16

Morag si trovava già sui rami intorno all'Oikìa prima che sorgesse il sole, accovacciato su uno di questi con tutto il suo equipaggiamento attendendo l'arrivo degli Avventurieri. I suoi occhi erano ben aperti e vigili e ispezionavano la piattaforma, ancora vuota.

Si lasciò sfuggire uno sbadiglio, dovuto alla notte trascorsa praticamente insonne per la troppa emozione. Era rimasto sveglio a festeggiare con gli altri neoteroi e i figli di Genew fino a tarda notte ma, tornato nell'oikarion di Kairos e Raya, non era comunque riuscito a chiudere occhio. Sperava solo che la sua stanchezza non avrebbe inciso sulla sua prima giornata di lavoro, anche se era certo di poter far affidamento su tutta l'adrenalina che aveva in corpo e che sembrava inesauribile.

La piattaforma iniziò a popolarsi di figure ancora scure nella penombra dell'alba, ma il giovane sapeva che non erano quelli che attendeva lui: a detta di Genew gli Avventurieri sarebbero giunti appena dopo le prime luci dell'alba. Era consapevole di essere giunto con largo anticipo, per paura di arrivare in ritardo, ma non vedeva il problema: avrebbe aspettato.

«Uh! Anche tu in anticipo, neotere». Una voce un po' gracchiante lo fece sobbalzare dalla propria posizione: ma chi poteva essere arrivato già a quell'ora? Alzò gli occhi e vide correre sul ramo il ragazzino che, come lui, aveva saltato la prima tappa del Percorso, fino a sedersi accanto a lui.

«Nekhen» disse, tendendogli una mano.
«Morag» rispose il giovane, afferrandola senza timore, al ricordo delle parole dei figli di Genew la sera prima, durante i festeggiamenti: «Sarai nella sesta squadra dunque... Mh, ti metteranno di certo con almeno uno dei nuovi. Se becchi Nekhen sarai fortunato: a parte il fatto che è troppo sicuro delle sue capacità, viene da una famiglia di fabbricanti - i suoi creano la maggior parte di oggetti in legno che vedi nei nostri oikaria - e non penso gli importi molto della questione dei neoteroi».

«Devi essere fuori dal comune se, da neoteros, sei già entrato negli Avventurieri» sentenziò il ragazzo, grattandosi il mento. «Sarei proprio curioso di vedere cosa sei capace di fare. In che squadra sei stato messo?»
«La sesta, ma ti assicuro che-».
«Fantastico! È la stessa in cui Genew ha messo me» affermò, tutto orgoglioso, ma subito cambiando tono. «Anche se... per quanto riguarda il capitano...» Non finì la frase, limitandosi a roteare gli occhi, tanto da far scomparire dietro le pupille.

«È così tremendo?» azzardò Morag, maledicendosi per non aver chiesto niente ai ragazzi la sera prima, quando aveva potuto. Non che sarebbe cambiato molto: la decisione di Genew era quella e non l'avrebbe certo mutata.
La risposta di Nekhen non lo calmò di certo: «È più scorbutico e sclerotico di una femmina di apireo con i cuccioli. Mia sorella è stata in squadra con lui per un solo ciclo lunare e ne ha avuto abbastanza per il resto della sua vita. È da trentadue lune che sta aspettando di essere promosso alle Sentinelle, ma Genew non sembra dell'idea e questo lo rende più insofferente di luna in luna. Sarah diceva che non faceva altro che sbraitare, arrabbiarsi e ancora sbraitare. Ogni volta pensava che gli venisse a mancare l'aria, ma a quel nanetto la voce non finiva mai».

«Se si tratta solo delle urla posso anche sopportarlo. Ma non è che inizierà a prendermi di mira perché... sì, insomma...»
«Perché sei un neoteros» completò Nekhen, squadrandolo in quel momento attentamente: quel termine non convinceva appieno nemmeno lui; per quanto i figli di Genew gli avessero assicurato che non gli sarebbe stato ostile, un minimo sospetto doveva covarlo anche lui. Era naturale. Morag si sarebbe impegnato per convincerlo del contrario. «Uhm... Non te lo saprei dire. Nella mia famiglia, a parte mia sorella e da adesso anche me, sono tutti fabbricanti e non li conosciamo bene quelli che hanno iniziato il Percorso».

