22
Un lieve alito di vento scosse in un movimento appena percettibile le allungate e voluminose liane della foresta. La luce penetrava a fatica in quella fitta selva intricata ma, a volte, si insinuavano al suo interno i caldi raggi del sole sbucando tra le foglie rigogliose. Dolci, accarezzavano la pelle chiara della donna che li stava malinconicamente osservando. Una giornata simile si sarebbe potuta trovare quasi sempre nella verde foresta di mangrovie, tanto era ordinaria per quel luogo selvaggio e favoloso. Ma Anita sapeva bene che quel giorno non era affatto come tutti gli altri, e allo stesso modo le giornate a venire.
Qualcosa che non aveva mai minacciato il loro clan incombeva adesso, in una furia foriera di disgrazie. La calma infusa dalla natura non era altro che la quiete precedente alla tempesta; forse la foresta cercava, magnanima, di lasciar vivere ai suoi abitanti gli ultimi momenti tranquilli trascorsi al suo interno. Che spirito dolce la ispirava! O, al contrario, voleva farsi beffe di loro, sciocchi mortali, facendo credere che fosse ancora tutto come prima, che nulla fosse cambiato.
«Buongiorno, mamma!» La vocina allegra di Sofia, che stava scendendo lentamente la scala di corda, ancora intorpidita dal sonno della notte, la fece tornare alla realtà.
«Buongiorno, tesoro. Hai dormito bene?» disse Anita, rivolgendo un grande sorriso alla bambina appena scesa dalla piattaforma e porgendole un cesto pieno di frutti esotici, che avrebbero mangiato a colazione.
Dissimulare. Così si era promessa di agire con i suoi figli, come del resto faceva sempre: il pericolo era imminente ma solo pochi ne erano a conoscenza. Dopo la cattura della spia di Tes Gheisas erano girate delle voci, che tali erano rimaste: si diceva che fosse iniziata una guerra, che qualche altro clan stesse per attaccare il loro. Ma era impossibile! Da quando Genew era al potere non era mai iniziata una guerra, grazie ai suoi comportamenti pacifici. Perché doveva verificarsi proprio ora?
Contro ogni aspettativa dei componenti del clan, invece, era proprio così.
«Sì, c'era molto silenzio stanotte: non si sentiva nessun rumore dalla foresta» sorrise a sua volta la bambina, prendendo un frutto giallo dal cesto della madre e addentandolo.
«Sofia» la richiamò Anita. «Potresti aspettare anche gli altri?»
«Ma mamma!» protestò la figlia. «Quelli là sono dei dormiglioni che non li sveglia nessuno!»
«Dai, ancora un pochino, va bene?» la esortò la madre, ponendole una mano sui folti ricci disordinati. «Dovrebbe venire a farci visita anche tuo fratello oggi. Ce la fai ad aspettare per lui, vero?»
Gli occhi azzurri della piccola brillarono per l'euforia: «Evviva! È da tantissimo che Kairos non viene a fare colazione da noi!» E così dicendo, iniziò a saltellare per la piattaforma, sprizzando gioia da ogni poro.
«Quanta felicità» ridacchiò Anita. «Non sei andata a fargli visita con Hermit anche ieri sera?»
«Sì, ma mangiare insieme è una cosa diversa» ribadì Sofia, con un tono che non ammetteva repliche. «Che bello! Sono tanto felice! Finalmente oggi torniamo a mangiare tutti insieme come una vera famiglia: magari Kairos si ferma anche per pranzo e poi anche per cena. Magari decide di tornare a vivere nel nostro oikarion!»
«Mi dispiace deluderti ma non penso sarà così» disse Anita, sedendosi di fianco a Sofia. «Kairos, lo sai, è molto felice adesso».
«E prima, con noi, non lo era?» chiese la bimba, piegando la testa di lato e sedendosi di fianco ad Anita.
«Ma certo che era felice; soltanto, adesso lo è di più» le sorrise e, guardandone gli occhioni, vide come fossero poco soddisfatti da quella risposta. «Quando sarai più grande capirai il perché: adesso, anche se te lo spiegassi...»
