33.1
Em respirò a pieni polmoni. Non avrebbe saputo spiegarne il perché, ma in quei giorni di festa persino l'aria era divenuta più piacevole, tanto che non si percepiva quasi più l'opprimente umidità; invece il poco vento che aleggiava pareva più fresco dello zefiro primaverile, della rinfrescante brezza delle montagne. Tutto ispirava pace.
«Non è giusto! Mi avevi promesso che avresti giocato con me».
«No, Sofia, lo avevo promesso a Nikìas, che adesso mi sta aspettando all'Oikìa. La vuoi smettere di rompere?»
«Ma io sono tua sorella!»
«E Nikìas è il mio migliore amico!»
«Ah, è così allora? Bene, scordati che giocherò con te nei prossimi giorni. Vai pure a cercare il tuo migliore amico».
«Fa' quello che ti pare, a me non interessa».
Persino Hermit e Sofia, che sbraitavano mentre si muovevano avanti e indietro sulla piattaforma, le trasmettevano quel senso di pace che cinque giorni prima aveva temuto di perdere per sempre.
«Ragazzi» li richiamò Raya, senza molta convinzione. «Dai, non litigate».
Quelli neanche sentirono il suo flebile rimprovero e ripresero a battibeccare ancor più animosamente.
«Sì, Raya, devo dire che sai essere molto convincente» ridacchiò Morag alle loro spalle.
«Provaci tu, se riesci a fare di meglio» borbottò l'altra, raddrizzando le spalle e fingendosi offesa.
Tutti in realtà, Em non avrebbe creduto il contrario, avevano il medesimo pensiero: meglio sentirli urlare, con la loro solita vitalità, che vederli mogi e silenziosi come li avevano visti durante la battaglia e nei giorni immediatamente successivi; iniziavano a riprendersi solo ora. Ma chi voleva riportare alla memoria quei momenti lontani, ora che la pace regnava incontrastata? Così ascoltavano divertiti i due piccoli, che si accusavano ora per un motivo ora per un altro, con tutta l'energia che non li abbandonava mai.
Em richiuse gli occhi, lasciandosi cullare da Hermit che strillava e Sofia che pestava i piedi. Appoggiò la testa alla spalla di Raya, colta da un sonno improvviso, favorito da quell'insolita nenia.
"Festeggiare ininterrottamente è più stancante che fare dei vasi" pensò, con un sorriso divertito, mentre la sua mente tornava alle attività del giorno: la sveglia prima dell'alba per colpa degli strumenti musicali, che avevano ripreso a suonare già così presto, la mattina a seguire Raya che andava a trovare tutte le vecchie vasaie più pettegole, per mangiare insieme qualche frutto e scoprire le chiacchiere più interessanti del clan. E, ancora, il pomeriggio trascorso aggrappata alla schiena di Morag, per tenere il passo di Hermit e Sofia, che avevano voluto portarli a tutti i costi in esplorazione delle basse mangrovie. Non si era mai mossa così tanto come in quei giorni.
Si abbandonò sul corpo dell'amica, che in quel momento sembrava così confortevole...
«Ma come, già stanca?» rise Raya, sollevandole il capo e ridestandola immediatamente.
«Io?» Em rizzò la schiena, imponendosi di mostrarsi il meno assonnata possibile. «Stanca? Neanche per idea!»
I risolini di Raya e Morag la smentirono subito.
«È tutta colpa di quelle maledette piante!» provò a giustificarsi Em, dando come al solito la colpa alle liane.
«È vero, in questi giorni ti stiamo facendo faticare più del solito» disse Morag, mentre cercava di scacciare il sorrisetto divertito e sostituirlo con la sua tipica espressione capace di infondere tranquillità. «Adesso...» proseguì, un po' impacciato, «se sei stanca... vuoi... che ti accompagni all'oikarion?»
«Be', grazie» disse la giovane, appena compiaciuta di quella proposta: non bisognava mai sprecare occasioni del genere! Iniziò a tirarsi in piedi, senza nascondere lo sbadiglio che la colse in quell'attimo. "Che meraviglia, non devo nemmeno fare la fatica di usare le liane fino all'oikarion. Giaciglio caro, sto arrivando".
Già pregustava il momento in cui si sarebbe infilata sotto le coperte, quando una voce squillante la fece sobbalzare e dimenticare il suo riposo. Chi era stavolta?!
«Ferma dove sei!» Em si voltò di scatto, con gli occhi sgranati per il fastidio, ritrovandosi di fronte Rose. Stava per dirgliene quattro, ma quella la precedette. «Tutti seduti» intimò anche a Morag, che aveva fatto per alzarsi, a Raya e ai due fratellini dall'altra parte della piattaforma. Una volta che fu sicura che tutti la stavano ascoltando, si lasciò sfuggire un sorriso entusiasta. «Non immaginate nemmeno chi è tornato!»
Em, abbandonata la stizza per la sorpresa, si lanciò subito un'occhiata interrogativa con Raya, che non sembrava averci capito più di lei. Chi poteva essere stato a rendere Rose tanto euforica? Magari Morag lo sapeva. Si voltò appena, confidando in lui, ma anche sul suo volto aleggiava un'aria piuttosto confusa.
«In che senso?» chiese Sofia, con la testa piegata da una parte, togliendo i giovani dall'imbarazzo di porre quella domanda che sembrava tanto scontata.
La sorella maggiore sbuffò, incrociando le braccia, visibilmente irritata. «Non è da qualche giorno che sta mancando qualcuno?» ripropose, spalancando gli occhi e penetrando con lo sguardo i due fratelli, che, pur sollecitati da quell'atteggiamento, non davano segno di aver compreso ciò che intendesse. Hermit si limitò ad alzare le spalle, con un sorrisetto innocente.
«Begli amici... Vi siete già dimenticati di me». Em non era certa di credere alle proprie orecchie: avrebbe immaginato qualsiasi altra cosa tranne quello. Ma, non appena si girò, anche i suoi occhi confermarono che aveva sentito bene.