«Allora possiamo solo sperare di sopravvivere» provò a scherzare il neoteros, cercando di mantenersi positivo: se era stato Genew a creare le squadre, doveva averlo di certo fatto con un criterio preciso e non casualmente; non lo avrebbe mai posto nello stesso gruppo di un capitano intollerante. Almeno, lo sperava.
«Buona fortuna a noi!» completò Nekhen, appena sarcastico, ma facendosi presto tornare il sorriso sulle labbra.

Il sole ormai illuminava la piattaforma e le Sentinelle avevano terminato di organizzarsi: i rami intorno erano occupati da diversi Avventurieri che Morag poté riconoscere dal giorno precedente, che aspettavano solo che la terza categoria di combattenti se ne andasse per poter dividersi a loro volta.

Molto prima di quanto potessero immaginare, le Sentinelle partirono per raggiungere i confini del clan e la piattaforma fu nuovamente libera. Morag e Nekhen si sbrigarono a raggiungerla e subito fu tempestata dagli Avventurieri, che si guardavano intorno, probabilmente alla ricerca del loro capitano.

Fu allora che Morag individuò per caso un ciuffo di capelli castani così voluminoso da far invidia a una qualsiasi ragazza: non poteva essere altri che Milo. Si affrettò a chiamare Nekhen con un colpo sul braccio e, quando poté vederlo anche lui, la sua ipotesi fu confermata.
«Buon Kreiton» sbuffò il ragazzo. «Eccolo qua, il nanetto».

Morag non lasciò che l'atteggiamento pessimista di Nekhen lo influenzasse e partì subito di gran carriera verso quello che sarebbe stato il suo capitano. Quando fu a pochi passi da lui, fece per salutarlo nel modo più energico e al contempo rispettoso che riuscisse a ottenere, ma quello lo bloccò di colpo, alzando un braccio.

«Sesta squadra Avventurieri?» si limitò a chiedergli, osservando a modo lui e Nekhen, un passo dietro a Morag. I due annuirono con vigore e Milo si dimenticò immediatamente di loro, riprendendo a scrutare la piattaforma, sovrappensiero. I giovani si guardarono straniti, alzando le spalle, ma era meglio non farsi molte domande o congetture in merito all'atteggiamento del loro capitano: prestissimo lo avrebbero scoperto da loro.

I minuti che dovettero aspettare in silenzio parvero interminabili: Morag non osava aprire bocca davanti a Milo per chiacchierare un po' con Nekhen, e nemmeno allontanarsi. Era costretto a starsene in silenzio ad attendere: forse quella era già una prova, per loro, cui voleva sottoporli il capitano.

Il giovane cercava di distrarsi, osservando gli intarsi della scala dell'Oikìa a cui non aveva mai fatto caso, ma il suo occhio finiva sempre per cadere sull'imponente chioma di Milo: come gli era stato anticipato da Genew e poi confermato da Nekhen, non era altissimo - Morag era certo di superarlo con tutta la testa - ma il ciuffo che si ergeva, mosso e cotonato, sopra la sua fronte, sopperiva di certo alla scarsa statura. Era davvero impossibile non guardarlo e altrettanto difficile era mantenersi seri: i capelli non scendevano infatti verso il basso, come doveva essere normale, ma andavano a formare una zazzera che gli circondava il volto come avrebbe potuto fare un'aura luminosa.

Altri due giovani sui vent'anni, Avventurieri già veterani, giunsero presso di lui, che riservò loro il medesimo trattamento. Senza scomporsi si accodarono al capitano, restando in silenzio ma lanciando talvolta qualche occhiata verso Morag, che cercò di non farci caso.

Passò altro tempo e la piattaforma iniziò a svuotarsi, finché non rimase solo una decina di individui. Milo dava chiari segni di irrequietezza, sbattendo continuamente il piede sulla piattaforma.
«Ne mancano due. Dove sono finiti, per tutti i daimona?» mormorava tra sé, a denti stretti.

Proprio allora videro correre un ragazzo e una ragazza che si stavano sbrigando per raggiungere gli Avventurieri il più velocemente possibile.
«Eccoli, i due ritardatari» mugugnò Milo, andando a piazzarsi davanti a loro, le gambe semi-aperte e le braccia poggiate saldamente sui fianchi.

