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«Capitano, non le pare... strano?» chiese il direttore di macchina con una certa preoccupazione, rivolgendosi al capitano Villa; ai margini della grande cabina di comando, aveva intenzione di parlargli del problema che stava notando da un po'. «Siamo partiti stamattina alle nove e mezza e secondo la nostra rotta, ora che sono le quindici, dovremmo essere ormai da un po' in vista...»

«Di Cannes, lo so» disse lapidario l'altro, scrutando l'orizzonte, occupato solo dalla vastità del mare. «Il GPS ha smesso di funzionare da qualche ora. Un inconveniente piuttosto insolito, non trova?» domandò retorico e appena sarcastico: del resto, come altro poteva comportarsi?

«Ma si può sapere dove siamo?» continuò l'altro, mentre l'ansia, che il capitano Villa era riuscito a mascherare, iniziava a impossessarsi di lui.
«Questa è una bella domanda» replicò il più vecchio, mantenendo sempre lo stesso tono.
«Provo a chiamare le basi a terra?»
«Ho già provato: tutto inutile».

Tra i due calò il silenzio. Il direttore di macchina non sapeva cosa pensare. Cos'era successo? Perché? Come? E queste erano solo alcune delle domande che gli martellavano in testa. Più provava a rifletterci, più riteneva di essere diventato pazzo.

«Che assurdità!» scoppiò alla fine, quando la sua mente non resse più la sola presenza di quel fatto. «Non funziona nulla, non si capisce nulla: ma cosa vuol dire?! Questa roba può succedere in un film di fantascienza, mica nella realtà. E i passeggeri? Cosa diremo loro appena se ne accorgeranno?»
«Per ora sono tranquilli» continuò senza scomporsi il capitano, lanciando un'occhiata alla terrazza sottostante, su cui una buona parte di loro si stava divertendo, ignara. «Avranno già perso la cognizione del tempo... Quello che mi preoccupa è il resto dell'equipaggio: speriamo solo che notino la cosa il più tardi possibile».

L'ufficiale si sorprese dal comportamento negligente del capitano: lui, un uomo così retto e ligio al dovere, non era sincero con i suoi passeggeri e il suo equipaggio? Dove sarebbero finiti, di questo passo!
«Ma quindi non avvisiamo nessuno?»
«E a che scopo?» Il capitano Villa si strinse nelle spalle, come se si fosse rassegnato. «Tutto questo non ha alcun senso e, anche se rendessimo nota questa situazione, nessuno potrebbe aiutarci».

Per quanto il direttore di macchina non volesse ammetterlo, il capitano aveva ragione. A quella circostanza non avrebbero trovato alcuna spiegazione. Allora, cosa potevano fare?
«E adesso?» chiese ancora l'ufficiale, un po' titubante, quasi sperasse che il capitano avesse in mente un piano per tirarli fuori di lì.

Ma nemmeno quell'uomo sapeva cosa fare.
«Be', continuiamo a navigare».

~

Era ormai tardo pomeriggio nell'opulenta nave da crociera e tutti si stavano divertendo: si era creato un clima molto gradevole. La giornata proseguiva insieme alla navigazione e il solo rumore che si sentiva era quello della musica e delle voci dei presenti.

Quasi tutti si trovavano sul ponte principale, a sorseggiare il ricco aperitivo che la compagnia aveva deciso di offrire loro presso i tavolini del bar o direttamente nella grande piscina con tanto di idromassaggio. Qualcun altro aveva invece preferito trascorrere l'inizio della serata nelle sale all'interno della nave, che offrivano innumerevoli servizi, tra la spa, il cinema, il casinò, il teatro... Altri ancora si rilassavano nelle proprie cabine, con i comfort che queste potevano dare.

Sicuramente, qualsiasi fosse l'intrattenimento scelto, nessuno si sentiva oppresso da qualche problema. L'atmosfera della vacanza era ormai tangibile: i pensieri erano scomparsi e tutti erano alla sola ricerca della quiete. Tutti, o quasi.

