15
Genew era seduta sul ramo di un albero, intenta ad affilare la lama di un coltellino, sulla quale riversava le emozioni che la infiammavano, sfregando con violenza la pietra contro l'utensile. Erano passati tre giorni dal caos che si era creato contro i neoteroi ma nella sua mente era ancora tutto così vivido: la folla infervorata, i nemici atterriti, i loro guerrieri in procinto di estirpare una buona volta la loro minaccia. Ma poi era sopraggiunto suo padre.
Era tutta colpa di Rigel! Era lei che era andata ad avvertirlo, impedendole di completare il suo piano. Le era mancato così poco: le sarebbe bastato eliminare anche solo due neoteroi, grazie alla profezia di cui erano venuti a conoscenza.
Che gliene importava del Figlio del Sole?! Poteva bruciare! Avevano ripreso a preoccuparsi di Mortino per nulla: quel nemico era lontano, incapace di penetrare nella loro foresta, a meno che qualcuno non fosse andato a riferirgli i segreti della vita nelle mangrovie che custodivano loro Gheneiou. E quelli potevano essere solo i neoteroi.
I territori di Mortino erano vasti, si diceva continuassero a espandersi sempre di più, ma l'unica parte di foresta che avessero inglobato era quella dei Gheisas, spostati a Nord-Est rispetto ai Gheneiou: costoro erano capaci di muoversi sulle liane e per questo sarebbero stati i loro unici potenziali nemici, se suo padre, anni prima, non avesse stipulato vari accordi di pace. I Gheisas, vivendo anche loro in luoghi sopraelevati, erano i soli che potevano insegnare a Mortino e ai suoi uomini l'arte delle liane ma erano stati conquistati da più di cinquecento anni, senza mai rivelare agli oppressori quella tecnica: perché avrebbero dovuto farlo ora? I neoteroi, invece, erano imprevedibili.
Uno di loro, uscendo dai territori del clan per qualsiasi motivo, si poteva imbattere in Mortino e, pregando per la propria vita, poteva dire tutto ciò che sapeva. Oppure poteva fare in modo che Zarkros, il daimon che era risaputo avesse legami di natura incerta con il più forte degli uomini, ritirasse la sua ira nei loro confronti. Oppure ancora... Avrebbe potuto elencare all'infinito altri simili futuri irreparabili.
«Sono innocui» le avevano ripetuto Rigel e Zeno, più e più volte, ma lei non voleva crederci: non era così e a sottovalutarli ne avrebbero pagato le conseguenze sulla loro pelle. Gli Anziani, che tramandavano e custodivano l'antico sapere di Tou Gheneiou, lo dicevano: era certamente così.
«Ancora arrabbiata?»
Genew aggrottò la fronte a sentire l'inconfondibile timbro musicale della sua compagna d'armi; abbandonò per un attimo il lavoro che stava compiendo e ruotò la testa. Rigel era appesa a una liana, tutte le sue attenzioni rivolte alla figlia del capo, che guardava con un mezzo sorriso divertito.
La giovane distolse in fretta gli occhi, riprendendo ad affilare la lama. Se quella pensava di farsi perdonare con la sua solita aria scherzosa, si sbagliava di grosso.
«Non puoi smettere di parlarmi». Rigel, come se niente fosse, andò a sedersi al suo fianco. «Ti ricordo che sono un membro della Squadra di Ricerca, la più abile Guerriera di Tou Gheneiou, la prima danzatrice, la tua compagna d'addestramento e - guarda un po'! - persino la tua migliore amica».
Ed era per questo, e non solo, che Genew nutriva una profonda stima nei suoi confronti: Rigel non era solo la giovane dalla tecnica di combattimento migliore dell'intero clan, ma era anche una persona che incarnava tutti gli antichi valori di Tou Gheneiou, quali l'onore, la serietà, la lealtà, il coraggio... La conosceva da quando ne aveva memoria e non aveva mai commesso un errore, ai suoi occhi, che da sempre l'ammiravano. Se non quello di tre giorni prima.
«Parli della tua azione come se fosse irrilevante» biascicò, faticando anche solo a rivolgerle la parola.
«Perché lo è: ho solo evitato che avvenisse uno spargimento di sangue».
«Era necessario».
«No, Genew, non lo era, i neoteroi non-».
«Lo era!» sbottò infine, conficcando il coltello nel ramo con tutta la forza che avesse, tanto da farlo traballare. «So di avere ragione, mentre tu e mio padre siete nel torto!»
Rigel rimase qualche istante in silenzio, a guardarla scettica, mentre Genew sentiva crescere in lei una forte amarezza per quell'occhiata carica di biasimo.
«Genew, sei proprio rimasta una bambina» scosse infine la testa, aizzando un improvviso moto d'ira nella figlia del capo.