«Sesta squadra Avventurieri?» biascicò. I due annuirono e Milo li squadrò con ancor maggiore severità. «Ottimo lavoro, ritardatari, soprattutto tu, novellino» disse, puntando un dito contro il ragazzo, uno dei giovani che era stato nominato la sera precedente. «Come ti chiami?»
«Pelia figlio di Se-».
«Bravissimo, Pelia. Ti sei presentato davvero bene, arrivando in ritardo e dandomi sui nervi di prima mattina. Sappi che avrò un'altissima stima di te, d'ora in poi».

Milo si girò, dando l'occasione al ragazzo di esprimersi in una smorfia di sfida, che cambiò in una di estremo disgusto non appena vide Morag.
Quest'ultimo rabbrividì, collegando il nome del ragazzo a un volto che gli ripassò in mente come un lampo: Pelia era presente quel fatidico giorno, quando loro neoteroi erano stati minacciati, e ricordava bene come avesse preso parte al clamore, finendo persino per scontrarsi contro Kairos. Essere in squadra con uno così... Nekhen era un po' scettico riguardo al suo essere neoteros, ma si era comunque mostrato piuttosto accomodante nei suoi confronti; Pelia non l'avrebbe mai fatto! Bastava solo che arrivasse un buon momento per lui che avrebbe fatto... Cosa avrebbe potuto fargli?

«Mi rivolgo soprattutto a quelli che sono stati appena nominati». Morag si riscosse dai suoi pensieri: gli altri non avevano manifestato il loro odio nei suoi confronti e già con questo doveva tranquillizzarsi. Pelia poi non poteva fargli niente: Genew aveva decretato che chiunque avesse cercato di far del male a loro neoteroi sarebbe stato allontanato dai territori del clan. Per Pelia la situazione non cambiava: che continuasse pure a guardarlo in cagnesco, allora! «Se pensate che il compito degli Avventurieri sia una passeggiata e che sarà stupendo perché potrete visitare l'isola fuori dalle mangrovie, cambiate pure idea, prima che sia troppo tardi. Il nostro compito non è solo quello di andare alla ricerca di qualche materiale fuori dall'area delle mangrovie, ma dobbiamo anche perquisire alla perfezione gli altri territori e, nel caso dovessimo trovarli insicuri, avvisare chi è più competente di noi. Dobbiamo tenere sempre gli occhi bene aperti e non lasciarci sfuggire nulla: come le Sentinelle e i Guerrieri abbiamo tra le nostre mani le sorti del clan, e per questo non tutti possono entrare a far parte della nostra categoria».

Si fermò un attimo, constatando che il suo discorso avesse attecchito.
«Io sarò il vostro capitano» proseguì. «Sarò io quello incaricato di prendere le direttive dai capi e dagli Anziani e fare loro rapporto su ciò che scopriremo. Voi, dall'altra parte, dovrete eseguire tutto ciò che vi dirò senza controbattere e senza lamentarvi. Se agirete di testa vostra, risponderete direttamente a me e vi assicuro che le mie punizioni non sono affatto piacevoli. Sono stato chiaro?»

«Sì» affermarono gli altri sei.
«Che sì fiacco» storzò il naso Milo, piuttosto irritato.
«Sissignore» ripeterono con quanto più fiato avessero.
«Meglio» bofonchiò il capitano, quasi soddisfatto, prendendo a girare avanti e indietro davanti ai giovani schierati di fronte a lui. «Finché le squadre non saranno rimescolate alla prossima luna e avrete me come capitano, non pensate certo che sarete coccolati come da una mammina. Sarò anche piccolino di statura, ma posso sfoderare armi molto più grandi di quelle che pensate».

Nekhen scoppiò a ridere sguaiatamente e all'improvviso le parole di Milo assunsero un significato tutto diverso da quello che dovevano avere. Morag, insieme agli altri cinque, dovette mordersi la lingua per evitare di ridursi come il suo giovane compagno, ora appoggiato alla sua spalla per non cadere a terra dalle risate.

Anche Milo si rese conto della sua ultima frase e arrossì violentemente, mentre l'aria burbera con cui voleva incutere timore ai suoi sottoposti si era dissolta.
«Oh, no» si lamentò infine. «Genew, Genew, mio anax, perché? Perché dovevi affidarmi un ragazzino nel pieno della pubertà?»

