Il migliore amico dell'uomo

Finalmente dopo tante settimane passate china sulla scrivania a lavorare come una schiava, Stefania aveva potuto prendersi un weekend libero per riposare, dedicandosi al suo hobby di una vita, la fotografia. Il venerdì sera, chiuso l'ufficio alle sue spalle e spento il telefono per essere irrintracciabile, si era letteralmente fiondata in auto ed era partita da sola per una riserva naturalistica non molto lontana da casa, in cui si rifugiava ogni volta che aveva bisogno di ricaricare le pile dopo un lungo periodo di stress.

La donna aveva sempre una borsa pronta nel bagagliaio per partire appena poteva, era uno dei vantaggi della vita da single cui lei non avrebbe mai rinunciato: attrezzatura da campeggio, un po' di cibo e una batteria di ricambio per la sua fidata reflex erano tutto quello che le serviva.

Giunta alla riserva e trovato il suo solito posticino per accamparsi, Stefania si mise subito all'opera per cercare qualche scatto buono, complice il tramonto che dava un'aurea onirica al modo che la circondava: la meravigliosa luce che filtrava tra i rami e le nuvole facevano sì che avesse la sensazione di trovarsi in una favola.

Decise di addentrarsi nel bosco per la prima volta: non lo aveva mai fatto prima perché non le piaceva l'idea di farlo da sola, ma quella volta decise di provarci, si sentiva molto spavalda.

Iniziò col costeggiarlo per trovare un punto di accesso idoneo, quando si fermò: al suo orecchio era giunto un rumore anomalo, che non avrebbe associato a quel posto, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse. Si disse che si era impressionata forse, ma dopo qualche attimo il rumore si ripetè: le sembrava un suono metallico e la cosa la lasciò perplessa.

Si addentrò nel bosco cercando di capire da dove provenisse il rumore che la incuriosiva, quando si accorse che i suoni erano due poiché in sottofondo ora sentiva anche un guaito: Stefania immaginò che ci fosse un animale in difficoltà e accelerò il passo per trovarlo.

Capì di essere nella giusta direzione quando i suoni diventarono più forti, finché dal nulla sbucò una specie di radura con una casa diroccata: il vento faceva sbattere ciò che restava del cancello contro una roccia e questo spiegava il primo suono, ma la donna non riusciva a capire da dove venisse l'altro che pure era diventato più chiaro. Si addentrò nel giardino della casa e trovò un cane che aveva una zampa schiacciata da una trave marcia che si era staccata dalla costruzione e che non riusciva a muoversi.

Stefania si avvicinò con cautela, voleva aiutare l'animale, ma non voleva spaventarlo e beccarsi un morso, anche perché poteva avere qualche malattia, per cui si muoveva lentamente: calpestò un rametto spezzandolo e il cane si voltò di scatto verso di lei, accorgendosi solo in quel momento che ci fosse qualcuno, troppo preso a cercare di liberarsi: l'animale iniziò a ringhiare contro Stefania che  si tenne a distanza di sicurezza pur cercando di capire come fare a liberarlo.

La trave sembrava pesante, ma era anche messa male per cui supponeva che con qualche calcio ben assestato nei punti marci, si sarebbe rotta in pezzi più piccoli e avrebbe potuto provare a spostarla: il problema era che il cane si dimenava contro di lei, non consentendole di avvicinarsi il giusto, per cui lei iniziò a parlargli in modo calmo e assertivo senza mettersi a portata di zanne, ma il cane non sembrava reagire bene a questa cosa. Riuscì a trovare un valico tra le erbacce e a portarsi dietro alla trave: la strategia dei calci funzionò e fece forza con le gambe contro il pezzo che schiacciava la zampa della povera bestia, così che potè rialzarsi e scomparve nel bosco correndo come poteva.

Soddisfatta per aver compiuto la sua buona azione quotidiana, Stefania si voltò verso la casa, indecisa se entrare o meno, poiché la luce iniziava a diminuire troppo e non voleva perdersi lungo la strada del ritorno: la costruzione era antica e molto grande, su due piani, con tante finestra alle quali penzolava ancora qualche brandello di stoffa, residuo delle tende usurate dal tempo, e dietro di esse si poteva scorgere anche qualche mobile che lasciava intendere che la casa fosse stata abitata da persone benestanti.

Decise di individuare il punto di accesso alla casa e poi di tornare alla sua tenda, l'indomani avrebbe avuto tutto il tempo di esplorare la casa e trovare i giusti spunti per i suoi scatti. Le finestre erano bloccate o presentavano i vetri rotti e pensò non fosse il caso di usarle come varco per cui si avvicinò alla porta d'ingresso semiaperta, spostandola con un fastidioso cigolio e vide che il pavimento aveva ceduto in qualche punto, ma era ancora possibile passare di lì per accedere all'interno.

