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«Buongiorno! Buongiorno! Buongiorno!»

L'oikarion, immerso in un totale silenzio fino a pochi istanti prima, fu inondato da un suono gracchiante, che svegliò di colpo i neoteroi, ancora immersi in un sonno profondo. La disarmonia creatasi all'interno dell'edificio di liane andò crescendo, non appena a quella sorta di mantra si unirono anche le urla sconclusionate di Em e Germanico.

Bellatrix, presa dalla disperazione, si alzò dal giaciglio su cui si era addormentata per capire cosa diamine stesse succedendo e vide davanti ai suoi occhi, ancora intorpiditi dalla notte, qualcosa che inizialmente le parve uno di quei sogni che non hanno né capo né coda: un pappagallo di un bell'azzurro celeste volava in cerchio rasentando il perimetro dell'oikarion, senza smettere di gracchiare i suoi "Buongiorno". Em, continuando a strillare, era andata a rintanarsi dietro a Mijime, che osservava il tutto con un'aria stranita; Germanico invece saltellava impaurito nel punto centrale del pavimento, facendo traballare con la sua mole non indifferente l'intera capanna. Anche Morag si era alzato di soprassalto, andando ad acquattarsi nel punto più basso dell'oikarion per evitare di essere investito dal volatile. Soltanto Spiro continuava a dormire beato, pur immerso com'era in quel baccano.

A un tratto l'uccello si posò finalmente sulla testa di quest'ultimo; sembrava essersi calmato, per quanto continuasse a emettere la sua sveglia, così Bellatrix con un movimento rapido si sollevò dal giaciglio per acchiapparlo. Per poco non volò via di nuovo, ma ormai lo aveva stretto in una presa troppo salda per le poche forze del pennuto. Senza procurargli dolore, gli serrò appena le due parti di cui era costituito il becco e avvicinandosi alla botola lo rimise in libertà.

«Se... se n'è andato?» mormorò Germanico, che tra tutti era certamente il più spaventato. Non avrebbe mai immaginato che i suoi amici animali potessero essere così terribili dal vivo: erano dei veri mostri a paragone con quelli che vedeva nei suoi amati documentari! E se poteva fargli quell'effetto un piccolo e innocuo pappagallo, non voleva sapere cosa sarebbe successo se fosse venuto a contatto con qualche predatore. Già rabbrividiva.

«Ragazzi, ragazzi» fece Spiro, tirandosi su dalla sua comoda posizione. «Un po' di chill, insomma. Non è possibile che urlate anche di prima mattina. Ma il chill lo conoscete, voi?»
«Tu non migliori la situazione con il tuo linguaggio da troglodita!» sbraitò Em, dando il via a uno dei soliti battibecchi mattutini.

«Un risveglio davvero piacevole, devo dire» commentò sarcastico Mijime tra sé, massaggiandosi le tempie e provando a capire come fosse entrato il pappagallo. Lanciando un'occhiata distratta a una Em rossissima in volto che puntava un dito accusatore contro Germanico e Spiro - per chissà quale motivo stavolta - notò dietro di loro, accostati alle liane, due esili figure che cercavano di trattenere le risate.

«Em, tappati la bocca, per una buona volta» disse subito, sicuro che a un suo ordine quella sarebbe ammutolita. «Abbiamo visite, vedo».

Gli altri si girarono verso di lui con un'espressione perplessa e videro che stava guardando in una precisa direzione, verso cui si voltarono subito anche loro.

«Siamo stati scoperti, Sofia».
«Già, Hermit, ma è stato così divertente!»

Non appena tutti i neoteroi si furono girati da quella parte, i due bambini che avevano fatto attenzione a non farsi scoprire per tutto quel tempo scoppiarono a ridere, finché non ebbero espulso tutte le risate che già da tempo stavano soffocando.

«Ciao, neoteroi! Io sono Sofia, e lui è il mio fratellino Hermit» esclamò infine la bambina, saltellando verso i giovani e scrutandoli tutti con i due grandi occhi color del cielo, colmi di curiosità.
«Fratellone, vorrai dire» borbottò l'altro, ma senza darci troppo peso e volgendo la sua attenzione su Mijime, puntando un dito verso di lui: «Comunque, sorellina, quello lì è quello che ti dicevo ieri, quello che è venuto sotto il nostro oikarion insieme al papà, il daimon

I due bambini si catapultarono da lui e Mijime appurò con dispiacere, guardandolo da più vicino, che il maggiore dei due era quella piccola peste del figlioletto di Genew. E sua sorella non doveva essere certo da meno! Il giovane si sarebbe aspettato di tutto, men che essere costretto a fare da balia a due bambini pestiferi... Forse era questo il prezzo da pagare per restare a Tou Gheneiou e non era sicuro che fosse esattamente equo.