Nekhen continuava a ridere, ormai totalmente sbilanciato su Morag, ma Milo aveva ripreso controllo di se stesso.
«Tu, piccolo pervertito, che non sei nemmeno passato per i Cacciatori». Il ragazzo saltò sul posto dallo spavento, rimettendosi sull'attenti e impallidendo al pensiero di ciò che gli sarebbe accaduto. «Qual è il tuo nome?»
«Nekhen, figlio di Memnon e di Wanda».
«Fratello di Sarah?»
«Proprio lei, capitano».
«Molto bene, Nekhen. Non ho dato punizioni ai tuoi compagni che sono arrivati in ritardo e per equità sorvolerò anche sul tuo atteggiamento da ragazzino». Si avvicinò con un solo passo al giovane, gli afferrò la tunica e lo tirò verso il basso, così che i loro volti arrivassero alla stessa altezza. «Ma sappi che durante questo ciclo lunare crescerai, e un bel po'». Mollò la presa e voltò le spalle a tutti i presenti. «Possiamo partire» concluse, prendendo una liana e iniziando a spostarsi verso la vegetazione più fitta.
«Che meraviglia, mi ama già!» mormorò Nekhen nell'orecchio di Morag, per poi prendere subito lo slancio da una liana, insieme a tutti gli altri.

La velocità di quel gruppo fu ciò che stupì di più Morag, abituato com'era al ritmo zoppicante dei suoi compagni di clan. Gli Avventurieri invece adesso lo stavano persino distanziando, ma il giovane non si sconfortò neanche per un momento: prese un respiro e si impose di raggiungerli. Con uno sforzo non indifferente iniziò a muovere le braccia il doppio più veloce e presto fu di nuovo al fianco della sua squadra, giusto in tempo per ascoltare il discorso di Milo.

«Ieri Genew mi ha riferito che il nostro compito sarà portare ai costruttori diciotto vasi di resina, per rafforzare le strutture degli oikaria» iniziò a spiegare freddo il capitano, senza distrarsi dal suo moto veloce. «I contenitori li avevo già preparati ieri, ponendoli in un oikarion-magazzino tra le piante ai confini a Nord-Est di Tou Gheneiou. Innanzitutto dovremo recarci lì per poi spostarci nel bosco immediatamente sopra a noi. Porteremo due vasi a testa: mi auguro che tutti voi siate abbastanza forti da riuscirci, in particolare i due che non sono mai stati Cacciatori» concluse, marcando bene l'ultima parte della frase.

Era naturale che fosse sospettoso nei confronti dei due che ancora non avevano mai lavorato: dai suoi comportamenti giungeva evidente il proposito di far scontare loro una gavetta piuttosto dura, che Morag avrebbe accettato senza lamentarsi. Per come si era mostrato fino ad allora, Milo non gli dispiaceva come capitano: bastava solo seguire ogni suo comando e farsi vedere ben disposto al lavoro per non inimicarselo. Non aveva poi accennato al suo stato di neoteros e questo non poteva che recargli sollievo.

Dopo circa mezz'ora giunsero a un oikarion totalmente nascosto nella vegetazione: non era presente alcuna piattaforma mentre la struttura era incastrata nell'incavo di un tronco incurvato, dentro cui era situato il fulcro. Sotto, le piante erano così rigogliose da coprire la scala di corda da cui si poteva accedere alla costruzione.

«Tu, tu e tu» disse il capitano, indicando Morag, Pelia e la ragazza. «Non pensate che abbia già imparato i vostri nomi: non sono mica Genew. Voi tre, allora, andate di sopra e iniziate a portare giù i vasi: li ho radunati nella parte destra dell'oikarion. Trasportatene uno per volta e vedete bene di non farli cadere: sono contati e i vasai ci mettono una vita a farne di questo tipo».

Pelia e la giovane salirono per primi, subito seguiti da Morag, che, una volta immerso nella vegetazione, rimase incantato ad ammirarla. Era completamente circondato da fiori di ogni genere e colore: doveva essere il periodo di fioritura di quelle piante e la moltitudine di forme e colori dava un tocco magico al paesaggio, da cui il giovane non riusciva a staccare gli occhi. Morag era certo che non esistesse al mondo un luogo più spettacolare di quell'isola, per le bellezze naturali che presentava al suo interno: se anche fosse riuscito a percorrerla tutta, avrebbe sempre trovato qualche posto in grado di lasciarlo a bocca aperta. Ma, per quanto potesse essere straordinaria, era pur sempre una prigione che precludeva ai suoi detenuti un qualsiasi contatto con il mondo esterno e le cui guardie erano ambigue divinità: la bellezza era solo un involucro ingannatore.

