III
Zio Ricckert si accomodò per primo sul sedile. Spostò una delle tendine dell'apertura di luce, lasciando che un denso colorito dorato penetrasse il telaietto. Tagliandogli la strada con il braccio, Jansen girò la loro maniglia, aprendoli.
Dallo scalino si udì un cigolo. Interdetto tra l'abitacolo e l'esterno, Valtar rispose al loro sguardo puntando l'indice al pianerottolo, schiacciato sotto i suoi piedi. «Che dire?» Il trambusto dei suoi passi rimbombò nell'abitacolo e quando si sedette, il sedile sotto di lui s'incavò. «È stato costruito male!»
«O forse è stato pensato per il peso d'un uomo», osservò zio Ricckert, storcendo le labbra. «Sapete, le armature parlanti non sono proprio quella che definirei come una mia comune compagnia.»
«E ciò spiega perché non ci abbiate tenuto da conto!» Valtar appoggiò uno dei suoi guanti d'arme al sedile, squillando un clangore metallico che sbatté contro il telaietto dell'imperiale. «A nome di tutte le armature parlanti, potrei dirmi offeso da ciò.»
«Mi auguro che voi siate unico nel vostro genere.»
«Anche io» replicò la corazza, inalberando il capo e sbattendo contro il pendaglio inanellato d'una delle lucerne interne. La lampada tremolò. Valtar si girò e tese le mani per mantenerla ferma. «Era lui ad essere in mezzo, non io.»
«Nipote, potresti chiedere al tuo compagno di viaggi d'avere pietà della mia costosa carrozza?»
Jansen ridacchiò, la bocca nascosta dietro al pugno. Povero, povero il buon Valtar! Non aveva proprio fortuna con gli spazi chiusi, a dispetto di quanto si lamentasse dell'effetto dell'acqua salmastra sulla sua scorza dura. Il mondo era ingiusto. «Mio buon amico, puoi evitare di sfasciare la costosa carrozza di mio zio?»
«Mi piacerebbe» sbottò lui, appoggiando le mani alle ginocchia. «E sarebbe facile, credimi, se solo non fosse grande quanto una casa per topi!»
Zio Ricckert sistemò il proprio cappello. «Ah, queste bizzarre creature di magia. Domani cosa sarà, un archibugio che spara fulmini a catena?» Lo prese un guizzo brusco e spostò l'estoc in avanti. Accavallò le gambe, sistemò le code della sua giacca con uno strattone e schioccò le dita. «Armaund? A palazzo! Svelto!»
Il cocchiere diede un colpo alla quadriga, che trottò in avanti. Trainata dalla loro forza, le ruote della carrozza rotolarono sul pavimento della strada, sobbalzando all'impatto con il bordo di un qualche lastrone un po' sconnesso.
La via proseguì a rilento in salita, incrociando in una folla numerosa che originava un gran, vivace baccano. Su ambo i cammini si succedevano, affastellati l'uno di fianco all'altro, lunghi rostri d'ambulanti e piccole botteghe. A destra un fornaio stava schiamazzando con una mezzuomo dalla fulva capigliatura rossiccia e, appena più in là, un venditore elogiava a squarciagola il valore delle spade xoryethine che esponeva sul suo bancone, sistemate in un cerchio perfetto interrotto al centro da una daga ricurva.
Pochi metri più avanti c'era una coppia di acquose nereidathee che mettevano in bella mostra una dozzina di cesti di vimini, pieni di cozze luminescenti. «Le cozze più belle e buone di tutta la città! Solo da noi!» canterellavano all'unisono. Dannate megere acquatiche! «Abbiamo anche ostriche, mitili e vongole!»
«L'oro culinario migliore di tutta Atalana!» squillò una donna vestita d'azzurro e bianco, con una cintura d'allori di rame attorno alla vita. Sollevava un grande otre di vetro, riempito fino al tappo d'olio d'oliva. Il suo colore era un aureo appena brunito. «Viene dalla grande Città dell'Olio! Comprate l'oro liquido di Portobombarda!»
