7
[Può contenere scene violente]
La situazione degenerò in breve. Inizialmente erano circondati da una sola fila di guerrieri, contro cui magari avrebbero anche potuto far breccia, ma altri continuavano a riversarsi sulla piattaforma, sempre più numerosi, sbucando da ogni anfratto della foresta.
Il corpo di Kairos non riusciva a rispondere come voleva, il suo volto a metà tra il confuso e il disperato. Aveva stretto a sé Raya e i fratelli più piccoli, mentre gli altri cercavano di avvicinarglisi sempre di più. Ma era inutile che venissero da lui! Come avrebbe potuto proteggerli, da solo, senza neanche una spada, con centinaia di guerrieri abili e armati? "Un'arma... un'arma! Perché non l'ho portata con me? Mi sarebbe bastata".
Ancora non realizzava cosa fosse successo. Era stato tutto così veloce. Un attimo prima stava scherzando con sua sorella, attendendo l'inizio della cerimonia, e subito dopo un'orda di uomini si era scagliata su tutti loro e ancora non si fermava. Impetuosa, restringeva il cerchio con cui li aveva circondati, muovendo contro le parti centrali delle piattaforme, dove le persone, disperate, cercavano di rifugiarsi, invano: non importava dove andassero; li avrebbero raggiunti tutti, presi con la forza e divisi in gruppi. I bambini con i bambini, gli Anziani con gli Anziani e così via. Nessuno riusciva a opporre resistenza.
"Cos'hanno in mente?" si interrogava Kairos, non avendo ancora visto un solo compagno ucciso: non era quella la loro intenzione?
Giunsero presto anche intorno a loro; erano due soltanto e, sghignazzando, osservavano i fragili componenti del gruppetto: quattro bambini, una donna incinta, una ragazza poco esperta nel combattimento e un solo giovane in grado di contrastarli, ma disarmato. Talmente facile da non essere nemmeno divertente.
«I bambini e le donne li prendo io» disse uno dei due, quello che sembrava più vecchio ed esperto, guardandoli indifferente. «Con lui» concluse, accennando a Kairos, «divertiti».
Il compagno annuì e subito gli fu addosso, mentre i sensi di guerriero del giovane si rafforzavano, prendendo il sopravvento sulla logica e sui pensieri. Non appena il nemico spinse Raya a terra per scostarla dal corpo del suo avversario, la razionalità di Kairos andò a dissolversi completamente: disarmato, si scagliò contro il nemico, tempestandolo di colpi fino a vederlo cadere a terra; gli strappò poi la spada e, sentendo all'improvviso il pianto isterico di Hermit, si ricordò subito dell'altro. Si era caricato su una spalla il bambino, che gli tirava piccoli pugni perché lo rimettesse a terra, e cercava di afferrare anche Sofia, che correva nella direzione del fratello maggiore. Kairos lo raggiunse in un attimo e, prima ancora che quello potesse reagire, gli piantò la spada alla base del collo.
Altri sopraggiunsero contro di loro, allarmati dai due corpi stesi a terra. Kairos, riscoperta la stessa forza con cui aveva combattuto lune prima in guerra, si abbatté su di loro allo stesso modo, stroncandone la vita in un colpo. Gli bastava solo quella spada nemica per diffondere veloce la morte nello schieramento avversario.
Quello era il suo popolo. Quei bastardi senza umanità non avevano il diritto di toccarlo. Con l'ira che gli ribolliva in ogni parte del corpo, si avventava su tutti quelli che gli si propinavano davanti. Colpiva con l'arma con una forza crescente, come se la sua rabbia aumentasse più nemici vedeva; e quando sentiva la carne lacerarsi sotto la sua lama un'emozione simile al piacere lo spronava a continuare.
Ma ricevette un colpo. L'idillio terminò. Una ferita al braccio sinistro, da cui sentiva provenire un dolore che non aveva mai provato, grondava di sangue. Dietro di lui la miriade di vittime che credeva aver mietuto si limitava a sei morti e qualche ferito. Ma davanti a lui tanti altri uomini che ridacchiavano, già immaginandosi la triste fine di quel giovane dal troppo ardire. E ancora più avanti il suo popolo, che piangeva e per cui non avrebbe comunque potuto fare di più. La sua intenzione non poteva coincidere con i fatti: lui era solo, preso alla sprovvista, disperato, quelli un'orda fin troppo numerosa, organizzati, desiderosi di portare la violenza – chissà perché – nel suo clan.
