Un giallo senza assassino
Il freddo era nell'aria. Quella sera, il rigido vento invernale sbuffava e muggiva contro i vetri della taverna, li percuoteva e bussava insistentemente alla porta. Chiedeva solo di entrare, di poter offrire il suo caldo abbraccio agli allegri commensali. Ridevano e giocavano a carte, scherzavano , bevevano. Il vento non l'avrebbero accolto, non lo volevano tra loro. Invece, entrò uno strano soggetto. Indossava un lungo cappotto beige e un berretto di feltro, color castagna. Era cupo in viso, forse nervoso. Qualcosa gli rimbombava in mente, qualche idea malsana lo perseguitava e lo aveva messo di malumore. Nessuno lo conosceva. Nessuno avrebbe saputo dire il suo nome. All'inizio, nemmeno s'erano accorti di lui. Senza fare fiato, si sedette al bancone e ancorò il suo sguardo afflitto al barista.
- Buonasera, carissimo! Cosa le servo?
- Una birra. Una birra qualsiasi.
- Non vendiamo birre, qui.
- E cosa avete da offrire per dissetare i vostri sventurati clienti?
- Vino.
- Vino?
- Solo ed esclusivamente. Ne ho di ogni qualità e per ogni fascia di prezzo. Per tutti i gusti.
- Mi dia il più costoso.
- Ne è sicuro?
- Sì. Me ne versi un calice e non faccia storie.
- Come lei desidera. - Gli rispose sbuffando, dall'alto della sua massiccia corporatura.
Quindi, il barista si voltò e cercò con lo sguardo quella certa bottiglia. Frugava con ansia, muovendosi con gli occhi da uno scaffale all'altro, bramando la vista di quella bevanda sopraffina. L'idea, per quanto spoglia e magra, di contemplarne il solo aspetto, e magari il profumo, lo eccitava.
- La avverto, il prezzo sarà piuttosto elevato. Consideri che io non me ne sono mai permesso un solo sorso. Mi concedo l'odore e quello mi basta. - Sentenziò, stappando la bottiglia, appena raccolta da un angolino poco assolato.
- E perché mai?
- Perché si vocifera che i suoi produttori ci mettano il veleno. - Esclamò un uomo, seduto a un piccolo tavolo pochi passi più indietro, assieme ad alcuni amici.
- Non gli dia retta! - Dissentiva l'oste.
- La prego - riprese l'atro - mi consenta di farle da assaggiatore, mio signore. Con la gran bella vita che l'attende fuori di questo locale, non vorrà mica lasciarci le penne? Proprio qui, in questa bettola maleodorante?
- Ma come ti permetti, lurido disgraziato? - protestò il proprietario della taverna, digrignando i denti e battendo i pugni sul bancone, innervosito da quelle parole.
- La prego, mio signore. Non vorrei mai vederla a gambe per aria. Me ne lasci assaggiare una sola goccia. È per la sua salute! - Insistette e si mise in ginocchio davanti al suo interlocutore.
- Non sono uno sciocco, mio piccolo delinquente, ma ti degnerò di questo lusso. Bisogna essere generosi, non credi anche tu?
- Oh, assolutamente, mio signore, assolutamente! Sempre bisogna esserlo. - Gli fece eco, sollevandosi in piedi. Il suo volto, segnato dalla fame e dalla povertà, rigato da alcune cicatrici, ricordo di qualche allegra zuffa giovanile, fu illuminato dall'improvvisa apparizione di un largo sorriso. Qualcuno avrebbe detto che fosse sul punto di commuoversi.
- Prego, bevi. - E il galantuomo dal lungo capotto gli porse il bicchiere.
- Grazie, mio signore! Non avrò mai tanto per ripagarla.
- Di questo se ne parla più tardi. Ora, goditi questo breve istante. -
E il poveretto bevve. Misero! Chi troppo vuole si strozza! Il vino era velenoso per davvero. Cadde in terra in un tonfo sordo, che risuonò in tutto il locale. In pochi secondi il volto gli si spense e rimase pallido, scolorito come un tessuto bagnato di candeggina.