«Che comoda sedia» commentò Cadwyn, tastando il sedile sotto di lei. Aprì il finestrino del suo lato e sporse il capo, occhieggiando lo scorrere delle genti in strada. Tra lei e Valtar, Akas se ne stava seduta con le braccia incrociate e la testa china in avanti, chiusa come una sardina. Stringeva il lungo della sua ingombrante spada tra le ginocchia, la guardia crociata rivolta in alto.
«Suppongo che tu voglia delle anticipazioni, nipote.»
Uno scossone attraversò la carrozza dalle ruote al tettuccio. Il tavolino da caffè disposto avanti al sedile sobbalzò, facendo tintinnare un ricco servizio di tazzine bianche e vasetti. Ora che ci faceva caso, il profumo del preparato, contenuto in una grande caraffa decorata, impregnava tutto l'imperiale.
«La tua lettera era alquanto parca.» Quando l'aveva raggiunto a Maratheax, attraverso un corriere pagato alla consegna, gli era sembrata una chiamata piuttosto che un invito a raggiungerlo al più presto per sentire in merito ad una faccenda importante.
Escludendo la possibilità di una trappola orchestrata da un qualche rivale con poca originalità, una fretta del genere, soprattutto da parte di zio Ricckert, poteva essere giustificata soltanto dalla possibilità che, qualsiasi cosa fosse quella di cui parlava, questa valesse davvero il tempo e il combustibile speso per raggiungerlo. Il fratello maggiore di sua madre non era uno sciocco. Perditempo, poi, era un termine che proprio non gli si addiceva.
Con i suoi precedenti già a registro, lo zio era un uomo di parola. Fidarsi era più remunerativo d'inquisire a distanza, aspettando repliche centellinate una a settimane dall'altra. Dopotutto, che il tempo fosse denaro era un concetto comune ad entrambi.
«Supponi bene.»
«Bene e benissimo!» Indicò il servizio sul vassoio con un passaggio della mano destra, adorna sia del grigio Anello Consociato che dell'aurea Vera Huldyca. «Se desiderate favorire, non fate complimenti.»
Jansen scoperchiò una tazzina. Ci versò un cucchiaino di zucchero blu e prese a mescolare, grattando i grani contro il fondo di porcellana. Cadwyn lo seguì, inclinando la tazzina verso l'offerente prima di rovesciarvi dentro ben tre grandi porzioni di zucchero di canna.
Perlomeno non le ha offerto della panna! Sorbendo il caffè, Jansen respinse una risata che gli grattava il fondo della gola. Tolse il vasetto dello zucchero dalla portata della compagna di viaggio, scoccandole un'occhiata che lei sapeva tradurre bene. Farla rinsavire sarebbe stato difficile...
«Finalmente un buon caffè!» esclamò Valtar. Sollevò la celata del suo elmo scoprendo un nulla dal tratto evanescente, un momento nero come il fondo della notte e l'attimo successivo trasparente al punto da far vedere il bordo inferiore del suo elmo. Prese un grande sorso che scivolò nel nulla, gorgogliando rumoroso contro le pareti metalliche del suo essere.
«Ma dove finisce?» chiese Akas, spingendosi in avanti.
Valtar bevve ancora prima di risponderle. Il gorgoglio rimbrottò, distante e vicino al tempo stesso. «Non ne ho idea, ragazza-torcia, e onestamente non me ne preoccupo.»
«Sei proprio il sale della terra, sai?»
«Un uomo deve fare quel che un uomo deve fare.»
«Non sei un uomo» obbiettò Akas. Si concesse un sorso dalla sua tazzina, stretta con ambo le mani come una qualche tisana curativa. «Sei un'armatura parlante.»
Gli venne la sensazione che Valtar stesse alzando gli occhi al cielo. «Ero retorico.»
«Al massimo stavi citando una frase fatta.»
«Il che è lo stesso, non è così?»
Jansen appoggiò la tazzina sul vassoio. «Questo è di buona provenienza, zio. Ne avresti un barile per la mia stiva?»
«Certo.» Spazzò l'aria con la mano e i suoi anelli colsero uno scintillio. «Un mese fa ne ho acquistato una partita molto generosa, proveniente da Xoryethi, per rivenderla a Senovar. Per tua fortuna mi avanza un surplus.»
