L'alba
Dedicato alla mia mamma.
"Mamma, ma esiste davvero il Sole?"
"Dicono di sì, tesoro."
"E perché non l'ho mai visto?"
Il cielo è scuro, terso, dipinto di nero dalle nubi, incupito dal grigiore di un'eterna bufera. Viviamo in una notte perenne, ammantati dal buio, abbarbicati nella speranza di conoscere il sapore della luce.
"Perché è timido."
"E lo incontreremo più?"
"Forse."
Perché? Come? Domande legittime, devo ammettere. I gas vi risponderanno, non serve che lo faccia io. L'uomo ne ha prodotti a bizzeffe e nei modi più fantasiosi, per poi riversarli nell'atmosfera. Molti lo annunciarono, molti lo dissero, ma pochi ascoltarono. Con gli anni, l'inquinamento dell'aria divenne tale da oscurare la volta celeste. Non ero ancora nata.
"Anna."
"Sì, mamma?"
"Verrà un giorno, Anna, in cui il Sole tornerà a splendere in mezzo a noi."
"Davvero?"
"Sorgerà da lì, dietro quelle montagne. Lo riconoscerai subito, dalla sua ridente criniera di luce. Ma, come ho detto, è timido. Quindi, all'alba lo vedrai arrossire. Preso dall'empatia, tutto il cielo s'infuocherà, con sottili venature gialle e striature arancioni, chiazze color grano e macchie mandarino. I monti si sporcheranno di quei colori. E pure la neve. Dapprima si tingerà di rosa, sembrerà ardere, vittima di un grosso incendio. E poi si scioglierà tutta."
"La neve? No, mamma, è impossibile!"
"E perché?"
"Ma ne è troppa!"
"Anna, un giorno il Sole tornerà sulla Terra e libererà gli uomini dai loro abomini, riporterà in vita il vento e soffierà via la neve."
"Non ci credo! Il Sole non esiste, mamma."
"Anna, te lo prometto." Mi disse mia madre. Non ci credeva neanche lei. Eppure, con le lacrime agli occhi, desiderava darmi quella speranza che non trovava per sé.
"Lo incontrerai, almeno tu. E quando accadrà, salutamelo."
Nevica. Nulla di cui stupirsi. Nevica da anni, senza mai voler smettere. I grandi scienziati del nostro tempo non sanno spiegarsi come. Succede e basta, troviamo il modo di farcene una ragione. Qualcuno insiste a lavorare su folli, insensati progetti per riaprire i cieli. Sono sciocchi vagheggiamenti, a mio parere. Abbiamo seppellito mia madre quindici anni fa. E, fin ora, la sua promessa rimane un mucchio di parole date in pasto a una bambina capricciosa in preda al pianto.
Mi alzo. Nel buio e nell'atrocità del caos in cui sguazza l'esile stanza, mi vesto ed esco, nauseata dall'idea di dover passare altre giornate come quella di ieri. Sono grigie, pallide e malaticce, madide di paura, pregne del desiderio di svegliarsi e di poter gridare "Era un brutto incubo". Rassegnata, un passo dopo l'altro, vado verso il posto di lavoro.
Nella perenne notte, la società a cui l'uomo si era abituato nel ventesimo secolo è andata a farsi benedire, si è nascosta in un angolino a piangere e ha giurato di tornare presto. La maggior parte dei mestieri del passato è divenuta inutile. Non coltiviamo più, perché il cibo lo sforniamo in laboratorio; non siamo più camerieri, perché si sono estinti i ristoranti, qualunque cosa essi fossero. Mia madre, di quando in quando, me ne parlava con aria nostalgica.
Di questi tempi, i pochi che ancora riescono a permettersi un'università si danno alla psicologia o alla chimica, se proprio hanno soldi da vendere e la mente come un gioiello. Di psicanalisti ne abbiamo un gran bisogno, in special modo dopo che lo stato ha garantito a ogni cittadino una seduta al giorno, gratis. Di fatti, molti se ne stanno uscendo di senno. E come biasimarli? Il buio ammazza la mente, no?
Ma i chimici non li vuole più nessuno. Forse perché nessuno si aspetta ch'essi possano scoprire una cura per la malattia con cui è stato ucciso il mondo, o forse perché sono reputati i colpevoli dell'orrendo omicidio. E i loro studi sono esageratamente costosi.
La gran parte dei lavoratori si procura da mangiare nelle fabbriche o spalando la neve. Non scherzo; il suo costante accumularsi causerebbe indicibili problemi, quindi lo stato fornisce vitto e alloggio a chiunque si prenda la briga e l'onere di sostenere un lavoro tanto pedante. Vivo così, spostando mucchi bianchi in giro per la città. E così mi sfamava mia madre. Di base, ci assegnano un pasto al giorno e una piccola stanza ciascuno, rilegata sempre in colossali condomini. Però, con dei piccoli extra si può facilmente condurre un'esistenza migliore, quasi agiata.