Stavano per caricare ancora contro di lui, quando due giovani Gheneiou gli si pararono davanti. Altri Guerrieri che quel giorno avevano deciso di non proseguire con la ricerca del tesoro, che dovevano provare il suo stesso turbine di pensieri. Non era più solo. Per quanto fossero pochi e disorganizzati, potevano fare di più che un unico individuo. Forse non era più solo un'utopia pensare di porre fine a quell'attacco inaspettato. E comunque cos'avevano da perdere?
Si riscosse dal suo torpore e, pur dolorante, continuò a combattere.
~
"Dove sei, Kairos?" si chiedeva Rose, parata davanti ai cinque rimasti, con la lancia sottratta a uno dei nemici che tremava tra le sue mani.
Lo aveva perso di vista. Era vivo? Era morto? Quest'ultimo pensiero la tormentava più del dovuto, facendole perdere la concentrazione. Non ne aveva bisogno! Non poteva distrarsi! Doveva proteggere i suoi fratelli – per quanto poteva, con le sue scarse abilità – ora che era rimasta solo lei. Perché non c'era Kairos o suo padre o Genew? Perché era capitato a lei quel compito, che già sapeva non avrebbe portato a termine? I nemici si facevano più violenti, più il suo popolo opponeva resistenza. E in lei la paura cresceva.
In tutte le categorie qualcuno si era alzato per far sentire il proprio urlo di battaglia e contrastarli; con tutto lo stupore di Rose, arrivò anche il turno di quella dei più piccoli, rimasti tutti in ginocchio come era stato ordinato fino ad ora.
Un bambino si levò tra la sua schiera, le lacrime asciugate e l'odio nei suoi occhi.
«Nikìas?» Rose sentì la voce di Hermit, un misto tra stupore* e ammirazione; si voltò immediatamente per redarguirlo – guai a lui se avesse osato qualcosa di simile! – ma già Raya si era chinata a sussurrargli qualcosa.
"Non posso distrarmi". I suoi sensi si rivolsero di nuovo ai nemici, perché non si avvicinassero ancora a loro, ma, dannatamente, ricaddero anche sul figlioletto di Zeno, che, correndo verso le liane, fu acciuffato da uno di quelli. Ma ancora non si arrendeva, dimenandosi e urlandogli in faccia improperi sempre peggiori, finché non gli ficcò un dito in un occhio. L'uomo, che prima era sembrato quasi divertito dalle reazioni ancora innocue del bambino, si espresse in dieci imprecazioni diverse, per poi scaraventare Nikìas a terra e porgli un piede sul ventre.
«Piccolo stronzo» borbottava ancora, mentre dalla bocca del bambino fuoriusciva la cena prossima alla digestione. Uno tra quelli che si erano addossati alla scena, incuriositi, estrasse la spada e la appoggiò appena sopra le dita del piede che continuava a schiacciare Nikìas. Fece pressione e dalla bocca del piccolo uscì un suono sentore di puro dolore*; ghignando continuò a tagliare, lentamente, finché il corpicino non fu diviso a metà.
Le orecchie di Rose furono lacerate dalle urla lancinanti del bambino e i suoi occhi, già inorriditi da tempo, non resistettero alla vista delle due parti che venivano sollevate e rese ben visibili. L'esorbitante quantità di sangue che lo imbrattava tutto, l'espressione che diventava sempre più vacua sul viso dell'amico di suo fratello, gli organi che fuoriuscivano dal taglio netto.
Alle sue spalle sentiva i piccoli urlare disperati. E intanto i nemici che, senza che lei se ne accorgesse, li avevano accerchiati ridevano: ridevano per i due più piccoli che piangevano ininterrottamente, spaventati come non mai, perché qualcosa di così terribile neanche lo avevano immaginato; ridevano per il ragazzino più grande, rimasto impietrito, con gli occhi sgranati, che non riusciva più a muovere un arto, e per l'altra vicino a lui che, tenendogli la mano, si muoveva di scatto come cercando una via di fuga, che non esisteva; ridevano per quella donna incinta che teneva stretti i bambini che si rifugiavano da lei, pur consapevole che non li avrebbe mai salvati. E ridevano per quella giovane bellissima che avrebbe voluto proteggere i suoi fratelli, ma che cadeva a terra in preda a conati sempre più violenti. Perché sì, tutto questo ai loro occhi era divertente.