«No!» gridò Rose, l'euforia precedente già trasformatasi in collera. «Dovevi rimanere nascosto per l'effetto a sorpresa!»
Con il solito sorriso di chi non ha nemmeno una preoccupazione, sbucato da chissà dove, Spiro se ne stava in piedi sul margine della piattaforma, contento come non si vedeva da tempo.
«Spiro!» gridarono all'unisono Hermit e Sofia, correndo più veloci che potessero per raggiungere l'uomo appena tornato tra loro.
Em era attonita: non riusciva nemmeno a voltarsi verso Raya o Morag per vedere le loro espressioni. Non era possibile che quello, così compiaciuto, così spensierato, fosse Spiro. O, meglio, il suo compagno di clan era stato esattamente così, prima che succedesse quel piccolo incidente con Zarkros, talmente insignificante, rispetto a tutte le altre vicissitudini capitate, che lo aveva da tempo rimosso; prima che il loro solare compagno diventasse così taciturno e schivo, che nessuno avrebbe sentito la differenza tra la sua presenza e la sua assenza. E così era stato.
Un profondo senso di colpa montò subito nel suo animo; abbassò un po' lo sguardo perché non si incrociasse con quello del nuovo giunto: Spiro era comunque un loro compagno, e non solo non avrebbero dovuto trascorrere quelle ultime giornate completamente dimentichi di lui, ma prima ancora avrebbero dovuto capire cosa fosse stato ad affliggerlo tanto e aiutarlo a risolvere il problema.
«Adesso che ci sono tutti». La voce di Rose, che aveva alzato per farsi sentire a modo da tutti, la ridestò appena da quei pensieri: cercando di non attirare troppo l'attenzione su di sé, si avvicinò un poco ai due ancora in piedi, subito seguita da Raya e Morag. Per quanto imbarazzata dalle sue azioni, non poteva negare di essere davvero curiosa: nessuno se n'era accorto, ma Spiro era stato chissà dove per ben cinque giorni. «Vuoi finalmente raccontare cosa hai fatto per tutto questo tempo?»
Spiro osservò soddisfatto il suo pubblico, infoltitosi dopo che Hermit e Sofia erano andati a sedersi rispettivamente sulle ginocchia di Raya e Morag.
«Non ci sono tutti» disse però, indicando con un cenno una parte della piattaforma nascosta dalla penombra. Lì Germanico era sdraiato su un fianco, intento a controllarsi insistentemente le mani, come sempre dal giorno dello scontro.
«Sto ascoltando, se tanto ti interessa» grugnì, senza accennare al minimo movimento, nemmeno quello degli occhi per guardarlo in faccia. Em rabbrividì: le volte che lo sentiva parlare erano ancora più rare di prima, ma sempre le provocavano quell'effetto. Non ci voleva un genio a vedere che qualcosa era cambiato nel buono e mansueto Germanico, ma nessuno, tranne Morag, che aveva provato, invano, a chiedergli un minimo chiarimento, aveva il coraggio di ammetterlo.
Spiro però non sembrò accorgersene.
«Va bene, amico fifone» ridacchiò, rivolgendosi subito a Rose. «Però continuano a non esserci ancora tutti».
«Kairos è in giro da qualche parte con alcuni suoi amici» lo informò Raya. «E ti dico per esperienza che sarebbe inutile aspettarlo» concluse, con una nota un po' inacidita, alla quale Em non riuscì a stare seria, mentre il pensiero del cambiamento di Germanico volava lontano da lei.
«Gelosia, portami via» la canzonò, ricevendo di rimando un'occhiata bieca dall'amica.
«Io non sono affatto gelosa» dichiarò, spostandosi i capelli dietro all'orecchio. «Diciamo però che qualcuno dovrebbe avere la priorità su qualcun altro» borbottò infine, mentre Em si premeva le mani sulla bocca per non scoppiare a ridere: il più delle volte Kairos e Raya sembravano sotto ogni aspetto la coppia perfetta, ma ogni tanto la loro giovanissima età tradiva qualche piccola pecca, certamente sopportabile all'interno della loro relazione, ma davvero esilarante agli occhi di chi li vedeva.
«In ogni caso» proseguì la ragazza, per sviare l'attenzione da lei, «ora lui non è qui e probabilmente non tornerà presto».
«Okay, uno in meno posso anche tollerarlo, ma continua a esserci ancora troppa poca gente» sbuffò Spiro, facendo un cenno della testa a un bordo della piattaforma, dove due figure girate di spalle parlavano tutte concitate, senza mai stare in silenzio.
Sul viso di Rose sorse un'espressione di disgusto, che subito si premurò di rincarare fingendo un conato. «Sì, giusto, li vado a chiamare» disse, muovendo un passo verso i due. «Non vorrei proprio ritrovarmi un'altra volta zia, nossignore!»
«E dai, Rose, lasciali in pace» cercò di fermarla Raya, afferrandole un lembo della tunica e tirandola indietro. «Sono così carini».
«Fanno schifo, vorrai dire».
«Vorrei essere una tessitrice per cucirti la bocca, una buona volt-».
Ma Rose si era già messa le mani davanti alla bocca per amplificare il suono. «Iulius!» gridò, con tutta la sua voce.
Il febbrile borbottio si interruppe e il fratello si girò di scatto. «R-Rose? Che c'è?» chiese, al contempo imbarazzato e infastidito.
«Sei talmente impegnato ad amoreggiare che non ti sei nemmeno accorto di chi è tornato».
Iulius si alzò di scatto, più alterato che mai. «Rose, questa poi non te la perdon-» fece per dire, prima di accorgersi della presenza di Spiro: la bocca, spontaneamente, si spalancò dallo stupore. «Spiro, non ci credo! Bentornato!» Il ragazzino corse ad abbracciarlo, per poi andarsi a sedere di fianco a tutti gli altri. Con un movimento della mano, fece segno alla figura che aveva lasciato al margine della piattaforma di raggiungerlo. «Fanny, vieni a sentire anche tu. E non badare a mia sorella: a volte sa anche essere simpatica» concluse, fulminando la maggiore.
