La coppa d'argento
Albeggiava. Trionfale, il Sole si levò e cosparse il cielo di luce. E si alzò il canto delle trombe; iniziava il grande torneo. Le nubi s'arrossarono, s'accesero di un colore torrido e vermiglio, denso di venature gialle e chiazze arancioni.
I folli partivano a cavallo, senza sella e senza troppe provviste. In molti s'iscrissero. In pochi sarebbero tornati. Il re s'era preoccupato di tutto, d'organizzare e preparare ogni minima cosa. In palio un desiderio. Poche parole sognanti rese realtà da uno schiocco di dita. Bastava vincere.
- E per vincere?
- Nulla di troppo complicato.
- E vale a dire?
- Recuperare la coppa d'argento. -
Un'impresa incompiuta da secoli, lasciata a metà dai tanti eroi a cui fu chiesto di portarla a termine. Molti non provarono nemmeno ritirarsi. Inutile voler tornare indietro, quando si è già tra le fauci di un drago a ballare sulla sua ruvida lingua.
- Ma tutto quel clamore per una tazza?
- Ma non è un volgare pezzo di ferro, rubato da una dispensa qualsiasi! -
Si dicevano contadini e pastori, al mercato cittadino.
- No, non una coppa qualunque. È quella.
- Quella?
- Esattamente lei!
- Il Graal della Dissoluzione?
- E cos'altro, altrimenti? -
Il re la rivoleva, l'agognava nei sogni e da sveglio. Nei suoi desideri nulla aveva più importanza, se non quella coppa. Il mese scorso, una o due schiere di messaggeri avevano portato la notizia alle provincie del reame. Feudi e feudatari risposero, inviando alla capitale i loro più fedeli avventurieri, speranzosi di dare al loro amato sovrano la leggendaria legittimità sul continente.
- Almeno un millennio è passato, in fretta insieme alla pioggia e alla neve, dal tempo dell'ultimo imperatore ai giorni del nostro monarca! Ringraziando la dea e le sue effigi, le stelle hanno voluto portare al re la forza di riprendersi quelle terre lasciate anni fa al loro tragico epilogo di guerre e pestilenze! - Iersera, i lord e i loro inviati languivano in ginocchio di fronte al trono, mentre un sacerdote senza nome cantilenava i sue santi sermoni. - La Dissoluzione, miei signori, ha flagellato i cuori delle nostre genti e straziato l'anima di uomini e figli per generazioni! Il conflitto più cruento mai conosciuto dal continente imperversa tra i potenti da decine di decadi e abbiamo tra le mani una possibilità per porvi fine! Dunque, morituri, omaggiate Vostra Altezza con l'onore del sangue e della lama. Perirete per lui? - E sibilarono incoerenti grida di forza. - Allora sappiatelo, un desiderio vi sarà concesso. Uno e non più d'uno. A patto che non riguardi la corona o tante altre cose del re. Domande? - E nessuno chiese alcunché. - Bene! Maestà, qualcosa da dire?
- Altre nazioni non vantano le nostre conoscenze sulla posizione della coppa. Non diffondetele! Cartografi e saggi hanno speso secoli a scervellarsi per rispondere alla necessità di trovarla! Datemi il Graal e potremo unificare il continente! Ve l'immaginate? L'intero mondo sotto il fulgore d'un'unica bandiera? Avete due anni, tanto tempo quanto ne serve! -
E stamani lasciarono le mura. Alcuni andavano riuniti in piccoli gruppi, tradizionali compagnie composte dai quattro o cinque amici di vecchia data. Ruggero era solo. Non aveva l'indole di apprezzare le altre persone. Dov'era nato, quasi nessuno ricordava il suo nome. Don Merlino, il prete che l'aveva cresciuto, era l'unico ad avere un'idea di chi si nascondesse sotto quel mantello lurido e pieno di toppe. Altresì, tutti lo conoscevano come "Il solingo". E nient'altro sapevano di lui, se non di dovergli girare alla larga.
Era rimasto indietro, benché di non molte miglia, rispetto agli altri concorrenti. Neppure gl'importava di gareggiare. E ignorava la nobiltà della causa per cui avrebbe lottato. Tuttavia, don Merlino l'aveva supplicato di iscriversi.