Su un ponte a prua lontano da orecchie indiscrete si trovava Beatrice Miller, in compagnia di un milionario francese. Tra tutti i presenti sulla nave era l'unica persona che le interessasse, insieme al misterioso punto interrogativo che stava cercando, e la giovane aveva pensato di tenerlo per ultimo nella lista di persone da interrogare. Aveva già parlato con tutti i passeggeri e la situazione nella sua testa era ormai ben chiara: nel corso degli anni aveva infatti imparato a conoscere le persone e a capire chi fossero realmente già da un primo, all'apparenza frivolo, colloquio. Le bastava solo la conversazione con quell'uomo, per poter confermare le prime ipotesi che aveva formulato. In ogni caso, non c'era fretta: l'incarico sarebbe scaduto in un mese. La giovane però si era prefissata di finire il tutto entro quella settimana, e ci sarebbe riuscita: riusciva sempre in quello che si stabiliva.

«Monsieur Bournett» disse in un perfetto francese, richiamando l'attenzione dell'uomo e porgendogli anche il suo calice di champagne. Prima di poter entrare nel vivo della conversazione, aveva dovuto togliergli ogni segno di vigilanza, così lo aveva inebriato per bene, tra gli otto calici di vino - nove, a contare quello che gli aveva appena porto - e il suo atteggiamento docile e civettuolo, che sapeva essere tanto gradito agli uomini.

«Monsieur» lo chiamò ancora, con tono rammaricato. «Non mi sono accorta che fino ad ora ho parlato solo io. L'università è così importante per me, che non mi sono resa conto di averla annoiata con i miei racconti!»
«Ma si figuri, mademoiselle, anzi, è un piacere per me poter sentire la sua voce melodiosa».

Beatrice emise un risolino, coprendosi la bocca con una mano. «Monsieur Bournett, così mi lusinga» continuò, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi e voltando le spalle al francese, iniziando a guardare il mare di fronte a lei. Come aveva ipotizzato, l'altro si posizionò al suo fianco, diminuendo ancor di più la distanza che c'era stata tra loro in precedenza. La giovane si soffermò a guardarlo qualche istante: un uomo di cinquant'anni quasi totalmente calvo e con una fisionomia simile a quella di un topo. Poteva consolarsi con il fatto che, tra tutti quelli che le erano capitati, non fosse nemmeno il peggiore.

Distolse lo sguardo, per non sembrare troppo interessata, pur continuando a percepire gli occhi di Bournett puntati sul suo corpo. Storse appena il naso, ripetendosi mentalmente il perché stesse facendo tutto questo. Dopo quel piccolo attimo di smarrimento, la sua attenzione fu di nuovo per il francese: «Mi parli un po' di lei, allora: che cosa fa nella vita? Avanti, me lo dica, me lo dica!»

Sembrare il più possibile fragile, sciocca ed emotiva era funzionale alla riuscita della missione, per far abbassare la guardia agli uomini con cui doveva svolgere il proprio lavoro; oltre a questo, pareva che il genere maschile fosse attratto dall'atteggiamento giulivo che mostrava, insieme, ovviamente, al bell'aspetto di cui aveva piena consapevolezza. Era poi in grado di assumere un carattere completamente diverso dal proprio alla perfezione: era abile nella menzogna, tanto che a volte non sapeva nemmeno più se stesse recitando o se fosse davvero lei stessa. In ogni caso, se non lo fosse stata, non le avrebbero affidato questo caso, né tutti gli altri che aveva risolto con successo da quando aveva quindici anni.

«Se insiste tanto, mademoiselle» accondiscese Bournett, ridacchiando all'affermazione ingenua della giovane. «Diciamo che la mia occupazione è piuttosto... particolare» continuò a vantarsi, mettendosi in bella mostra davanti all'affascinante signorina inglese. «Sono il dirigente del casinò di Monte Carlo, uno dei più celebri al mondo».

All'improvviso Beatrice sbiancò: ecco che arrivava il culmine della sua recita.
«Il casinò di Monte Carlo?!» esclamò, fingendosi estremamente stupita e appena timorosa, quasi per anticipare ciò che avrebbe detto dopo. «Oh mio Dio. Ma non è quello in cui... Oh, tremendo, tremendo!»
Lo sguardo del francese si rabbuiò in fretta: «Dannati media, lo saprà già tutto il mondo se ne è al corrente persino lei!» Strinse la mano attorno al calice, in un improvviso impeto d'ira, per poi calmarsi, quasi non volesse destare sospetti. «Quanto ne sa, di questa faccenda?»