Il neoteros si decise a proseguire, cercando di non lasciarsi distrarre, ed entrò dalla botola del magazzino, ritrovandosi all'interno di uno spazio buio e angusto, a causa dell'assenza di luce e della scarsa altezza del fulcro, che non permetteva a Morag di stare con la schiena dritta nemmeno nella parte centrale. A terra, tutt'intorno alla botola, erano poste decine e decine di vasi di varie forme e dimensioni.

«Ha detto di prendere quelli che si trovavano a destra di media grandezza, giusto?» mormorò quasi tra sé Morag, spostando lo sguardo in quella direzione.
«Taci, neotere» lo fulminò la ragazza, già entrata nella stanza e nascosta tra i vasi insieme all'altro: Morag, ancora sovrappensiero, non si era accorto della loro presenza.

«Non osare parlare mentre io e Kalè siamo con te» esclamò subito l'altro, accennando alla compagna. «Non vogliamo sentire una sola parola che possa uscire da quello schifo di bocca. Falso, adulatore, ipocrita...»

Morag continuò a guardare i vasi, lasciandolo parlare: per quanto quei commenti non gli facessero piacere, sapeva che, se avesse reagito in qualsiasi modo, tutte le colpe sarebbero state addossate contro di lui e nemmeno Genew avrebbe potuto intervenire.

Mentre Pelia continuava a blaterare, trovò i diciotto vasi di cui aveva parlato Milo, che avevano la particolarità di essere cosparsi di un materiale viscoso al loro interno, probabilmente perché la resina non si attaccasse. Se ne caricò uno sotto braccio, dirigendosi di nuovo verso la botola.

«Avanti, su!» disse il ragazzo, parandoglisi davanti. «Perché non reagisci? Lo so che vorresti tirarmi un pugno sul naso. Perché non lo fai?»
Dunque aveva visto bene: i due volevano fare in modo di essere attaccati da lui, per dimostrare agli altri componenti del clan che i neoteroi erano ostili e pericolosi. Ed era così stupido da credere che lui avrebbe abboccato alla sua trappola. Morag non si reputava certo un genio ma chiunque sarebbe riuscito a comprendere quel tranello banale.

Girò attorno a Pelia, senza degnarlo di uno sguardo, e, addossatosi alla botola, la aprì; iniziò quindi a calarsi per la scala di corda tenendo con cura il vaso e aggrappandosi con la mano libera al bordo. Stava per toglierla da quel punto e cominciare a scendere ma Kalè diede un vigoroso calcio alla botola, che andò a schiacciare le dita di Morag rimaste all'interno dell'oikarion.

Il giovane trattenne un istintivo urlo di dolore e si attaccò con l'altra mano alla scala di corda, per poter far uscire le sue dita dalla stretta della botola. Con un colpo secco le sottrasse dalla morsa di legno: erano arrossate e pulsavano, ma non sembravano essere rotte.

Tirò un sospiro di sollievo ma un grido che proveniva da sotto non gli diede il tempo di tranquillizzarsi.

«Idioti!» La voce di Milo risuonò potente fino alla posizione di Morag, che inorridì. Guardò le sue mani, entrambe attaccate alla scala di corda: del vaso non c'era più traccia. Doveva averlo lasciato cadere dal dolore per la mano schiacciata. «Siete tre idioti! I vasi erano contati! Vi avevo detto di stare attenti e invece... Venite subito giù!»

Morag non se lo fece ripetere due volte, consapevole che era meglio che Milo non si infuriasse ulteriormente, e, presa una boccata d'aria per incoraggiarsi, ritornò sulle liane dove erano rimasti gli altri membri della sua squadra, lo sguardo rivolto verso il basso ma non troppo da non riuscire a vedere ciò che si trovava dinanzi a lui.

Il volto di Milo era paonazzo dalla rabbia, alle sue spalle Nekhen, che scuoteva la testa con un'espressione accigliata: non avrebbe potuto fare nulla di peggiore, sembrava intendere. Ma quanto poteva incidere quell'errore? Era rimediabile, almeno?