- Sciocco! Tante di quelle volte m'hai dato ascolto, mai ti sei pentito? -
Ed eccolo perduto tra le fronde di boschi sconosciuti. S'era smarrito tra le grosse radici delle sequoie, in una foresta a Nord della capitale. Aveva deciso di non fare d'avanguardia. In quel caso, sarebbe caduto in bocca a tanti pericoli e nemici e mostri imbattuti. E non ne aveva voglia. Invece, avrebbe atteso la dipartita rapida e precoce degli altri sventurati per potersi fare strada tra degli avversari feriti e magari stanchi. Una mossa scaltra, senz'altro. Qualcuno l'avrebbe detta un'infamata, ma, pur di restare imparziali, non ci abbasseremo a tanta villania nella redazione di quest'umile opuscolo.
In ogni caso, stette due o tre giorni senza far nulla nella selva e girò a perder tempo tra i villaggi locali. Svolse un paio di semplici incarichi e si rimise sui suoi passi. Per delle settimane era avanzato senza sentire o vedere mai il resto degli avventurieri, quando si trovò all'improvviso nel bel mezzo d'una battaglia. Era giunto ai margini della boscaglia e alle sue orecchie vennero dei lamenti, provenienti da pochi passi verso Est. Prese quella via e di fronte al suo sguardo si aprì una larga pianura , apparentemente senza un confine. In quelle lande spoglie e desolate, si stavano scontrando alcuni gruppi di guerrieri e maghi con un'orda di contadini senza un senno. Pareva non avessero più una ragione a guidare le loro gesta; nulla se non un primitivo impulso a scagliarsi contro altre forme di vita. Il prato si lasciava abbellire; aveva già su di sé qualche dozzina di mirabili eroi, ma non era sazio. Ne avrebbe accolti molti di più tra le sue fauci, i suoi fili d'erba.
Ruggero era indeciso se schierarsi e non volle farlo finché non fu visto da quelle creature. Sguainò la spada, e insisteva a chiedersi se fosse necessario. Intanto che se lo domandava, notò un cavaliere dimenarsi a terra tentando di non lasciarsi azzannare da uno degli uomini senza mente.
- Dovrei salvargli le penne? Poi sarei obbligato a parlargli. - Constatava. - D'altronde, se mi vedesse a pormi tanti dubbi mentre un poveretto si fa fare a brandelli, quel bisbetico d'un prete me le darebbe. - Non si sbagliava. - Mi legnerebbe senza rimorsi. -
In mano teneva salda la sua decisione, quando si scagliò sul suo obiettivo. Sano e salvo, l'altro cavaliere si rimise in piedi. L'armatura placcata in argento e abbellita con candidi drappi l'avevano squarciata. Sul ventre, il metallo era stato dilaniato con unghie e artigli dai rastrelli dei contadini. Il pover'uomo ansimava e faticava a respirare. Così si levo l'elmo. E Ruggero vide ch'era una donna.
- Grazie! Senza di te sarei ridotta come tanti altri.
- Il pasto di un oltretomba affamato.
- Nulla di più. -
E diede al cielo un sospiro di sollievo.
- Molto piacere, sono Bradamante. - Gli tese la mano.
- Ruggero. - Fece, svogliato e forse pentito d'averla aiutata.
- Anche tu partecipi alla missione suicida?
- Direi.
- Sei forte. Ti andrebbe se andassimo assieme? I miei compagni sono stati uccisi.
- Non sono esattamente un uomo socievole. - E non mentiva. - Ma sei ferita e qualcuno di mia conoscenza mi farebbe del male se ti lasciassi sola.
- Oh, non hai di che preoccuparti.
- Ho gli occhi e le basi della medicina. Potrebbe essere grave. - Un taglio netto e profondo solcava il ventre di Bradamante. Ruggero lo scorgeva da sopra l'armatura. E aveva indovinato.
- Spogliati.
- Cosa?
- Un prete m'ha insegnato le formule curative elementari.
- Non mi farò vedere nuda!
- Non lo pretendo. Almeno, togliti l'armatura e scopri la ferita.
- Ne sei sicuro? È necessario?
- Ne sono sicuro. Se s'infetta avrò poco da fare.
- E sia. -
Bradamante si sfilò il corpetto e lo lanciò a terra. Tanto, non avrebbe potuto rimetterlo. Non nelle condizioni in cui era.
Le rimaneva, sopra i robusti gambali, una leggera camicia di lino, macchiata dal sangue all'altezza della ferita. Ruggero si chinò e prese a cantare le sue preghiere. Intonava le rime con gli occhi serrati e il mondo attorno a lui parve fermarsi, bloccarsi un momento per poi ripartire, assecondando il ritmo delle parole. Il vento farfugliava le note e le foglie mormoravano il resto delle strofe. Ruggero aveva chiuso la bocca. Poi venne il silenzio. E il mondo tornò a farsi gli affari suoi.