«Oh, non molto: non mi interesso tanto di quello che succede. Però, qualche giorno fa mi è capitato di sentire per caso le parole "Monte Carlo" e "terrorista" in una stessa frase, e subito mi sono spaventata tantissimo! Stavo per partire dalle mie tranquille campagne inglesi e giungere in grandi città, e con un terrorista in giro non ce la faccio a stare calma! Ma mi racconti di più».

«Be',» iniziò a spiegare il signor Bournett, «proprio la settimana scorsa è giunta al nostro sistema una mail minatoria - non sappiamo da chi - che diceva che, se non avessimo versato cento milioni di euro sul conto di un certo Edward Slim, un ricco industriale di Londra, si sarebbe verificata all'interno dell'edificio una sparatoria. Non appena abbiamo ricevuto la mail, abbiamo sentito degli spari: due omicidi. Per fortuna siamo riusciti a far intervenire tempestivamente le forze dell'ordine, che hanno individuato ben dieci tizi armati che dovevano essere sfuggiti in qualche modo ai nostri controlli. L'inglese poi è stato subito arrestato e processato, sebbene continui a reputarsi innocente; da quello che ho capito, i servizi segreti stanno indagando sul suo conto... Alla fine però i cento milioni sono ugualmente scomparsi. Non sappiamo ancora nulla, e non abbiamo capito il perché di tutto questo. Il casinò è stato momentaneamente chiuso, per le indagini, e, se non altro, ho avuto tempo per concedermi questa crociera: non può capire in che situazione snervante mi trovi!»

Chissà cosa avrebbe potuto dire il signor Bournett se avesse saputo che la giovane studentessa con cui stava parlando faceva parte di quei servizi segreti inglesi che aveva nominato e che il mittente di quella mail minatoria era proprio su quella nave. O magari sapeva già quest'ultima informazione? Prima di mandare la giovane in missione, i suoi superiori avevano provato a mettersi in contatto con Monte Carlo, non ottenendo però alcuna collaborazione: c'era la possibilità che lo stesso dirigente del casinò, o qualcuno di ben più potente alle sue spalle, fosse implicato nel caso. L'agente segreto Miller non vedeva l'ora di venire a capo di quell'interessante questione e scoprirne i moventi.

«E... e... il criminale?» continuò Beatrice sempre più concitata, pronta a raggiungere l'acme vero e proprio.
«Siamo ancora in alto mare».
«Quindi è ancora libero e potrebbe...»
«Purtroppo sì».

«Oh, che paura!» esclamò infine, abbracciando l'uomo di fianco a lei e premendo gli occhi contro il suo petto, senza però sfociare in un eccesso di emotività.

«Mademoiselle...» mormorò il francese con una leggera aria di rimprovero, pur mantenendo il gradito contatto fisico.
«Oh, mi perdoni» si scusò Beatrice, senza però allontanarsi dall'uomo, ma appoggiando la testa sulla sua spalla e sbattendo le palpebre mentre lo guardava negli occhi. «Sono molto sensibile per questi argomenti e talvolta mi lascio andare a reazioni simili anche con gli sconosciuti».

«Se preferisce parlar d'altro...»
«No, no, la prego, continui: non avevo mai conosciuto qualcuno che fosse così vicino a criminali veri. Non posso negare che, per quanto mi faccia paura, la cosa... mi ecciti un po'» confessò, sorridendo maliziosa all'ultima frase e iniziando a disegnare cerchi con l'indice sul petto del francese, per poi, finalmente, arrivare allo scopo di quella conversazione. «Avrei così tante cose da chiederle... Per esempio, potrei vedere la mail di cui mi ha parlato?»

L'uomo scoppiò a ridere, seppur in modo alquanto contenuto. Beatrice lo imitò, persistendo nel personaggio: non era certo preoccupata, sicura invece che, come sempre, alla fine avrebbe ottenuto ciò che desiderava. Il signor Bournett le sfiorò la guancia con la mano libera dal calice e le disse, riprendendola bonariamente:
«Mademoiselle, ma cosa dice? È qualcosa di estremamente privato».