«Ma guarda, mamma, che lo so perché Kairos è tanto felice: me lo ha detto lui» la interruppe la bambina. «Lui ama tantissimo Raya. Bleah!» Sofia contorse la faccia, disgustata. «Rose dice che si sbaciucchiano tutto il tempo: che schifo! E poi sono così sdolcinati! Doppio schifo!»
«Di' la verità: ti dà fastidio che tuo fratello non ti rivolga più tutte le attenzioni di prima, vero?»
«Assolutamente no! Semplicemente si è messo a fare delle cose schifose, come baciarsi tutto il giorno con Raya. Pensa: lo fanno sulla bocca!»
«Mi sembra di ascoltare Rose in questi momenti. Non ti starai mica facendo influenzare, eh?»
«No no! L'ho capito da sola che fa schifo. E infatti io non lo farò mai!»
«Be', di questo ne riparleremo tra qualche anno» ridacchiò ancora Anita, ma bloccandosi quasi immediatamente. Tra qualche anno. Con quello che stava per succedere chissà se poteva davvero... No, non doveva mostrarsi preoccupata davanti a sua figlia: cancellò quei pensieri. «E poi non sei felice che il nostro oikarion sia diventato più spazioso? Se Kairos decidesse di tornare a stare con noi, saremmo di nuovo stretti».
Su quelle ultime parole Sofia rifletté un attimo: «Questo è vero. Allora lasciamolo pure a sbaciucchiarsi con Raya: dormire da sola, invece che con Hermit che non sta fermo un secondo di notte, è molto più bello!» disse, scoppiando a ridere un attimo dopo e attaccando la sua risata contagiosa anche alla madre: si ritrovarono in un attimo abbracciate a ridere insieme. Per quell'istante Anita dimenticò ciò che stava per accadere.
«Però mi manca, a volte» ammise Sofia, dopo il lungo momento di ilarità.
«Anche a me, tesoro». Con un gesto affettuoso Anita le accarezzò la guancia colorita e morbida.
«Allora oggi gli propongo un patto!» disse, determinata, Sofia. «Lui può stare con Raya anche tutto il giorno, però deve venire a mangiare da noi almeno una volta ogni due giorni. Altrimenti andrò tutte le mattine nel suo oikarion a svegliarlo con i pappagallini: lo posso già proporre a Hermit». Un rumore provenne dall'alto, attirando l'attenzione di Sofia. «Oh, guarda: eccolo là!»
Anche Anita guardò in su e vide il figlio minore che stava scendendo dalla scala di corda con la faccia stravolta dal sonno.
«Potresti anche salutare, eh, Hermit?» disse, divertita dalla sua espressione.
«Buongiorno» rispose con un filo di voce, un po' irritato, strofinandosi gli occhi.
«Hermit! Hermit! Hermit!» La sorellina iniziò a saltellargli intorno, esuberante come sempre.
«E non urlarmi nelle orecchie!» esclamò. «Già mi ha svegliato Rose. E il bello è che quella dopo si è rimessa a dormire! L'ha fatto solo per farmi uno scherzo, uno scherzo proprio brutto. Sono così stanco».
«Quanto ti lamenti!» Sofia alzò gli occhi al cielo. «Ho delle belle notizie! Oggi viene Kairos a fare colazione con noi!»
«Davvero?» Ci volle poco a risvegliare il bambino, ancora assopito. «Finalmente! Finalmente! È da un sacco che non mangiamo tutti insieme!»
I due iniziarono a saltellare e a correre insieme per la piattaforma. Con così poco riuscivano a essere tanto felici. Anita li guardò con tenerezza, mentre continuavano a ridere insieme: com'era bello il loro essere perennemente spensierati e contenti. Quei bambini, insieme al resto della sua famiglia, erano tutto ciò che le era rimasto, tutto ciò che le dava ancora un motivo per andare avanti, al costo di tacere tutte le sue vere emozioni per non dare preoccupazioni agli altri. Ma se loro fossero venuti meno, lei come avrebbe potuto fare?