Stava per ritirarsi, quando un leggero bagliore attirò la sua attenzione e  senza pensarci si sporse all'interno, abbandonando ogni cautela: la maniglia cui era appoggiata si spezzò, per cui Stefania rovinò a terra e il pavimento cedette sotto al suo peso, facendola precipitare per qualche metro finché non atterrò battendo la testa e perdendo conoscenza.

Quando si riebbe, intorno a lei c'era buio pesto: la ragazza non riconobbe il luogo in cui si trovava né perché fosse lì e quando cercò di mettersi seduta avvertì un dolore fortissimo  alla gamba destra, il lato quello su cui era riversa e su cui era probabilmente atterrata.

Questo le fece tornare la memoria e si rese conto di essere da sola in un posto sconosciuto, probabilmente ferita e senza avere idea di come cavarsela: questa consapevolezza la investì come un treno in corsa gettandola nel panico, per la prima volta non sapeva cosa fare e temeva per la sua vita.

Iniziò a respirare affannosamente, le si strinse la gola fino a farla sentire come se stesse soffocando, sentiva il sangue "ruggirle" nelle orecchie a causa del battito del cuore, veloce come certi tamburi usati nei film per introdurre i riti sacrificali.

Non aveva mai avuto un attacco di panico prima di allora e ogni minuto che passava era sempre più spaventata perché non riusciva a riprendere il dominio di sé col risultato che perse nuovamente i sensi.

Rinvenne perché sentì qualcosa strisciarle sul viso: urlò disperata e istintivamente scacciò la cosa con un movimento della mano, sentendo qualcosa sbattere sul pavimento poco lontano da lei. Si ricordò di avere il cellulare in tasca e di averlo spento per essere lasciata tranquilla, lo accese e si rese conto di avere una pessima ricezione, probabilmente perché i muri erano spessi: attivò la torcia per cercare di capire dove fosse, mentre il dolore alla gamba diventava sempre più forte.

Illuminando intorno a lei, capì di essere finita nelle cantine sotto la casa, infatti c'erano botti, suppellettili varie, attrezzi per lavorare la terra e polvere e ragnatele a volontà. Non voleva sapere cosa l'avesse svegliata, probabilmente era uno scarafaggio o una biscia e al solo pensiero le venivano i conati di vomito; alzò la testa e vide il buco nel pavimento da cui era precipitata e maledisse sia la sua curiosità che la sua passione per l'urbex, ma quel che era peggio, non aveva lasciato detto a nessuno dove fosse andata.

Attivò i dati mobili del cellulare e il gps e, a conferma di quello che aveva constatato prima, vide che non riusciva a collegarsi a internet: doveva trovare un punto in cui ci fosse campo per chiamare i soccorsi o quantomeno inviare la posizione a sua sorella.

Provò ad alzarsi ma, appena si mosse, il dolore diventò insopportabile: illuminò l'arto e vide che un osso sporgeva dalla gamba, sotto cui c'era una piccola pozza di sangue. Stefania pregò che l'osso spezzato non avesse reciso qualche grosso vaso sanguigno, altrimenti non avrebbe avuto molto tempo per mandare l'S.O.S.

Strappò una striscia di stoffa dalla sua camicia e la usò come fosse un laccio emostatico legandola sopra al punto da cui fuoriusciva il sangue, sperando di rallentarne la perdita e guadagnare tempo: lo sforzo la fece sudare freddo, ma le parve funzionare. Si mise seduta poggiandosi al muro dietro di lei e vide che le scale che portavano di sopra erano poco distanti, ma nelle condizioni in cui era anche un piccolo sforzo le costava dolore ed energie; d'altro canto, se non si fosse mossa non avrebbe avuto nessuna possibilità di farsi trovare, per cui doveva stringere i denti e schiodarsi di lì.

Mentre si alzava faticosamente, sentì dei rumori provenire dal piano di sopra, uno zampettìo frenetico e capì che al novero delle preoccupazioni doveva aggiungere anche quella degli animali selvatici presenti nel bosco, magari quello che aveva salvato apparteneva ad un branco di cani che si aggirava nei dintorni.

Ciò le diede la misura di quanto fosse poco il tempo che aveva a disposizione.

Si trascinò fino alle scale, spense la torcia e mise il cellulare in modalità aereo per non consumare la batteria e si apprestò ad affrontare il primo gradino, rendendosi conto che, essendo una casa antica, gli scalini erano più alti del normale e tutti diversi tra loro.

Reggendosi da un lato al muro scivoloso per l'umidità, il muschio e la muffa e dall'altro al corrimano marcio, Stefania salì un gradino per volta, imprecando e mettendo mentalmente tutte le divinità in fila: le parve di impiegarci un'eternità e, in effetti, buona parte della notte passò così, tra un salto, una bestemmia e uno sbuffo.

