21

[Può contenere scene violente e immagini forti]

Neanche una traccia di cibo. Bellatrix stava ispezionando la zona di destra della loro prigione nella vana ricerca di qualcosa da mangiare; ma non v'era assolutamente nulla a parte orribili insetti, di grandezza non certo insignificante, che le strisciavano di continuo sui piedi.

Non le avevano mai fatto particolarmente senso, anzi, non aveva mai compreso le persone che iniziano a urlare, solo vedendo un piccolo ragnetto o un innocuo scarafaggio. Ma quelli non erano certo piccoli e innocui: alcuni - li sentiva! - avevano le stesse dimensioni della pianta del suo piede. E poi erano innumerevoli! Tutto il pavimento era percorso in continuazione dalle loro zampette, così che era impossibile non calpestarli.

Ugualmente, andava avanti, cercando di non pensarci, per quanto fosse faticoso ignorare il liquido freddo, viscoso e maleodorante che le bagnava i piedi. Giunse così, continuando a stringere i denti e a tapparsi il naso, in una piccola grotta annessa a quella in cui erano capitati loro, dalla quale proveniva il rumorio delle zampette degli insetti intenso come quello di passi umani.

Preso un respiro per incoraggiarsi, si decise ad inoltrarvisi. L'oscurità era ancora maggiore rispetto all'altro ambiente, dove una minima luce riusciva a passare attraverso gli spazi irregolari della botola. Qui non si distingueva assolutamente niente: Bellatrix provò a dirigersi a tentoni verso la parete, accompagnata dal solito corteo di insetti e, scoprì con dispiacere, qualche serpente.

Il sibilo di questi si era mischiato al via vai dei passettini degli altri, impercettibili se presi singolarmente ma incredibilmente rumorosi tutti insieme. A ogni passo i piedi si coprivano di uno strato più spesso di quella sostanza appiccicosa emessa dagli insetti, mentre l'odore che si levava dai loro corpi in macerazione le impregnava le narici, nauseandola.

Continuava a procedere, doveva trovare qualcosa, capire come fosse strutturata la loro prigione, e i suoi compagni erano sempre lì ad accompagnarla, prendendo man mano più confidenza con lei. Un corpo le solleticò la pelle della gamba, salendo sulla caviglia e proseguendo verso l'alto. Non appena lo sentì a livello della coscia, la giovane, allarmata, scosse la gamba, liberandosene. Ma non fece in tempo a passarle il disgusto che provò subito la medesima situazione: un altro si stava arrampicando lungo la gamba opposta. Si comportò come prima ma non ebbe la stessa fortuna, ritrovandosi una fastidiosa puntura vicino al ginocchio.

E gli insetti non si fermavano: continuavano a salire su di lei, che più si muoveva e cercava di scrollarseli di dosso, più quelli diventavano aggressivi e le perforavano la pelle. Arrivò a perdere il conto di tutte le punture che aveva subìto.
"Non farci caso" si impose. "Su, che non è difficile ignorarli: basta non badare a loro e lasciarli andare dove vogliono che non fanno niente". Continuò a camminare, mentre le sue gambe dovevano essere state completamente tappezzate dai corpi delle blatte.

"Che mal di testa". Come se non bastasse, fitte incredibili provenivano da tutto il suo cranio, provocandole un gran senso di confusione: "Cos'ero venuta a fare qui? Ah, sì, controllare il luogo. Ma... perché? Ah, sì. Devo fuggire da questo sotterraneo immondo". Che fosse un altro effetto delle punture? Non era certa di essere in grado di ragionar lucidamente.

Arrivò alla parete, potendo finalmente appoggiarsi; il muro era polveroso e sporco ma, almeno, privo di insetti. Tirò un sospiro di sollievo e iniziò a tastarlo: magari lì vicino c'era un altro passaggio, che portava a una stanza più luminosa. Almeno, se lo augurava, mentre avanzava verso sinistra, continuando a toccare la roccia con una certa speranza. A un tratto qualcosa di grande e peloso si ritrovò sotto la sua mano. Si lasciò sfuggire un grido e istintivamente schiacciò la tarantola con violenza, sentendo la mano inondata dalle sue viscere.