Quella era una buona notizia, per quanto inconsueta. Jansen ripose la tazza sul piattino. Raddrizzò la schiena, sentendo il sedile alle sue spalle rispondergli con la rigidità di uno stoccafisso. Un altro scossone strappò una cruda imprecazione al cocchiere.
«Allora, queste anticipazioni?»
Sul viso di zio Ricckert si delineò un ghigno sornione. «Ti ricordi dei miei contatti con lord Alestayr Canmoore?»
«Compra i nostri tulipani viola per la sua accademia palatina, sì.»
«Ecco. Lo sapevi, nipote mio, che il mondo è piccolo?»
«Sei sicuro di volerlo chiedere ad un navigatore?»
Come se colpito da uno sberleffo, zio Ricckert si ricompose, pressando lo schienale del canapè. «In effetti non è stata una domanda brillante...»
«Non lo poteva essere» obbiettò Akas. «Le parole non possono brillare. Sono il risultato di aria spostata attraverso vibrazioni più o meno definite.»
«La tua nuova aggiunta è molto particolare, Jansen.»
«Ci farai il callo» gli rispose il capitano, lasciandogli intendere con un gesto che non valeva la pena di seguire Akas nelle sue bizzarre congetture. «Allora, il mondo è piccolo. D'accordo, cosa vuol dire?»
«Che una nobilissima fanciulla tarshìssa, apprezzata in ogni dove per la dovizia con cui spende i soldi della sua illustre famiglia, dopo averli visti in una visita all'accademia di Canmoore ha deciso che ne avrebbe ordinati quindicimila per il suo giardino.»
Quindicimila? Dove li avrebbe messi tutti quei tulipani? «Se non altro, posso dire che costei deve avere più soldi del Banco dei Valori di Tyrissa...»
«Probabilmente se lo potrebbe comprare. Il punto è... ha scoperto che la sua augustissima persona e il sottoscritto vivevano nella stessa solare città di porto e mi ha cercato.»
Jansen aggrottò la fronte. «Stai parlando di kyrie Adyrra?»
«Proprio lei.»
Adesso era tutto chiaro. «Zio, la Roxanne non ha capienza a sufficiente per quindicimila tulipani. Dovrò fare almeno due, se non tre viaggi per recapitarle il carico.»
Suo zio mescolò il caffè della sua tazzina. «Oh, non ti preoccupare. Per quello ho assoldato novanta grandi carri.»
«Allora perché mi hai chiamato?»
Recuperando da un sobbalzo alquanto brusco, la carrozza imboccò un'apertura sulla destra. Un ramo d'ombra sfilò sopra il tettuccio, oscurando le aperture di luce. «Armaund, per le strade di Ovvtheerdam, fai un po' d'attenzione!»
«Sì, signore» rispose il cocchiere, dando un colpetto al cavallo sulla destra. Al di là dell'apertura di luce, la folla che transitava per il pianerottolo era una vorticante macchia di misti colori, di visi e vestiti; slittava avanti e indietro, rinfrescata dall'ombra d'una massiccia scultura d'un guerriero arytsa impegnato a combattere una donna dagli occhi e dai capelli di fuoco, dardeggiando tra banchi e mercatini.
«Ma quello è Calànti?» chiese Akas, occhieggiando la statua dell'arytsa. «Questa gente onora una stirpe malefica...»
«Nessun eroe dell'arena è malefico, Sol-vedetta» puntualizzò Ricckert, sorbendo poi un po' di caffè. «A questa città non interessano le vostre faide datate.»
«Il lusso d'essere protetti è la memoria corta.»
L'angolo scivolò alle spalle della carrozza, che incrociò sotto un'arcata di pietra rossa. Il chiacchiericcio bussò per qualche attimo sull'imperiale, riscaldato dalle tinte calde del zirarniano locale. Un copioso sventolare di stendardi, appesi dalla volta dell'arcata, lo soffocò sotto i propri schiocchi di seta, per svanire una volta oltre il tronco della galleria.
Davanti alla carrozza si aprì l'imbocco d'un trivio a pianta larga, proteso in salita verso le distanti formi dell'acropoli. Pavimentate con ottagonali lastroni blu, le strade costeggiavano i fianchi di alcuni palazzi signorili, alcuni alti anche tre piani e adorni di vetrate. Armaund guidò la carrozza sulla via che saliva dalla destra, rallentando l'andatura dei cavalli per non travolgere qualcuno dei passanti.