«Ma il papà dov'è?» chiese a un tratto Hermit, ponendo un freno alla frenesia di qualche attimo prima. Tutte le mattine faceva colazione insieme a loro o, almeno, restava sulla piattaforma finché non li aveva salutati. Raramente se ne andava prima e ancor più di rado la situazione si ripeteva per due giorni di seguito.
Anita chiuse gli occhi: sapeva che prima o poi le sarebbe toccata quella domanda. Cosa fare? Dire loro tutto quello che sapeva? Aspettare che la notizia fosse resa pubblica? In un modo o nell'altro lo sarebbero venuti a sapere in giornata; era meglio che stessero tranquilli gli ultimi minuti o che sapessero subito la verità?
«Sarebbe brutto che venisse Kairos proprio quando non c'è il papà». Sofia fece da eco al fratello.
«È all'Oikìa, con Genew e gli Anziani» rispose Anita, cercando di mantenere la voce calma, seppur abbastanza seccata.
«Anche oggi? Ma ci è stato tutto ieri!» si lamentò Hermit. «Non esce più da là?»
«Ma sì che esce: torna soltanto a casa molto tardi, quando voi state già dormendo e si reca all'Oikìa quando voi non vi siete ancora svegliati. E fa tutto con estremo silenzio, per non disturbarvi» continuò la madre, la voce sempre più irritata.
«Ma cos'avranno mai da dirsi?» sbuffò Sofia.
«Mamma, c'entra quel neoteros che è stato ritrovato due giorni fa e che poi è scomparso?» la seguì Hermit.
«Non lo so, ragazzi, non lo so» irruppe la madre, alzando un po' troppo il tono: non riusciva a sopportare le domande dei due bambini, seppur assolutamente lecite. Guardò i figli, che si erano avvicinati l'una all'altro e la stavano osservando, quasi impauriti per il suo repentino mutamento d'animo. Sospirò: non poteva far passare loro quegli ultimi momenti spensierati arrabbiandosi. «Andate a chiamare i vostri fratelli, adesso» aggiunse, addolcendo un poco il tono della voce. «È ora che si sveglino. Poi aspettiamo che arrivino Kairos, Raya e i neoteroi, dopodiché potremo mangiare e prepararci per la giornata».
I due bambini si allontanarono in fretta e in silenzio, risalendo tacitamente la scala.
«Fino a pochissimo prima stava ridendo con me» bisbigliò la più piccola nell'orecchio del fratello, mentre la stessa domanda rattristava entrambi: cosa avevano fatto di male?
Hermit entrò per primo nell'oikarion, seguito subito dalla sorellina. Su due giacigli vicini erano sdraitai Rose, profondamente addormentata, e Iulius, che si era invece appena messo seduto: doveva essersi svegliato da poco.
«Ho sentito la voce della mamma un po' troppo forte: cosa avete fatto per farla arrabbiare?» chiese il fratello, emettendo un sonoro sbadiglio.
«Niente, te lo giuro!» si affrettò a rispondere Sofia.
«Le abbiamo solo chiesto perché il papà sta sempre in quelle noiosissime riunioni» continuò Hermit.
«Deve sapere qualcosa» rifletté Iulius ad alta voce, strofinandosi ancora gli occhi. «Qualcosa che non è positivo. C'entra sicuramente il neoteros dell'altro giorno... Alcuni che hanno assistito alla scena dicevano che Tes Gheisas vuole muovere guerra contro di noi».
«Come nelle storie che racconta Paula!» esclamò eccitata Sofia.
«Proprio così. Non capisco cosa potrebbe esserci di male» affermò Iulius, pensando a come quei mitici racconti potessero adesso diventare realtà. «Piuttosto, voi eravate là due giorni fa: cosa avete visto?»
«Nulla: quando Genew lo stava minacciando si è formata una grande folla che ci ha praticamente esclusi dalla scena» disse Sofia con una punta di delusione.