~
«Ascoltami, Rose, non abbiamo molto tempo».
La giovane aprì gli occhi, sentendo la lingua dell'isola. Si ritrovò in un luogo dai tratti indefiniti, in cui la luce e l'oscurità sembravano essere la medesima cosa. Subito capì dov'era. Capitava spesso che arrivasse lì, da quando era piccola le succedeva. Per questo era una danzatrice.
Alzò la testa e vide un essere dai tratti femminili, così bello che non poteva essere definito una donna. La guardava indulgente, e vedendo gli occhi cerulei dietro la frangia di capelli corvini, la giovane capì subito di chi si trattava.
«Calpurnia» mormorò tra sé, mentre ammirava la bellezza della dea. Ma subito le balzò di nuovo in mente il corpo dimezzato di Nikìas. Un dolore al petto la invase e sentì lo stomaco stringersi ancora. Riguardò il daimon e d'istinto si slanciò sulle sue ginocchia, afferrandole e appoggiandovi la testa contro. «Signora! Ti prego, ti supplico, fa' smettere tutto questo. Ti offrirò tutto quello che vorrai, non mi lamenterò più, farò tutto quello che dirai; se è una punizione per-».
«No, Rose» la interruppe Calpurnia, la voce inalterata, come sempre l'aveva udita. «Non è una punizione. Questa è solo la sorte, che così ha stabilito».
«Ma perché?» chiese la giovane, senza che le lacrime potessero fermarsi: i suoi fratelli, Raya... ora dov'erano? Ora cosa gli stavano facendo? E al suo corpo, esanime finché fosse stata trattenuta dalla dea, cosa stava accadendo? E i nemici? Avevano iniziato a uccidere tutti, come avevano fatto con il povero Nikìas? Ma loro cosa avevano fatto di male per meritare tutto questo?
«Sempre questo chiedete, voi mortali... Ma dovreste conoscere la risposta, ormai: non è dato sapere».
Ma del resto come avrebbero potuto non chiederlo, ogni volta? Come avrebbero potuto accettare le perdite dei loro cari, la visione atroce della violenza, della morte? Calpurnia, come tutti gli altri daimona, non l'avrebbe capito: il termine dell'esistenza non era una loro preoccupazione. Rose si limitò a mormorare ancora, sperando vanamente di poter essere rincuorata con un dissenso: «Mia signora, questa... è la fine?»
Calpurnia le carezzò una guancia e fece in modo che la guardasse negli occhi: sorrideva. «Per questo sono qui: questo elemento forse è ancora nelle vostre mani. Non posso dire molto, me lo impediscono le leggi che ci siamo imposti. Forse anche questo è già troppo: Mortino è venuto ad attaccarvi e non si fermerà finché non avrà posto fine a Tou Gheneiou. Resta a te capire cosa devi fare».
Sotto di loro iniziò a dipanarsi una luce soffusa, che illuminò lo specchio d'acqua su cui erano appoggiate. Alcuni colori presero vita su di esso e, come se Rose potesse vederla dal vivo, una scena vi si dipinse. Un uomo dalla chioma fulva teneva appoggiata la spada alla spalla di un altro individuo inginocchiato. Rose sentì le lacrime scendere più forti riconoscendo i capelli neri e ricci e il profilo dallo sguardo gentile che intravedeva appena. Non poteva essere...
«Papà...» biascicò tra i singhiozzi ma non appena riaprì gli occhi fu di nuovo immersa nel fracasso della turba. Sentì una mano che l'afferrava per un braccio e la trascinava in un punto. Si ritrovò di fianco a Raya, che come lei era stata ammassata tra le giovani donne. Nessuno li stava tenendo d'occhio e, anzi, sembravano essersene dimenticati. Ma perché allora nessuno stava scappando? Rose provò ad alzarsi in piedi, ma Raya la trattenne per un braccio, ammonendola con un'occhiata. Fece cenno in una direzione, che la giovane seguì, vedendo di nuovo il corpicino a metà del figlio di Zeno, piantato su un palo in mezzo alla piattaforma.