Quella si alzò e, finalmente, dopo giorni in cui si interrogava insieme a Raya sul suo aspetto - Iulius non l'aveva mai lasciata avvicinare tanto a loro -, Em vide la Gheisas, con cui il quartogenito di Genew aveva trascorso la maggior parte del suo tempo dal termine della guerra. I capelli dorati, piuttosto rari da trovare tra la gente di Tou Gheneiou, sembravano ancor più biondi sotto la luce delle lanterne, che mettevano in evidenza le numerose efelidi che tempestavano il suo bel visino, e le facevano brillare gli occhi nocciola. Ma ancor di più erano quelli di Iulius a luccicare, mentre seguiva ogni suo movimento per avvicinarsi a lui.
«Se ne è scelto una mica male, il nostro Iulius» sussurrò Raya all'orecchio di Em, che non poté che annuire: per quanto non bellissima, era indubbiamente carina di aspetto. Forse lo sarebbe stata anche di più, se l'ombra che permaneva sul suo volto fosse scomparsa. Pur non sapendo nulla di lei, era chiaro che facesse parte della larghissima schiera degli orfani Gheisas prodotti dalla guerra: le poche famiglie che erano riuscite a salvarsi tendevano a stare sempre unite e sarebbe stato strano che una figlia restasse tanto tempo lontana. Stare con Iulius però sembrava farle bene, o almeno questo era ciò che si augurava Em: prima il dolore dei Gheisas fosse andato scemando, prima la guerra sarebbe davvero entrata a far parte del passato.
La Gheisas prese timidamente posto al fianco di Iulius, cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno: ci sarebbe stato tempo per le presentazioni, quando si fosse sentita più a suo agio. Rose poté riprendere il suo discorso: «Forse ce la faremo... Adesso che ci siamo quasi tutti, Spiro,» cambiò immediatamente tono, rendendo la sua voce cupa e solenne, «eroe degli eroi, comincia il tuo racconto e delizia le nostre orecchie».
Anche lei si precipitò a sedere tra Em e Raya, mentre Spiro si dondolava avanti e indietro, grattandosi il mento, come a voler trovare le parole migliori.
«Uhm, vediamo, come posso dirvelo? Ci sono!» si illuminò a un tratto, prendendo un respiro profondo. «Era la guerra. Io ero tra i primi arceri, con i miei compagni Cacciatori, e avevo scagliato già decine di frecce - sono bravissimo, sappiatelo! - , quando i nemici arrivarono anche da noi, che non dovevamo combattere. All'inizio, panico. Quindi... sono scappato».
Tutto il pubblico scoppiò a ridere.
«Ma no, Spiro!» si lamentò Hermit, pur non riuscendo a stare serio, mentre cercava di sorreggere la sorellina che si era sbilanciata su di lui dalle risate.
Soltanto Rose aveva un'espressione allucinata: «Mi avevi detto che eri stato un eroe!» lo redarguì a sua volta, non facendo altro che accrescere il divertimento generale.
«E adesso ci arrivo» sbuffò, per poi chiudere le mani a pugno come è solito fare il direttore d'orchestra per imporre il silenzio. Em, come Morag, capì immediatamente il gesto e si sbrigò a riportare quieti i presenti. Una volta scomparso ogni rumore estraneo, Spiro, soddisfatto, riprese il suo racconto. «Dicevo, sono scappato, ma alcuni di quelli mi hanno rincorso e intrappolato. Volevano uccidermi, ma allora è emersa tutta la mia potenza, che si attiva solo quando sento un pericolo molto vicino, e ho fatto fuori uno di loro in una mossa sola, con i miei poteri soprannaturali».
Em si scambiò un'occhiata d'intesa con Raya e Morag: qualsiasi cosa fosse successa, Spiro si vergognava troppo a raccontarla e ora cercava di riparare qualche sua pigra decisione con quei fatti palesemente inventati. Aveva forse sonnecchiato per tutto quel tempo, dopo essersi defilato dalle fila della battaglia? Oppure aveva raggiunto un luogo ricco di frutti dove oziare in tranquillità, dimenticandosi che era in atto una guerra? Avrebbe voluto saperlo solo per ridere ancora un po': doveva ammettere che le era mancato, il vecchio Spiro.
«Oh!» esclamarono invece Hermit e Sofia, i più presi dalla storia.
«Allora quelli che mi trattenevano tremavano dalla paura, rabbrividendo solo a pensare che avrei potuto riproporre la mia super mossa speciale».
«Poi?» chiese la bambina, impaziente.
«Quindi mi hanno tutti pregato di risparmiarli e, siccome sono un eroe e non un cattivo, li ho accontentati. Potevo tornare, allora, ma non l'ho fatto».
«E perché?» lo incalzò Rose, che stava ascoltando il racconto con estrema cura, quasi quanto i due fratellini: Em non capiva se stesse solo rimanendo al gioco o se credesse davvero alle parole dell'uomo.
«Perché i miei aguzzini erano disperati!» esclamò Spiro, con molto più fervore. «Dovevano uccidermi perché il loro capo glielo aveva imposto, ma non lo avevano fatto e temevano cosa poteva succedergli».
«Ma la Geisha era morta» rifletté Iulius.
«Oh, non si tratta di lei» si incupì a un tratto Spiro, lasciando qualche attimo di silenzio per aumentare il pathos della scena. «Si tratta del re delle scimmie!»
Em si morse un labbro per evitare di scoppiare di nuovo a ridere e, non appena sentì un risolino provenire da Raya, si slanciò verso di lei, tappandole la bocca. L'umore degli altri non era molto diverso: persino sul volto della giovane Gheisas, sempre seria e pensierosa, era sorto un sorriso.
«Chi?» fece Sofia, divertita.