Sofia prese a esaminarlo con attenzione, avvicinando e allontanando dal suo viso i due grandi occhi identici a quelli del fratello. La maggior differenza che intercorreva tra i due, in realtà, era la lunghezza dei capelli, cortissimi quelli del maschietto, una chioma di ricci ribelli la capigliatura della bambina: la costituzione era la stessa, i lineamenti e l'incarnato anche e, per quanto infatti Hermit insistesse che fosse più grande, sembrava avessero anche la stessa età.

Dopo averlo scrutato a lungo, la piccola emise il suo verdetto: «Uhm, me lo immaginavo anche più bello, da come lo avevi descritto»
«Come?!» esclamò, allibito, il fratello. «Più bello?! Tu sei pazza!»

Emesso un sonoro respiro, Mijime li interruppe, cercando di mantenersi calmo e pacato: quei due erano i figli di Genew, non era certo il caso di renderseli ostili, per quanto fossero solo due bambini. «Scusate, non vorremmo interrompervi, ma esattamente cosa siete venuti a fare, oltre a disturbare il nostro sonno?»

«Non è colpa nostra». Hermit alzò le spalle, esibendosi in un'espressione da angioletto. «Ordini del papà, ci ha detto di svegliarvi».
«Già, ma non ha specificato il come» aggiunse Sofia, piegando la bocca all'insù, in un sorriso malandrino.
«In ogni caso, adesso siete svegli. Seguiteci!» li esortò infine il bambino, correndo verso la botola, insieme alla sorella.

I neoteroi si guardarono disorientati, senza emettere un filo di voce. Alla fine, quasi avessero deciso il da farsi solo lanciandosi occhiate, si alzarono insieme e seguirono i figli del loro ospite, scendendo lungo la scala di corda, uno dopo l'altro.

Mijime fu il primo a immergersi di nuovo nel panorama di Tou Gheneiou e poté divertirsi scrutando le espressioni degli altri, analoghe alle sue del giorno precedente: un'iniziale meraviglia per la bellezza naturale che li circondava che si trasformò presto in una leggera paura che cercavano di camuffare con scarsi risultati, una volta realizzati i metri che li separavano da terra e l'unico modo che avevano per potersi spostare.

«Che facce!» rise Sofia, dando voce ai pensieri che passavano anche nella mente di Mijime, per poi provare a rassicurarli: «Su, non abbiate paura: dovete solo tenervi stretti alla liana. La piattaforma del nostro oikarion è proprio qua sotto - il papà ha deciso di assegnarvene uno vicino apposta - e non dovrete neanche spostarvi tanto». Detto questo, afferrò una delle piante oblunghe fissate a uno dei rami del loro albero e, datasi una leggera spinta, si lasciò cadere nel vuoto.

I neoteroi accorsero d'istinto al bordo della piattaforma, preoccupati che la piccola potesse essersi fatta qualcosa, ma non fecero in tempo a intercettarla che subito si buttò giù anche l'altro fratello, atterrando con una facilità inaudita di fianco a Sofia. Erano davvero impressionanti.

«Avanti: ce la fanno due ragazzini, non sarà così difficile» sentenziò alla fine Em, sprezzante, dopo che i giovani ebbero a lungo fissato con incertezza le liane davanti a loro. In realtà era spaventata a morte da quell'esperienza ma non poteva sempre mostrarsi come quella più debole del gruppo; e poi, se una popolazione intera aveva deciso di utilizzarle come mezzo di trasporto, non potevano essere così disagevoli.

Gli altri giovani la osservarono scettici, mentre raggiungeva le liane: stava facendo solo scena, in realtà non sarebbe mai scesa per prima, era ovvio. Em, contro ogni aspettativa, prese una liana e imitò i movimenti che aveva visto eseguire dai due ragazzini. Sentì l'attrito dell'aria contro la sua pelle, e immediatamente la sua mente venne occupata solo dalla soddisfazione che avrebbe provato, una volta giunta a destinazione, guardando gli altri cinque: la sua ovvia superiorità, almeno in questo, sarebbe stata ribadita. Forse avrebbe fatto meglio a controllare la sua traiettoria, piuttosto che a trastullarsi coi suoi sogni di gloria: troppo presa a vedersi vittoriosa, non fece caso al fatto che fosse ormai arrivata sui tronchi di legno sotto l'oikarion di Genew e rovinò con un sonoro rumore non appena toccò la base.

«Ma com'è possibile che tu che sei adulta non riesci a fare una cosa così semplice!» esclamò Hermit.
"Non serve che me lo ricordi anche tu, bambino!" pensava la giovane, mentre si alzava un po' ammaccata da terra evitando di incrociare gli occhi di qualcuno dei presenti.

Da sopra avevano iniziato a provenire alcune risate, le prime da quando i neoteroi se n'erano andati dal loro boschetto: a una scena simile in realtà si sarebbe faticato a rimanere seri.