«La prego!» insisté la giovane, con fare infantile. «Ormai ha iniziato e non può lasciarmi così in sospeso!»
«Con "estremamente privato" intendo che non posso lasciarlo scorgere neanche a un esserino innocuo come lei. È top secret» concluse incrociando le dita in una X, pensando che la signorina lo avrebbe trovato divertente.

Beatrice emise un risolino a tale scena, compiacendo il francese, che si gongolò, certo di essere riuscito a mettere buona la giovane conoscente con il suo fare scherzoso.
Ma quella tornò subito alla carica, avvicinandosi ancor di più alla sua faccia e mormorando, suadente, mentre le sue labbra quasi sfioravano il lobo di lui: il tono infantile di prima era già stato del tutto soppiantato. «Monsieur, le posso proporre uno scambio, allora? Vede, anche io nascondo qualcosa di estremamente privato». Terminò con un sorriso compiaciuto, spostando poi la bocca dall'orecchio del francese alle sue labbra e scoccando sopra di esse un lieve bacio.

Com'era facile sedurre gli uomini! Bastava adularli, farli sentire superiori e poi avvinghiarsi a loro, sfiorare con le mani le labbra, il petto, i capelli e continuare con cosucce del genere. E un uomo sedotto concedeva così tante informazioni... Nei casi più ardui bisognava andarci a letto per estorcere loro quelle più recondite, che avevano giurato si sarebbero portati nella tomba. Per questo il suo aspetto la facilitava molto durante le missioni e, se inizialmente aveva provato disgusto nel dover giungere a tanto per cavare dalla bocca anche poche ma importantissime informazioni, ormai ci aveva fatto l'abitudine. Dopotutto, pensava in continuazione, il fine giustifica i mezzi. E il fine era la giustizia, la vittoria della giustizia, sempre, ad ogni costo.

Si scostò un po' dall'uomo, voltandogli le spalle, accompagnata dalla solita risata, per accrescere ancora di più il desiderio del francese, che era già pienamente visibile. Ormai aveva abboccato alla sua trappola e, complice l'alcol, non sarebbe riuscito a uscirne molto presto.

Come aveva supposto, anche la sua preda iniziò a ridacchiare, gli occhi pieni di libidine. Si avvicinò a lei e la ghermì da dietro, in modo da poter sovrastare l'esile corpo della giovane. Com'era ingenuo: non si era reso conto che a tenerlo in pugno era lei. Le sollevò il mento con due dita, rivolgendolo di nuovo nella direzione delle sue labbra, e prese poi a baciarla, dapprima senza particolare enfasi, ma diventando, a ogni istante che trascorreva attaccato a quella bocca angelica, sempre più schiavo della cupidigia.

Beatrice rispose subito con uno slancio energico, chiudendo gli occhi per pensare ad altro in quel momento: giustificare le sue azioni non le permetteva anche di trarne sempre piacere. Tutto questo però era necessario, ed era giusto che si sottoponesse a ciò. Avrebbe potuto usare altri metodi, ma ci avrebbe impiegato più tempo e a lei piaceva riuscire a terminare celermente e nel migliore dei modi ogni suo compito. Qualsiasi minuto sprecato in un caso sarebbe stato sottratto alle indagini di un altro e non poteva permetterselo. La giustizia chiamava, in continuazione.

Con questi pensieri si alzò sulla punta dei piedi, facendo penetrare la lingua nella bocca dell'uomo e lasciando che lui esplorasse con avidità ogni parte del suo corpo. Affidò alla sua sola fisicità il compito di continuare a compiacerlo, mentre con la mente iniziò a viaggiare, lontano da quella nave, lontano dalla sua missione. Una donna, uguale a lei, se non per l'età, le sedeva di fronte. E sorrideva...

Un clamore assordante squarciò l'aria e il ponte della nave tremò.

La musica che fino a poco prima aveva allietato l'atmosfera in terrazza, e che aveva continuato a giungere leggera anche alle orecchie dei due sul ponte, si bloccò di colpo. Ogni altro rumore cessò. Nessuno osava emettere il minimo suono o fare il più piccolo movimento. Il silenzio era tale che gli altri respiri erano l'unico elemento che poteva essere udito.

Dopo un tempo che sembrò interminabile l'imbarcazione smise di tremare, lasciando però un presagio ancora peggiore: dalla chiglia della nave un pungente odore di benzina stava iniziando a elevarsi nell'atmosfera.