- Sono guarita!
- Avevi dubbi?
- Vieni con me, allora? - Sviò il discorso.
- Non saprei.
- Se non lo sai e non sai scegliere, faccio io.
- D'accordo. - Accettò, poco convinto.
E lasciarono la radura in silenzio.
Nel lasso di qualche magra settimana avevano varcato il confine e si ritrovarono a peregrinare tra le montagne. Il freddo e il rigore delle temperature glaciali non li avrebbero fermati. Nonostante il fuoco soltanto potesse placare la morsa del gelo e accenderlo non fosse mai semplice. Se non nevicava aveva appena smesso.
- Tu non sei religioso, vero?
- No, ma neppure bestemmio.
- La dea non m'è mai stata molto vicina.
- Non sei credente?
- Quanto basta. -
Parlavano poco. E quel poco con imbarazzo. D'altronde, in battaglia era ben sufficiente. Senza scambiarsi più di qualche parola, erano sempre coordinati. Affrontavano qualunque mostro muovendosi con armonia, danzando in un sinuoso balletto al ritmo delle spade. Chi li vedeva non dimenticava i complimenti.
Da quelle parti, smarrita tra le vette nevose, s'era nascosta la coppa d'argento. I saggi del reame sostenevano di aver letto racconti tra le cui pagine venivano citate delle novelle in cui i personaggi, tra un'avventura e l'altra, discorrevano di pergamene antiche contenenti informazioni sulla posizione del mitico artefatto. In realtà, nessuno sapeva davvero dove cercare o come farlo. Però, il re fremeva e non v'era modo di contentarlo, senza la coppa. Per cui, per evitare pene insensate e innominabili, gli eruditi s'erano inventati la fanfaronata della grotta tra i picchi rocciosi.
E qui viene il bello. La caverna esisteva.
Lo scoprì Ruggero. Nella loro matta ricerca, lui e l'amica si erano imbattuti nel piede di un gigante. Non l'avevano fatto a posta, era incrostato col ghiaccio e pareva un blocco di pietra. Il gigante fece per ruggire, ma tra le montagne rimbombarono le sue grida e una valanga venne giù a curiosare cosa stesse accadendo. Li portò con sé fino a un piccolo avvallamento e per poco non rimasero sommersi. Là, si trovarono di fronte a un cavaliere.
- Ma vi sembra normale piombare così nel mezzo dei pensieri di un uomo, al galoppo sulle nevi?
- Vorrai scusarci, non era intenzionale.
- Ho sentito urlare.
- Sarebbe stato strano il contrario. - Ammisero.
- Sono Orlando, voi?
- Ruggero. E m'accompagna Bradamante.
- Avreste la cortesia di darmi una mano? - Era ai piedi di un'immensa porta incastonata nelle carni della montagna.
- Non so decifrare le rune.
- Un prete mi ha spiegato come leggerle.
- Serviti pure. -
- Non le capisco - Disse, dopo ore di attenti tentativi.
- Poco da fare allora. - Sentenziò altezzoso Orlando, con la spada in pugno. - Dovrò sfondarla. - E si precipitò sulla pietra. Le incisioni in quella lingua minacciosa e arcana s'illuminarono per un secondo, prima di svanire nella polvere.
- Mi spieghi come ci sei riuscito?
- Non merita la mano, non quanto l'arma che brandisce. - Mormorò, professando umiltà. - Entriamo? -
Si ritrovarono mezz'ora più tardi tra cunicoli bui e farciti con trappole d'ogni specie. Pestavano la mattonella sbagliata e si vedevano addosso una pioggia di dardi, tiravano un filo col piede e un'ascia bipenne si lasciava sfoderare dall'omicida soffitto, respiravano dove l'aria era troppo densa e il pavimento crollava sotto i loro piedi, smantellando uno sgargiante tappeto di lava bollente.
- Siete alla ricerca della coppa, nevvero?
- Sì. Sinceramente, stavamo lasciando ogni speranza.
- Sono stato convinto per settimane che l'avrei avuta tra le mani, uno di questi giorni.
- E invece?
- Non esiste, Bradamante. Quei disgraziati si sono inventati tutto, dettaglio su dettaglio. Hanno imbrigliato una matassa eccezionale. Un capolavoro, senz'altro. La leggenda, l'avete mai sentita?
- No.
- Almeno avete un'idea di cosa sia la Dissoluzione?
