36
La scalata del Vulcano avrebbe dovuto essere la parte più difficile del viaggio: un cammino scosceso per il primo tratto, reso ancor più arduo dal terreno formato da sabbia friabile e al contempo cosparso di pietre affilate. Proseguiva poi con l'inerpicata vera e propria, che iniziava qualche decina di metri sotto il cratere, a mani nude, senza alcun supporto o sicurezza.
Eppure Bellatrix e Mijime avrebbero convenuto che l'ultimo tratto del loro lungo ed estenuante viaggio era stato il più semplice. Nonostante la fatica che non li aveva abbandonati un solo istante, quella scalata catartica, per quanto irta di difficoltà, non portava in sé alcun tratto negativo. Avevano toccato il fondo di un dolore sia fisico che spirituale e qualsiasi cosa fosse capitata sarebbe stata già un miglioramento.
L'alba lunare iniziava a schiarire il cielo notturno, quando Bellatrix si diede un'ultima spinta, finalmente approdando nel porto sicuro tanto cercato. Appoggiò entrambe le ginocchia, cercando di trovare una posizione abbastanza comoda sul sottile bordo del cratere, e ammirò l'enorme bocca che scendeva a precipizio, restringendosi in una cavità troppo profonda perché l'occhio potesse indagarla.
Imponente, maestoso, e lei così piccola, indifesa. Bastava poco perché quella natura sublime potesse travolgerla, uscendo dal suo stato di precario equilibrio. E se la lava avesse iniziato a salire proprio allora? E se invece fosse stata lei a cadere? Rabbrividì al solo pensiero e si accucciò, impietrita, cercando con gli occhi Mijime, appena giunto al suo fianco. La sua espressione sicura, seppur meravigliata alla vista di una bellezza tanto emozionante, la sottrasse dal suo stato di paralisi.
«Ce l'abbiamo fatta» mormorò, non credendo davvero alle sue parole: dopo mille peripezie protrattesi per quasi un mese, erano giunti alla loro meta.
Mijime ridacchiò per la sua reazione così spontanea e la guardò con una smorfia beffarda. «Ce l'abbiamo quasi fatta».
Bellatrix lo squadrò. «Non puoi lasciarmi almeno una soddisfazione?» scandì, fingendosi arrabbiata: neanche un minimo fastidio avrebbe ormai potuto infettare il suo animo, che esplodeva di gioia e sollievo.
Mijime continuò a sghignazzare, mentre senza perdere altro tempo le porgeva uno dei loro coltelli e impugnava il proprio, appoggiando la lama sulla mano opposta, pronto a eseguire l'ultimo loro dovere per ottenere i poteri. La giovane lo imitò, sfiorando con un tremito il suo palmo, e, chiusi gli occhi, immerse la lama fredda nella morbida carne. Un liquido dall'odore metallico le stimolò le narici e poté dischiudere le palpebre: aveva compiuto quello che doveva. Non le restava che aspettare che accadesse qualcosa.
Il sangue scorreva veloce dalla ferita, andando a vivacizzare con la sua scia carminia la roccia scura, reso ancor più rapido dallo stato di agitazione in cui verteva l'animo della giovane, impaziente dell'arrivo dell'imminente futuro. Ma nulla sembrava mutare.
La ferita continuava a sanguinare abbondantemente, quando Mijime le prese il polso. «Non possiamo pensare di perdere tutto il nostro sangue per invocare lo spirito di questa montagna» fece, scettico, mentre iniziava già a tamponarle il taglio, prima ancora di preoccuparsi del suo.
Una scossa vigorosa spinse violentemente Bellatrix tra le braccia di Mijime.
Non fece in tempo a comprendere cosa fosse successo, a spaventarsi, a provare qualcosa, che la terra tutta tremò, per una seconda volta, ancor più potente, accompagnata da un roboante boato.