Beatrice, dopo i primi istanti in cui era rimasta interdetta, respirò profondamente per calmarsi da quel colpo improvviso, iniziando a elencare tutte le risposte possibili a quell'evento anomalo: un rumore assordante era giunto dallo scafo della nave, dunque doveva essere andata a schiantarsi contro qualcosa, presumibilmente degli scogli.

Mentre lei rifletteva, intorno a lei era scoppiato il finimondo: Bournett si era aggrappato al suo corpo, terrorizzato, e piangeva a dirotto come un bambino, altri passeggeri correvano dietro di lei, dimentichi di qualsiasi logica, e da ogni zona della nave si sentivano le urla disperate di altri ancora, che andavano ad accrescersi di attimo in attimo.

La giovane scosse la testa, provando a non fare attenzione al tumulto intorno a lei, per quanto fosse difficile: sebbene infatti la situazione fosse estremamente critica, non doveva lasciarsi sommergere dal panico. La lussuosissima Imperial era sicuramente provvista di scialuppe che li avrebbero portati in salvo.

Ciò che si chiedeva però era come avesse fatto un intero equipaggio, con tutti i radar di cui doveva essere fornita la nave, a non notare in precedenza la presenza delle rocce contro cui avevano sbattuto, che non dovevano neanche essere di esigue dimensioni, considerato il boato e il tempo in cui la nave era tremata tutta.

Inoltre, non doveva essere così difficile seguire una rotta già preimpostata: sicuramente non era stato scelto, durante la programmazione del percorso, uno pieno di secche e scogli.

Beatrice sentì il suo corpo improvvisamente pesante. La rotta non era stata seguita. Così presa dalla missione com'era stata, non si era ricordata che nel primo pomeriggio avrebbero dovuto fare una breve sosta a Cannes. Invece era ormai sera inoltrata. Ma perché? E perché nessuno li aveva avvisati?

La situazione stava entrando nel paranormale e iniziando a portare ansia nell'animo della giovane, che però continuava a cercare di calmarsi: tutto questo ora poteva sembrare insensato, ma avrebbe presto ottenuto una spiegazione logica, come ogni cosa. Anzi, era tutto chiarissimo: quel maledetto terrorista doveva aver saputo della sua presenza ed era riuscito a dirottare la nave da qualche parte a lui favorevole. Le sue abilità avrebbero certo fatto fronte a una simile possibilità, pur con maggiore fatica. Avrebbe immediatamente chiamato il suo quartier generale per informarli.

Proprio in quel momento, una folla di gente che stava correndo chissà dove, la travolse, schiacciandola contro la ringhiera che la separava dal mare: guardò inevitabilmente di sotto e subito sgranò gli occhi in un'espressione di terrore. Non aveva ancora constatato se effettivamente la nave fosse andata a scogli, l'unica spiegazione plausibile a tutto questo. Ma così non era stato: nessuna roccia si intravedeva nei pressi dello scafo, che però presentava ugualmente uno squarcio dal diametro di diversi metri. Da questo entrava, copiosa, una grande quantità d'acqua che stava iniziando a far inclinare la nave, a poco a poco, sempre di più.

Ma non poteva certo essersi formato da solo! Sforzò la vista il più possibile ma di scogli non ce n'erano, né sotto l'imbarcazione, né più avanti. Tutto ciò che era presente era la distesa del mare, non più calma come quando erano partiti, ma sulla quale iniziavano a intravedersi minacciose creste bianche.
All'orizzonte, il sole stava tramontando, lasciando alla notte il compito di allietare quell'insolito evento.
Da nord, un vento gelido piombò sulla nave, portando con sé una coltre scura di nubi.

Beatrice cercò di avvolgersi con le sue braccia per ripararsi dal freddo, mentre dalla terrazza le arrivava chiaro e squillante l'avviso di recarsi presso le scialuppe, ordinatamente e cercando di mantenere la calma. Ma i sensi della giovane si erano completamente inibiti per la domanda che continuava a rimbombarle nella mente: com'era razionalmente concepibile tutto questo?!

«Cosa sta accadendo?»