«E non si sentiva nemmeno: facevano tutti un gran casino!» la seguì Hermit. «A un certo punto ci hanno pure mandato via».
«Be', c'è la possibilità che non si tratti del neoteros allora. Potrebbe essere stato solo uno scherzo di quell'idiota di Pelia». Iulius continuò la sua riflessione. Era stato Pelia insieme a qualche suo amico, che dicevano di essere gli unici, oltre a Genew e a Rigel, che avevano sentito il discorso della spia, a mettere in giro la voce della guerra: non erano certo affidabili. Avrebbe voluto assistere lui stesso alla scena: almeno adesso avrebbero avuto la certezza su quello che era realmente successo.
«Iulius?» La sorellina si sedette sulle sue ginocchia, guardandolo negli occhi. Hermit era dietro di lei e anche lui osservava il fratello maggiore, in attesa di risposte.
«Dimmi, Sofia».
«Secondo te quindi sta per iniziare una guerra?»
«Se è quello che ha detto il neoteros, sì».
«E allora perché la mamma è preoccupata?» sbottò Hermit, pestando un piede. «In una guerra ci sono gli eroi, le battaglie, la gloria, i bottini. Le cose che la nonna Genew e gli altri eroi hanno vissuto tanti anni fa, come anche i Guerrieri del passato! Allora, Iulius? Perché?»
Iulius rifletté un attimo prima di rispondere. Oltre a ciò che aveva elencato Hermit, alla parola guerra si ricollegavano morte e distruzione: quello che aveva portato il suo clan per anni sotto la guida della nonna e a cui suo padre aveva deciso di porre fine. Un dubbio lo assalì: possibile che la situazione si fosse ribaltata?
«Non te lo saprei dire».
~
Anita guardava fisso davanti a sé; forse avrebbe dovuto dire tutto ciò che sapeva ai due bambini. Sarebbe stata una questione di giorni, in ogni caso. Anzi, la comunicazione sarebbe stata annunciata il prima possibile, appena all'Oikìa si fossero decisi. E, da come aveva detto Genew, lo erano già: non avevano alternative.
Era tornato tardi quella notte, ancor più del solito, dopo essere stato tutta la giornata a discutere con gli Anziani. A tutti era capitato di pensare che ciò che aveva provocato questo turbamento poteva essere stato il neoteros di Tes Gheisas ma nessuna informazione era trapelata dalle liane dell'Oikìa.
Anita lo aveva aspettato sveglia fino a quel momento, anche se più volte la tentazione del sonno si era impossessata del suo corpo: era preoccupata per il marito, che non aveva quasi più visto da quando la spia era stata catturata, e voleva sapere perché tenessero tutte le loro decisioni segrete, sebbene non concernessero il tesoro.
Genew era entrato nell'oikarion facendo attenzione a non svegliare i bambini, immersi in un sonno profondo e privo di turbamenti, e si era diretto verso il loro giaciglio. Si era sdraiato di fianco a lei, ma voltandosi dalla parte opposta: probabilmente non aveva neanche notato che fosse sveglia, stanco com'era.
La donna si era voltata a sua volta: non aveva il diritto di assillarlo con inutili domande quando doveva riposare. Sarebbe stato alquanto egoistico mettere in primo luogo la sua sete di conoscenza, a discapito della salute del marito. Certamente, lui non glielo avrebbe fatto pesare, e proprio per questo doveva essere lei a comprendere fino a che punto poteva permettersi di disturbarlo.
Quella notte era calma e pacifica. Neanche un filo di vento si insinuava tra le liane delle mangrovie e gli animali notturni era come se si fossero assopiti. Quella quiete avrebbe certamente facilitato il riposo a Genew, si era ritrovata a pensare. Tutto quello che sentiva nella stanza erano i respiri regolari e tranquilli come quella notte, provenienti dalle persone che l'abitavano.