Bellatrix cercò istintivamente rifugio nel corpo dell'amico, nascondendo la testa nel suo petto e aggrappandosi a lui come stava facendo con la propria vita, non osando spostare lo sguardo sul cratere o sulla pendenza del versante da cui erano saliti: le bastavano quelle scosse così intense e la consapevolezza di essere sulla bocca di un vulcano per capire che poteva sopraggiungere una catastrofe da un momento all'altro.
La roccia sotto di loro continuava a scuotersi violenta e dinanzi a quella formidabile natura ogni certezza veniva meno: la sicurezza di Mijime, di cui percepiva il battito come impazzito, tremava allo stesso ritmo imposto dalla terra, il destino rideva, essendo riuscito a illuderli ancora.
Eppure il preambolo del cataclisma si protraeva, non finendo mai. Com'era possibile? Come poteva la terra persistere solo in quel terrorizzante moto violento e irregolare, senza che il Vulcano eruttasse? Con la poca lucidità che aveva conservato, Bellatrix non riusciva a spiegarselo.
Ancora titubante, spostò un occhio dal petto del compagno e sbirciò oltre: non era cambiato nulla. La lava non era risalita dal condotto magmatico e la terra si limitava solo a scuotersi, ma non tanto da sospingerli a cadere lungo il versante. "Be', è stato tutto uno scherzo della natura?" Si sentì di nuovo leggera, benché i tremori, ogni volta che si ripresentavano, non smettessero di farla irrigidire all'improvviso e mozzarle il respiro.
Non valeva lo stesso per Mijime, che l'aveva intrappolata nella vigorosa morsa delle sue braccia e non sembrava avere alcuna intenzione di lasciarla andare. La giovane si intenerì, vedendolo in quello stato, intento a trovare un appiglio sicuro in lei e a proteggerla con i suoi vani e disperati sforzi: fino a pochi istanti prima, anche lei era stata colta da un tale terrore, anche lei aveva provato una tanto umana debolezza.
Non riuscendo a muoversi quel poco da poterlo guardare in faccia per sorridergli, spostò una mano sul petto del giovane, sperando che il suo tocco dolce riuscisse a tranquillizzarlo un poco.
«Mijime» sussurrò con premura, mentre i suoi occhi continuavano a fissare il centro del cratere, da cui era ormai certa che non sarebbe fuoriuscito alcun materiale incandescente. «Non-». Ma proprio allora un bagliore rossastro illuminò il cuore del Vulcano, facendosi più acuto mentre risaliva la roccia, fino ad abbagliare le iridi di Bellatrix, quando se lo ritrovò dinanzi. Il suo capo si reclinò verso il basso, non potendo sopportare una tale potenza.
Una risata giunse alle sue orecchie, e, subito dopo, una serie di parole incomprensibili: «Tò chrónos metamorphoī, oi thnētoi dè... pote*».
Una voce? Dalle parole incomprensibili e un timbro strano, indescrivibile, ma pur sempre una voce. Mijime sollevò istintivamente la testa, attratto dal suono che era giunto alle sue orecchie mentre si era sentito perduto ancora una volta. Ma non vide nulla: i suoi occhi rimasero folgorati dalla luce che aveva avvolto l'intera cima del Vulcano e non furono in grado di rimanere aperti.
«Ekàstote oùto...*²» continuò la voce, proseguendo con le sue risatine. La terra cessò ogni suo movimento. Mijime, con il capo chino, aspettava un'altra scossa, ma questa non arrivava più: passarono istanti, forse anche minuti, ma sembrava essere davvero tutto finito. Senza essere pienamente sicuro, iniziò a staccarsi da Bellatrix, notando come l'avesse praticamente schiacciata poco prima. Si precipitò a controllare che stesse bene: aveva gravato con tutto il suo peso su di lei, poteva averle fatto male! Come aveva potuto permettere alla paura di togliergli tanta razionalità da non rendersi conto delle proprie azioni!
Quella si scosse un po', intorpidita dalla posizione tenuta tanto a lungo ma non dolorante. Mijime sospirò, alleggerito, ravvisando intanto che dal suo fianco non proveniva più una luce tanto splendente. Spostò lo sguardo da Bellatrix e per la seconda volta rimase abbagliato, da un paio d'occhi in cui era stata condensata tutta l'intensità del lampo precedente, ma senza che gli compromettesse la vista. Appartenevano a un bel giovane dall'incarnato scuro e corti capelli dorati, ordinati in una fittissima trama di ricci, avvolto da un'aura del medesimo colore.