Il lutto piombò sulla taverna come pioggia acida e corrose avidamente la sua nutrita clientela, le sue grasse finanze. Tra i presenti alcuni svennero, altri risero senza capire, qualcun'altra si strappò i capelli, colta dalla disperazione. Il barista per poco non fu ucciso a sua volta da un infarto.
Pochi giorni dopo ci fu l'istruttoria. L'ispettore, severo e rigido uomo di fede, servo della legge e del Signore, sperava chiudere il caso con poche settimane d'indagine, di fare un lavoro pulito che non lasciasse alito alla speranza di salvezza del criminale. Quindi cominciò con il proprietario della taverna. Lo interrogò un pomeriggio intero, senza permettergli nemmeno una pausa per il bagno. L'oste, uomo tranquillo e innocente, mai avrebbe fatto di male a nessuno, si rifiutava persino di schiacciare le mosche quando se le trovava a ronzare per casa. Grande e grosso com'era, lo ritenevano un gigante gentile. Tant'è che qualcuno lo chiamava "la grossa pagnotta". Di certo, però, non era un piagnucolone timorato di tutto e tutti. Se offeso non esitava a reagire, a rispondere in qualche modo. Figlio di madre defunta e di padre povero come pochi altri, si era cresciuto con le sue mani. E l'ispettore era conoscenza di tutto ciò, ma alcune coincidenze lo portavano a dei dubbi inviolabili. Iniziava a sospettare che la purezza del sospettato fosse solo un'empia ed astuta maschera, una copertura.
- Ispettore, sono innocente!
- È quello che direbbe il colpevole!
- Mi ascolti!
- Prima mi risponda: la bottiglia era sigillata, nuova di pacca; l'aveva presa uno o due giorni appresso, proprio dal produttore. È corretto? È ciò che ha riferito?
- Sì, esattamente.
- E questo cosa mi dovrebbe significare? Che il veleno ce l'ha messo lei stesso mentre erano tutti girati, forse?
- Ma no!
- Io non vedo prove che la discolpano. A maggior ragione, temo di avere l'assassino qui di fronte al mio viso, se mi dite che la bottiglia l'avete aperta e maneggiata voi solo.
- Lei si sbaglia, caro ispettore.
- No! Lei è reo! Reo e vile! Perché non solo ha macchiato il suo candore con l'omicidio dinanzi all'intera sua clientela, ma osa pure negare la verità dei fatti di fronte a me e a Dio!
- Ispettore, si dia una calmata! - Lo riprese un poliziotto.
- Silenzio, pidocchio! - Prese ad abbaiare, furibondo - Ti ha mandato qui il sindaco, a te e ai tuoi cari amici, per badare che non mettessi al rogo questo sciocco e misero eretico? Levatevi di torno e dite a chi vi manda di stare tranquillo, ché non siamo più nel medioevo. -
Il poliziotto, zittito dall'ira del suo superiore, lasciò la stanza. Dunque, l'ispettore, soddisfatto del proprio operato, si sedette davanti all'uomo che stava interrogando e sospirò, sollevato.
- Dicevamo, buon uomo?
- Non mi prenda per i fondelli, ispettore!
- Non lo sto facendo.
- Io e lei ci conosciamo da troppi anni!
- Da quando sappiamo cosa significhi camminare.
- Ecco, appunto. Lei non può ignorare...
- Cosa? Dovrei assolverla e dichiararla santo dei santi solo perché siamo amici? - Sbraitò, interrompendo l'altro.
- Non ho detto questo. - Ci tenne a precisare il proprietario della taverna.
- So cosa ha detto. E so cosa intende. Ma non posso farci nulla. - Sentenziava, recuperando il tono pacato, l'ispettore. - Neppure posso darle del tu.
- Non può o non intende farlo?
- Mi trovi le prove della sua innocenza.
- Come? Non posso alzarmi di qui!
- Rifletta! Ripensi a quanto accaduto. Presto andremo in tribunale. Ma, nel frattempo, se non avrò un valido motivo, non potrò liberarla.
- D'accordo ispettore. A presto.
- A presto, assassino. - Disse l'uomo di legge e se ne andò.