Represso l'iniziale senso di nausea, si accorse subito di ciò che aveva fatto. Portò l'altra mano alla bocca, disperata: cosa le era saltato in mente? Come le aveva fatto notare Mijime, i bambini erano sopra di loro e potevano perfettamente ascoltare cosa stava succedendo. Aveva per caso attirato la loro attenzione con il suo grido? Con le corde non avrebbe mai potuto muoversi fino a quell'altra stanza: si sarebbero insospettiti? Sarebbero scesi a controllare? E a loro? Cosa sarebbe successo?

Si schiacciò contro il muro, quasi a voler essere assorbita da questo, incurante di star schiacciando altri insetti, e smise di respirare, come se quell'atto potesse dissuadere i bambini di sopra a scendere nel sotterraneo.

Ma un rumore un po' più consistente del sottofondo degli scarafaggi e dei serpenti rimbombò da un lato dell'ambiente, amplificandosi di secondo in secondo. Qualcosa si stava avvicinando a lei. Le gambe avevano iniziato a tremare, ma rimase nella stessa posizione, sempre trattenendo il respiro.

«Uh!» Un verso quasi di sorpresa giunse alle sue orecchie, un po' lontano da lei. E che verso... Era tremendamente familiare. Sospirò, sollevata, e si diresse verso la scimmietta che lo aveva emesso.

«Scimmia pestifera! Mi hai fatto prendere un colpo!» esclamò in un sussurro. Il primate, per tutta risposta, le saltò sulla spalla con un balzo veloce, avvicinandosi tanto che la giovane poté finalmente vederlo, distinguendone la solita espressione corrucciata, e iniziò a tirarle i capelli, come impazzito tutto a un tratto.

«E adesso che ti prende!» esclamò ancora Bellatrix, prendendo l'animaletto tra le sue braccia per provare a calmarlo: la sua irrequietezza, però, non si placava e quello non smetteva di dimenarsi tra le sue mani. Ma cosa lo aveva agitato tanto? E, soprattutto, come aveva fatto ad arrivare laggiù, da lei? I bambini non lo avevano gettato nel sotterraneo insieme a loro. Anzi, era da quando erano stati catturati che non vedeva più la scimmia. Ma allora...

Bellatrix non finì il suo ragionamento che Buz era già saltato giù dalle sue mani, iniziando a tirarle la veste per condurla verso un punto preciso della stanza. La giovane smise di opporre resistenza e si lasciò condurre dal primate.

L'aria si faceva meno stantia e anche gli insetti che percepiva sotto i piedi erano drasticamente calati; l'oscurità stava lasciando pian piano posto a una luce fioca.

Bellatrix si interruppe, incredula di ciò che aveva appena scoperto: aveva davvero trovato una via di fuga? Quello che si protraeva davanti a lei, da cui proveniva quella piccola luce, simbolo della sua speranza, era davvero il passaggio verso la salvezza e la libertà?

Sollevò il primate e lo strinse forte in un abbraccio: era stato davvero un amico! Lo riposò in fretta a terra: non era il momento di essere sdolcinati, doveva uscire da lì. Quella luce la attraeva così tanto... Ma prima che potesse spiccare un balzo in quella direzione le sovvennero le parole di Mijime: i bambini potevano essere nei paraggi e avrebbero potuto scoprirla.

Ma allora cosa doveva fare? Il suo buonsenso le gridava di tornare indietro, comunicare la sua scoperta al compagno e cercare di trovare insieme un modo intelligente per fuggire senza essere colti in flagrante.
Ma chi le assicurava che davvero, là fuori, in quel momento, ci fossero i bambini? Mosse qualche passo verso l'uscita: la luce non si intensificava; probabilmente era calata la notte ed era solo la luna a illuminare appena ciò che le stava intorno. Tese l'orecchio: niente. Nessun rumore, nessuna voce, neanche un suono di passi.