Ammutolito e con il fiato sospeso, come se il suo solo respiro potesse infastidire quella creatura, Mijime non riusciva a distogliere l'attenzione da quel prodigio, pur tenendo la testa appena abbassata, in segno di naturale riverenza.
«Egõ eimi Rob-*³» iniziò quello, nella lingua dell'isola, ma interrompendosi subito con una sonora risata. «E me lo dimentico sempre che non ci capite più se parliamo così! Allora,» continuò, scrutandoli, «se ho sentito bene i vostri discorsi mentre eravate appena giunti, la vostra lingua dovrebbe essere questa, no?»
Ancora impietriti per quella visione, Mijime e Bellatrix annuirono lentamente.
«Oh, bene, perfetto! È così appagante quando ci becco al primo colpo!» esclamò, raggiante, la voce potente, proprio come suggeriva il suo portamento. «Posso proseguire allora, ma aspettate che mi avvicini...»
Sotto di lui comparve una base di pietra su cui appoggiò i piedi, avvolti da preziosi calzari dorati: Mijime era stato così spiazzato dall'apparizione, da non aver notato che avesse continuato a fluttuare a mezz'aria, pur avendo preso le sembianze di un uomo in carne e ossa. Si spostò nella loro direzione, accompagnato dall'apparire delle pietre, che andavano a formare il suo passaggio.
Giunto davanti a loro, una smorfia di dissenso fece intendere che non fosse ancora soddisfatto. «Qualcosa ancora non va...» iniziò, con aria pensosa, mentre Mijime provava a pensare cosa avesse potuto infastidirlo e come fare a rimetterlo quieto. «Ma certo!» si illuminò, infine. «Alzatevi pure, mortali, e soprattutto alzate la testa: non sopporto guardarvi dall'alto in basso. Non riesco a vedere le vostre espressioni così! Se avessi voluto vedervi piegati davanti a me, non avrei nemmeno preso delle sembianze quasi da mortale».
"Questa proprio non me l'aspettavo". Mijime non riusciva a non essere sospettoso verso quel comportamento fin troppo amichevole, ma non lo diede a vedere, ubbidendo soltanto all'esortazione della divinità. Ora che non era più in ginocchio era persino più alto di lui, ma non si lasciò incantare da quell'unico elemento che poteva suggerire una qualche superiorità sull'essere divino.
«Bene, bene» si compiacque, non appena anche Bellatrix si fu alzata. «Ora possiamo passare alle presentazioni, anche se penso mi conosciate già» sogghignò, ammiccando e stringendo le mani su cui i due giovani avevano riportato le ferite, che non avevano mai smesso di perdere sangue e, durante le scosse, avevano imbrattato i vestiti dell'uno e dell'altra.
Al tocco della divinità, Mijime sentì subito propagarsi in tutto il corpo un dolce calore che lo inebriò totalmente per pochi istanti, scaturendo dal taglio dove, al posto della ferita, comparve una vistosa cicatrice.
"Proprio come quella di Anita". Il giovane la sfiorò, riuscendo a percepire ancora dei piccoli residui di calore sprigionarsi da essa, mentre cercava di attribuire un senso a quella caratteristica che non lo avrebbe mai più abbandonato, mentre provava a capire come diamine un segno così semplice potesse renderlo un essere superiore a un comune mortale. "Semplice: non lo farà. Sei solo Mijime".
«Sono Robero». La voce tonante della divinità mise un freno momentaneo ai suoi pensieri. «Il daimon della roccia e lo spirito del Vulcano che da me prende il suo nome, nonché il migliore tra i miei fratelli» concluse, gongolandosi appena. «Voi, invece, siete...»