«Non li hai sentiti prima? O taciamo e stiamo fermi o quello» sussurrò l'amica nel suo orecchio.
Rose si morse un labbro, sbuffando di rabbia: Calpurnia l'aveva solo ingannata! Quella era la fine... Era tutto inevitabile. Suo padre era morto, e un clan senza capo, si sa, è come inesistente, e il loro a maggior ragione: quale fosse il significato preciso del nome del capo non l'avevano mai compreso in modo sicuro, ma avevano capito che avesse a che fare con la stirpe e il suo propagarsi. Gheneiou, il nome del suo popolo, era la stessa parola che identificava suo padre agli occhi delle creature dell'isola: Gheneios, Genew. Senza di lui, ora, non erano più nulla.
Un pensiero balzò all'improvviso nella sua testa. Suo padre non era l'unico a portare quel nome. Sua sorella... Era fuori dai loro territori con i Guerrieri, prima dell'alba non sarebbe mai tornata. Mortino e il suo esercito non se ne sarebbero andati finché non avessero avuto sotto mano anche lei: quel mostro doveva sapere che per ottenere la fine di un clan doveva morirne il capo. Ma se qualcun altro si fosse sacrificato al suo posto...
«Eucharistõ toi, Calpurnia, grazie!» esclamò, alzando le mani al cielo, mentre Raya si buttava su di lei per tapparle la bocca. Ma Rose ormai aveva capito cosa doveva fare. Una possibilità esisteva, per quanto piccola, per quanto incerta. Intanto però doveva riuscire ad andarsene da lì. Ma come poteva fare, senza rischiare di morire?
~
I guerrieri di Tou Gheneiou erano ormai una trentina. Pochissimi in confronto a tutti i nemici presenti, ma era il massimo che avessero potuto raggruppare.
Tutti insieme erano riusciti a irrompere contro il muro di uomini che circondava le piattaforme e a raggiungere le liane. Vi si erano arrampicati sopra e si erano nascosti sugli alberi, lasciandosi alle spalle quello che aveva iniziato a divenire un massacro: più disobbedivano, più i nemici uccidevano, brutalmente, prendendo a caso delle persone tra tutti gli ostaggi.
Quelli non parlavano, ma il messaggio era limpido: se i pochi guerrieri avessero continuato a opporsi, avrebbero ammazzato altri del clan; se fossero rimasti lassù sugli alberi, altrettanto. La loro unica possibilità era dunque scendere di nuovo e consegnarsi. Ma in meno di un istante i combattenti avevano già preso una decisione unanime: mai si sarebbero arresi. Prima o poi, li avrebbero uccisi tutti e il perché stessero aspettando lo conoscevano solo loro. Intanto dovevano mettere in salvo più gente possibile. Non avevano altre prospettive davanti.
Scesero dagli alberi in picchiata, aggrappati alla liana più resistente che avessero trovato. Presi alla sprovvista da quei molteplici attacchi repentini, gli avversari non erano pronti a rispondere subito e i guerrieri recuperavano velocemente chi potevano.
Analizzata la situazione dall'alto e avendo intercettato la sua famiglia, anche Kairos approdò dove erano stati ammassati i bambini, mentre sulla piattaforma era tornato a spargersi il caos; prese in braccio Hermit e Sofia, attaccandoli in alto sulla liana. Individuò in fretta gli altri quattro e fece cenno perché lo raggiungessero e salissero: dovevano approfittare della confusione per passare inosservati. Subito gli fu addosso una manciata di nemici e non fece in tempo ad assicurarsi che i suoi fratelli gli avessero obbedito che già doveva contrastare gli avversari, perché non salissero anche loro.
Continuò a combattere con tutte le sue forze, rimanendo ancora ferito, ma aspettando che la sua famiglia fosse finalmente al sicuro, nascosta tra le fronde. Sapeva che ci avrebbero impiegato del tempo ma lui avrebbe aspettato.
Sentì un movimento provenire dalla liana e capì che dovevano esserci riusciti. Con uno sforzo maggiore, sferrò un calcio nello stomaco all'uomo più vicino, respingendolo, e, più veloce che poté, corse su per la pianta; non appena arrivò sul ramo su cui erano approdati gli altri, senza prendere fiato tra un'azione e l'altra, la recise, e gli uomini che lo stavano seguendo caddero sulla piattaforma.