«Il re delle scimmie».
«Quelle che vivono tra le alte e le basse mangrovie?» chiese Hermit.
«No, quelle che vivono nella giungla dei Gheisas: sono loro quelle che regnano davvero lì, e gli umani sono solo loro schiavi» spiegò Spiro, come se fosse qualcosa da dar per scontato. «Il loro capo è molto cattivo, quindi mi hanno chiesto di combatterlo. Cosa potevo fare, davanti a questi poveretti che mi supplicavano di usare i miei poteri per il bene? Proprio nulla, io che sono un eroe. Così sono andato al cospetto del re delle scimmie e l'ho ingannato: gli ho detto di essere una scimmia io stesso».
Nessuno allora riuscì a trattenersi ed Em sentì persino alcune lacrime scenderle dagli occhi per le troppe risate.
«Il re delle scimmie non è molto furbo,» continuò Spiro, come se niente fosse, «quindi ci ha creduto e ha accettato la mia amicizia. Avrei dovuto imprigionarlo con le liane, ma conoscendolo ho capito che è un gran simpaticone e l'ho convinto a essere una scimmia migliore anche con i suoi sudditi. Alla fine ho salvato i miei aguzzini, che hanno deciso di andare a vivere con le scimmie, che in fin dei conti sono simpatiche. E così sono di nuovo qua» concluse, mettendo bene in mostra il suo sorriso storto e ingiallito.
«Bravo, Spiro!» applaudirono Hermit e Sofia, subito seguiti anche dal resto del pubblico.
L'uomo fece qualche inchino, aspettando che gli applausi si diradassero, per poi continuare. «E vi dirò di più: sono stato talmente bravo che Zarkros ha voluto premiarmi sotterrando la sua rabbia nei nostri confronti» annunciò, entusiasta, indicando uno per uno i suoi compagni di clan. «Dovreste solo ringraziarmi, voi tre!»
«Me l'ero persino dimenticato, Zarkros» ammise Morag, noncurante.
«E invece era pericoloso!» lo rimproverò Spiro. «Secondo voi perché sono tornato a essere così felice? Perché la minaccia di Zarkros non c'è più!»
«Bene, bene» annuì Rose, mentre si alzava in piedi. In due passi fu davanti a Spiro, con la palese intenzione di iniziare un interrogatorio. «Durante il racconto della tua avventura, mi sono sorte delle domande: per esempio, quanto tempo ci vuole per sfoderare la tua super mossa?»
Em sentì gli occhi di Raya che cercavano i suoi, chiedendosi, un'altra volta ancora, la stessa domanda: e adesso cos'aveva in mente?
«Meno di un secondo, ragazzina» fece Spiro, appena borioso.
«E si attiva ogni volta che si mostra un pericolo?»
«Certo che sì».
Spiro fece giusto in tempo a concludere la sua risposta, prima che l'aria venisse squarciata da un urlo di battaglia e dal conseguente grido terrorizzato di Spiro. Abbandonate le liane su cui avevano preso lo slancio, Hermit e Sofia si scaraventarono su di lui, atterrandolo solo con il loro poco peso.
Ancora una volta, la piattaforma tornò a essere animata dalle risate degli spettatori, tra cui spiccava quella di Rose, che all'insaputa di tutti aveva architettato quell'agguato con i fratellini.
«Spiro, raccontane un'altra la prossima volta» continuava a ridere, rotolandosi a terra.
«Era solo per non fare del male a questi due piccini!» chiarì l'uomo, non appena riuscì a rimettersi in piedi, pur con le piccole pesti ancora aggrappate alla sua schiena.
«Hermit, ho un'idea» si illuminò a un tratto Sofia. «Leghiamolo e portiamolo giù nelle basse mangrovie ad affrontare un apireo!»
«Uh, sì! Così vediamo se ci ha detto una bugia».
«Ora va' a prendere una corda nell'oikarion, presto!»
Il bambino recuperò la liana e con un abile movimento si trasportò direttamente sulla scala, sgusciando in un attimo nell'abitazione. Spiro riuscì a liberarsi della sorellina, ma Hermit era già uscito dall'oikarion, con un sorrisetto impertinente e, tra le mani, una lunga e robusta corda.
«Ragazzi,» ridacchiò Spiro, un po' spaventato, indietreggiando, mentre i due piccoletti si avvicinavano di nuovo a lui, «ma non farete mica sul serio, vero?»
«Io vi appoggio!» gridò Rose, lasciando Spiro pietrificato: «Rosetta, sei così crudele?»
«No, sono solo curiosa» rispose quella, maliziosa, mentre Hermit e Sofia si lanciavano un segnale per attaccare una seconda volta.
La bambina corse verso una liana, la afferrò e tornò ad ancorarsi alle spalle di Spiro, perfettamente coordinata al fratello, che, non appena la piccola fu di nuovo sul corpo dell'uomo, le lanciò con estrema precisione un capo della corda.
«Oh no! Aiuto, aiuto!» iniziò a gridare Spiro, mentre Hermit gli saltellava intorno, avvolgendolo così stretto che non gli permetteva il minimo movimento.
«Puoi usare i poteri...» gli suggerì Sofia, balzando giù anche lei per aiutare il fratello a terminare il loro lavoro.
«No, vi farei male!»
«Non ce li hai! Ammettilo!» inveì Hermit.
«Non è vero! Aiutatemi!»
Spiro continuava a strillare, fomentando l'ilarità installatasi da tempo sotto l'oikarion e producendo tanto rumore, che non rimase circoscritto alla loro piccola area. Tra i vani strepiti dell'uomo per invocare aiuto, gli schiamazzi dei tre fratelli, che ancora cercavano di estorcergli la verità sui poteri, e le risate di tutti gli altri, a un tratto iniziò a sentirsi una melodia tra le fronde, emessa da una voce talmente particolare che nessuno avrebbe potuto confondere.