«Adesso arriviamo a te, Jansen» disse zio Ricckert, quasi punto dalla domanda che gli aveva fatto. «Devi sapere che venni invitato da kyrie Adyrra a Palazzo Zakandahl per trattare l'acquisto di questi tulipani.»
«Un pomeriggio che è stato di certo affascinante.»
«Io direi più remunerativo, nipote.»
Davanti a quell'ironia mancata, Jansen si coprì la bocca con il pugno. «Certo, questo mi sembra legittimo. Solo, non volevo sembrare venale.»
«Siamo huldycesi, mio caro Jan'!» Suo zio spostò a lato il tavolino del caffè, accompagnandolo con la mano ingioiellata. «Non siamo mai venali.»
Valtar si sporse in avanti, alzando un robusto borbottio metallico. Recuperato il tavolino, lo avvicinò alle proprie gambe e riempì la sua tazza con generosità dalla caraffa. Un lungo filo di fumo danzò davanti al vuoto al di là della celata. «Siete mercanti» disse. «La venalità non è un vostro requisito?»
«Tra lei e l'amore per il guadagno corre la distanza della passione per il rischio, buon uomo.»
«Quale? Farsi i calli a forza di sradicare tulipani?»
«Oh, no! No, no. Quello...» Zio Ricckert sollevò l'indice, portandolo quasi all'altezza della tesa del suo cappello. «Quello si chiama investimento a lungo termine. Spendi ora per guadagnare dopo, ammassando un capitale che potrai reinvestire in altre avventure.»
«Vi stavo canzonando, messhàr.»
«E io vi stavo insegnando qualcosa. Ne ho guadagnato che in futuro porrete meno domande alquanto sciocche sul nostro mestiere.»
«Le farà lo stesso» disse Cadwyn. «Anche se conosce già le risposte.»
«Ne dubito.»
«Credile sulla parola, zio. Conosce Valtar da molto tempo.»
Accusando l'affermazione con ritegno, sul viso dello zio s'affacciò un secondo di perplessità. «Ti risparmierò i dettagli della nostra contrattazione.» Saggia scelta quella di cambiare discorso. «Sono certo che non siano qualcosa che smani di sentire.»
«Non prima d'un buon riposo.»
«Com'è giusto che sia, mio buon nipote. Comunque, risposi all'invito con una lettera. Il giorno dopo, dopo la quattordicesima ora, mi recai a Palazzo Zakandahl per onorare questi distinti anfitrioni.»
Picchiettando sulla guardia della sua spada, Akas storse il naso. Forse per non lasciarsi scappare qualcosa, allungò la mano al piattino dei biscotti d'accompagnamento, prendendone uno al cacao e doppio strato di crema gialla.
«In tale occasione, Sua Grazia la nobilissima kyria Lythrana volle omaggiarmi con un'udienza privata, soprassedendo la nipote.»
«Considerando che spende i suoi soldi, mi sembra legittimo.»
«Kyria Adyrra non mi è sembrata così felice, ma hai detto il vero. Di fondo, il portafoglio è quello della nonna e i soldi sono sempre soldi.»
«Questo mi sembra alquanto venale» obbiettò Valtar.
«No, solo riconoscere il fatto per com'è.»
Per un momento, l'amico gli sembrò sul punto di replicare ancora. Non lo fece, limitandosi a sollevare la celata del suo elmo. «Sta bene, messhàr. La persona di cui parlate, dopotutto, è distinta.»
«Nonché affidabile» aggiunse zio Ricckert, riprendendo le redini del discorso. «Siccome la compravendita dei tulipani era un affare già fatto, non ha rinnegato nulla in merito. Non mi sembrava molto contenta della scelta cromatica, certo, ma quella è una questione che vedrà con sua nipote.»
Quale anima, in Atalantes o Kharista o qualsiasi altro emblema del Grande Orizzonte, sarebbe stato contento di quindici migliaia di tulipani tutti viola? «E fin qui va tutto bene, però io che cosa c'entro? Se non devo fare da conduttore, a che serve la mia presenza?»