Iniziarono a calarsi giù anche gli altri, ma con molta più prudenza rispetto a Em. Scivolò qualche piede o qualche mano durante il tragitto ma, alla fine, riuscirono ad arrivare. Vedendosi ancora tutti vivi, si tranquillizzarono, sentendosi anzi estremamente realizzati per essere stati in grado di compiere quell'impresa così ardua ai loro occhi.

«Siete proprio irrecuperabili!»
«E come pensate di fare tutto il resto se non sapete neanche muovervi decentemente sugli alberi?»
Hermit e Sofia li guardavano scuotendo la testa, spazzando via tutte le illusioni che si erano già creati i neoteroi.

«Ragazzi, non ditemi che da quando siete usciti dall'oikarion state importunando i neoteroi...» Un'altra voce era sopraggiunta. Dall'oikarion era sceso con un cesto un altro ragazzino, un po' più grande di Hermit e Sofia, ma che condivideva con loro diverse caratteristiche, la più evidente delle quali era sicuramente il colore degli occhi. L'ennesimo fratello.

«Eheh, saresti dovuto arrivare prima» fece Sofia, non appena il nuovo arrivato appoggiò i piedi sulla piattaforma.
«Cercare di svegliare Rose non è un'impresa semplice e lo sapete anche voi» mugugnò l'altro. «Oh, è sempre colpa sua se siamo in ritardo!» sbuffò, accorgendosi in quel momento dei sei sconosciuti. Si ricompose in un attimo e si avvicinò a loro, un po' titubante: «Scusateci, neoteroi, e scusate i miei fratelli: sono un po'... esuberanti. Comunque se avete fame vi abbiamo preparato della frutta per colazione» concluse, con la stessa disponibilità che i giovani Melitos avevano riscontrato anche nel padre.

Senza aspettare un cenno dagli altri, Bellatrix prese dalle mani del ragazzino la cesta, notando i sei coloratissimi frutti che la riempivano. Gli sorrise: «Non scusarti, anzi, siamo noi a dovervi ringraziare». Aveva rimuginato tutta notte sulla loro condizione, arrivando alla conclusione che, se anche quel clan avesse avuto cattive intenzioni nei loro confronti, loro non avrebbero potuto farci niente. La sua coscienza pragmatica e organizzativa la stava dilaniando per aver lasciato la questione così in sospeso, ma cercava di non farci caso, provando invece ad aprirsi maggiormente alle persone di Tou Gheneiou.

Il suo atteggiamento doveva aver messo a proprio agio il ragazzino, che ricambiò il sorriso e un po' timidamente asserì: «Io sono Iulius, il quartogenito di Genew».
«Noi siamo...»

«Kairos, toglimi le mani di dosso! Dai, ho ancora sonno!» Un lamento proveniente da sopra bloccò sul nascere la presentazione di Bellatrix. I neoteroi alzarono di scatto la testa, già in procinto di chiedersi cosa stesse accadendo ora, ma il commento annoiato di Iulius li tranquillizzò.
«Ci risiamo...» borbottò, come se fosse una prassi quotidiana.

Dalla scala di corda scese velocissimo un giovane tutto sorridente, che si era caricato su una spalla una ragazzina che con poca energia cercava di dimenarsi. Dopo poco fu seguito anche da una donna, che con molta attenzione incastrava i piedi tra i pioli della scala.
«Spiegatemi come può essere così ogni singola volta» mormorò tra sé quest'ultima, mentre il giovane le porgeva la mano libera per aiutarla a giungere sulla piattaforma: a differenza degli altri, si vedeva che arrancava su quelle costruzioni, ma forse era un elemento dovuto all'età, non più fiorita, suggerita dai capelli quasi del tutto grigi e dalle rughe, non numerosissime ma pur sempre presenti. «Grazie, Kairos».

«Figurati, mamma» rispose il figlio con un certo vigore, mentre depositava a terra la ragazzina. Gli occhi poi, come se non aspettassero altro, scattarono sui giovani di Tou Melitos: «Buongiorno, neoteroi! Vedo che i miei fratelli vi hanno già offerto la colazione. Benissimo! Voi mangiate pure: intanto noi possiamo presentarci, anche se alcuni di noi già li conoscete... Io sono Kairos e, in ordine di età, ci sono Rose, Iulius, Hermit e Sofia; siamo i figli di Genew. Lei invece è nostra madre, Anita».