«Chi è lo sventurato che chiama aiuto?» sentirono: la musica, prima vaga e indefinita, aveva preso la forma di quelle parole cantate, che diventavano più chiare secondo dopo secondo, finché anche la giovane che le stava intonando non si palesò. «Non temete, thnétes, poiché gli immortali svelata mi hanno la via della salvezza!»
"Se pensavo che il racconto di Spiro rasentasse l'assurdo, mi devo ricredere". Em non riusciva a distogliere lo sguardo dalla visione che era apparsa sotto i suoi occhi: davanti a loro Rigel, la più forte Guerriera del clan, vestita con la tunica e la fascia bianca delle danzatrici, barcollava, non riuscendo a reggersi sulle gambe, mentre cantava e rideva, con un'aria inebetita, tenendo un vaso di dimensioni non esigue sulla sua destra, sollevato al cielo.
«R-Rigel?» Rose, la più stranita tra tutti, anche poiché conosceva meglio degli altri la fredda e avveduta Rigel, dimenticandosi in fretta di Spiro, corse da lei, per sorreggerla da dietro, prima che potesse cadere. La Guerriera si abbandonò tra le sue braccia, rovesciando la testa all'indietro e rimettendosi a ridere e a cantare nella lingua dell'isola, ancor più euforica di prima.
«Proprio io,» esclamò poi, con fare solenne, «Rigel la Guerriera, danzatrice poiché figlia degli eusebeîs Giwargis e Jehanne, porto sulla mia palma destra il liquido theîos!» concluse, innalzando ancora il vaso, per poi portarselo alle labbra e bere abbondantemente da esso.
«Cosa diamine...» mormorò Raya, volgendosi con un'espressione dubbiosa verso Em, che invece pensava di aver capito cosa fosse successo e già si stava preparando all'ennesima serie di risate per quella serata.
«Che cos'è successo?» chiese invece Rose, più pragmatica, staccando il vaso dalle mani di Rigel e avvicinando a esso il volto per annusarne il contenuto.
«È oinos!» tuonò Rigel, riappropriandosi repentinamente del recipiente. A quell'esclamazione Iulius e persino Fanny scoppiarono subito a ridere, lasciando dubbiosi gli altri presenti: cosa sapevano in più, quei due, rispetto a tutti loro? Ma l'attenzione fu presto sviata dai due, attratta piuttosto da un movimento sensuale della Guerriera, che circondò da dietro il corpo di Rose, sempre più frastornata da quella situazione. Molto lentamente, la giovane iniziò a percorrere con un dito i lineamenti del volto della ragazzina, fino ad arrivare alla punta del naso, dove si soffermò per qualche istante e sotto la quale fece passare di nuovo il vaso pieno di quel liquido dallo strano effetto. «La bevanda scoperta dai Gheisas che apre le porte della realtà preclusa ai mortali» sussurrò infine, per poi staccarsi da Rose, che subito, con un'aria disgustata, prese a strofinarsi i punti dove era stata toccata dalla compagna danzatrice.
«Per anni abbiamo vissuto nella menzogna» continuò a declamare l'altra, «credendo che il mondo che vediamo corrisponda a come è davvero. I nostri sensi, fallaci e mortali, c'ingannano! L'unico modo per vedere il mondo reale è rendere i nostri sensi identici a quelli degli dei. Bevendo l'oinos, si può fare!» E terminando in questo modo, bevve ancora, tracannando un sorso ben più abbondante che il precedente.
«Uh! Voglio provarlo!» esclamò Sofia, dirigendosi verso Rigel, ma subito bloccata da Raya, che scattò verso la piccola e la prese in braccio.
«Non se ne parla neanche».
«Ma perché?»
«Vuoi diventare come quella lì?» continuò la giovane, indicando la danzatrice, che si era appena aggrappata a una liana iniziando a girare in tondo.
«Sembra divertente» sorrise invece la bambina. «Dai, Raya, ti prego!»
«No, assolutamente no».
«Ma non sei la mamma!»
«Finché lei non c'è, sì».
«Ma cos'è questo trambusto?»
Come a voler farlo apposta, Anita, semi nascosta da una pila di panni che teneva tra le mani, era appena approdata sulla piattaforma; le sopracciglia un po' inarcate esprimevano tutta la sua incomprensione davanti a quello che si era trovata sotto gli occhi.
I sensi di Rigel sembrarono improvvisamente dimenticare il liquido del vaso, concentrandosi del tutto sulla donna.
«Oh, una seconda dea!» esclamò infine, mentre si precipitava nella sua direzione, dopo aver tagliato la strada a Sofia, che cercava di raggiungere la mamma per ottenere il permesso che Raya le aveva rifiutato. Si lasciò cadere in ginocchio davanti a lei, porgendole la grande coppa.
«Cosa?» Anita non fece in tempo a sollevare lo sguardo verso familiari e neoteroi per avere una minima spiegazione in merito, che Rigel balzò di nuovo in piedi, avvicinandolesi tanto e in modo tanto repentino da farla quasi cadere dalla piattaforma.
«Ispirami anche tu un canto, come sanno fare i tuoi fratelli, e io danzerò per te!» gioì, con un sorriso che correva da un lato all'altro del suo viso.
La donna la spostò delicatamente da un lato, mettendosi prima di tutto al sicuro in un punto più centrale, per poi scrutarla bene: sembrava ubriaca.
«Rigel, non serve» disse soltanto, sperando di allontanarla facilmente: dopo una giornata tanto intensa a essere rincorsa dalle persone più disparate del clan, desiderava solo qualche attimo di tranquillità.
«Oh, sì sì sì, serve, serve eccome, per onorare te che guarisci da ogni male!» continuò a elogiarla, sempre più festosa.
Le guance di Anita avvamparono. «Macché ogni male...» biascicò, tremendamente a disagio: se prima nessuno si era mai degnato di considerarla, ora tutti la stavano sopravvalutando. Sì, i suoi poteri erano stati d'aiuto, ma non erano strabilianti come venivano descritti da chiunque. Non appena se ne fossero accorti, sarebbero rimasti ancor più delusi.