«Milo! Capitano!» Prima che potesse lasciarsi scalfire da altre preoccupazioni, i giovani che lo avevano gettato in quella scomoda situazione si precipitarono a tutta velocità giù dalla scala di corda.
«È stato lui!»
«È stato il neoteros
«Devi punirlo!»
«Noi abbiamo cercato-».

«Non mi importa di chi sia la colpa!» tuonò il capitano degli Avventurieri, non lasciando loro la possibilità di spiegarsi. «Mi importa che in tre non siete riusciti a portare a termine un semplice compito che vi avevo richiesto».

«Ma noi non c'entriamo. È stato-» si lagnò ancora una volta Pelia, senza alcun ritegno; ma non fece in tempo a concludere la frase che si ritrovò sulla faccia la mano di Milo, chiusa in un pugno vigoroso.

«Che razza di bambini mi sono capitati questa volta». Milo alzò gli occhi al cielo, mentre Pelia cercava di raddrizzarsi, massaggiandosi il volto. «"Non sono stato io, è stato lui". Un discorso più infantile faccio fatica a immaginarlo. Che non senta un'altra volta lamentele di questo tipo. Ho intenzione di lavorare con uomini e donne, non con dei mocciosi! In quanto a te,» continuò poi, rivolgendosi a Morag, «non pensare che, non essendoti lamentato, sarai graziato. Adesso devo pensare a una giusta punizione che sconterete tutti e tre stasera. Per ora portiamo a termine...»

Milo continuava a parlare ma un piccolo e quasi impercettibile rumore della foresta distrasse l'attenzione di Morag. Guardò velocemente verso l'alto e scorse qualcosa di bianco scomparire tra le piante. Cosa poteva essere? Tra le alte mangrovie non vivevano i meranghi, né tantomeno gli apirei o i grandi felini delle basse, e al massimo si incontravano serpenti, uccelli, scimmie o altri esseri di piccola taglia. Ma ognuna di queste possibilità doveva essere esclusa: le dimensioni dell'essere non erano così esigue.

«Neotere, non ho intenzione di ripetere due volte». Milo lo riportò alla realtà. «Cosa stavo dicendo?»
«Là sopra c'è qualcosa» disse invece Morag, abbassando il tono della voce, completamente dimentico dei vasi, della punizione e del suo lavoro di Avventuriero: l'essere che si era nascosto tra la vegetazione non era molto più in alto di loro e avrebbe potuto sentirli.
«Risposta sbagliata» lo fulminò il capitano, mentre sui volti di Pelia e Kalè spuntava un sorrisetto compiaciuto. «E adesso ascolta...»

Un altro rumore: si stava spostando. Questa volta Morag riuscì a vedere meglio la figura: non era più solo un essere bianco indistinto ma, qualsiasi cosa fosse, era coperto da un tessuto azzurro chiaro. Non aveva mai visto una simile tinta in natura e non l'aveva mai osservata indosso a qualche componente di Tou Gheneiou: era un uomo, certamente membro di un clan nemico.

Morag iniziò ad arrampicarsi sulla liana, cercando di fare il minimo rumore ma procedendo ugualmente con velocità.
«Cosa stai facendo adesso?!» esclamò Milo mentre l'altro si era già distaccato.

Morag lo ignorò: avrebbe ricevuto una punizione più dura ma non importava. Qualsiasi cosa ci fosse lì sopra poteva essere pericolosa per Tou Ghenieou, forse una spia di un altro clan, a cui avrebbe portato informazioni preziose sulla posizione dei loro ospiti, sui luoghi di appostamento delle Sentinelle, su qualcos'altro che nemmeno inmaginava. Doveva bloccarlo il prima possibile!

Ecco intanto che l'essere si era spostato di nuovo. Probabilmente aveva sentito Milo gridare e ormai Morag non poteva più pensare di coglierlo di sorpresa.
Continuò a salire, le urla di Milo ormai solo un sottofondo, finché non fu nel punto in cui aveva visto per l'ultima volta l'essere. Alcuni rami erano spezzati tra la vegetazione: poteva essere realmente andato di là o poteva avergli semplicemente teso un tranello per poter scappare. Morag si inumidì le labbra, sempre più teso. Non sapeva chi si sarebbe potuto trovare davanti, se un esperto combattente o l'ultimo dei neoteroi, e tuttò ciò che poteva fare era affidarsi al caso: seguì la via spianata dall'essere ignoto, estraendo il coltello dal fodero e nascondendolo dietro alla schiena.