Mentre assaporava il frutto succoso che aveva preso dalla cesta, Mijime osservava con attenzione i figli di Genew, associando i nomi ai loro possessori: Kairos, dal fisico ben piantato e impostato che si scontrava con i lineamenti gentili del viso; la presenza di una barba abbastanza folta scombussolava ancor di più il quadro del ragazzo, tanto che il neoteros avrebbe faticato a dargli un'età. A seguire Rose, l'unica dei fratelli ad aver ereditato dalla madre i lunghi capelli lisci; doveva avere quell'età in cui non si è più una bambina ma neanche una donna, presentando ancora forme del corpo infantili ma anche alcuni elementi già in evoluzione. C'era poi Iulius, la cui pelle presentava una tonalità appena più chiara degli altri; sembrava il più tranquillo, pur essendo ancora un bambino a tutti gli effetti. E infine Hermit e Sofia: Mijime li conosceva abbastanza bene.

Sul fatto che fossero tutti fratelli non aveva avuto dubbi fin dall'inizio; era invece la parentela con la donna che non avrebbe immaginato: a parte gli occhi cerulei che aveva trasmesso a tutti i figli, erano davvero pochi gli elementi che l'avvicinavano a loro. Ma forse la sua visione era influenzata soprattutto dal carattere, energico e solare quello dei ragazzi - anche Rose, pur essendo ancora mezza addormentata, pareva nascondere un temperamento focoso - , schivo quello della donna, che se ne stava in disparte a osservare i neoteroi, pur sorridendo in maniera cortese. Era indubbio però che questa donna e il mistero che aleggiava intorno a lei attraesse Mijime. Voleva parlarle.

Senza dare il tempo ai giovani di presentarsi a loro volta, Kairos continuò: «Voi dovete essere Bellatrix, Em, Mijime, Morag, Germanico e Spiro» elencò, per poi osservarli di nuovo, un po' confuso. «Chi è chi, però?»

A sentir pronunciati i loro nomi, i cuori dei neoteroi sobbalzarono e a Em quasi andò di traverso il pezzo che aveva appena morso dal suo frutto: in tutto il tempo che erano rimasti lì mai li avevano rivelati. Come faceva quel ragazzo a saperli? Neanche Genew glieli aveva chiesti il giorno prima... C'era qualcosa che mancava alla loro visione d'insieme, forse qualcosa che non avrebbero mai appreso.
Non tutti però ci avevano fatto caso: Spiro rispose immediatamente alla domanda del giovane, togliendo dall'imbarazzo gli altri cinque.

I figli di Genew non parvero però accorgersene - o finsero di non aver notato nulla? - e il maggiore continuò: «Nostro padre ci ha incaricati di mostrarvi una parte del villaggio e alcune delle mansioni che eseguiamo qui, così avrete anche la possibilità di esercitarvi sulle liane. Voi sapete già con chi andare e cosa fare, non serve che lo ripeta, vero?» concluse, alzando un sopracciglio verso i fratelli.
«Non mi ricordo» sbadigliò Rose, stropicciandosi un occhio.
«Ci mancherebbe altro» sbuffò il fratello, cercando di non lasciarsi scappare una risata davanti alla figura ciondolante della ragazzina. «Devi andare con Spiro a prendere l'acqua» scandì, sperando che così il messaggio potesse arrivarle.
«E chi è Spir-».

La giovane non fece in tempo a completare la frase, che Hermit e Sofia le gettarono addosso un vaso d'acqua, che avevano trasportato dall'oikarion in tutta velocità, senza farsi beccare da nessuno.

«Nooo! Adesso sono sveglia!» strillò Rose, pestando un piede, mentre dagli altri fratelli iniziava a scaturire una sonora risata e anche Anita aveva iniziato a guardare la scena divertita, scuotendo la testa. I neoteroi furono presto contagiati a loro volta e altrettanto in fretta scordarono l'inquietudine di pochi istanti prima.

Fu Anita, con un leggero colpo di tosse, a richiamare l'attenzione, sebbene tutti continuassero a ridacchiare per conto loro, avendo ancora ben nitida nella mente l'immagine di Rose con i capelli incollati su tutto il corpo e la tunica grondante di acqua. Kairos, tra una risata e un'occhiata complice lanciatasi con i due più piccoli, alla fine riuscì a terminare il discorso: «E ricordate, in particolare voi due, Sofia e Hermit: non lasciateli indietro e aspettateli».

Detto questo, il giovane si avvicinò a Germanico, tirandogli una pacca sulla schiena che lo spronò a rivolgersi verso un gruppetto di liane.
«Tu sarai con me. Intanto tieni queste e legatele alle mani e ai piedi» disse, offrendo al giovane quattro pezzi di tessuto. Durante il passaggio Germanico percepì la pelle callosa delle sue mani, così coriacea che persino una pietra avrebbe faticato a danneggiare; a paragone quelle del tedesco, che non aveva mai eseguito lavori di fatica in vita sua, sembravano di velluto. «Se non vorrai ritrovarteli cosparsi di vesciche e ferite ti conviene usarle. Voi neoteroi avete la pelle un po' troppo morbida».