«Ma l'hai vista la ferita che avevo?» continuò Rigel, che, intermezzando talvolta i suoi discorsi con un sorso del liquido contenuto nel vaso, non si decideva a smetterla con quella farsa. «Una spada mi aveva bucato la coscia! E adesso cammino, come se non mi fosse successo niente». Iniziò a saltellare da una parte all'altra della piattaforma. «Guarda come cammino bene! Come lo spieghi?»
Effettivamente, per una ragione che non avrebbe saputo spiegare, i suoi poteri dovevano essersi potenziati: ferite gravi ma in ogni caso curabili come quelle di Rigel era stata capace di guarirle anche prima, ma aveva quasi resuscitato suo marito, che a un tratto aveva persino creduto morto.
«Be', è la mia lozione» minimizzò: se anche la sua magia era aumentata, non doveva esaltarsi per qualcosa di cui non era certa; come non doveva abituarsi a tutti gli elogi che stava ricevendo: presto, una volta che le sue creme non fossero più servite, avrebbero ripreso a trattarla come prima.
«Divina!» esclamò invece Rigel, sollevando ancora il vaso. «Come questo!» Bevve ancora, ma staccò molto prima del solito la bocca dal bordo, gli angoli delle labbra appena piegati all'ingiù. «Oh... è finito». Si riscosse in un attimo. «Tranquilli, miei prodi» rassicurò gli altri. «C'è un vaso enorme da cui attingere giù all'Oikìa. Torno presto!»
E, prima faticando a mettere un piede dritto davanti all'altro, poi a procedere con un'andatura normale sulle liane, la videro allontanarsi.
«Non sarebbe meglio che qualcuno la seguisse?» sollevò un sopracciglio Rose, osservando insolitamente impensierita la compagna che se ne andava tutta storta, rischiando ogni volta di sbattere contro un albero.
«Secondo me fa giusto in tempo ad arrivare all'Oikìa, poi crollerà in un sonno profondo. Non penso corra molti rischi» la tranquillizzò Em, mentre Anita andava a sedersi in mezzo a loro.
«Finalmente un po' di pace» sospirò, rasserenata.
«Ma cosa dici, Anita?» rise Raya. «Stiamo portando avanti i festeggiamenti da cinque giorni per la pace».
«No, Raya, non è questo» fece la donna, sorridendo a sua volta. «È solo... Non sono abituata a ricevere tanti complimenti. Alcuni sono decisamente azzardati,» mise subito in chiaro, indicando con un cenno il punto dove era scomparsa Rigel, «però...» Non riusciva a esprimersi come avrebbe voluto: da una parte sentiva una gioia immensa, conferita dalla tanto agognata stima da parte di alcuni compagni di clan. Ma se fosse stata soltanto illusoria, come ogni scintilla positiva che aveva brillato nella sua vita? Ciò non toglieva il piacere che le provocava quell'emozione. Si limitò ad allargare il suo sorriso, stringendo i panni che aveva dimenticato di avere tra le braccia.
«Anche solo poco fa, mentre stavo tornando, ho incontrato Kore la tessitrice, che ha insistito perché accettassi i vestiti nuovi che ha fabbricato per tutti noi, anche se non ne abbiamo bisogno, solo perché... solo perché ho guarito sua figlia Lokris. Mi ha detto che non se la sente ancora di uscire dall'oikarion ma mi manda comunque infiniti ringraziamenti. E pensare che quella ragazza era tra la folla, quel giorno». La ricordava bene, in prima fila, gli occhi dissennati, un dito accusatore puntato su di lei. «È... incredibile. Non riesco a crederci».
Intorno a lei si accese un insolito silenzio: persino i suoi rumorosi figli sembravano meditare le sue parole, probabilmente interrogandosi sulla sua stessa domanda. Doveva fidarsi? Doveva credere che tutto alla fine si sarebbe volto per il meglio, anche se ancora le pareva impossibile?
Fu Morag a sporgersi un po' verso di lei, ponendo una mano sulla sua spalla. «Anita, sono sicuro che da adesso cambierà davvero la musica, per noi neoteroi».
"Sì, forse Morag ha ragione. Forse è-". Lo scricchiolio del legno spezzò il suo pensiero: qualcun altro doveva aver messo piede sulla piattaforma. Suo marito? Magari! Non avrebbe desiderato altro che concludere quella serata anche in sua compagnia, vedendolo intrattenere i loro figli come solo lui sapeva fare.
«Ho interrotto qualcosa?» Il sangue di Anita raggelò: quella non era la voce di Genew; o meglio, non del Genew che sperava lei.
In piedi davanti al loro folto gruppetto, la figlia del capo, segnata dal solito sguardo glaciale, reso ancor più tetro dalla benda scura che le copriva l'occhio destro. Anita prese un sospiro: non doveva lasciarsi intimorire. Dopotutto, cosa poteva fare, sola com'era, senza un'arma alla cintola, priva ormai di un qualsivoglia motivo per attaccarli? Ma allora cos'era venuta a fare? La donna sollevò a sua volta gli occhi, puntandoli nell'unico rimasto alla guerriera, che si abbassò subito, come a non reggere il suo sguardo. E questo cosa significava?
Genew si sedette sulle ginocchia, tenendo il capo chino, lanciando solo qualche occhiata fugace ai suoi interlocutori.
«Vi sottraggo solo pochi istanti, me ne andrò subito. Volevo...» Si arrestò, deglutendo, prendendo un sospiro e provando a riprendere il discorso, sempre incerta a ogni parola che pronunciava. «Su questa piattaforma ci sono diverse persone che hanno subìto ingiustizia... a causa mia. Inizio con i neoteroi: mio padre vi ha accolto come membri del nostro clan e così vi siete dimostrati, non appena avete compreso come funzioni la vita a Tou Gheneiou. Sono stata io a non comprendervi, accecata dal mio timore nei vostri confronti. Con la guerra però ho avuto modo di provare la vostra fedeltà e serietà nei confronti del mio popolo. Avrei dovuto capirlo anche senza questa conferma, ma ora posso affermare con convinzione che, pur avendo il nome di Melitos, siete Gheneiou, tanto quanto me».