Perché trattenersi, allora? Doveva andarsene, al più presto! Però quella situazione era così paradossale: perché i bambini avevano lasciato un passaggio tanto evidente per di più non sorvegliato da nessuno? Erano davvero così sicuri che le corde con cui li avevano legati sarebbero state sufficienti? Non avevano immaginato che si sarebbero potuti liberare? Qualcosa non tornava: era tutto troppo perfetto e lei non aveva fatto niente per renderlo tale. Il reale, anche per i contorni sfocati che aveva iniziato ad assumere, sfuggiva sempre più nella dimensione onirica.

Ma pur con quei pensieri continuava a camminare verso l'uscita: a ogni passo scorgeva sempre di più la luce della luna. Doveva fermarsi, lo sapeva. Ma non voleva: una parte di sé, irrazionale e indomita, ignorava quella più logica, un istinto di sopravvivenza l'ammoniva di continuare, di non fermarsi finché non avesse riacquistato la sua libertà. Non sentiva più il rumore che emettevano i corpi degli insetti quando venivano schiacciati sotto i suoi piedi: perché tornare in quel luogo rivoltante? In quella prigione sotterranea non c'erano neanche dei mezzi per vivere. Perché doveva rifiutare la possibilità di scappare?

I suoi passi si erano fatti sempre più celeri, quasi il percorso verso la libertà non fosse più un semplice cammino ma una vera e propria corsa: doveva spendere il minor tempo possibile con la consapevolezza di essere imprigionata!

Non si guardava neppure più intorno: tutto quello che aveva in mente era il varco, ormai a pochi metri da lei. Si era dimenticata delle migliaia di insetti che aveva pestato nel sotterraneo, dell'enorme tarantola che aveva schiacciato, di Buz, che le aveva indicato la strada per la salvezza, dei bambini, di Mijime. Erano soli, lei e il passaggio che le avrebbe restituito la libertà: il resto era superfluo.

Sul suo volto, un semplice, ingenuo sorriso, che si allargava a ogni passo, proporzionalmente alla velocità con cui le sue gambe la facevano muovere. Era libera! Non ci poteva credere. Non aveva mai dovuto provare una simile esperienza prima d'ora, ma quella giornata le era bastata. Ma chi aveva tempo di pensare, quando la salvezza la attendeva a braccia aperte, come se volesse accoglierla? Bisognava solo abbandonarsi nel suo abbraccio, sicuro e pieno di amore: non doveva fare nient'altro.

Fu il rumore di una freccia a riportarla alla realtà, accompagnato da un verso che non aveva mai udito prima di allora. Si arrestò immediatamente e si voltò verso il luogo da cui aveva udito il gemito.

Nel corpo di Buz, poco più avanti di lei, era penetrata una freccia che gli aveva trapassato il ventre, bloccandolo a terra. Il primate cercava di dimenarsi e scappare, ma invano, e più si muoveva, più la ferita provocata dal dardo si ingrandiva: viscere e fluidi fuoriuscirono violenti. Il sangue non si arrestava più e scorreva impetuoso fuori dal corpicino. Presto, perse ogni sua forza e si arrese, lasciandosi cadere; tutto ciò che persisteva era il lieve rantolo che continuava a emettere dalla bocca.

Bellatrix rimase imbambolata a guardare quella scena che si sdoppiava davanti ai suoi occhi: non v'era solo un corpo ma ora due, ora tre, ora quattro. E si muovevano confusi, tra loro, riproducendo la stessa immagine raccapricciante... La giovane scosse violentemente la testa per recuperare un minimo di lucidità, che non sapeva dove avesse perduto. Doveva cercare di nascondersi adesso, prima che arrivassero coloro che avevano scagliato la freccia, ma i suoi piedi glielo impedivano, come a costringerla a continuare ad ascoltare il lamento dell'animale.