Aspettando che questi si avvolgesse la stoffa nei punti indicati, continuò a parlare: «Ti aspetta uno dei compiti più interessanti! Mio padre ha deciso di riservarlo solo a te, per ora».
«E di cosa si tratta?»
«La mia specialità: la caccia!»

Per poco Germanico non ebbe un colpo al cuore e per un attimo perse la percezione del suo corpo, sbilanciandosi su Kairos.
«Non preoccuparti» rise il ragazzo, ignaro della motivazione del neoteros. «Per ora dovrai solo imparare a usare la lancia; poi, se e quando mio padre ti nominerà Cacciatore, andremo anche a caccia insieme. Ma sono abbastanza sicuro lo farà. Devo però portare a termine i miei compiti, quindi ti porterò a caccia con me: imparerai sicuramente anche guardando e durante i tempi morti ti insegnerò l'impugnatura, come lanciare e alcune tecniche».

"Ma io non voglio imparare! Non voglio vedere che degli animali vengano brutalmente uccisi, iniziare a usare delle armi e, tantomeno, cacciare! Tutto ciò è sbagliato". Come poteva però spiegare questo concetto a Kairos, che probabilmente non si era mai posto questo quesito e si era nutrito di carne da quando era nato? E come poteva impuntarsi a non voler fare qualcosa che gli veniva richiesto, dopo essere stato così caldamente accolto?

Il giovane cambiò discorso, lasciando il problema irrisolto: tanto sapeva che non sarebbe riuscito a sciogliere quella questione.
«E gli altri? Cosa devono fare?»
«Uhm...» mugugnò Kairos, mentre afferrava due liane, porgendone una a Germanico, e iniziava lentamente a calarsi. «Sofia e Bellatrix sono andate a tagliare delle liane, che saranno portate poi ai costruttori e sostituiranno quelle vecchie negli oikaria. Poi, Iulius porterà Morag a raccogliere della frutta e lo stesso farà Hermit con Em. Quella scansafatiche di Rose invece aveva il compito di andare a prendere l'acqua, ma c'è la possibilità che se ne sia già dimenticata». Parlando della sorella, si sbrigò subito a giustificarla: «Non è stupida, anzi, ma è così pigra... Spero che il tuo amico sappia metterla un po' in riga».
«Mi spiace deluderti, ma non ho mai conosciuto nessuno più svogliato di Spiro».

Il giovane allargò il sorriso, tanto da rendere gli occhi due fessure, così da produrre una smorfia di finta disperazione. Reggendosi alla liana con le sole gambe, alzò poi le mani al cielo proclamando con voce solenne: «Grande Kreiton, per favore, fa' che non si perdano nella foresta».

I due giovani tornarono a ridere, mentre riprendevano a calarsi sulle liane. Quel ragazzo così solare non poteva che ispirare simpatia; Germanico si sentiva a suo agio con lui, pur essendo così diversi, e dimenticò in fretta il problema della caccia.
«E Mijime?» chiese poi il tedesco in merito al compagno di clan che non era stato ancora menzionato. «Con chi è andato?»
«Siccome aveva già sperimentato le liane ed era giusto che faceste un po' di pratica anche voi, è rimasto con mia madre nel nostro oikarion».
«Tua madre, che è una maga, giusto?»
«Esat-».

«Buongiorno, Kairos!» Era stato un uomo di mezza età, che stava salendo su una liana incrociando la strada dei giovani, a salutare il ragazzo.
«Oh, buongiorno a te, Damian» ricambiò con un sorriso Kairos. «Come stai?»
«Tutto bene, figliolo. Vedo molto bene anche te, ma sarebbe strano il contrario, alla tua età» ridacchiò anche l'altro, in quel clima gioviale, per poi incupirsi immediatamente accorgendosi per la prima volta di Germanico. «E mi sapresti dire... insomma, quel giovane...»
«Lui è Germanico, è uno dei neoteroi» continuò il ragazzo senza preoccuparsi dell'improvviso cambiamento dell'uomo. «È giunto a Tou Gheneiou ieri sera insieme ai suoi compagni. Non lo sapevi?»
«No, questa mi mancava... Be', stammi bene, ragazzo».

Così dicendo tornò sulla sua via, lasciando un sapore amaro nella bocca di Germanico: quando Kairos aveva pronunciato la parola "neoteroi", si era sentito squadrato da cima a fondo come se addosso avesse qualcosa di diverso, quasi imbarazzante, o come se fosse un nemico. Perché quell'uomo lo aveva guardato così?

«Damian il pescatore» iniziò a spiegare Kairos, distogliendo il tedesco da quei pensieri. «Sarà passato dall'Oikìa a scaricare il pesce pescato stamattina... Vedi, non so come funzioni nell'Exo, però qui quelli che forniscono il cibo sono appunto i Cacciatori e i pescatori - e talvolta gli Avventurieri, ma loro sono un caso a parte. Una volta che hanno raggruppato tutte le prede le portano all'Oikìa e poi lì vengono divise in base all'esigenza di ogni famiglia del clan. La raccolta della frutta invece è un compito che viene assegnato ai bambini e ogni famiglia provvede per sé».