~

Matsuda si ritrovò sommerso dalla folla di passeggeri che si muoveva in modo scomposto sul ponte della nave. Aveva approfittato di quei momenti improduttivi per riposare nella cabina e, inconsapevolmente, si era addormentato, rimanendo in quello stato fino a quello che gli era sembrato un terremoto. Dopo poco gli era giunto alle orecchie il segnale dell'altoparlante.

"Di male in peggio". Non solo era stato costretto a imbarcarsi su quell'inutile nave ma questa vacanza si stava rivelando anche un'ulteriore scocciatura. Almeno, si consolava, avrebbe potuto tornare presto a un lavoro proficuo, lasciandosi alle spalle quel tanto odiato ozio. Pazienza per tutto il resto: avrebbe avuto altre occasioni. Sbuffando sonoramente si diresse nei posti indicati da alcuni membri del personale della nave, che spiegavano ai passeggeri la via per raggiungere le scialuppe.

Tra gente che correva, gente che spingeva, gente che piangeva, finalmente riuscì ad arrivare a scendere al ponte inferiore e a mettersi in fila, aspettando il suo turno per poter salire a bordo dell'imbarcazione più piccola. Mentre attendeva, iniziò inevitabilmente a riflettere su cosa fosse accaduto: dalla sua posizione non vedeva nulla che non andasse nella grande nave, che anzi gli pareva in perfette condizioni. Tutto ciò che notava era il cielo velato da nubi nere cariche di pioggia e da cui provenivano rumori non rassicuranti, presagio di tempesta.

«Moriremo! Moriremo!»
«È come sul Titanic!»
«Siamo spacciati!»

"No, non è come sul Titanic" sogghignò tra sé Matsuda, sentendo casualmente un'accesa conversazione tra due signore di mezz'età, alquanto impanicate per la situazione. "Se non altro, questa nave ha ogni genere di mezzo di sicurezza, comprese anche delle scialuppe... Proprio per questo non moriremo. Ma che seccatura!" Tanto per staccare la mente da pensieri molto più gravi di quell'incidente, prese ad ascoltare le due donne.

«Hai sentito che si dice? Un buco di dodici metri e mezzo!»
«Eh, no: io ho sentito venticinque. Hai idea di quanta acqua entri da uno squarcio così?»
«No».
«Abbastanza per far affondare la nave prima che saliamo tutti sulle scialuppe!»
«Che Dio ce la scampi!»
«E il bello è che si è formato dal nulla!»
«Come?»
«Il buco: non l'ha creato niente. È spuntato così, a caso».
«Impossibile!»
«Oh, ho così paura!»

Cosa poteva fare il panico nella mente delle persone! Distorcere in un modo simile la realtà! Di conversazioni simili Matsuda ne poteva sentire a destra e a manca, tra i discorsi dei disperati che urlavano la fine del mondo e quelli di altri sull'orlo del pianto; tutti erano allo stesso modo privi di logica: squarci enormi che comparivano per la volontà di una magia, una nave fantasma, l'equipaggio stregato e molto altro ancora. Certo che questa era la situazione più divertente che si sarebbe potuto immaginare per quella vacanza!

Finalmente fu il suo turno di salire sulla scialuppa: lo spazio non era tanto e si doveva stare attaccati gli uni agli altri; quell'ambiente chiuso stava diventando davvero claustrofobico, ma in simili condizioni ci si poteva adeguare a tutto. Passò diverso tempo, finché l'imbarcazione non fu quasi totalmente piena. Il giovane si rallegrò appena: in teoria avrebbe dovuto essere calata presto in mare e le sue orecchie non sarebbero più state logorate dalle perenni urla che provenivano dalla nave.

Ma era sopraggiunto anche un inconveniente: uno dei passeggeri era svenuto e doveva essere trasportato da due membri dell'equipaggio. Matsuda si sporse per vedere chi fosse l'idiota di turno e riconobbe l'imponente tedesco con cui aveva intrattenuto una conversazione proprio quella mattina. Il giapponese si prese la testa tra le mani, sperando solo che quell'incubo finisse in fretta: non chiedeva altro se non tornare velocemente a terra. Aveva affari da sbrigare e non poteva perdere così tanto tempo!