«Voglio tagliare!»
«Odio le scimmie, tantissimo!»
«Già, anche io».
«La mangiamo?»
«Perché no?»

Le voci dei bambini. Il sangue si gelò nelle vene di Bellatrix, che voleva sbattere il cranio contro la parete per la sua stupidità: cosa le aveva detto la testa? Era ovvio che quella situazione era fin troppo anomala. Ma la luce della libertà che aveva scorto... Non aveva mai percepito nulla di più importante di quel lume davanti a lei. Si riscosse: non c'era tempo per quei pensieri.

Finalmente riuscì a riacquistare il controllo del proprio corpo e, facendo attenzione a muoversi in silenzio, si spostò dal centro del passaggio, indietreggiando un po' rispetto alla sua posizione. Non poteva pensare di correre nella stanza principale in quel momento: l'avrebbero di certo scoperta. Notò allora che nella parete era stata scavata una piccola rientranza e subito sgusciò lì dietro: riusciva a nasconderla per metà. Tutto quello che poteva sperare era che i bambini non si accorgessero della sua presenza mentre era schiacciata contro la parete. C'era ancora abbastanza buio, nel punto in cui si trovava: forse l'avrebbe scampata.

Si appiattì contro il muro, respirando appena ma rimanendo ben vigile con lo sguardo. Perché solo adesso le erano tornati i soliti riflessi e la prontezza di un tempo, soppiantando la nebbia che le aveva prima offuscato i sensi?

La parte da cui erano giunte le voci iniziò a rischiararsi di una luce calda, che si faceva poco a poco sempre più intensa. Un'espressione di terrore si appropriò del volto della giovane. Non poteva essere vero! Con quella luce avrebbero sicuramente notato che stava cercando di nascondersi da loro. No, no, no! Non stavano davvero per...

«Danio, eri tu che dovevi richiudere il buco! Il Nobile Defe te l'aveva ordinato dieci giorni fa, subito dopo il crollo, lo ricordo bene!»
«Che bugiardo, Lenny! Eri tu!»
«Smettetela! Adesso lo ripariamo insieme, prima che lo vedano gli adulti! Menomale che quella scimmia schifosa faceva così tanto casino che ce ne siamo accorti».
«Va bene, Erika. Danio, corri a prendere delle armi grandi che lo chiudiamo».

La luce delle torce non si muoveva più: i bambini dovevano essersi fermati. Bellatrix sporse in avanti lo sguardo e vide quattro bambini intenti a spostare cumuli di terra con le loro armi e, a mano, massi più o meno grandi. Stavano richiudendo il passaggio. Sentì una fitta al cuore: la speranza di poter andarsene da quel luogo era ormai morta. Intanto però poteva ringraziare di essere ancora viva: con le idiozie che aveva commesso era la più grande conquista che poteva figurarsi in quel momento.

I tre bambini che avevano parlato continuavano a muovere la terra con le loro pale di fortuna. Finché fossero rimasti laggiù, non l'avrebbero notata e, per quanto ancora imprigionata, lei sarebbe stata salva. Era già abbastanza.

Ma il quarto moccioso aveva smesso di contribuire ed era girato nella sua direzione. Che l'avesse vista? Che l'avesse sentita? No, non stava guardando verso di lei: gli occhi strabici erano rivolti ai lati della parete da cui era nascosta, per quanto lo sguardo raggelante fosse puntato contro di lei. Ma se così non fosse stato? Il suo cuore iniziò a battere più forte: pregava con tutta se stessa che fosse tutto un malinteso, che quel bambino non si fosse accorto di nulla.