«Aspetta, aspetta» lo interruppe Germanico, interessato al discorso del giovane, che voleva sentire appunto più approfonditamente. «Parla di questa organizzazione».

«Va bene» ridacchiò per poi restare in silenzio qualche istante, come a radunare e ordinare tutti i pensieri che gli frullavano in testa. «Tutti abbiamo il dovere di aiutare, come avrai capito, e i bambini più o meno dai sei anni, quando iniziano a viaggiare bene e in modo sicuro sulle liane, iniziano a svolgere qualche mansione, seppur semplice. Oltre a questo impariamo tutti a maneggiare alcune armi, almeno per difenderci nel caso dovessimo scendere per qualche motivo sotto la zona degli oikaria; dopodiché a sedici anni diventiamo adulti e dobbiamo scegliere la strada della nostra vita: possiamo decidere se condurre un'esistenza tranquilla, specializzandoci in alcune attività, come la costruzione degli oikaria, la lavorazione della terracotta o delle pelli di animale, la tessitura, la pesca o altre ancora, oppure intraprendere il Percorso dell'Onore. Si inizia diventando Cacciatore, come me che sono stato nominato da mio padre l'anno scorso poco dopo aver compiuto sedici anni. Se poi riesci a dimostrarti abbastanza forte e coraggioso passi alla categoria successiva, quella degli Avventurieri, che hanno il compito di uscire dalle mangrovie per trovare le materie prime che non possiamo reperire nella foresta - per questo dicevo che talvolta anche loro ci procurano del cibo, quello che non troviamo qui. Poi si passa alle Sentinelle, che proteggono tutto il perimetro del clan da eventuali pericoli, e infine ai Guerrieri, che però, dopo la morte di mia nonna, la precedente Genew, sono calati drasticamente: in tutto il clan ce ne saranno una trentina, compresi anche...» Solo allora, dopo il lungo monologo, Kairos si bloccò, quasi avesse detto qualcosa di troppo.

«Vabbè, lascia perdere». Troncò in fretta il discorso, sorridendo di nuovo a Germanico. «Tu comunque mi sembri il tipo adatto per intraprendere il Percorso!»
«Oh, io non credo».
«Questo lo stabilirò io, non appena vedrò come te la cavi con le armi. E sarà molto presto: siamo praticamente arrivati. Te la cavi abbastanza bene sulle liane, sai?»

Scesero ancora di qualche metro, per poi scoprire, dietro a una fitta chiazza di foglie, l'ennesima costruzione tipica di Tou Gheneiou, pur essendo drasticamente più grande: di altezza era di poco superiore agli oikaria normali, ma la sua superficie era il quadruplo o il quintuplo, risultando così un cono schiacciato, da cui fuoriusciva una salda scala di legno.

«Questa è l'Oikìa, l'oikarion più grande che sia mai stato costruito» spiegò Kairos, indicando la grande capanna una volta che i due furono approdati su un ramo vuoto. «Pensa che se si volesse potrebbero entrarci anche quaranta persone! Ed è anche il più antico: venne costruito da Genew il Primo e inizialmente era il rifugio del clan intero; fu chiamato in questo modo perché alcune fate che passavano di lì lo definirono proprio così. Con il passare del tempo e l'allargarsi del clan, ne vennero costruiti altri, più piccoli, che ospitassero le famiglie di Tou Gheneiou e presto l'Oikìa divenne il luogo di assemblea tra Genew e gli Anziani del clan. L'ingresso è negato a chiunque altro: trasgredire a questa regola è uno dei pochi modi per essere severamente puniti».

Germanico ammirava l'imponenza di quella costruzione, che diventava più interessante a ogni parola che il ragazzo aggiungeva al suo racconto, lanciandogli talvolta un'occhiata: i suoi occhi scintillavano a spiegare le peculiarità del suo popolo, di cui era sicuramente fiero.

Kairos riprese poi la liana e si incanalò in quello che poteva essere definito un traffico di viaggiatori sulle liane, tante erano le persone che andavano e venivano da e verso l'Oikìa. Germanico era impressionato: chi mai si sarebbe aspettato una civiltà tanto vivace? Il tedesco si affrettò dietro Kairos, che veniva bloccato da quasi tutti coloro che incontrava anche solo per l'augurio del buongiorno.

Tra un saluto e uno scambio di parole, arrivarono sulla piattaforma sottostante al grande oikarion, ancor più gremita di persone, dove il neoteros continuò a osservare il via vai di persone: c'era chi portava delle materie prime, chi le prendeva, chi ancora trasportava fin lì prodotti finiti, chi doveva solo comunicare delle informazioni. Il tutto coordinato da un'organizzazione inaspettata.