Rami intricati si aggrovigliavano dietro a quella fitta vegetazione e Morag si ritrovò su un tronco abbastanza largo; lasciò la liana alle spalle iniziando a guardarsi intorno, circospetto e pronto ad attaccare o a difendersi.

Per diversi istanti continuò a scrutare tra il fogliame, silenzioso come un predatore prima di attaccare la preda. E, dopo un tempo che gli era sembrato infinito, eccolo! Il tessuto azzurro celeste che aveva scorto prima dal basso ora era nitido e chiaro e chi lo stava indossando stava scappando verso la direzione opposta alla sua, sui rami più larghi, incespicando un po' nei punti più scomodi: non doveva essere certo un esperto di quei luoghi.

Morag afferrò una liana e si calò alla massima velocità contro quello. Sentiva lo sfregamento della destra contro la pianta, probabilmente la mano stava anche sanguinando, ma non importava; doveva raggiungere il suo avversario a ogni costo, prima che scappasse tra la vegetazione e fosse impossile da ritrovare. Gli fu presto addosso, lo atterrò e gli puntò il coltello alla gola, immobilizzandolo. Per la prima volta realizzò chi aveva attaccato, un ragazzo sui diciotto anni, con il viso infantile e la barba incolta. Ma era ciò che indossava che lo colpì maggiormente: una camicia azzurra piena di strappi su cui spiccava ancora un simbolo dorato e dei pantaloni di lino bianchi, anch'essi ridotti piuttosto male. Non poteva essere altro che un neoteros, proprio come lui, se non ancor meno esperto.

«Chi sei e cosa ci fai qui?» chiese Morag. Il ragazzo non sembrava particolarmente pericoloso ma se fosse stato davvero innocuo non lo avrebbe scovato mentre si nascondeva tra i territori di Tou Gheneiou. Non era certo un neoteros sperduto come erano stati lui e i suoi compagni: se lo fosse stato, non sarebbe mai riuscito a raggiungere quella porzione di foresta, a centinaia di metri dal suolo e lontana dalle sponde dell'isola. Non poteva essere altro che una spia.

Quello non si scomponeva, rimanendo impalato e rigido nella posizione in cui era stato bloccato, senza nemmeno provare a reagire e a difendersi. Ma allo stesso tempo non sembrava dell'intenzione di rispondere e, anzi, guardava il suo avversario quasi con aria di sfida.
"Che faccia tosta!" pensò Morag, colto da un moto d'ira verso quel ragazzo dal fare irritante. "Gli sto puntando un coltello alla gola e continua a guardarmi supponente".

«Neotere, sappi che tu finirai molto male. E quando dico molto male... Oh, per tutti i daimona!» Morag si accorse di Milo e degli altri appena sbucati dietro di lui, i loro volti increduli per ciò che stavano vedendo. Il capitano raggiunse in fretta il neoteros, dimenticandosi subito che il suo sottoposto gli aveva più volte disubbidito.
«Adesso ci penso io» intimò invece a Morag con un tono già diverso da quello che gli aveva rivolto solo qualche istante precedente.

Presa la posizione del giovane, che si ritirò in disparte su un ramo da cui potesse vedere bene ciò che sarebbe successo, Milo sollevò il ragazzo dal colletto della camicia e lo sbatté contro il tronco di un albero.
«Chi sei, a che clan appartieni e cosa ci fai nei territori di Tou Gheneiou
Estrasse anche lui il coltello e glielo puntò al collo senza esitare a fare pressione su di esso. Un piccolo rivolo di sangue macchiò il tessuto azzurro dell'indumento e alla vista del liquido scarlatto il giovane fu finalmente scosso dalla sua inerzia: iniziò a dimenarsi e a balbettare qualcosa di incomprensibile. Milo continuò, ancora più severo e alzando il tono della voce: «Allora?!»

«S-sono Egregio» piagnucolò l'altro.
«Di che clan?» ribadì il capitano, che stava iniziando a spazientirsi.
«T-tes Gheisas».