«Voglio tagliare!» disse a un tratto questo, senza distogliere lo sguardo. Bellatrix sentì le gambe cederle: non era possibile.
«Che dici, Joao?» Uno dei bambini si avvicinò a lui, iniziando a stringere gli occhi come a cercare di intravedere quello che stava osservando l'altro. «Non ci sono adulti in giro! È impossibile che siano quelli là: sono legati nel sotterraneo come dei salami».

Bellatrix si sentì sollevata: se anche quel piccolo psicopatico si era accorto della sua presenza, poteva sperare che i compagni non lo prendessero sul serio, essendo mezzo scemo.

«Voglio tagliare!» ripeté il bambino, più agitato.
«Meglio controllare».

Passi. Passi. Passi. Erano sempre più vicini. Dieci. Nove. Otto. Sette. Pochi metri ormai li separavano e, se la luce avesse soppiantato l'oscurità che la nascondeva tanto bene, non avrebbe più avuto scampo. Cosa poteva fare ancora? Non aveva altra scelta. In un ultimo, disperato tentativo di fuga, più dettato dall'istinto che dal senno, ormai andato perduto, Bellatrix scattò verso l'uscita.

Voci. Urla. Tutto era confuso. Non distingueva più nulla. Tutto ciò che riusciva a fare era correre via, nemmeno lei sapeva dove, ma lontano.
Intorno a lei, solo immagini indistinte: capanne, vie, alberi, la foresta. Niente più insetti, niente più spazi delimitati, nessun odore putrefatto nell'aria. Era libera?

Una fitta di dolore alla spalla. Un grido innaturale uscì dalla sua bocca. Le sue gambe crollarono: il male da sopportare era troppo intenso per continuare a correre. Il cervello le imponeva di non smettere e procedere, sempre dritto, sempre avanti, alla stessa velocità, ma il fisico non obbediva più.

Cadde sulla terra umida, portandosi le mani al punto in cui avvertiva il dolore, che non perdeva di intensità. Toccò un oggetto ligneo allungato che terminava con alcune penne di uccello: una freccia, di dimensioni assai maggiori rispetto a quelle che avevano scagliato quella mattina per addormentarla. La punta di metallo all'interno del suo corpo a ogni movimento le lacerava di più la carne.

Si portò una mano verso la ferita, provando a massaggiarla per diminuire il dolore ma era tutto invano: il male non scompariva, poteva solo aumentare. Afferrò allora il bastone della freccia e lo tirò, gridando ancora: non aveva mai sentito un simile dolore, ma non poteva fare altro. Doveva togliere il dardo al più presto, per poter scappare. Urlando sempre di più, alla fine si ritrovò la freccia tra le mani e subito si poté rialzare. Ma era già troppo tardi.

«Bastarda! Come diamine hai fatto a liberarti?!» I bambini erano di nuovo dietro di lei. La accerchiarono e la colpirono con i bastoni delle lance perché tornasse a terra. Bellatrix cercava di difendersi ma il suo corpo aveva smesso di rispondere, stremato: era finita, questa volta davvero.

Non resistette ai colpi e le sue ginocchia cedettero di nuovo, immergendosi nel pantano della foresta. Due ragazzini si affrettarono ad afferrarla per le spalle, ghermendone la ferita: Bellatrix tornò a urlare e in risposta uno di quelli le sferrò un calcio sulla schiena.

«Così pensavi di scappare e tornare a essere felice?» disse un altro, rimasto davanti a lei. Si tolse la maschera; la giovane, non più capace di distinguere i particolari, colse l'odio con cui quel bambino la stava guardando. «Allora lo vedi come è brutto essere imprigionati, stupida adulta? Però tu potresti riuscire a tornare libera. Non è giusto! Io te lo impedirò, te lo impedirò per sempre. Perché tu puoi avere di nuovo il diritto di essere felice, mentre noi no? Non è giusto! Non è giusto! Anche tu! Anche il tuo compagno! Tutti, tutti voi dovete essere infelici, proprio come noi! E te lo giuro su tutto quello che vuoi: proprio come me, non proverai mai più la sensazione che viene chiamata felicità».