«Mezzogiorno...» Kairos roteò gli occhi. «Il momento in cui sotto l'Oikìa c'è il delirio: chi ha catturato degli animali li porta qui così possono essere divisi per il pranzo e la cena, chi ha terminato i propri lavori porta qui i risultati, chi deve rifornirsi di altre materie viene qui a prenderle e così via. Se solo Rose si fosse svegliata prima...»

Cercando di farsi strada tra la calca, Germanico notò come l'attenzione del ragazzo si fosse a un tratto spostata su una giovane che stava tenendo in mano una vistosa pila di vasi e le cui guance ambrate si erano colorate di una tinta un poco più scura, non appena si fu accorta del figlio di Genew. Questi sorrise e passarono oltre, arrivando finalmente sul bordo della piattaforma attaccato al grande albero da cui era sorretto.

Appeso a questo v'erano diverse lance di dimensioni differenti con un'acuminata punta di pietra, cui Kairos fece un cenno con il capo: «Ecco qua, scegline una che non fai fatica a sollevare».

Germanico obbedì senza ribattere ma appena prese in mano uno dei bastoni si sentì di nuovo crollare, al solo pensiero dello strumento di morte che aveva sollevato. Sarebbe stato imbrattato di... sangue.
"Devo trattenermi!" si impose, come faceva sempre ogni volta che non riusciva a controllare la paura che sempre incombeva sul suo capo.

«Bene, possiamo andare adesso» asserì Kairos, vedendo che il neoteros sembrava aver scelto la sua arma. Ne prese una anche lui. «Le bestie che cacciamo si trovano un po' più sotto rispetto all'Oikìa, quindi scenderemo di circa una ventina di rami».

Si era già aggrappato all'ennesima liana, quando Germanico, non resistendo più ancora a lungo, espose il problema che lo affliggeva: «Ma... dobbiamo farlo per forza? Uccidere degli animali, intendo».
«Nell'Exo non cacciate?» Kairos si era bloccato sulla liana e aveva iniziato a osservare il neoteros un po' disorientato.

«Be', no. Cioè sì. È... complicato». Germanico non sapeva da dove partire a spiegare che nell'Exo la caccia, da fonte di sostentamento qual era stata un tempo, era diventata un'attività non essenziale, per alcuni solo un passatempo. E da lì avrebbe dovuto iniziare un lungo discorso su come si fa allora a procurarsi il cibo ed era certo che da lì si sarebbe dovuto ricollegare a qualcos'altro e poi a qualcos'altro ancora.

«Dalla tua faccia sembra davvero complicato» sorrise Kairos, notando l'ansia che aveva colorato il volto di Germanico. «L'Exo deve essere pieno di segreti. Mi racconterai mai qualcosa?»
«Va... bene» disse il tedesco, un po' incerto. «Però sappi che...»
«Sarà complicato, ho capito» completò il ragazzo, già elettrizzato a quella prospettiva. «Non vedo l'ora! Tornando a prima, ti dispiace uccidere gli animali?»
«Sì... Uccidere in generale è sbagliato» mormorò, ripetendo la frase che più spesso gli era stata sentita dire.

Kairos rifletté qualche istante, rabbuiandosi appena, per poi ribattere: «Noi non lo facciamo per il gusto di uccidere; abbiamo bisogno di nutrirci per cui prendiamo dalla natura quello di cui abbiamo bisogno: le sottraiamo solo quello che ci serve per sostenerci, mai più del dovuto, e questo vale sia per i suoi frutti che i suoi figli. Questo ti tranquillizza?»

Germanico aveva notato come quel popolo fosse in completa simbiosi con la natura sia dalle spiegazioni che gli aveva fornito il ragazzo che da ciò che aveva osservato con i suoi occhi: le loro abitazioni erano quasi delle appendici artificiali degli alberi, che si vedeva come fossero rispettati e amati, il cibo che avevano loro offerto li aveva saziati, ma non era mai stato troppo, e persino i lavori che eseguivano non danneggiavano in nessun modo la loro casa. Le parole di Kairos non facevano che confermarlo.

Eppure in lui una voce continuava a ripetergli come tutto questo, pur nel più totale riguardo della natura, fosse sbagliato. Non poteva però continuare a lamentarsi davanti al giovane, così si limitò ad annuire, facendo tornare il sorriso sul volto di Kairos.
«Allora andiamo!» esclamò, già pronto a scendere ancora.

Proprio allora un gruppo di individui atterrò alla massima velocità sulla piattaforma dell'Oikìa. I lavoratori sopra di essa interruppero tutti le loro attività, per volgere l'attenzione ai nuovi arrivati; il silenzio era calato, alla loro comparsa.