«Kyria Lythrana ha domandato se potesse acquistare i tuoi servigi. Ovviamente, remunerandoli con grande generosità»
Quella era una buona, anzi buonissima nuova. Sollevava però un dubbio: perché mai? Con tutti i suoi soldi, poteva noleggiare una flotta intera. «Immagino che non ti abbia detto i dettagli di quel che vuole chiedermi, dico bene?»
«No, ma ha ritenuto che fosse corretto premettere che si tratta di una questione di singolare importanza, per la quale ha bisogno di qualcuno con esperienza. Potevo non commendare, allora, il tuo servizio ad Huldya come primo capitano di vascello?»
«Tra quello che si può chiedere ad un navigatore e ciò che ci si può aspettare da un capitano militare, zio, capirai che vi è un buon braccio di mare.»
Sul viso del fratello di sua madre s'accese un ghigno sornione. «L'ha detto lei stessa, sai? Prima che io potessi sollevare una qualche obiezione.»
Per quale ragione gli veniva difficile credere che l'avrebbe fatto, né lo sorprendeva che l'onoratissima kyria l'avesse preceduto in quell'ambito. Trentaquattro secoli d'età dovevano rendere le conversazioni alquanto prevedibili. «Ultima mia supposizione, zio: ti ha chiesto che io la incontrassi.»
Cadwyn protese la destra verso Valtar, con il palmo rivolto al tettuccio. «Proprio come ti avevo detto. La mia vincita, secchio di ferro, grazie.»
Zio Ricckert inarcò un sopracciglio, ma non indagò oltre. «Sì, ha richiesto se potevo arrangiare un vostro incontro per discutere più in dettaglio dell'offerta. Mi sono preso la libertà d'arrangiarlo per dopodomani.»
«E se io avessi tardato?»
«Allora l'avrei rimandato a dopo-dopodomani.»
«Ti ringrazio per la fiducia!»
Lui aggiustò la tesa del suo cappello, assicurandosi che fosse perfetta. «Conosco mia sorella e il figlio che ha fatto, ragazzo mio. Tra te e il ritardo corre la stessa vicinanza che c'è tra la nostra splendida Ovvtheerdam e quella infida Vyndenburg.»
Valtar abbassò la celata con uno schiaffo brusco. «Vyndenburg è la più grande città che esista, sia mai esistita e che mai ci sarà, buon messhàr! Ora potrei davvero ritenermi offeso!»
«Ma è una stalla di paglia dove i briganti di p...»
«Zio?» lo interruppe Jansen, facendogli cenno di lasciar cadere la faccenda.
«Oh, certo. In ogni caso, la nobilissima mi ha dato qualcosa per te, ragazzo mio.» Trasse una lettera da un taschino interno e gliela porse. Il sigillo, composto in una perlacea ceralacca tyrissa, era integro come nel momento in cui era stato apposto. «Con un giuramento ibeqariqo mi ha richiesto, imputando il mio onore e buon nome, di non aprirla né leggerla.»
Accettò la lettera e la soppesò tra pollice e indice. «Però, si è assicurata anche contro gli occhi del tuo kontaarjo.»
«Già. Ilfrjth è stato alquanto punto dalla cosa, ma il mio onore non si discute!»
«Dunque sarò il primo a scoprire se è avvelenata o meno...»
«Oh, no. Quello mi ha permesso di scoprirlo da me, specificando in postilla vincolante che ero libero di ispezionare la lettera se lo desideravo. Veleni, malefici, sortilegi e incanti? È pulita, linda come uno specchio dei majnu.»
«Non userei mai un aggettivo positivo per quella risma di stregoni e consorti di spiriti» borbottò Akas, tamburellando di nuovo sulla guardia. «Se lo desiderate, posso ispezionarla con i miei poteri.»
«Potete, Solarina?»
«Certo, messhàr» annuì Akas, scambiando un colpo d'occhi con Zio Ricckert. «Posso vedere attraverso le cose, se lo desidero.»
«Tutte?»
«Sì», mentì la Sol-Vedetta. Lo stava facendo apposta oppure non lo sapeva? «Basta che me lo chiediate.»
«Non sarà necessario, Akas. L'aprirò una volta a palazzo.»
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