Sul volto di Milo e degli altri Gheneiou comparve un'espressione alquanto spaventata, che Morag non sapeva come interpretare: perché quel cambiamento repentino? Doveva avere a che fare con il nome di quel clan. Gli pareva di averlo già sentito, i figli di Genew ne avevano accennato almeno una volta: era il popolo confinante a Nord-Est rispetto a loro, che abitava sulle cime degli alberi della giungla di liane e, come i Gheneiou, aveva imparato a muoversi sopra di esse. Era forse per quest'ultimo motivo che li temevano.
«Perché sei venuto qui?» continuò il capitano, ancora più serio di prima.
«M-mi sono perso».

Milo lo schiacciò più violentemente contro l'albero, fino a togliere quasi il respiro al Gheisas. Dopo diverso tempo allentò un po' la presa e l'altro poté riprendere a tirare fiato.
«Pessima scusa». Milo scosse la testa, per poi proporgli una nuova domanda. «Quindi: sei venuto a fare la spia, vero?»
«N-no!»

Lo sbatté di nuovo contro l'albero e, solo vedendo un rivolo di sangue scendergli dal naso, dovette realizzare che quella non era la strategia giusta.
«Così ho già capito che non si arriva da nessuna parte» biascicò, una smorfia irritata e piuttosto tesa gli segnava il volto. «Voi quattro,» disse poi, perso tra i suoi pensieri, indicando Nekhen, Pelia e gli altri due Avventurieri, «portatelo dalla giovane Genew, spiegandole brevemente la situazione. Lei saprà cosa fare. Adesso dovrebbero trovarsi su una delle piattaforma da allenamento ad addestrare il Figlio del Sole. Tu, ragazzina,» si rivolse poi a Kalè, «andrai da tutti i costruttori del clan a dire che non potranno avere rifornimento di resina per un bel po': se avranno domande, sii evasiva. Infine, io e te, neotere,» concluse, guardando Morag, «andremo dal nostro anax a raccontargli cosa è successo. Chiaro per tutti?»

Gli rispose un coro di affermazioni e in breve i quattro ragazzi si radunarono in un unico gruppo che accerchiò Egregio, mentre Kalè prendeva una liana e tornava verso gli oikaria. Pelia afferrò le mani del prigioniero e gliele portò dietro la schiena e intanto un altro aveva preso un pezzo di cuoio con cui gli legò stretto i polsi e le caviglie. Il più alto e muscoloso dei giovani lo caricò con poca delicatezza sulle spalle, mentre Nekhen apriva la strada per ritornare agli oikaria. Dopo poco le loro facce preoccupate scomparvero subito tra le fitte mangrovie.

«Andiamo sotto l'Oikìa» riferì Milo, iniziando a muoversi lentamente verso i territori del clan. «Probabilmente Genew sarà in assemblea con gli Anziani ma scenderà di certo per sentire ciò che abbiamo da dirgli. Non era mai arrivata una spia, da che ne ho memoria» continuò a borbottare tra sé.

«Comunque, hai eseguito un buon lavoro. Io non me ne ero nemmeno accorto che quel neoteros fosse sopra di noi». E così dicendo partì, aumentando il ritmo della sua andatura. Doveva essere il massimo complimento che potesse formulare il suo capitano e Morag sapeva che, in un'occasione diversa, avrebbe esultato di gioia, lo avrebbe subito riferito a Kairos, a Em e agli altri e non avrebbe pensato ad altro per tutto il giorno. Ma la spia che aveva scovato adombrava quella prospettiva di felicità: sperava di sbagliarsi, ma una parte di sé temeva che qualcosa stava per turbare, ancora una volta, l'equilibrio di Tou Gheneiou.

~

E la prima giornata di lavoro di Morag è andata... in maniera inaspettata. Morag ha dimostrato il suo valore e le sue capacità catturando il Gheisas e sicuramente ha sorpreso persino il suo burbero capitano, ma il timore che sia davvero una spia rende l'aria soffocante. Chi sarà mai questo Egregio, e perché è arrivato di soppiatto nei territori di Tou Gheneiou? Rimanete con noi per scoprirlo. Ci si vede al 17 (finalmente con un punto di vista diverso! Scusa, Morag, ma dopo due capitoli e mezzo tutti tuoi è giusto che lasci spazio anche agli altri personaggi!)
Alla prossima, gente!
~🐼🐢

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