E, quasi il suo desiderio volesse essere soddisfatto, un colpo analogo a quello percepito in precedenza si abbatté contro la nave, lasciando una seconda volta tutti impietriti finché la scossa non terminò. I due marinai si sbrigarono a caricare il corpo del tedesco e, preoccupati essi stessi per la loro incolumità, fecero cenno che la scialuppa era piena perché fosse calata in mare. Mentre le corde che la sostenevano iniziavano a farla scendere tra le onde, anche i due presero posto.

Quando toccarono l'acqua, gli occupanti videro come la nave fosse già quasi totalmente immersa, ma di questa non importava già più nulla a nessuno: la loro vita era salva! Tutti iniziarono a gridare di gioia e a felicitarsi, tranne Matsuda, che continuava a tenere un atteggiamento indifferente, lo stesso che aveva mantenuto mentre era ancora sull'Imperial.

«Aspettiamo che siano pronte anche le altre scialuppe e poi ci allontaniamo da qui» disse uno dei marinai con loro, interrompendo l'allegria di quel momento e riportandoli alla realtà.
In breve tutti realizzarono cosa fosse accaduto: la nave stava affondando, con al suo interno tutti i beni dei passeggeri. E questa era tutta colpa dell'equipaggio!

La felicità si trasformò subito in rabbia, rivolta ai due marinai, ignari anche loro della situazione, tanto quanto gli altri passeggeri. Ma questi erano innanzitutto preoccupati di tutto il denaro che avevano versato per andare in una crociera di lusso e che era andato perduto: poco si curavano di come stessero davvero le cose.

«Allora? Perché tutto questo?»
«Dove andiamo ora? E chi tornerà a prendere tutta la roba che abbiamo lasciato là sopra?»
«Cosa è successo effettivamente, razza di incompetenti?!»
«Ehm... non... non lo so. Non... non è un affare che mi riguarda: dovrebbe chiedere al capitano».
«Una minima informazione la saprà anche lei!»
«Non lo so. Non so niente!»
«Ha idea del fatto che per questo motivo la sua compagnia potrebbe beccarsi una denuncia di quelle...»
«Ve lo giuro! Non so niente! E nemmeno i miei...»

Il marinaio aveva quasi iniziato a urlare per sovrastare la miriade di domande e minacce che gli venivano mosse contro, quando un tuono assordante scosse tutti i passeggeri stipati nella barca, mettendoli a tacere.

Il mare si stava ingrossando e, su una chiatta poco stabile quale era la loro scialuppa, era ancora più percepibile.
Una pioggia sempre più intensa si abbatteva contro la copertura sovrastante, insieme a un vento violento come nessuno aveva mai sentito. Tutti tacevano e stavano immobili, guardandosi i piedi e non sollevando lo sguardo: nessuno osava più fare una sola mossa, sicuro che un solo passo falso avrebbe determinato la loro fine.

Persino Matsuda aveva iniziato a preoccuparsi un minimo: una tempesta del genere non sarebbe neanche stato in grado di immaginarsela. Ma finché fossero stati sulla scialuppa non c'era da preoccuparsi: per quanto fosse instabile, infatti, non si sarebbe ribaltata facilmente, considerato anche il peso che portava al suo interno. Avrebbero solo dovuto aspettare che il temporale si fermasse.

Un altro tuono. E la pioggia sempre più intensa. E il vento ruggiva e sbatteva contro la vetroresina del tettuccio della barca. E ancora un tuono, sempre più potente. Ma Matsuda continuava a rassicurarsi: è stata creata apposta per resistere a tali intemperie; non può cedere.

Eppure i bulloni che tenevano ben fissata la copertura della scialuppa al resto dello scafo pian piano iniziavano a ruotare su se stessi, compiendo, mossi dal vento incontenibile, piccoli movimenti praticamente impercettibili a occhio umano... Eppure li compivano...

Uno di questi saltò in aria, accompagnato in fretta da quelli vicini, e il tetto si imbarcò in fretta, fino a venire via del tutto. Solo ora che non avevano più neanche una protezione, quegli sventurati potevano ammirare davvero cosa la natura fosse capace di fare. Onde gigantesche li sbattevano da una parte e dall'altra. L'acqua proveniente dal cielo si schiantava sul mare impedendo loro di percepire gli avvenimenti esterni. E il vento, quel vento spaventoso, continuava a urlare nelle loro orecchie, instancabile e potentissimo, tanto da coprire talvolta le saette tonanti.