Nei giorni a seguire, l'ispettore ebbe cura di porre le varie domande di rito a tutti i commensali presenti la sera dell'assassinio. Prima vennero gli abituali ubriaconi, alcolisti incalliti e amanti del bicchiere. Poi toccò agli amici più cari del malcapitato. Era gente umile, semplice, nata in strada e cresciuta in piazza, figlia di poveri uomini e dei loro debiti. Alcuni sdentati, alcuni calvi, portavano scarpe sfondate e indossavano mani piene di calli. Il vento li aveva resi forti, il freddo robusti. La vita aveva insegnato loro a diffidare. E non vollero dire alcunché. Rimasero in silenzio, per tutta la durata dell'interrogatorio. Solo alcuni dei testimoni diretti dell'omicidio, commensali occasionali dell'enoteca senza nome, avevano aperto bocca e riferito all'ispettore quanto avessero visto. E si concentrarono tutti sull'aggressiva e brusca reazione dell'oste, provocata dall'ironia delle parole del poveretto.
L'ispettore dava per scontato, ormai, che l'oste se ne fosse uscito di testa, divenendo un assassino, ma mancava ancora una testimonianza. L'interrogatorio del galantuomo, del tizio con il cappotto beige e il cappello di feltro, l'ispettore lo reputava una mera e inutile formalità da sbrigare, ma durante la seduta si trovò a dover cambiare idea.
- Buongiorno, ispettore.
- È pomeriggio! Il Sole ha fatto marcia indietro, forse?
- Ah, scusi. Buon pomeriggio, allora.
- Qual è il suo nome?
- C'è bisogno di pronunciare quella brutta parola?
- Direi di sì! Non ho la minima idea di chi lei sia. Mi sarei persino dimenticato di interrogarla, se non fosse che i teste hanno parlato di lei di continuo.
- Ah sì? E cosa le hanno mai detto di bello?
- Che puzzava di alcool.
- Vero, avevo bevuto già qualcosina, quella sera.
- Mi sta stancando. Qualunque sia il suo nome, che voglia riferirmelo o meno, m'illumini, secondo lei chi è l'assassino?
- Lei.
- Lei, chi?
- Lei, ispettore.
Da quelle ultime parole maturò un gonfio silenzio. Saturava la stanza, riempiva ogni angolo e ogni anfratto, anche la bocca dei presenti, che ormai non riuscivano più a parlare, impegnati com'erano in un intricato e difficile gioco di sguardi. E quando quel rigido silenzio scoppiò, da lui fiorì una grassa e malsana risata, un turbine che coinvolse tutti, una depravata onda che si abbatté su di loro.
- Le piace sparlare e scagliare in giro bieche assurdità, vedo.
- Direi di no, ispettore.
- La smetta, carissimo. - Alzò il tono l'ispettore, visibilmente alterato, infastidito dall'aspra conversazione. Si grattava spesso e furiosamente il capo, si contraeva e contorceva sulla sedia, batteva il gracile tacco della scarpa contro il pavimento.
- Lei sa bene di cosa parlo.
- Lei non sa proprio nulla.
- E se invece sapessi?
Per un momento parve che il silenzio volesse tornare a farla da padrone, ma l'ispettore lo batté sul tempo, mettendosi a ragliare e sbraitare con immonda rabbia.
- La finisca! Qui io pongo le domande! Le è chiaro? -
Il galantuomo non aveva nulla di particolare da dire, nulla più di tutti gli altri. Nulla sapeva e nulla aveva sentito, soprattutto sul conto dell'ispettore. Ma aveva pensato di potersi divertire annegando nei dubbi la sua reputazione, chiedendo della sua integrità e ammettendo un suo possibile coinvolgimento. Il risultato fu anche meglio di quello sperato.
- Ha capito?
- Certo, ispettore. Non un'altra parola sulla sua complicità con l'assassino. -
E l'ispettore fu ancora più furibondo, se possibile. Dovettero entrare dei colleghi per calmarlo. Ma, visto che non riuscivano a placare i suoi bollenti nervi, arrivarono a legarlo e a somministrargli un potente sedativo.