Anita incrociò le braccia davanti a sé, senza celare una smorfia contrariata.
"Alla buon'ora. Ci voleva tanto a capirlo?" Eppure sui volti dei neoteroi non sembrava esserci dell'astio: sorridevano, sereni. Ma come? Avevano dimenticato tutto l'odio che quella aveva riversato su di loro? La perdonavano così, con tanta arrendevolezza? Certo, ora era l'eroina del clan, colei che aveva interrotto la guerra e mostrato tutta la clemenza possibile ai Gheisas, ma non potevano non tenere presente ciò che era stata: una tiranna intollerante e dispotica.
Genew parve appena sollevata dalla loro reazione: alzò la testa e li guardò, gli occhi colmi di gratitudine.
«Raya» continuò, protendendosi verso la giovane che aveva appena nominato, senza nascondersi come prima. «Non c'è nulla di disonorevole in te. Non combatti, ma questo non ti rende un membro meno valido del clan. Mi è stato riferito come tu abbia lavorato con zelo perché nessun ferito si aggiungesse alla schiera dei morti. La stessa volontà la impieghi di certo anche nel tuo normale lavoro. Il mio giudizio su di te e sulle tue scelte è sempre stato sbagliato. Ti chiedo perdono».
Raya la squadrò a modo, sospettosa, mentre l'altra fremeva per ottenere un qualsiasi cenno, quasi tremando sulle sue ginocchia per timore di una risposta negativa. La giovane esitava, probabilmente riflettendo, non dando nessun elemento per scontato. Sembrava propendere per un "no"; o era soltanto l'impressione di Anita, che si lasciava influenzare da ciò che avrebbe voluto vedere, cioè l'espressione distrutta della figlia del capo, finalmente consapevole di non poter rimediare in modo così facile ai propri errori?
Ma alla fine, ancora un po' riluttante, sua nuora annuì velocemente, quasi potesse ripensarci da un momento all'altro. Genew sospirò, abbassando un poco la testa e mimando con le labbra dei silenziosi ringraziamenti. Una volta che si fu di nuovo ricomposta, Anita incrociò le braccia ancor più strette, iniziando a tamburellarci sopra con le dita. Si accorse subito di quel movimento involontario: "Sono in ansia? E perché mai?"
«Infine...» Genew riprese a parlare e Anita sentì l'azzurro dell'occhio di lei andare alla ricerca dei suoi. Ecco, come aveva immaginato: adesso era il suo turno. La donna sbuffò, per nascondere con un atteggiamento annoiato il dubbio che aveva appena iniziato ad assillarla. «Il mio comportamento nei tuoi confronti è stato a dir poco spregevole. I daimona dovrebbero impedire che possa accadere qualcosa di simile. Non mi sono mai resa conto delle mie azioni ma adesso che ripenso-».
«Basta così. Non una parola di più» la fermò. Non voleva sentire la sua voce, doveva pensare, e il suo borbottare con fare contrito la disturbava.
Genew rimase senza parole per qualche istante. «Se non vuoi perdonarmi, ti capisco» si arrese infine. «Non merito-».
«Ho detto non una parola di più. E non vorrei ripetermi». Anita si alzò, scrutando la giovane dall'alto in basso con gli occhi a fessura, e quella fu costretta a piegare di nuovo la testa.
La donna prese a camminare, l'avrebbe aiutata a riflettere. Cosa doveva fare? Fino a solo pochi istanti prima ne era così sicura: una secca e distaccata negazione, per prendersi una rivincita, ribaltare i ruoli, vedere che fosse quella, per una volta, a soffrire. Quanto se lo sarebbe meritato. Sulla punta della sua lingua albergavano le parole più taglienti con cui avrebbe potuto ferirla, che aveva meditato a lungo negli anni, eppure non riuscivano a oltrepassare la soglia delle labbra. Perché? Ora che aveva l'occasione di sputarle in faccia le peggiori cattiverie, perché non era in grado di ottenere quella piccola, ma tanto desiderata, vendetta?
"In fondo, lo sai". In ginocchio, al suo cospetto, non stava la valorosa guerriera che aveva condotto il suo popolo alla vittoria, e non stava nemmeno la giovane boriosa dall'animo che traboccava di odio per il diverso. C'era la bambina che le era stata strappata dalle braccia, che aveva pianto mentre veniva a forza allontanata da lei, per cui lei stessa aveva pianto, aveva gridato dal dolore, non potendola più carezzare, curare, crescere. Tremava, aveva paura, temeva di essere rifiutata, proprio ora che cercava di sanare quella ferita aperta vent'anni prima.
"Non sono in grado di abbandonarla".
«Da quando ne hai avuto la possibilità, hai preso il posto di tua nonna» iniziò a dire, il tono severo. Genew si strinse nelle spalle, pronta a incassare ogni colpo. Anita non si impietosì. Aveva preso la sua decisione, ma non avrebbe comunque accettato che due parole di scuse potessero cancellare tutto il male che aveva compiuto. Vendicarsi di lei, oltre che irrealizzabile per quel che provava, sarebbe stato crudele, ingiusto e soprattutto inutile, ma Genew aveva comunque bisogno di una lezione. «La tua voce ha sempre avuto peso, tra la gente del clan: quelli ascoltavano con attenzione il tuo messaggio d'odio. Sono stata esclusa, umiliata, talvolta picchiata, e ho persino rischiato la vita. "Se è questo ciò che volete, uccidetela". Avevi detto esattamente così. Tanto, sono solo una neotera. Allora, dovrei perdonarti?»