Di fronte a una tanto grande maestosità, questi impotenti esseri umani cosa potevano? Mentre urlavano e piangevano sempre più angosciati, l'uragano continuava a fare il suo corso, sempre più potente e glorioso, continuando a portarli alla deriva, in chissà quale posto. Intanto, chissà che sorte era toccata alle altre scialuppe? Avevano scampato questo destino o erano incappate nella medesima trappola? Ma questo poco importava alla folla di persone ammassata sulla barca, che si preoccupavano solo di una cosa, ormai: la propria vita.

Un fulmine squarciò il cielo, illuminando per un attimo il mare in burrasca e la grande onda che stava per avventarsi sulla minuscola imbarcazione.

Matsuda, con i riflessi pronti, si tuffò in mare, prima che questo potesse travolgerlo e portargli via la cosa più preziosa che avesse. E una volta riemerso continuò a lottare, vedendo con i suoi occhi come il resto della barca venisse abbattuto in breve dalla violenza del pelago ruggente. Sentì lui stesso l'impatto che aveva avuto, rabbrividendo ma non perdendosi d'animo e perpetrando invece quella battaglia che aveva deciso di intraprendere contro la natura: le braccia e le gambe continuavano a muoversi frenetiche, solo per farlo restare a galla anche solo un attimo di più.

Le onde continuavano a tormentarlo, sballottandolo da una parte e dall'altra, senza dargli tregua: l'acqua violenta e superba cercava di afferrarlo e di trascinarlo nelle sue più oscure profondità, dalle quali non sarebbe riemerso. La volontà del giovane non avrebbe ceduto e, pur sentendo i marosi colpirlo e inondargli il naso e la bocca e le orecchie, sapeva che non avrebbe ceduto: non poteva morire per una tempesta! Non aveva ancora raggiunto il suo scopo.

Il suo corpo però non era altrettanto volenteroso: gli arti indolenziti chiedevano una tregua, anche solo di pochi secondi, per riprendersi dall'incredibile sforzo compiuto per restare a galla. Un simile atto avrebbe potuto portare al solo, desolante, destino che sembrava ormai inevitabile.

Ma la corrente volle essere clemente con lui e gli presentò davanti agli occhi l'unica possibilità di salvezza: una parte della vetroresina della barca, che il vento doveva aver tranciato dal resto della struttura, galleggiava di fronte a lui. Matsuda fece un ultimo sforzo per raggiungerla in fretta con alcune bracciate e si aggrappò ad essa, non mollandola più. Sputò l'acqua che le onde gli avevano fatto ingoiare e tornò a respirare, iniziando a recuperare un ritmo normale.

Tenendo una presa ben salda, si guardò subito intorno, ma davanti a sé poté osservare solo il mare procelloso che continuava a imperversare. Del resto, nessuna traccia. L'oscurità non gli permetteva di vedere molto in lontananza ma immaginava cosa potesse essere successo agli altri.

Scacciò quei pensieri, pensando invece che, ancora una volta, la vita era rimasta con lui: si strinse più forte alla vetroresina, quasi a intendere che tutto ciò che avrebbe fatto sarebbe stato per proteggerla. Non si sarebbe mai arreso. Anche se la distesa di acqua intorno a lui persisteva nella sua danza sfrenata, la sua forza d'animo non diminuiva, rafforzandosi invece, sempre più motivata.

Anziché chiedersi cosa sarebbe accaduto, si ripeteva soltanto: "Qualsiasi cosa accadrà, tu resterai con me". Dopotutto, era sopravvissuto a tanti avvenimenti: neanche quella volta il mondo si sarebbe liberato della sua irritante presenza.

~

Spazio autrici
Ed ecco anche la revisione del 2. Se prima i personaggi erano rimasti amorfi nella parte iniziale della storia, non osatelo dire ora! 😂😂
Scherzi a parte, abbiamo cercato di rendere nel migliore dei modi questo secondo capitolo, incentrandolo dai punti di vista di due personaggi chiave della storia... Non che siano gli unici, ma decisamente due dei più importanti. Speriamo vivamente che vi sia piaciuto e ci rivediamo presto con la revisione del 3 (:

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