Germanico non poté fare a meno che osservarli a sua volta e quasi rabbrividì: giovani uomini e donne coperti dalle tuniche di tessuto grezzo che aveva visto indosso ormai a tutti coloro che aveva incontrato, sporche, come anche i loro capelli, e quasi lacere. Ciò che però lo inquietò di più, oltre alle numerose armi che portavano addosso, furono i loro occhi, stremati e insoddisfatti. Una persona con uno sguardo del genere era capace di piantare una lama nel costato di qualcuno senza crearsi problemi, ne era certo.

Il volto di Kairos invece si illuminò.
«Sono tornati!» esclamò, correndo incontro ai guerrieri, quasi dimentico del compagno, che, non sapendo in che altro modo comportarsi, lo seguì.

«Sorella! Sorella!» chiamò Kairos e una giovane tra quelli alzò appena la testa, mostrando gli ennesimi occhi cristallini. Germanico non poté non notare la particolare bellezza del suo viso contornato da splendidi capelli mori che portava lisci sulle larghe e possenti spalle bronzee: elementi delicati e altri particolarmente mascolini si incontravano in lei senza cozzare, ma creando una combinazione armoniosa difficile da immaginare.

Kairos si avvicinò a lei, quasi saltellando per l'esaltazione, per poi calmarsi immediatamente una volta giunto al suo cospetto. Prese le mani di lei tra le sue e le portò alla fronte, rimanendo in quella posizione per qualche istante. «Bentornata» disse infine, rialzandosi e sorridendole calorosamente. «Come stai?»

«Devo parlare con nostro padre» scandì l'altra, bruscamente, ignorando il fratello. «Dov'è?»
Sul volto di Kairos si dipinse una leggera delusione, ma non esitò a rispondere: «All'Oikìa, è uscito questa-».
«Bene».

Scostò il giovane di lato e procedette a grandi passi verso l'imponente scala dell'Oikìa. Kairos però non sembrava essersi dato per vinto e la chiamò di nuovo: «Genew». La sua voce era tremolante, come se fosse incerto di ciò che stesse per dire, ma la guerriera lo sentì alla perfezione e, con una smorfia annoiata, si voltò di nuovo verso di lui, che, prendendo coraggio, riprese la frase: «Genew, sorella mia, non è che per caso ci sono... novità?»

La bocca di quella si piegò in un ghigno di scherno, mentre squadrava il fratello speranzoso di una risposta positiva.
«Ti pare?» disse lei, per poi voltarsi definitivamente e salire i gradini della scala.

Gli altri guerrieri si sciolsero dal gruppo e andarono ognuno per la propria strada, senza mancare di lanciare occhiate a Germanico, subito imitati da molti dei presenti sulla piattaforma, che prima avevano quasi ignorato il neoteros. Il tedesco si guardava intorno, alla ricerca di una via di fuga inesistente, andando a imbattersi solo in altri sguardi inquisitori, che non facevano che aggiungergli ansia.

Kairos circondò le spalle di Germanico con un braccio e lo portò via: una volta sulle liane il tedesco riprese a respirare normalmente. Non era chiaro se il ragazzo avesse inteso la situazione spiacevole in cui si era trovato il neoteros, ma questi non poteva che essergli grato.

Stava per dire qualcosa ma Kairos lo precedette, con un sospiro rassegnato: «Mia sorella maggiore, Genew. Un giorno prenderà il posto di nostro padre. Per ora invece è il capogruppo della...» si bloccò ancora, ma non resisté come durante l'altro discorso. «Oh, non dovrei dirtelo... Della Squadra di Ricerca, che si occupa della ricerca del tesoro».
«Non doveva essere andata tanto bene» rifletté Germanico, ricordandosi dello sguardo agghiacciante della guerriera.
Kairos guardò il giovane, tetro, la sua allegria improvvisamente dissolta: «Non è mai andata bene».

~

Helo!
E anche con il capitolo 7 ci siamo! Vi anticipiamo che le parti a seguire saranno un po' lente e non lasceremo granché spazio ai nostri protagonisti (abbiamo tantissime spiegazioni da fare, ma non possiamo raggrupparle in un unico capitolo come avevamo fatto nella vecchia versione, e non possiamo neanche aggiungere a tutto questo anche lunghi e articolati pensieri dei nostri cari neoteroi) ma cercheremo di renderle ugualmente piacevoli. Detto questo, benvenuti a Tou Gheneiou! Diteci, diteci, come vi sembra, tra i suoi abitanti e la sua organizzazione? Impareremo a conoscere meglio tutti quanti, ma intanto vogliamo sapere che prima impressione vi hanno dato, in particolare la famiglia di Genew. Quale tra questi nuovi personaggi vi intriga di più e vorreste conoscere meglio? Commentate pure, intanto noi scappiamo a scrivere il prossimo capitolo!
Ciaoneee
~ 🐼🐢

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