Che si trattasse di Robero, Mijime lo aveva inteso già da quando era rimasto abbagliato dalla luce sprigionatasi davanti a lui. Ora che però gliel'aveva confermato, la tensione a parlargli era inevitabilmente cresciuta. Con un po' di indecisione, preso un respiro, il giovane si decise a rispondere, fingendo una sicurezza che non aveva: «Mijime e Bellatrix di-».
«Marito e moglie, giusto?» chiese subito Robero, insinuante.
«Eh? No!» esclamò Bellatrix, accorgendosi troppo tardi di aver urlato in faccia alla divinità e piegando subito la testa, per nascondere la tonalità rossa che aveva preso il sopravvento sulla sua carnagione. Ma il daimon non la prese male e, anzi, scoppiò ancora a ridere, sbilanciandosi sulla spalla di Mijime.
"Prima o poi la troverò, una creatura dell'isola non squilibrata..."
«L'ultima volta è stato esattamente uguale!» esclamò, ritrovando l'equilibrio sulle proprie gambe. «Erano arrivati due giovani di... mah! Chissà di che clan erano... Non importa. Fatto sta che, quando ho chiesto se fossero marito e moglie, la donna ha subito iniziato a sbraitare. La cosa buffa è che dopo poco tempo ho chiesto ad alcune fate notizie su costoro e, oltre alla questione dei poteri, venni a sapere che erano diventati davvero marito e moglie». Concluso il racconto, tornò a ridacchiare. «È divertente farvi le stesse domande e mettervi nelle stesse difficoltà, perché, ogni volta, reagite sempre in modo diverso: per questo dico che non cambiate mai».
Mijime si morse la lingua, per non confutare le parole del daimon e fargli notare che la sua ultima affermazione contraddiceva la prima parte del suo discorso, ma questi dovette notare l'espressione appena contrariata sul volto del mortale.
«Infatti» rimarcò, ma senza astio, «non credo proprio lo diventerete a vostra volta, come quei due là. E, anche se fosse, il percorso che seguireste sarebbe totalmente diverso rispetto al loro, rispetto a quello di chiunque altro! Voi mortali siete così... interessanti».
«Seguendo la stessa logica, prima, sei stato tu a provocare le scosse?» chiese Bellatrix, sottintendendo, con il tono un po' tremante, anche la domanda che premeva a Mijime: per quale motivo?
«E chi altri?» sogghignò il dio. «Dopotutto, sono il daimon della roccia. Oh, non abbiatene a male, i miei sono solo esperimenti, che faccio da quando hanno iniziato ad arrivare mortali qua sull'isola. Per questo mi sono separato dai miei fratelli, che vi considerano meno di niente, utili solo per accrescere il loro potere. Solo io ho capito che siete molto di più, non solo perché vi discostate da tutte le altre creature, provando sentimenti forti, che vi rendono migliori di noi, che viviamo in un perenne stato di serenità: può sembrare una cosa positiva, ma la nostra vita, alla fine, è vuota».
Robero prese una pausa, buttando un occhio sull'estesa pianura su cui troneggiava la sua montagna. Ora che non lo stava guardando direttamente, Mijime ne approfittò per scrutarlo meglio: il sorriso pacato sul volto del dio pareva appena distorto, non suggeriva più lo stato di imperturbabilità che avrebbe dovuto caratterizzarlo. C'era qualcosa che non tornava: era possibile che una divinità, felice per definizione, fosse invidiosa di un altro essere?
«Ma ciò che è più magnifico è la vostra mente» riattaccò il daimon, di nuovo senza alcuna alterazione. «Nessuna creatura tende a ciò che non può essere, a innalzarsi in continuazione, a migliorarsi. Una bestia nasce, fa quello che la natura le impone e muore. Le creature magiche da quando esistono compiono il lavoro per cui sono nate e persistono in questa condizione per l'eternità. Nessun essere tende all'infinito, tranne voi mortali. Siete incredibili: così piccoli, così insignificanti, eppure pensate di essere così grandi. Così tanto che andate alla ricerca di un tesoro che in duemila anni non è ancora stato trovato e perseverate nella vostra ricerca. Per questo siete venuti a prendere i poteri, no?»