Arrivo, svogliata e pigra, al grande magazzino. Lì, ci riuniamo ogni mattina, ci è assegnata un'area da ripulire e ci vengono affidati gli strumenti adatti. Senza neppure prestare troppa attenzione alle solite raccomandazioni del supervisore ("siate silenziosi: non infastidite i civili: non siate parsimoniosi e dateci dentro con la vanga...eccetera") ed elargendo il minimo interesse alle ciance dei colleghi, mi dirigo dov'è necessaria la mia presenza.
"Pochi passi a Sud, attorno al settore decimonono."
Ci ho abitato da quelle parti, anche se solo per qualche mese. Fu uno di quei piaceri grandi ma non duraturi. Mamma (non ho idea di cosa combinasse allora mio padre) era impegnata in un'intensa relazione con un tipo di quelle parti. Il loro rapporto s'infiammò in poco e decisero di voler vivere assieme. Ci trasferimmo, ma non passò molto e fummo ancora con gli scatoloni in mano. In ogni caso, in quel periodo conobbi uno strano ragazzino e divenimmo grandi amici. Lucio faceva discorsi strani sul Sole e sulle stelle. Era fissato con quelle boiate e riusciva (non che lo facesse apposta) a mettermi paura e ancor più spesso a farmi infuriare.
"Tu sai cos'è il Sole?"
"Una leggenda metropolitana?"
"No, sciocchina. È una stella."
"E cos'è una stella?"
"Una palla."
"Come questa?" Gli domandai, ironica, per burlarmi di lui e delle sue parole, tenendo tra le mani un pallone di plastica. Se non erro, l'avevo trovato nel pianerottolo la sera prima.
"No!" Guaì. "Le stelle sono immensi ammassi di polvere e gas. Giacciono nel cielo, a illuminarne gli abissi, come fuochi sui pendii di una montagna, nell'inviolabile e silente buio notturno. Il Sole è una stella. Una come tante altre."
"E tu credi a queste favole?"
"Non sono favole."
"Dai, non siamo più bambini. Non possiamo mica lasciarci abbindolare da fiabe e fantasticherie con tanta facilità."
"Ma è tutto vero!"
"Io non ti credo!" Mi alzai in piedi. "Il Sole non esiste! E nemmeno le stelle! Sono scemenze vomitate su libri inutili e servono solo a farci sognare verità impossibili! Infiniti mondi, pozzi neri in cui la roba scompare, galassie distanti spazi incolmabili, non puoi berti tutto ciò!"
Rimase senza parole da sprecare e se ne andò. Da lì non l'ho più rivisto. Quella volta fui fin troppo cattiva. Mi innervosiva vederlo tanto convinto di una realtà indimostrabile, delle cui bellezze il nostro sguardo non sapeva cogliere le prove. Ma di quelle lui non aveva bisogno. Gli bastavano i suoi vecchi libri, anticaglie di un'era passata. In fondo, favole o meno, a cosa serve mai un libro, se non ad aprirci uno spiraglio su quanto non potremmo mai incontrare con i nostri umili occhi?
Sì, non mi dispiace sfogliare le mie memorie cammino. Mi schiarisce la mente. E mi ricorda di non montarmi la testa, a differenza di quello zotico. Arrivo a destinazione e mi ritrovo ai piedi del palazzo in cui abitavo. È rimasto identico, sembra non gli sia passato un giorno. Forse ha qualche crepa in più sulle pareti, ma nulla di sconvolgente. Poi, perché un edificio dovrebbe invecchiare?
Di minuto in minuto la vanga si fa più pesante, passano le ore e non me ne rendo conto. Mi ritrovo sfinita, stanca come posso essere stata poche altre volte. Temo di aver compiuto il lavoro di almeno tre giorni in poco più di una lunga mattinata.
"Mi sfameranno come fossi una regina." E me ne vengo via, riempiendomi di meritati complimenti.
Ma c'è un uomo, di fronte a me. Impregnata nel duro lavoro, non mi ero accorta di lui o del suo sguardo impertinente, indagatore. Sembra una luce da interrogatorio, inquisitore, persuasore esperto nel discernere la verità da pochi esili dettagli. E sono sicura di averlo incontrato da qualche parte. Per quanto tempo sarà rimasto lì impalato, a fissarmi mentre sbrigavo i miei compiti?
"Pervertito! Ma non hai null'altro da fare?"
"Anna, da quanto tempo!" E realizzo di sapere il suo nome. "Non mi aspettavo baci e abbracci, ma addirittura darmi del pervertito? Ti sei fatta più cattiva con il trascorrere degli anni."
"Come se non lo fossi mai stata, Lucio." E lo abbraccio, quasi a volermi rimangiare le mie parole.
"Ed ecco qualcosa che non mi aspettavo."
"Zitto, potrei pentirmene." E restiamo in silenzio, avvolti l'uno nelle braccia dell'altra, negli odori della nostra pelle, nell'affetto di quel gesto per me tanto strano da essermi quasi innaturale. Ma non stavolta; mi sento immersa nella luce, nel dolce tepore di una stufa.
"Come stai, Anna?" Mi domanda, dopo essersi staccato da me.
"Come pensi ti possa rispondere?"
"Se l'avessi saputo non l'avrei chiesto."