Di cosa stava parlando quel ragazzino? La vista di Bellatrix aveva iniziato a offuscarsi, come anche il suo udito. Cosa voleva dire quello?

«Joao, dammi quell'arma» comandò ancora. «Adesso sono io che voglio tagliare».

Il bambino strabico porse la sua ascia al compagno, che la prese in mano e la portò dietro la schiena, brandendola.

Il dolore che le aveva procurato la freccia poteva sembrare una carezza, in confronto a quello che sentiva provenire adesso dalla zona più bassa delle gambe. Improvvisamente aveva riacquistato i sensi, perché potesse percepire quel male atroce che iniziò a diffondersi anche in tutto il resto del corpo. Persino la gola aveva iniziato a dolerle, lacerata dall'urlo sovrumano emesso al momento dell'impatto della lama contro la sua pelle.

~

Tutto tacque.

Mijime non perse un attimo di tempo. Corse subito nella direzione da cui era giunto il grido. Ora i più cupi pensieri occupavano la sua mente: quell'urlo non poteva essere stato causato da una normale ferita o da uno spavento. Nel migliore dei casi poteva essere sopravvissuta a qualcosa di terribile provocato dai bambini. Ma questo qualcosa poteva anche averle procurato la morte.

Il giovane rabbrividì: se era morta davvero, solo la vita di uno di loro cinque lo separava dal suo ultimo giorno. Aveva paura. Solo poco prima aveva ripensato a ogni suo progetto, ogni suo buon proposito: sarebbero stati vanificati nel nulla! No, non era il momento. Doveva concentrarsi su ciò che era accaduto a Bellatrix.

Tornò nel sotterraneo principale, anche questo immerso nel silenzio più totale. Sforzò la vista per controllare in ogni angolo: nulla, non c'era traccia della giovane. Si avviò verso le parti che avrebbe dovuto ispezionare lei. Due corridoi, speculari e identici a quelli che aveva visitato lui, a parte per il numero di insetti ben più significativo. Ma di Bellatrix neanche l'ombra.

Stava proseguendo verso i meandri di quel sotterraneo, quando percepì una luce fioca alle sue spalle. Tornò nell'ambiente principale: la botola dentro cui erano caduti era stata appena aperta e il bagliore lunare vi entrava attraverso, illuminando per la prima volta quel luogo oscuro.

«È... morta?»
«Meglio, no?»
«Lenny, sei stupido! Le maghe ci avevano detto che non potevamo uccidere nessuno, altrimenti...»
«Mica l'ho uccisa, ho solo tagliato. Se muore non è colpa mia: non era mia intenzione».
«Voglio tagliare!»
«Sarà per la prossima volta, Joao. Intanto, gettala dentro».

Un corpo cadde, inerme, al suolo, accompagnato da una cascata di sangue. Mijime era abbastanza lontano da non essere visto dai bambini di sopra, ma non troppo per non riconoscere la folta chioma di capelli ricci e neri. Il suo respiro aveva iniziato a essere più affannoso: non riusciva ancora a realizzare. Sulle pareti delle sue narici si era impresso quell'odore ferroso che tutti sanno distinguere e che, in quel momento, proveniva proprio dalle membra precipitate.

Sentì dei passi provenire da sopra: i bambini se ne stavano andando. Il giovane ne approfittò per muoversi dal punto cieco in cui era rimasto nascosto verso il corpo che era stato buttato come un oggetto nella prigione. I ragazzini avevano dimenticato la botola aperta e la luna illuminava ancora la pozza di sangue che si stava allargando istante dopo istante sul terreno polveroso.