«Esatto...» mormorò Mijime, assorto: non sarebbe stato in grado di esporre quel concetto con parole migliori. Eppure la lucidità del daimon tradiva una certa sua incoerenza, come se quella struttura che aveva eretto, all'apparenza così solida, fosse in realtà costellata di crepe talmente sottili da essere invisibili.
Ma ancora non fece in tempo a elaborare le sue considerazioni, che Robero riprese a parlare.
«I miei fratelli mi giudicano uno sciocco per quello che penso. La realtà è che, non avendo nessuno superiore a loro su quest'isola, si sentono invincibili e perfetti. Cosa che non è. Ed essere paragonati ai mortali per loro è uno scempio! Per me non è così. Se solo potessi, scambierei volentieri questo corpo immortale, per vivere un giorno solo come voi. Ma questo non è possibile, non sono in grado di avvicinarmi ai mortali, così compio il processo opposto: provo a far sì che i mortali si avvicinino allo stato di divinità - purtroppo solo voi neoteroi, è la condizione che mi hanno imposto i miei fratelli. E chissà che, un giorno, uno di voi non arrivi anche a superarci» concluse, sospirando lieto, come rigenerato da quel discorso, sorridendo poi, ammiccante, ai due che, pur avendolo compreso, continuavano a traboccare di domande.
«Allora, che posso dirvi ancora?» li richiamò. «Buona fortuna per il futuro!»
«Come?» esclamò Mijime, talmente stranito da dimenticare tutti i suoi dubbi precedenti. «È... già finito? Ma non-».
«Non ho fatto niente» completò Robero. «Lo so, non faccio niente di ché: voi mi fate un sacrificio - perdonatemi, ma non riesco a reprimere il mio istinto! - e in cambio sblocco i poteri che sono già insiti dentro di voi. Potenzialmente ora siete maghi, come li chiamate voi».
Ancora incerto, Mijime guardò attentamente il proprio corpo, si concentrò su esso, provò a sentire se fosse cambiato qualcosa. «Non mi sento diverso da prima» disse, quasi tra sé, mentre il presagio portato dal suo nome riprendeva a diffondersi in lui, come il suono di una campana annunciatrice di sventura.
«Be', certo, il resto dovrete farlo voi, grazie a quelle capacità che vi contraddistinguono» fece Robero, picchiettando un dito contro il petto di Mijime. «Io ho solo iniziato questo processo ma non posso fare altro».
«Ma come devo fare?» chiese ancora, non riuscendo a celare una punta di nervosismo.
Robero alzò di nuovo le spalle, con il sorriso di chi non sa rispondere. «Questo cambia da persona a persona: non ho saputo di un solo mortale che abbia ottenuto la magia nello stesso modo di un altro, come è anche vero che i poteri sono tutti diversi, in base a come siete voi. Posso darti solo un suggerimento, per partire: gnõthi seautón, conosci te stesso. E ricorda bene: dovrai farlo totalmente da solo».
Robero sorrise per l'ultima volta, mentre la sua forma tornava a essere indistinta ed evanescente, come l'enigma che gli aveva rivelato. Mijime fu avvolto dalla coltre luminosa scaturita dal daimon e l'istante successivo, quando sbatté di nuovo le palpebre per riprendersi dall'abbagliamento, si ritrovò nell'oscurità della notte, di nuovo alle pendici del Vulcano, proprio dove si erano accampati la sera precedente: era ancora lì il piccolo falò che avevano acceso, come le impronte lasciate sul terreno, in quella landa desolata che ospitava solo i loro corpi, suo e di Bellatrix.
"Già, Bellatrix" sospirò, guardando il profilo della giovane, i cui occhi sembravano ancora più vispi del solito, accesi nella notte alla ricerca di chissà cosa. Mijime non se ne curava, nella sua mente sentiva solo le ultime parole pronunciate dal daimon: conosci te stesso, da solo. Da solo. Senza lei. Senza le risate che si sprigionavano melodiose dalla sua ugola, senza quei gridolini isterici di quando si arrabbiava, senza la sua vitalità così preponderante, senza la spensieratezza propria del suo animo fanciullesco.