Ma uno non lo era. Proveniva proprio dalla sua destra, dove era solito dormire il capo del clan. Era sconnesso, quasi fosse rotto dal pianto, seppur impercettibile. Anita si era girata nuovamente, ritrovandosi a fissare, sbigottita, la schiena di Genew, che compiva piccoli sussulti sporadici, di cui, se fosse stata tra le accoglienti braccia del sonno, non si sarebbe nemmeno accorta.
Non lo aveva mai visto piangere: era sempre stata lei quella a finire in lacrime per le cattiverie subite in quanto neotera e lui era sempre stato al suo fianco per consolarla. Adesso che la situazione si era invertita, cosa avrebbe dovuto fare? Non lo sapeva, ma non sarebbe certo rimasta lì a guardare, senza agire.
Si era avvicinata a lui, abbracciandolo da dietro e sussurrandogli all'orecchio: «Genew, cos'è successo?»
Il respiro di lui si era interrotto e il corpo irrigidito. Si era portato una mano verso la faccia, per strofinarsi gli occhi. Anita non si era mossa, attendendo una risposta dal marito e, dopo un tempo interminabile, quella era finalmente arrivata: «Ho fallito».
«Cosa intendi?»
Genew aveva esitato ancora un poco, ma, alla fine, si era girato dall'altra parte, guardando Anita con gli occhi scuri, ancora lucidi: «Te lo dirò, ma non qui».
Si era allora tirato su, mettendosi seduto, e si era alzato, presto imitato anche dalla moglie. Dopo essersi silenziosamente diretti verso la botola, erano scesi dalla scala di corda, fino ad arrivare sulla piattaforma sottostante. Lì si erano seduti e Anita si era avvicinata di più al corpo di lui. «Cosa stai dicendo, Genew? Cos'è successo?» Quel mormorio tradiva come il suo tono iniziasse a essere sovrastato dall'ansia.
«Non dovrei ancora dirtelo» aveva cominciato lui, la voce ferma e calda: non sembrava che pochi istanti prima avesse pianto. «Non vogliono che venga già divulgato perché pensano che ci sia ancora qualche possibilità. Anche io cerco di crederlo - non voglio gettare il mio popolo nello sconforto più totale - ma in cuor mio... so che non è così. Il neoteros che hanno trovato gli Avventurieri, come forse hai sentito, era una spia di Tes Gheisas e ci ha informati che vogliono muovere guerra contro il nostro clan. Attaccheranno quando la luna sarà a metà del suo ciclo calante». Aveva guardato in alto, tra le foglie degli alberi, verso la luna: non mancavano più di sei giorni. «Tra pochissimo, insomma. Di questo stiamo parlando da così tanto».
Il cuore di Anita aveva sussultato: da quando era giunta a Tou Gheneiou non si era mai verificata una simile situazione. Certo, al suo interno era presente il corpo dei Guerrieri e aveva spesso ascoltato, anche dal marito stesso, le storie del passato, che narravano le gesta degli eroi del clan. Ma la minaccia di un attacco non c'era mai stata.
Aveva osservato a sua volta il cielo, accorgendosi della beffa che la natura organizzava a loro discapito. Il firmamento era sempre il medesimo con le sue stelle brillanti che incorniciavano la regina della notte, la candida e argentea Luna, unica a subire un chiaro cambiamento, ogni notte, ma sempre costante, ciclico, prevedibile. Se ne stava lassù, in alto, lontana dalle questioni degli uomini, incastonata in un'eterna e incorruttibile perfezione. Con questa caratteristica, sembrava volesse rassicurarli: "Il mutamento è solo una vostra impressione: non è reale. Potete stare tranquilli: tutto resta come è sempre stato. Guardate me: ero così dieci anni fa, cento, cinquecento, mille, centomila! E non sono mai cambiata". Era sempre stata lì, a dar la certezza agli umani che esiste qualcosa che non cambia, ma che permane, immutabile, su cui potranno sempre far affidamento. Ma se le certezze, di cui gli uomini hanno tanto bisogno, sono lontane come il limpido etere, non fanno altro che ribaltare la loro funzione. Ecco allora che la Luna diventa solo uno strumento di scherno, che rinfaccia ai mortali la loro imperfezione, piccolezza, caducità e mancanza di significato, rispetto a un cosmo troppo grande per loro.