Tutte le sue attenzioni furono per il gruppo appena tratto in salvo. Li abbracciò tutti insieme, non riuscendo più a concentrarsi su altro: se in quel momento i nemici fossero saliti, di loro non sarebbe rimasto nulla. Ma così non fu. I giovani poterono avere qualche attimo di tregua.
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Tra un colpo di spada e un altro, i Mortinou si guardavano straniti da quel colpo di scena inaspettato: quell'idiota gli aveva assicurato che i combattenti del clan erano tutti fuori! E invece ora iniziavano a spuntare guerrieri da ogni parte, non molti, ma che comunque ostacolavano le loro intenzioni, portando via gli individui che avevano già ammassato. Il capo sarebbe stato furioso.
Ma loro cosa potevano fare? Ogni azione sembrava contraddire uno degli ordini.
«E adesso? Dovremmo salire anche noi e riportarli giù?»
«No, continuiamo ad ammazzare quelli che sono qui. Si stancheranno bene di vedere il sangue dei loro cari».
«Ma non ne possiamo fare fuori troppi! Il capo non vuole! E poi se quelli là scappano, mentre noi stiamo a insozzare di sangue 'sta piattaforma, come li ritroviamo?»
«Il capo ha detto di restare tutti qui. Vuoi forse disobbedire a un suo ordine?»
«Ma magari il capo preferisce questo, piuttosto che perderne troppi e non giungere al suo scopo: guarda, continuano. Scendono da queste piante di merda, si caricano due o tre persone e li portano su. Forse dovremmo procedere con la prossima fase».
«Sei forse impazzito?! Senza che il capo sia tornato?! Ci ammazzerà lui!»
«Speriamo finisca in fretta con il primo...»
Bastava che tornasse e avrebbero potuto procedere: l'importante era che ne scappassero talmente pochi che il capo non si accorgesse della loro mancanza. Avrebbero ottenuto il divertimento tanto ricercato ma, soprattutto, la loro incolumità.
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Non appena Hermit e Sofia sentirono di nuovo il contatto con il petto possente del fratello, iniziarono a piangere, facendo uscire tutte le preoccupazioni che avevano tenuto dentro prima, costretti al silenzio. Anche Iulius e Fanny li seguirono subito, abbandonandosi nell'abbraccio del maggiore.
«Ragazzi, state tranquilli, va bene?» provò a calmarli Kairos, tradendo però nella voce un'ancóra radicata preoccupazione. Ma quell'esortazione era inattuabile nelle menti sconvolte dei piccoli, che iniziarono a tempestarlo di domande.
«Ma cosa succede?»
«Kairos, perché?»
«Ma moriremo?»
«Kairos, ho paura!» esclamò infine Hermit, stringendosi più forte a lui. Il giovane sentì il battito del fratello che sembrava perforargli il petto. Un moto d'ira lo invase di nuovo mentre lo abbracciava con più premura: bambini così piccoli non avrebbero mai dovuto assistere a un simile scempio!
«Tranquillo, Hermit» sussurrò, carezzandogli la nuca. «Ora sei al sicuro».
Avrebbe voluto fare di più per loro, ma non aveva molto tempo e voleva dare attenzione anche a Raya, soprattutto considerando ciò che aveva in mente. Doveva occuparsi di tutti, negli ultimi istanti che gli erano rimasti. Si sedette di fianco a lei, sdraiata sul ramo, con un'espressione dolorante ed entrambe le mani che stringevano il ventre: tra tutti era quella più silenziosa, ma non certo colei che stava soffrendo meno. Lo sforzo che aveva compiuto non era paragonabile a quello degli altri: avanti com'era con la gravidanza non avrebbe dovuto affaticarsi troppo, ma non aveva potuto fare altrimenti.
Kairos la alzò di nuovo seduta, guardandola negli occhi e sforzandosi di sorridere. Come avrebbe voluto rimanere lì, con lei, a rincuorarla solo con il suo sguardo... Ma non poteva. Il petto gli doleva per le parole faticose e necessarie che stavano per uscirgli di bocca. «Raya, pensi di riuscire a spostarti ancora per un po'?»