Era l'ennesima condanna.
«Più chiaro di così non poteva essere...» mormorò, amaro, richiamando l'attenzione della compagna, che pareva quasi essersi dimenticata di tutto ciò che le stava intorno. «Solo una cosa si è capita. Purtroppo».
Gli angoli della bocca di lei iniziarono lentamente a piegarsi all'ingiù, come sospinti da un peso che gravava su ogni singola parte del suo corpo: lo stesso che tediava Mijime.
«Doverci separare» esplicitò Bellatrix, in un sussurro: evidentemente nemmeno lei voleva accettare che quello fosse l'unico modo per non vanificare il loro viaggio.
Era troppo vederla così afflitta, lo rendeva ancor più turbato che il suo imminente futuro da solo. Si avvicinò a lei, circondando affettuosamente le sue spalle con un braccio.
«Il me del passato mi prenderebbe a sberle, se solo sapesse che sto per sentire la mancanza di quella rognosa, petulante ragazzina fissata con la giustizia» ironizzò, sperando di risollevarle il morale: non sopportava l'idea che il loro ultimo incontro per chissà quanto si concludesse in modo così malinconico.
Ma il comportamento beffardo che di solito l'agitava tanto non scatenò in lei nessuna reazione. Sospirando, il giovane si piazzò davanti a lei, sollevandole il mento quel tanto da guardarla negli occhi; si rasserenò un poco, non vedendoli neanche un po' lucidi.
«Bellatrix» la richiamò, fingendo un sorriso. «Non stiamo per lasciarci per sempre: prima partiamo, prima ci rivedremo, no?»
La giovane finalmente si mosse, sbarrando gli occhi e indietreggiando appena. «Vuoi partire subito?» chiese, esterrefatta, facendo scomparire l'espressione serena di Mijime, già preoccupato di aver rovinato i loro ultimi saluti.
«Il prima possibile. È meglio così» provò a giustificarsi senza addolorarla ancora di più, ma improvvisamente il volto di Bellatrix si illuminò.
«Quindi hai superato la paura di non riuscire a diventare un mago?» chiese, saltellando dalla frenesia.
«In un certo senso sì» mentì Mijime, sorridendole ancora. Evidentemente saperlo così pronto a partire le aveva fatto supporre che non vedesse l'ora di appropriarsi dei suoi poteri, avendo ormai sconfitto il suo grande timore. Se la rendeva felice, che lo credesse. Non sarebbe stato lui a impedirle di conservare una sua immagine migliore di quanto fosse nella realtà.
Con uno scatto imprevedibile, Bellatrix abbracciò il corpo dell'amico. «Sapevo che ce l'avresti fatta» mormorò contro il suo petto, accoccolandovisi.
Una sensazione amara andò a impregnare la bocca del giovane: almeno poteva riconoscere che non aveva perso la sua abilità nel nascondere ciò che provava davvero; se non fosse riuscito a trovare i poteri poteva almeno continuare a fare affidamento su quella.
«E quando avremo trovato i poteri,» diceva intanto lei, gli occhi sognanti puntati ora verso il cielo, «potremo di nuovo-».
«Ehi, quanto corri!» ridacchiò il compagno. «Siamo appena diventati potenzialmente maghi».
«Bisogna pur organizzarsi» tagliò corto l'altra, fomentata da una bizzarra agitazione. «Tu che nuove sensazioni provi?»
Ed ecco spiegato a cos'era dovuta. Qualcosa di nuovo si era risvegliato in lei, qualcosa che le rendeva gli occhi più briosi, il corpo più vitale, la mente più attenta. Qualcosa che aveva deciso di capitare a lei, dimenticandosi di lui.
«Per ora nessuna» si rassegnò a rispondere, senza smettere di sorridere: doveva sembrare positivo, darle l'impressione di essere convinto che presto anche in lui sarebbe scattato quel meccanismo.