«Il problema è il nostro avversario» aveva continuato Genew, la voce non più calma come prima, ma appena più acuta e tentennante. Anita era stata colta da un altro sussulto: non solo non lo aveva mai visto piangere, ma nemmeno così alterato. Lui che le aveva infuso sempre tanta sicurezza ora sembrava così vulnerabile. «Quattrocento individui. Quattrocento! E tutti perfettamente addestrati a combattere! E ci attaccheranno tutti insieme. E le armi che hanno! Hanno spade di bronzo, e le punte delle frecce e delle lance sono di metallo!»
A sentir parlare di quel numero spropositato e di quelle armi si era sentita svenire. «Ma i nostri Guerrieri sono soltanto una trentina. E, anche contando quelli che hanno intrapreso il Percorso dell'Onore, non arriveremmo al loro numero. E le nostre lance sono solo delle pietre affilate».
«Infatti questa guerra è un suicidio». Genew aveva chinato il capo, coprendosi il volto con le mani.
«Che decisione... è stata presa?» aveva chiesto Anita, esitante: non era certa di volerlo sapere, ma ormai non poteva più restare in sospeso.
«Non possiamo fare altrimenti». Un preambolo conciso aveva dovuto anticipare l'amara sentenza finale. «Per avere poche possibilità di vittoria, dobbiamo far combattere più persone possibili. Quindi tutti coloro che siano ancora in grado di prendere in mano una lancia. Mentre tutti i ragazzini dai dieci anni in su faranno da staffette, secondo lo schema che abbiamo sviluppato».
«Ma Kairos, Rose e Iulius...» aveva mormorato con un fil di voce: non era abbastanza forte per crederci.
«Lo so».
«Ci sarà pure un'alternativa».
«Sì, far combattere solo quelli del Percorso» aveva detto l'altro, togliendosi le mani dagli occhi e scattando in piedi. «Ma la loro maggioranza numerica sarebbe schiacciante. Morirebbero tutti i nostri e il villaggio sarebbe invaso».
Anche Anita si era alzata, seguendolo. Dopo che lo ebbe raggiunto, Genew si era voltato verso di lei e l'aveva stretta a sé.
«Anita, potrai mai perdonarmi? Non sono stato capace di creare un mondo sicuro per i nostri figli e, anzi, li sto addirittura mandando a morire. Ho fallito... non solo come capo, ma anche come padre».
«Genew, non dire così» aveva espresso con forza la donna, sfiorandogli le guance ispide. «Ti prego, non pensarlo neanche. Tu non ne hai colpa. Sono invece certa che con la tua forza riuscirai a salvarci anche da questa tragedia. Sei forte, sei coraggioso, sei un ottimo capo. Tu riuscirai a salvare tutti noi».
Così gli aveva detto. E probabilmente lo aveva anche pensato. Da quando era arrivata sull'isola, lo aveva sempre ritenuto capace di qualsiasi cosa. Nulla era impossibile per lui. Ci sarebbe riuscito. Doveva riuscirci. Ma più ci pensava, più capiva che non sarebbe stato così.
Le lacrime che aveva trattenuto la sera precedente, per cercare di rassicurare il marito, iniziarono in quel momento a rigarle le gote con il ricordo di quel discorso.
Questa guerra è un suicidio. Questa era stata la sentenza più forte di Genew: suo marito, sempre positivo e calmo anche nelle situazioni meno favorevoli, aveva detto così. Se era lui stesso ad affermarlo, non c'era molta speranza.
Lei non avrebbe combattuto: non era mai stata in grado. Se almeno avesse potuto combattere, si sarebbe sentita meno inutile! Non avrebbe dovuto piangere sui corpi dei cadaveri dei suoi cari, cercando di tranquillizzare gli unici due che le sarebbero rimasti. Com'era vile! Lo era sempre stata, gliel'avevano sempre detto: in quel momento avrebbe preferito combattere lei stessa e morire, solo per non dover più soffrire.