- Farà effetto?
- Lo spero. Dosi così le danno ai cavalli. -
La mattina dopo l'ispettore si svegliò, ancora legato, nella stanzina degli interrogatori. Ma, stavolta, era dalla parte sbagliata.
- Buongiorno, ispettore.
- Cosa? Commissario, cosa fa lei qua? - Domandò con premurosa fretta l'ispettore, tremando di fronte al suo superiore.
- Mi hanno contattato i suoi subordinati. Sono dovuto correre qui d'urgenza perché pare che lei abbia dato di matto.
- Ma perché sono legato?
- Perché circolano delle voci.
- Voci?
- Sì. Bocche senza nome e lingue senza padrone sussurrano certe brutte cose alle mie orecchie.
- Ah sì?
- Bisbigliano, ispettore. E si parla di lei.
- Di me? E perché mai? - Chiese con la voce tremante, terrorizzata. Uomo d'onore, rigido e onesto, l'ispettore non aveva paura di nulla, se non per la sua grande nomea. Teneva alla sua reputazione come a poche altre cose. Per lei aveva rinunciato a tutte le altre, a sposarsi, a far figli, a mettere su famiglia. E lei era l'unico suo motivo di vita.
- Perché ha aggredito quel testimone, iersera? Perché accusa, senza avere prove concrete e tangibili, il proprietario della taverna, quasi smanioso di chiudere il caso in tutta fretta? Perché oggi nei suoi occhi si legge il terrore?
- Lei mi conosce! Sa quanto io tenga a certe cose. -
- La sua reazione di ieri va oltre, va molto al di là di questo. Così mi fa sospettare di essere lei l'assassino. Ha mai sentito parlare di abuso di potere, ispettore?
- Commissario, ma di cosa mai va blaterando? La smetta, per cortesia, e mi sleghi. - Disse. Ma il suo nervosismo dava alito alle teorie del suo interlocutore. Era innocente, come mi pare ovvio. Un uomo del genere non avrebbe mai potuto combinare nulla del genere. Tuttavia, il suo eccessivo amor proprio lo rendeva un valido sospettato, agli occhi dei colleghi.
- Il galantuomo a cui poneva domande ieri, l'ho interrogato io personalmente, stamani.
- E cosa ha detto di me?
- Oh, ha cantato. Ha cinguettato e danzato. Ne ha dette di ogni colore e di ogni timbro.
- Ma sono tutte menzogne! Cosa pretende di sapere di me, quel lurido disgraziato?
- Il suo comportamento mi conferma ciò che temo. Prima non volevo né riuscivo a crederci. Ma ora la verità effettuale si è palesata sotto i miei occhi. E perché negarla se è così evidente e luminosa? -
Il commissario nutriva da sempre grandi antipatie per l'ispettore, profonde come larghe fessure e insenature nella rocciosa carne di una montagna, ferite di litigi lontani. Da anni attendeva un'occasione per frenare la sua corsa ai ranghi alti, magari facendolo inciampare. E adesso che l'aveva tra le sue mani di certo non avrebbe esitato.
- Ispettore, lei è in stato di arresto. La prego di non opporre resistenza. Qualunque parola avrà l'ardire di pronunciare sarà usata contro di lei in tribunale! -
Chi aveva ucciso? Nessuno mai poté scoprirlo. L'ispettore fu incarcerato, l'oste scagionato. Il galantuomo partì al più presto, alla volta della capitale, dove nuovi insidiosi affari attendevano la sua attenzione. Non era stato lui. Ma, per il prodigioso lavoro che aveva svolto con l'ispettore, la mattina della partenza, dopo la fine delle indagini, si ritrovò in camera un biglietto di ringraziamento, firmato dalla candida mano del funesto assassino.
"Lei è un uomo dalla mente aguzza. Mi ha fatto un prezioso regalo, dunque la ringrazio dal profondo del cuore! Se devo ammettere di aver puntato a lei, in origine, le assicuro che ha il mio rispetto. Non la sfiorerò mai neppure con un dito."
Allegro e ridente, salì sul treno e visse come se non fosse accaduto nulla.
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