Una volta riemersa dall'oscurità, Stefania si gettò sulla prima poltrona che riuscì a trovare, accese il telefono e aspettò un qualsiasi bip che le segnalasse che era di nuovo in contatto con la civiltà: era stanca, debole, affamata e assetata ma non aveva ancora perso la speranza di cavarsela, credeva che il colpo di fortuna sarebbe arrivato presto, se lo meritava cavolo! Portò un braccio sugli occhi chiusi per rilassarsi un attimo dopo la fatica affrontata e sprofondò immediatamente in uno stato di dormiveglia indotto dalla debolezza, dall'inedia e dalla perdita di sangue, che purtroppo era ripresa a causa dello sforzo.

Si riprese a pomeriggio inoltrato, sentiva molto freddo sebbene la temperatura non fosse bassa: prese il telefono e vide che, finalmente, c'era un blando segnale!   Si affrettò a mandare la posizione tramite Whatsapp a sua sorella con un breve messaggio "Ferita, no campo, invio posizione, aiuto" e cercò anche di chiamare il numero per le emergenze senza successo, la linea non era sufficientemente forte.

In quel momento si ricordò che per Natale i suoi familiari le chiesero se le sarebbe piaciuto ricevere quel particolare orologio in uso ai militari che, in caso di pericolo, poteva mandare un segnale gps per ventiquattrore  per consentire ai soccorsi di trovare chi fosse nei guai... beh, aveva riso di quella che le sembrava una paranoica esagerazione, ma ora avrebbe dato qualunque cosa per averlo.

Sperando di essere riuscita davvero a inviare il messaggio, cadde di nuovo in uno stato di incoscienza , stavolta turbato da sogni brutti in cui lei rivedeva se stessa  stesa sul divano, ormai cadavere consunto, riconoscibile dai vestiti e dai pochi gioielli che era solita indossare.

Si svegliò di soprassalto e turbata, con la sensazione di essere osservata, ma non riusciva a vedere bene quello che la circondava, finché girando il collo vide due macchie gialle poco distanti da lei: si sforzò di mettere a fuoco gli oggetti e riconobbe il cane che aveva salvato il giorno prima, la osservava incuriosito, passeggiando su e giù per la stanza come se stesse aspettando qualcosa.

Non si agitò, come se fosse consapevole che Stefania non poteva fargli nulla:  accorciò le distanze fra loro avvicinandosi alla gamba rotta, annusò il sangue che colava sul pavimento e lo leccò. Questa cosa dovette eccitarlo non poco, perchè si produsse in un lungo ululato, come se stesse chiamando qualcuno e aumentò l'andatura della sua camminata zoppicante.

Stefania lo guardò bene, un fascio di nervi, era magro, lontano dall'uomo doveva essere difficile mangiare regolarmente e chissà quando era riuscito a trovare cibo prima di incontrarla. Il sapore del sangue lo eccitò al punto da fargli perdere ogni cautela, si avvicinò ancora, la annusò da capo a piedi forse cercando altro sangue e ringhiando quando la donna, con le poche forze che le restavano cercò di allontanarlo con dei pezzi di legno presi dal pavimento: Stefania non voleva cedere senza lottare, sperava che i soccorsi sarebbero arrivati presto e aveva capito che l'animale aveva emesso un richiamo per i suoi compagni, li aveva "invitati a cena" con lei come portata principale.

In breve tempo nella stanza arrivarono altri tre cani che si misero intorno al divano su cui lei si era issata in piedi, brandendo in tutte le direzioni l'asse di legno come fosse una mazza: gli animali provarono ad avvicinarsi, ma neppure più di tanto, era evidente che la loro preda non avrebbe resistito a lungo, dovevano solo farla stancare e poi l'avrebbero attaccata per farne il loro prossimo, succulento pasto.

Stefania iniziò a piangere , le forze le venivano meno ad ogni secondo, il dolore si faceva sempre più forte e il sangue ormai scorreva copioso dalla gamba che era diventata di un colore bluastro cupo: i cani sentendo l'odore del sangue si elettrizzarono, iniziarono a farsi avanti e cercarono di mordere i piedi e le caviglie della donna che non voleva arrendersi e che diede fondo alle sue ultime energie, riuscendo perfino a colpire due dei quattro animali, gettandoli lontano e facendoli guaire.

Il movimento, però, fece in modo che Stefania esponesse il fianco al morso del  cane più grosso che, evidentemente non voleva più  aspettare una stanchezza che non sembrava voler sopraggiungere, la attaccò gettandola a terra, alla mercè propria e dei suoi compagni.

L'ultimo pensiero di Stefania fu che in Natura la fame è ben più forte di qualsiasi forma di riconoscenza.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top