Mijime si inginocchiò vicino al liquido vermiglio, ignorando l'odore pungente che emanava. Con orrore appurò quello che, pochi istanti prima, gli era sembrata una semplice svista da parte dei suoi occhi; invece, suo malgrado, ci aveva visto bene. I piedi della giovane erano stati tranciati a livello delle caviglie con un taglio netto e preciso e dai monconi rimasti fuoriusciva, senza fermarsi, il sangue scarlatto.

Il giovane non perse tempo ad ammirare quello spiacevole spettacolo: non era certo un medico, ma non poteva restare a guardare. Lì vicino erano rimaste le corde con cui erano stati legati; senza aspettare altro, le afferrò e le strinse con forza a quello che era rimasto delle caviglie della compagna, cercando di bloccare l'emorragia.

Tolse poi dalle mani della giovane i pezzi di stoffa che quella si legava intorno agli arti, per evitare di prendere le schegge degli alberi. Erano due ritagli di pezza abbastanza grandi da fungere anche da benda. Li aprì, vedendo suo malgrado che erano intrisi di sporcizia: non poteva fare molto altro, quindi li girò dal verso che non stava abitualmente a contatto con il terreno e asciugò i due monconi dal sangue in eccesso, che stava iniziando, lentamente, ad arrestarsi. Forse era riuscito a intervenire in tempo. Forse era salva.

Ma quando vide che il sangue non sgorgava più, fu assalito da un attacco d'ansia: e se il liquido avesse iniziato a fermarsi perché il cuore stava smettendo di battere? Si precipitò verso la parte alta del corpo di Bellatrix e le pose un dito sotto il naso. Un soffio caldo, appena percettibile, lo tranquillizzò.

Tornò all'operazione: prese dalla tasca interna della camicia il vasetto con la lozione di Anita e tolse le bende ricoperte di sangue dalle gambe di Bellatrix. Soltanto adesso, senza più la sollecitudine precedente, poté soffermarsi a osservare ciò che le era stato fatto: con la circolazione bloccata dalle corde, il sangue aveva smesso di uscire e si distinguevano chiaramente i diversi tessuti che componevano la caviglia e le ossa, brutalmente tranciati.

Non era la prima volta che Mijime assisteva a un simile macello e all'inizio non si era neanche scomposto alla sua vista, agendo, al contrario, in maniera fredda. Ma ora, che poteva essere più tranquillo, avendo compreso che la situazione non era più critica come poco prima, non riusciva a distogliere lo sguardo da quello scempio.

Avrei potuto essere io. Questo pensiero gli rimbombava in testa; se fosse andato lui a destra, invece che lei, adesso sarebbe stato al suo posto, inerme, moribondo. E lei sarebbe riuscita a medicarlo celermente e senza disgustarsi?
Avrei potuto essere io. Avrebbe potuto essere lui a essere privato per sempre della libertà di muoversi, proprio come era accaduto a quei bambini.
E chi gli assicurava che non sarebbero tornati? Chi poteva affermare con certezza che un giorno, per noia, non avrebbero deciso di scendere, per divertirsi, questa volta, con lui?

Si riscosse: non aveva ancora finito di medicarla. Per quanto le sue cure potessero essere superficiali e, forse, anche errate, era pur sempre meglio che lasciare il suo corpo in preda al destino. Aprì il vasetto della lozione: era pochissima, bastava appena per ricoprire i due monconi con una patina leggera. Se avessero subìto altri danni, non avrebbero potuto salvarsi un'altra volta. Sempre supponendo che sarebbero riusciti a giungere a un'altra volta.

Spalmò con delicatezza la crema sulla carne viva, mentre la sua mente si immergeva in pensieri sempre più pessimistici: se anche fossero riusciti a sopravvivere, come avrebbero potuto scappare da lì? Già sembrava un'impresa per due persone in piene facoltà fisiche: con una incapace di muoversi da sola la difficoltà non poteva che aumentare. Era ovvio che non ne sarebbero venuti fuori. Ma come avrebbero potuto sopravvivere, allora, senza acqua e cibo?