All'alba che sarebbe sorta cinque giorni dopo, avrebbe visto partire il marito, insieme ai quattro figli maggiori. Non voleva immaginarsi il fatidico momento del saluto, ma era tutto ciò che la sua mente le proponeva. Lei, avvinghiata a lui con le lacrime agli occhi che gli avrebbero inzuppato la tunica da guerra, lo avrebbe implorato, urlando e piangendo senza ritegno, di non andare, di rimanere con lei, di non rendere orfani i suoi figli. Lo avrebbe esortato a scappare, loro sette, nei meandri delle mangrovie, lontano da tutto e da tutti, ma salvi, tutti insieme, e, soprattutto, felici.
«No» avrebbe risposto lui, con una sola lacrima che sarebbe scesa da una palpebra, dedicata con tutto il suo animo a lei e ai figli minori che stava per lasciare per sempre: non ci sarebbe stato tempo di piangere per lui. «Sono il capo, non posso abbandonare il mio popolo». Queste sarebbero state le sue parole alla vile proposta della moglie.
Poi sarebbero toccati i saluti con i figli: Kairos, sempre così dolce, l'avrebbe tranquillizzata, pur soffrendo lui stesso, avendo la consapevolezza di stare abbandonando il figlio non ancora nato. Rose lo avrebbe imitato: benché si mostrasse sempre senza sentimenti ed emozioni, li avrebbe impiegati tutti, pur di non vedere la madre così triste al loro ultimo incontro. Che cuore grande che aveva e che non manifestava mai! E infine Iulius l'avrebbe abbracciata forte, con tutta la tenerezza che manifestava sempre.
E poi? Cosa sarebbe accaduto? C'era anche solo una possibilità di vittoria? Se lo augurava con tutta se stessa, ma pareva solo una fantasia. E allora cosa le sarebbe successo? Cosa sarebbe successo ai suoi figli? Le lacrime continuavano a scendere, abbondanti, sempre di più, sempre di più.
«Sento sempre più fame».
«Puoi dirlo, Morag! L'ho già detto, mi sembra di morire».
«Ragazzi, potete smetterla di lagnarvi, che siamo quasi arrivati?»
Le voci di Kairos e dei neoteroi. Anita si tirò presto in piedi, asciugandosi meglio che poteva le lacrime: non poteva farsi vedere in quello stato. Era debole e lo sapeva, ma per i suoi figli doveva sforzarsi di non esserlo. O, almeno, non sembrarlo. Avrebbero continuato a vivere, almeno quell'ultimo giorno, cullati dal calore della tiepida e rasserenante luce dell'ignoranza.
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Tan tan taaaan!
Male malissimo! Peggio di così non può andare! Genew f farà tanto la spavalda, ma la verità è che i Gheneiou di guerra non sanno più niente da un bel po'... Questo non sarebbe un problema, a meno che non sopraggiunga un attacco, come in effetti accade... E allora, ecco che partono le domande importanti: come caspiterina farà il nostro clan preferito a uscirne fuori, quando sembra davvero impossibile? (Ah, piccola specificazione: all'Oikìa hanno già provato a proporre diverse soluzioni, per esempio una fuga di massa, ma tutte queste sono state bocciate. Ma ne parleremo meglio nel prossimo capitolo il 22.1: RICORDATEVI DI LEGGERE QUESTO PRIMA DI PASSARE AL 23!!!!!! ERGO ASPETTATE CHE VENGA PUBBLICATO). Vabbè, non ho molto altro da dire, questo capitolo è più di riflessione che altro: a questo proposito, spero vi sia piaciuto il piccolo inserto sulla luna, che, pur avendolo scritto prima di leggere Canto notturno di un pastore errante dell'Asia di Leopardi (una delle mie poesie preferite in assoluto *-*. Se non la conoscete leggetela, è un po' lunga ma merita davvero!), me lo ricorda un po' :)
E niente, ci vediamo al 22.1!
A prestissimo 🙃
~🐼🐢
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