- La guerra millenaria.
- Esatto. - Fece Orlando, compiaciuto. - Alla morte dell'ultimo imperatore, i suoi dodici figli litigarono per la corona. Il mondo si frantumò, si fece a pezzi e ogni erede ne volle uno. Decine di decenni si srotolarono e nessuna casata dominava ancora le altre. I fabbri dell'antica capitale presero una decisione. E fu la svolta.
- Forgiarono il Graal?
- Oh no. Si vocifera che esista da dozzine di millenni, reliquia di un dio dimenticato.
- E allora?
- Loro lo rubarono. Lo sottrassero ai suoi ultimi cultisti. Lo nascosero e v'infusero una magia di dominio. Pare l'abbia ideata un negromante loro amico. Di fatto, chiunque beva per primo dalla coppa avrà l'impero, tremante tra le sue dita.
- Fandonia. - Lo zittì Ruggero, stanco di quelle chiacchiere. Il nuovo arrivato parlava troppo .
- Lo dici tu. E lo penso anch'io. - Riprese. - Eppure, questo posto è come lo descrivono i miti di quell'epoca.
- Lo dici tu. - Ruggero chiuse il discorso, più bruscamente di prima, e corse avanti.
- Scusalo.
- Non ama conversare?
- Non molto. - Fece. - Non è scortese, non maleducato, ma detesta la compagnia altrui.
- Ah. Suona un po' egoista.
- Non lo è.
- Lo conosci bene?
- Non direi bene. Abbastanza da dire qualcosa sul suo carattere.
- Ma del suo passato?
- Non una parola.
- Immaginavo.
- In battaglia la sua lama è una certezza. Ha abilità di tutti i tipi, senza tralasciare quella di far sembrare una mezz'ora di cammino l'eternità. -
Non si dissero altro. E ben presto furono davanti a un'altra porta, identica all'altra. Ruggero era incapace di aprirla, come già aveva dimostrato.
- Ci penso io! - Fece Orlando, risolvendo la situazione come già aveva fatto.
Varcata la soglia, notarono di aver abbandonato i grigi corridoi informi e bitorzoluti della caverna. Erano in una grande sala. Ai loro piedi partiva una lunga navata, distinta dalle due di fianco dalle colonne di roccia. In fondo al quel corridoio nasceva una scala, sui cui gradini i tre arrivarono al cospetto di un piccolo altare. Lì, giaceva il Graal della Dissoluzione.
Mentre Bradamante tremava, stupita, e Ruggero se ne stava là impalato e indifferente, Orlando si fece avanti e afferrò la coppa.
- Eccola! È mia! Tutta mia! - Gracchiava.
- Come sarebbe? - Si svegliò e sguainò la spada Bradamante.
- Davvero l'avresti data al re?
- No! L'avrei tenuta per me!
- Allora affrontatemi, se lo volete! -
Bradamante si voltò verso Ruggero e gli sussurrò: - Aiutami a configgerlo! Uccidiamolo e prendiamoci la coppa! Regnerò sul mondo e ti farò mio marito! - Languido, le disse lui: - E perché mai mi vorresti sposare?
- Prima o poi verrà il giorno in cui l'imperatrice dovrà convogliare a nozze, no? Meglio te che uno sconosciuto! Almeno, sei discreto e disinteressato al trono.
- D'accordo, se ne sei sicura. -
Bradamante non fece in tempo a voltarsi verso Orlando, finito di parlare, che questi sanguinava a terra, morto. Ruggero l'aveva già colpito, fulmineo e feroce.
- Abbiamo finito? - Le chiese, lei lo fissava attonita.
Pochi mesi più tardi, Bradamante sedeva sul trono e accanto a lei Ruggero e un'infinita schiera di adulatori si prostrava, davanti a loro. Era tutto vero; la coppa, la caverna, la bizzarra stregoneria dei fabbri, non una bugia. Almeno secondo quanto m'hanno raccontato. A quel tempo non c'ero, non ero nato. Ma le fonti parlano chiaro, tra le loro parole non ho incontrato menzogne. Così sorse la dinastia d'Este, con due gagliardi cavalieri. Vennero, vinsero e vissero per sempre felici e contenti - in particolar modo Ruggero, che potè poltrire per il resto dell'esistenza.
Nota dell'autore.
Racconto composto per il contest "Antro delle parole" di Beatrixheart96 .Ho voluto giocare un po' con i nomi dell'epica cavalleresca, invertendo i valori idealizzati dei personaggi originali. Spero che l'idea vi piaccia!
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