«Oh, be', io sento...» si arrestò quasi subito Bellatrix, che non trovava le parole giuste. «Non lo so» si arrese poi, abbassando gli occhi. «È come se il mio corpo avesse bisogno di andare in un posto che non so dove sia. Devo farlo. Più passa il tempo, più percepisco l'urgenza di questo viaggio. Ma... non vorrei lasciarti...»
«Tranquilla, non c'è bisogno che ti alteri in questo modo» sogghignò Mijime, buttando sul ridere i modi sempre più ferventi della giovane. «Sono molto felice per te: devi essere vicina alla meta».
«Aspetta a parlare, ché mi porti sfortuna!»
«Va bene, evito di sottolineare l'evidenza, allora». Ridacchiando ancora, proseguì. «Devi ammettere però che sei avvantaggiata, quindi organizziamoci così: quando io sarò diventato del tutto un mago, verrò a cercarti. Se fossi tu a farlo, potresti trovarmi ancora senza poteri e vanificheremmo tutto: chissà, magari ti bastano due o tre giorni. Io no: so di aver bisogno di più tempo. Se però non dovessi farmi sentire per...» esitò un istante, pensando a un numero appropriato, «cinque mesi, allora sarai tu a venire da me e accetteremo il fatto che non è mio destino diventare un mago».
«E come farai a trovarmi?»
«Sarò pur diventato un mago» fece Mijime, scompigliando i capelli della giovane, che, emesso un gridolino infastidito, si allontanò subito da lui, voltandogli le spalle e incrociando le braccia, con la schiena che però si muoveva su e giù, sospinta dalle risate che le si bloccavano in gola.
L'altro le si avvicinò di nuovo, abbracciandola da dietro. Rimasero in silenzio, a godere ancora per gli ultimi momenti la piacevolezza della compagnia, ridendo talvolta, senza alcun motivo: così spontaneo, era l'unico modo per scacciare la malinconia che poteva assalirli da un momento all'altro.
Bellatrix si appoggiò poi a una spalla del compagno; il suo sospiro sancì il termine della frivolezza di quegli attimi.
«E se riuscissi prima tu in questo intento e io continuassi a sentire solo questa sensazione?» chiese quindi, la voce tremante.
Mijime scosse il capo, quasi irritato da quella titubanza immotivata. "Ma come puoi anche solo pensarlo?" Ormai però sapeva che quelli erano davvero gli ultimi istanti, e non poteva certo mettersi a biasimarla.
Con delicatezza le prese il mento tra due dita finché i suoi occhi non puntarono nell'angolo di cielo che voleva lui.
«Guarda là» disse, puntando un dito verso quella direzione. «Le vedi quelle tre stelle luminose, una attaccata all'altra? Se osservi intorno ne vedi altre, lucenti come le prime o ancora di più. Quella è la costellazione di Orione. E guarda là, in alto a destra: lì c'è Bellatrix, che da miliardi di anni risplende di una luce sfolgorante. E tu non puoi fare diversamente».
L'espressione attonita di Bellatrix fu tutto ciò che vide per diversi istanti, prima che la giovane fosse in grado di uscire da quello stato di stupore per abbracciarlo ancora. E che altra reazione avrebbe potuto avere? Persino lui stentava a credere che quel complimento così sincero e profondo avesse realmente avuto origine dalla mente del sarcastico e cinico Mijime. "Non ti ci abituare troppo" le avrebbe detto, in qualsiasi altra occasione, se quello non fosse stato l'ultimo abbraccio per chissà ancora quanto.
Continuarono a guardarsi negli occhi, cercando di protrarre il più a lungo possibile quel momento. Ma sapevano entrambi che così non poteva essere. Fu Bellatrix la prima a fare un passo indietro: le si leggeva nello sguardo che il suo bisogno ormai era divenuto impellente.
«Buona fortuna, amico» disse, sforzandosi di sorridere.
«A presto, mia cara stellina» scherzò ancora Mijime, per poi volgersi con quanta forza di volontà avesse in corpo nella direzione opposta a quella verso cui tendeva lei. Avrebbe vagato a lungo. Era l'unica cosa di cui sarebbe stato certo, di lì in avanti.