Lei annuì appena e il giovane sorrise, spostandole delicatamente una ciocca dietro a un orecchio: pur con tutto il dolore che stava provando – che Kairos era sicuro fosse molto maggiore rispetto a quello provato da lui per le ferite – non si lamentava, non chiedeva nulla. Forse aveva inteso le sue intenzioni e capiva l'importanza di quell'ultimo sforzo, anche se non del tutto: probabilmente pensava che se ne sarebbero andati insieme, altrimenti non sarebbe stata così condiscendente.
«Perché? Non possiamo restare qui?» chiese subito Sofia, di nuovo allarmata.
«È meglio di no» mormorò Kairos, ancora titubante e incerto sul pronunciare quelle parole che parevano quasi un addio. Ma doveva. «Sanno dove siete e basta che vengano qui perché la situazione torni al punto di partenza. Dovete trovare un nascondiglio più sicuro. Andate al mio oikarion e nascondetevi dove teniamo i vasi, proprio dietro a questi. Se anche dovessero venire a cercarvi lì, non vi troveranno».
«Dovete...» ripeté Iulius, prendendogli una mano.
Kairos sospirò ancora e abbassò gli occhi per non incrociare i loro sguardi: aveva preso la sua decisione e tutto ciò che poteva sperare era di rivederli tutti. «Io resto qui». La dolcezza nelle sue parole era scomparsa. «Di guerrieri ce ne sono pochi e la presenza di uno in più è indispensabile».
«Kairos...» Sentì la voce di Raya per la prima volta rotta dal pianto: ma lui non poteva lasciarsi condizionare.
«Raya, non dire niente!» intimò, mentre il suo cuore lo accusava di essere così duro con lei. Non alzò neanche allora lo sguardo: se avesse visto i suoi occhi lacrimanti, il volto che amava, il grembo che ospitava suo figlio, sarebbe stato preso dalla tentazione di mollare tutto. «Non farmi cambiare idea. Non posso! Hanno bisogno di me».
Aveva alzato la voce e tutti erano rimasti spiazzati, interdetti: nessuno osava più proferir parola, ma continuavano a essere restii nell'andarsene.
«Andate» ordinò, afferrando delle liane e passandogliele, mentre teneva monitorata la situazione di sotto: alcuni dei loro erano già tornati a combattere per provare a salvare altre persone.
«Fate quello che dice vostro fratello, veloci». Era stata Rose a parlare, ancor più secca di lui. Kairos la guardò stranito, iniziando subito a mormorare qualcosa che la sorella interruppe subito. «Kairos, sono nella tua stessa posizione. Non posso muovermi da qui. Adesso ti spiego» sospirò, per poi rivolgersi un'ultima volta a tutti gli altri. «E allora, cosa ci fate ancora qui?»
«Iulius, hanno ragione. Noi qui siamo solo d'intralcio». Fanny era l'unica ad aver compreso la situazione, esortandoli ad andarsene, seppur con un tono più comprensivo di Rose. «Dài, alziamoci». Iulius e Raya seguirono subito il suo esempio e dopo poco anche i più piccoli. Solo Sofia ne approfittò per tornare ancora da Kairos, abbracciandosi alla sua gamba.
«Sofia, vai con loro. Lo capisci che qui non puoi restare, vero?»
«Ma tu...»
«Non ti preoccupare per me. Starò bene. E poi avrai i tuoi fratelli e Raya».
«Io voglio te...»
«Non è il momento, Sofia» concluse, staccandola dal suo corpo. Incrociò per un secondo i suoi occhi pieni di lacrime e si maledisse per averli trattati tutti così. E se fosse stata l'ultima volta? E se l'unico ricordo che avrebbero avuto di lui fosse stato questo? No, non era un problema: li avrebbe rivisti presto e si sarebbe scusato. Ma ora non aveva più tempo.
Stava per dare la sorellina a Raya, ma appena vide il suo corpo che a malapena si reggeva in piedi mutò decisione e la pose sulle spalle del fratello di mezzo.
«Iulius, li affido a te. So che ne sei in grado. Sei forte, anche se non ci credi. Cerca di tranquillizzarli e di tenerli buoni».
«Va... bene...»
«Andiamo». Fanny lo tirò per un braccio e silenziosamente sgattaiolarono su per le liane. Da lì ci avrebbero messo più tempo a raggiungere l'oikarion ma non avrebbero certamente trovato nessuno durante il tragitto. Kairos sospirò di sollievo, sapendoli tutti salvi.