"Fa schifo."
"Cosa?"
"Tutto, Lucio. Le case che popoliamo, il mestiere che pratichiamo, il cibo che mastichiamo, le vite in cui abitiamo, incastrati nell'inferno di un sogno tramutato in incubo."
"Lo so."
"Allora vedi che non serviva chiedere."
"Acida come un limone, non sei cambiata. Mi sei mancata."
"Temevo di essermi fatta odiare per quell'ultima lite, da bambini."
"Giordano Bruno maledì forse gli uomini mentre li guardava dal rogo?"
"Probabile."
"E perché dovrei imitarlo? La neve cade. E da quel giorno ne è scesa parecchia."
È alto e non molto magro, a giudicare dalle curve sotto il robusto cappotto. I capelli gli scendono sulle spalle, lunghi e folti, non riccioluti ma decisamente mossi. E ha ancora il naso mezzo storto, pendente verso destra. Glielo ruppi io, anni fa, durante uno dei soliti litigi.
"Beh, è stato" esito. "Bello, Lucio. Devo riscuotere i frutti dell'amaro sudore. E non mi dispiacerebbe mangiare e darmi lavata. Teniamoci in contatto, d'accordo?"
Rimane muto. E quegli occhi sono fissi sui miei.
"Il mondo tremerà presto. E cambierà tutto. Non dovrai più brancolare nel buio dell'eterna notte, sprecando giornate tra le dune di neve. Da domani vivrai al Sole."
Non afferro i suoi pragmatismi, non colgo dove voglia andare a parare.
"Lucio, non ti capisco." Una novità.
"Non è necessario, basta che tu veda." Mi sussurra, prendendomi per mano. "Domattina dovrai alzarti presto e, quando uscirai di casa, volgere il tuo sguardo a Est."
"E perché mai?"
"Compi un atto di fede, Anna. Il dolore dimorato nel tuo sguardo troverà pace. E sentirai le lacrime irrorarti il volto, velarti la gote e bagnarti gli zigomi. Ma assaggerai un mondo nuovo."
"E come?"
"Oh non posso svelartelo, non ancora. È una sorpresa! Ma non la scorderai facilmente."
"Davvero non ti capisco, Lucio. Sei sempre stato un po' bizzarro, ma gli anni ti hanno peggiorato," ammetto, ridendo sommessamente. Caccio una penna dalla tasca e gli segno il mio indirizzo sulla mano. "Passa, se hai tempo, scemo." Gli stampo un bacio sulla guancia e me la svigno.
È mattina, secondo i numeri pronunciati svogliatamente dalla voce in radio. Ho dormito poco e quel poco male, colta da affanni e crisi di pianto. Non rammento cosa mi abbia mostrato il sonno. Forse mia madre? Forse la neve? Ho le idee confuse, bevo un sorso per riacquistare le forze e tornano a galla, tra i miei ricordi sconclusionati, le bizzarre parole del mio amico d'infanzia. Ascoltarle? Ignorarle?
E qualcuno bussa alla porta con accanita insistenza.
"Anna? Sei sveglia? Sono io, Lucio. Dai, metti il naso fuori dalla tua polverosa tana!"
Ha avuto l'astuzia di anticiparmi. E sia, un punto per lui.
"Eccomi, mi vesto ed esco." Gli rispondo senza neppure aprire la porta.
Tre minuti più tardi siamo in strada e camminiamo a passo svelto fino a sederci sulla neve, su una collina affacciata verso oriente. E non passa troppo tempo prima del miracolo.
Non mi avevano mentito. Nessuno di loro l'ha mai fatto. La verità era stampata sulla carta di un libro, ma non riuscivo a leggerla. E stamani l'ho fatto.
Mentre scrutiamo l'orizzonte si rompe il silenzio, fracassato dal lamenti di un razzo in partenza. Lasciando ai suoi piedi un incendio, si leva da terra in pochi istanti e tocca il cielo, sprofondando nel baratro della volta tinta di nero. Segue un boato. I nembi si aprono, lacerati dal dilatarsi di una crepa nel loro ventre. E dalla ferita sgorga la luce.
"Il missile portava in grembo alcune miracolose sostanze chimiche, la soluzione a tutto."
Mamma, scusami! Non ho avuto fiducia. Mamma, il Sole esiste e splende su di noi, come avevi detto tu! Il cielo è azzurro e giallo e rosso e piange! L'acqua ci precipita in testa mentre il Sole mi sorride, iubato e incoronato dalla sua gaudente luce.
"Grazie, Lucio! Hai donato alla mia vita i colori che l'uomo aveva perduto in un vecchio libro!"
Nota dell'autore
Ho composto il racconto per il contest "Antro delle Parole" di Beatrixheart96 lista generale. La parola chiave era "neve", il tema era libero, quindi ho scelto la distopia per mio capriccio.
Spero vi piaccia.
Ps: Bea, non odiarmi se ci ho messo tanto :-)
Pps: l'idea mi ha colpito mentre ascoltavo i Rolling Stones ("Paint it black"). Spero sia chiaro il perché,
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