Finì di spalmare la lozione e riavvolse le caviglie perché non si sporcassero con il terreno polveroso. Non sapeva cos'altro potesse fare ancora. E se le due ferite si fossero infettate? In quel caso non avrebbe più potuto intervenire. Si sentiva così impotente, così inutile. E se non era riuscito a medicarla correttamente? E se fosse sopraggiunta un'infezione che non era in grado di contenere? Poteva morire. La responsabilità sarebbe stata sua, per la vita di entrambi, essendo così indissolubilmente collegate.

Il respiro iniziò ad accelerare e diventò presto affannoso; il cuore, condizionato da quei pensieri, iniziò a battere più velocemente.

Quella terribile sensazione... Era anni che non la provava più. Ma ricordava le notti passate a cercare di calmare il suo cuore che sembrava scoppiargli nel petto dal terrore, il respiro che da un momento all'altro pareva voler fermarsi. Quella stessa sensazione la sentiva adesso: per darle un nome, paura era un eufemismo.

Tornò a girarsi verso Bellatrix, concentrandosi per la prima volta sul suo volto. I lineamenti erano rilassati, non più in tensione come poco prima e la cosa lo tranquillizzò: la lozione di Anita doveva averle portato sollievo. Per ora la giovane sembrava star dormendo normalmente. Le pose di nuovo un dito sotto il naso per confermare quello che aveva appurato prima: era ancora viva.

«E così anche a te è rimasta solo lei» disse con un tono apatico, sospirando sonoramente. La vita... Quella di lui era appesa a un filo, sopra a cui pendeva un'enorme ascia, retta a sua volta da un solo, sottile, pezzo di spago. Però era ancora lì, e, finché fosse rimasta, l'avrebbe tenuta stretta: aveva fatto una promessa a se stesso e non poteva venire meno alla parola data.

Intanto erano ancora vivi: per quel giorno poteva bastare.

~

Lo avevamo detto che non sarebbe stato particolarmente family friendly. Be' adesso diteci un po' cosa ne pensate voi. Siamo curioseee. Per quanto riguarda i nostri prodi eroi, come pensate riusciranno a scampare a questa situazione? Anzi, riusciranno a scampare a questa situazione? Entrambi, intendo. È ovvio che uno dei due lo farà, altrimenti tanti saluti a Tou Melitos.
Appunto giusto due cosette, che spero si siano dedotte anche dal testo: Bellatrix non era per niente in sé, a causa delle punture di insetti, che le hanno causato un effetto simile a quello della morfina. Ho cercato di calcare particolarmente su questo particolare quando ho scritto degli insetti. Spero sia abbastanza evidente 😅. Per favore, datemi una conferma, altrimenti ditemi se devo migliorare un po' questa parte (la mia incertezza non verrà mai a mancare yeee!) Inoltre, sempre su Bellatrix possiamo notare tre cose
1) la donna dai capelli neri che viene sempre ad ammonirla non si fa viva. Sarà sempre a causa delle punture di insetto o di qualcos'altro?
2) perché cerca così tanto di raggiungere la luce? Certo, vuole tornare a essere libera ma... sarà davvero solo questo? Provate a dire 🤪
3) dice che è la prima volta che si sente in prigione... Ma è davvero così? Non erano gli stessi ragionamenti che aveva appena giunta sull'isola? Cosa se ne può dedurre allora? L'isola non le pare più una prigione? Oppure sì, ma è solo passata in secondo piano? Oppure ancora ha dimenticato di essere all'interno di una "prigione di prigione" sempre a causa degli insetti?
Tutte le vostre domande saranno soddisfatte nei prossimi capitoli ma lasciamo prima un po' di spazio agli altri personaggi: i nostri amici disperatizzzzzzzimi dovranno aspettare.
E detto questo, vi salutiamo e vi auguriamo tante belle cose!
~due sadichelle 🐼🐢

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