Si rivolse poi a Rose: quella sua sfuriata non lo convinceva ma il suo istinto gli aveva detto di fidarsi di lei.
«E allora?» chiese, senza preamboli.
«Quelli sono i Mortinou».
«Come lo sai?»
«Una visione...»
Kairos si premette le mani sulla testa, sbalordito. «Daimona kyrioi» esclamò. «Sbrigati a parlare!»
«Mortino vuole distruggere Tou Gheneiou e per farlo, lo sai, deve ammazzare i Genew. Nostro padre...» Rose si bloccò, non riuscendo a continuare. Ma Kairos aveva già capito. Con un nodo alla gola annuì per esortare la sorella a continuare. «Ora vuole Genew. Forse se gliela consegnamo... non sarà la fine di Tou Gheneiou! Magari se ne andrà anche subito, senza volere altro».
«Ma non possiamo aspettare Genew; e se consegnamo anche lei sarà comunque la fine per il nostro clan» replicò Kairos, dubbioso.
«Basta consegnargli quella che lui crede essere Genew. Non l'ha mai vista in faccia. Potrebbe essere chiunque». La giovane si fermò un istante, guardando fissa Kairos negli occhi: sui suoi il pianto aveva lasciato solo una patina leggera; a caratterizzarla era solo una forte determinazione. «Sarò io».
«No!» esclamò l'altro, istintivamente: lui doveva proteggere tutti i suoi fratelli, lei compresa. Non poteva lasciarglielo fare!
«Il tuo discorso con Raya è forse diverso? Fammi il piacere, Kairos! E continuando a parlare sprechiamo solo tempo: la gente di sotto muore. E tu pensi di avere il tempo di parlare? Ora torniamo. Io mi consegnerò fingendo di essere nostra sorella e proverò a contrattare: forse si accontenteranno di me e non vorranno distruggere tutto».
Kairos scosse la testa: era pura utopia.
«Ci riuscirò! Ma se proprio così non dovrà accadere, li convincerò ad andarsene prima che Genew torni!» esclamò la giovane, infervorata come non l'aveva mai vista. «Se morirò io o la maggior parte di noi, almeno non sarà Tou Gheneiou a scomparire».
Così dicendo, si aggrappò a una liana e si precipitò in basso, atterrando su un ramo da cui fosse visibile a tutti.
«Mortino, fatti vedere!» gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. Di sotto tutti si girarono verso di lei, interrompendo ogni loro azione al solo sentire pronunciato il nome del loro capo o del peggiore dei nemici. «Sono io quella che cerchi! Io sono Genew!»
~
Non ditemi che non vi avevo avvertito. Queste sono le parti più cruente e devono essere così: non avrebbe senso rendere edulcorati e pacifici dei guerrieri efferati quali sono i Mortinou. Vi rubo pochi istanti per specificare una cosa che potrebbe essere interessante: leggiamo il nome di Genew da non so quanti capitoli e probabilmente vi sarete interrogati sul suo significato; ebbene, una prima interpretazione viene data qui, che è anche il motivo per cui soltanto chi porta il nome di Genew può essere il capo. Genew deriva da Gheneios (a forza di pronunciarlo velocemente si è poi trasformato in Genew, anche per accordarsi con il nome del clan: in greco ci sono i casi, in italiano no, per cui nella formazione delle parole tendiamo ad assimilarli in un'unica torma. La spiegazione fa pena ma adesso non vi interessa) e Gheneios ha al suo interno la stessa radice di ghenos (almeno, secondo l'interpretazione dei Gheneiou, che non è necessariamente quella corretta) che significa appunto stirpe, famiglia, ma anche popolazione, clan. Quindi il nome Genew si trasmette all'interno della famiglia di padre in figlio e determina che solo chi lo porta può comandare il clan. È abbastanza convincente come interpretazione? Se non lo è, potete provare a dare anche la vostra: gheneios è una parola che non esiste, potete sfogliare finché volete il dizionario di greco ma non la troverete. È fatta apposta per non dare una spiegazione da subito certa, ma per farvi divertire un po' nella ricerca hihi.
Bene, come al solito vi ho rotto anche abbastanza. Ci vediamo al prossimo capitolo (vi ricordo che sono disposti a climax, per cui preparatevi a qualcosa di peggio, o per le scene o dal punto di vista psicologico).
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