Genew deglutì, forse per cacciar via il nodo che doveva essersi formato in gola, con movimenti rapidi si stropicciava velocemente l'unico occhio, riportando subito le mani in grembo, come a non voler far notare che si fosse mossa. Anita rimaneva in silenzio, osservando bene le azioni della giovane, per capire se avesse compreso cosa possono provocare le parole, cosa avevano provocato nel suo animo, più di una volta. Non resistette troppo a quella visione pietosa.
Si inginocchiò a sua volta, ponendole una mano tra le sue. Si guardarono per alcuni istanti, nell'espressione di Genew solo una profonda incredulità.
«Per questo non voglio sentire più una parola. Soltanto fatti».
A quel punto Anita si sarebbe aspettata l'ennesimo sguardo attonito per il suo improvviso cambio di rotta, seguito magari da un abbraccio, un pianto, una qualsiasi manifestazione d'affetto, anche solo un sorriso. Genew invece strinse con più forza la mano che le aveva porto, e il resto accadde molto velocemente, tanto che Anita non riuscì a rendersene conto. La giovane si alzò e corse con lei fino al bordo della piattaforma. La cinse per la vita e, presa una liana, si precipitò nella foresta buia, della quale solo qualche sprazzo era appena illuminato.
In un attimo, quella luce avvolse anche loro, accogliendole tra la musica e le risate che rallegravano l'atmosfera. Nascosta da una folla di persone che si muovevano freneticamente, Anita riuscì appena a riconoscere la maestosa scala dell'Oikìa.
Genew la ripose a terra e si mescolò tra la folla, recandosi chissà dove. A un tratto il ritmo incalzante prodotto dai tamburi si arrestò e la donna vide di nuovo la giovane anaxa correre da lei, illuminata da un sorriso raggiante.
«Popolo di Tou Gheneiou!» esclamò, con tutta la sua voce, facendo sì che tutti si girassero. Il chiacchiericcio, già in parte interrottosi dopo l'improvviso termine della musica, si spense del tutto. «Da cinque giorni, ormai, si protraggono queste feste, per consentire a tutti di ristorarsi, dopo gli orrori che, in un modo o nell'altro, abbiamo sperimentato, e per conferire i giusti onori a chiunque lo meritasse, a chiunque si sia distinto. E dopo cinque giorni non è stata ancora onorata una persona, una che tra l'altro non merita poca gloria: perché senza di lei adesso non saremmo più di novecento, adesso molti tra noi avrebbero sperimentato il dolore che si prova a perdere un genitore, un figlio, un fratello, un amico. E invece pochi sono morti, grazie soltanto a lei. Acclamate, compagni, acclamate la nostra guaritrice, la nostra maga, acclamate Anita». Genew la guardò di nuovo, stringendo ancora la sua mano. «Anita di Tou Gheneiou».
Fu Anita allora, a essere colta dallo stupore, tanto che la sua mente smise di ragionare e il suo corpo si mosse da sé: l'abbracciò. Non si curava del clamore festante prodotto dalla folla, del suo nome pronunciato in coro a gran voce, degli innumerevoli applausi e gridi di giubilo; non si curava dell'espressione inacidita di certi Anziani, discostati dal gruppo maggiore, e nemmeno di suo marito, che, standosene appena in disparte per non sottrarre la scena alla futura anaxa, osservava le due donne con un sorriso lieto. Tutto era avulso da lei, lontano, di minima importanza. Era rimasta solo colei che finalmente poteva stringere tra le sue braccia: sua figlia.
~
Inizio con lo scusarmi per il capitolo lunghissimo 😵: vi assicuro che ho cercato di accorciarlo il più possibile, ma non sono riuscita a fare di meglio. Bene, parliamo allora delle mille cose che succedono; o meglio, non è che succeda molto ma essendo l'ultimo capitolo ambientato a Tou Gheneiou di questo volume (già, avete capito bene... ci stiamo avviando verso la fine 🫨) ho voluto cospargerlo di cosette che saranno piuttosto importanti nel prossimo, insieme ad altre utili solo a strapparvi un sorriso (spero di esserci riuscita). E infine la scena finale, l'unica, penso, davvero adatta a concludere l'arco narrativo delle mangrovie :3. Senza rivelare molto, mi limito a fare qualche domandina: cosa diamine ha fatto Spiro per cinque giorni, secondo voi??? 😂😂😂
Ok, torno seria. Cosa ne pensate della scelta dei neoteroi, di Raya e di Anita di perdonare Genew? E del comportamento di Anita? Avrebbe dovuto essere più dura o più indulgente? E voi, invece? Dopo tutte le brutte parole che abbiamo speso (GIUSTAMENTE) sul conto di Genew, possiamo perdonarla?
Aspettiamo le vostre risposte e intanto vi salutiamo calorosamente (sperando di essere un pochino più veloci con i prossimi capitoli, questa volta davvero quelli finali!!!)
A presto 💙
~🐼🐢
Se vi state chiedendo perché Rigel fosse tanto fuori, ecco a voi l'extra che non avreste voluto sapere (forse metteremo una spiegazione migliore nella storia dedicata ai personaggi e agli extra, ma intanto accontentatevi di questa). Se siete un po' pratici di greco, avrete tradotto subito oinos come vino. Ebbene, questo è il nome che gli hanno dato alcune fate passando di lì per caso, perché la preparazione dell'oinos dei Gheisas è proprio la stessa del vino dei greci, se non per l'ingrediente principale: non si usa l'uva, ma delle bacche della loro foresta un po' allucinogene dal gusto simile. Quindi queste vanno fatte fermentare per diverso tempo, finché non si ottiene il vino puro, che poi deve essere mescolato con l'acqua. I Gheisas lo conservavano per le loro vittorie e hanno deciso di condividerlo con i Gheneiou per ringraziarli della loro proposta di alleanza. Non avendo mai bevuto nulla di alcolico e, soprattutto, essendo l'oinos ben più impattante di un semplice vino, gli effetti che ha avuto sui nostri abitanti delle mangrovie sono stati ben più pesanti delle aspettative 😂
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