Mosse i primi passi e la giovane, dall'altra parte, fece lo stesso. Mijime cercò di concentrarsi su quello che aveva davanti: guardando di nuovo il cielo, la Stella Polare brillava appena alla sua sinistra. Ancora Nord-Est. Chissà che luogo l'isola avrebbe destinato alla sua solitudine.
Un'immensa vallata si stagliava all'orizzonte, ma la sua vista gli era ancora preclusa dall'immagine sorridente di Bellatrix, che la sua mente continuava a proiettargli dinanzi. Si sbatté una mano sulla fronte: doveva concentrarsi, non poteva lasciarsi distrarre già ora che l'aveva appena lasciata.
«Vedi di credere in te stesso!» La sua voce... Mijime si girò appena, notando la sua figura in lontananza, fermatasi da una corsa veloce solo per gridargli quell'ultimo messaggio.
Sogghignò, rispondendo di rimando: «Vedi di non cadere in trappole stupide finché non ci sono io!»
«Questa me la pagherai, appena ci rivedremo!» esclamò l'altra, dopo qualche secondo: era possibile sentire l'irritazione anche con la distanza che intercorreva tra i due. Il giovane continuava a ridere, soddisfatto di averla infastidita ancora una volta, mentre la sua mente gli riproponeva le ultime parole della giovane: appena ci rivedremo. Era tutto ciò che gli dava la forza di mettere un piede davanti all'altro.
~
E dopo tanto tempo insieme, i nostri Bellatrix e Mijime si devono separare, inaspettatamente (o forse no) con un certo dispiacere da parte di entrambi. Adesso non ci resta che considerare cosa diventeranno: cosa potrebbe riservar loro il futuro? Bellatrix sente già uno slancio verso un luogo misterioso... Cosa sarà mai e cosa potrà c'entrare con i suoi poteri? (A voi le ipotesi, anche su quali potrebbero essere i suoi poteri). Mijime invece, oltre a essere più pessimista di Leopardi (ci manca solo un "a me la vita è male" e diventa la sua copia giapponese 😑), non sembra cambiato di una virgola... Forse ha ragione a essere così negativo oppure ci stupirà? Staremo a vedere, nel penultimo capitolo di questo primo volume (e ho quasi finito la revisione!!!! Non ci posso credere T_T)
Bene, allora noi vi salutiamo e vi diamo appuntamento al capitolo 37 (attesissimo dalla maggior parte di voi, capirete presto perché 😶😶😶)
Salutazzi dalle vostre 🐼🐢
No, cari lettori, non ci siamo dimenticate del lungo monologo di Robero, ma in merito a questo non spenderemo una parola di più. Già sono stati lanciati diversi sassolini, anticipatori di cose che succederanno nei prossimi volumi... Per il resto, fate come Bellatrix e Mijime, che non hanno fatto in tempo a ragionarci sopra per curarsi di cose più imminenti. Altrimenti avanzate teorie e congetture su daimona, maghi, immortalità, concetti esistenziali e quant'altro 😂 Sapete che saremo sempre liete di ascoltarvi 🫶
* Il tempo si trasforma, ma i mortali... mai
*² Ogni volta (è) così...
*³ Io sono Rob...
Curiosità: i mortali di cui parla Robero erano Anita e Genew, quando ancora non erano marito e moglie, circa vent'anni fa
Curiosità pt.2: la volta celeste dell'isola è la stessa di quella dell'Exo, infatti le costellazioni che si vedono sono le stesse, anche se in periodi dell'anno differenti (Orione nell'emisfero boreale è visibile solo nei mesi invernali, mentre adesso siamo in pieno agosto). Non pensate però che per questo motivo l'isola si trovi nella parte australe della terra! Il fatto che il cielo sia il medesimo è più per suggerire una riflessione che forse farò pronunciare a qualche personaggio più avanti nella storia... In ogni caso, non è così tanto complessa: potete benissimo arrivarci da soli 😶
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