente. A volte si chiudevano come per chiacchierare tra di loro, e poi, dopo aver discusso sulla tonalità da assumere in una zona, si schiudevano, mostrandosi nella loro dolce infantilità. «Stai attento che è caldo.» Disse mia mamma, avvicinandosi con una tazza di the, da cui usciva una certa aria calda, quasi bollente. Lo guardai come se non lo avessi mai visto, stupito ogni volta dal suo buon odore, e si sparse piano piano nella stanza, accompagnando mia mamma che andava a sedersi sul divano. Presi un biscotto, lo immersi in quel laghetto (o almeno così poteva sembrare per un biscotto), successivamente lo mangiai. E se da un lato mi sembrò fosse scaduto da un pezzo, e non ci eravamo accorti del suo immediato cambiamento, dall'altro ebbi un'altra ipotesi. Quella non era la prima volta: bastava anche un granello sbagliato, e avrei capito che ormai era troppo tardi. Il biscotto restò tra le mie dita solo per pochi secondi, poi lo poggiai sul tavolo. «Mamma, forse, mi sa...» affermai, dopo essermi girato verso di lei. Si era dedicata a finire di cucire un centrino all'uncinetto. Incastrò l'ago in una parte, e alzò lo sguardo. «Non mi dire che...» rispose, e si alzò di scatto, avvicinandosi a controllare il mio the. «Si, credo di aver sbagliato e ho messo il sale. Te ne faccio un'altro?» chiese. Dissi di no, ma sentire quella parola mi fece uno strano effetto. Presi il libro e salii in camera. «Bene, adesso vediamo di leggere.a pensai. Lo aprii:

"Dammi un nome."

Era l'unica frase. Le altre pagine erano vuote. Quasi mi convinsi del fatto che riuscisse a far comparire parole dal nulla, ma ciò facevo anche ridere: in quel momento chiedeva un nome, come lo si da' ad un cane o a un gatto. «Sei magico?» dissi, ma la frase apparsa rimase la stessa. «E se ti chiamassi Amico, per te va bene?» «Si.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top