«Non ti dovresti permettere!» esclamò, slanciandosi verso di lei per colpirla, ma Rigel fermò la sua mano e con semplicità le ruotò il braccio dietro la schiena, immobilizzandola contro il ramo.
«E lo sei perché gli Anziani te la danno sempre vinta» continuò tranquillamente, liberandola dalla sua morsa. «Tuo padre non ne ha il tempo - oltre a essere troppo buono - quindi, se non sono io che ti apro ogni tanto gli occhi, non lo fa nessuno».
Mordendosi il labbro per trattenere una smorfia di dolore, Genew si allontanò da Rigel, tenendole le spalle voltate. «Se fossi mia amica non lo faresti» mormorò ancora, quasi sull'orlo delle lacrime: ira e tristezza imperversavano nel suo animo, per la consapevolezza che le due persone che riteneva più importanti, suo padre e l'amica, le avevano voltato le spalle.
«Sono tua amica, quindi lo faccio» la sentì ribattere, la voce che si allontanava. «Comunque, stasera, come sai, c'è la Cerimonia delle Nomine. È per questo che sono venuta a chiamarti».
«E perché?» ribatté Genew, atona, ricordando, sentendo nominare il rito, la dolorosa sentenza del capo del clan. «Mio padre non ha forse detto...»
«Non ti chiameranno più anaxa, ma alle cerimonie, qualunque esse siano, è comunque tuo dovere presenziare al fianco del capo e degli Anziani».
Genew non aveva la forza di rispondere. Quella sì, che era un'umiliazione: perdere il titolo che le spettava per nascita e mostrare la sua nuova condizione davanti all'intero clan. Non le avrebbero rivolto il rito del saluto, non avrebbero pronunciato quella parola che le riscaldava l'animo, ma lei sarebbe comunque rimasta lì, a consegnare le armi agli iniziati. Che disonore!
«Spero capirai i tuoi errori» sentì appena, mentre ormai la sua mente vagava e ricordava ancora una volta quegli attimi terribili che avevano oppresso la sua mente senza darle tregua.
"Aizzare la folla contro i neoteroi, pungolarla divulgando false credenze e dicerie, spingerla a buttare fuori la sua parte più brutale". Suo padre camminava avanti e indietro per la piattaforma: non lo aveva mai visto così fomentato, lui che si mostrava sempre placido e ben disposto verso chiunque. "È questo il comportamento che deve tenere un capo? Cos'è che ti dico, da quando eri bambina? Il capo, innanzitutto, deve perseguire il bene del proprio popolo. Non è forse questo il primo obiettivo, quello più importante? Cos'è il bene, mi chiederai allora. Il tesoro, sarebbe spontaneo rispondere, ma prima dobbiamo ragionare concretamente. Quindi, innanzitutto, preservare le loro vite al meglio e renderle degne di essere vissute. Allo stesso tempo, una guida, quale è il capo, deve cercare di rendere i propri compagni persone migliori, più buone, più oneste, più virtuose. Tu pensi di esserti avvicinata a questo obiettivo, stimolandoli alla violenza? Pensi di averli resi uomini migliori? Pensi di essere tu stessa migliore, dopo aver attentato alla vita di questi giovani o dopo aver dato il tuo consenso perché qualcuno uccidesse tua madre? Tua madre! Non le è stato permesso di crescerti, ma è pur sempre la donna che ti ha dato la vita; come puoi non rispettarla? Credevo di averti insegnato princìpi migliori, di averti cresciuta più saggia, di averti fornito i presupposti per essere una buona anaxa. Non è così. E finché non avrai capito tutto ciò, che nessuno si rivolga a te con questo nome: non sei ancora pronta per portarlo".
Aveva sentito un dolore più acuto di quello di centinaia di frustate e, ogni volta che il ricordo sovveniva, un nuovo colpo era sferzato sulla sua schiena. Da tutta la vita non aveva mai pensato a se stessa, come ovviamente doveva fare il capo, ma solo al proprio popolo; si era promessa che sarebbe stata all'altezza di quel ruolo, che avrebbe emulato suo padre, sua nonna e tutti i Genew prima di lei. Non sarebbe stata da meno. Così non aveva fatto altro che impegnarsi al massimo per raggiungere quell'obiettivo: aveva lottato con Rigel, nei loro duri allenamenti, fino a farsi sanguinare le mani, pur di concedere al suo popolo un capo forte; aveva imparato a memoria tutte le leggende e i precetti degli avi e, quando non era riuscita a ricordarne alcuni, si era anche infilitta punizioni corporali, purché il suo popolo avesse un capo assennato e rispettoso del tempo che era stato; aveva imparato a utilizzare ogni momento libero per dare una mano con le mansioni più pesanti e si era imposta di farlo volentieri, pur di lasciare al suo popolo un capo solerte. Non c'era una sola caratteristica della figura del capo che non avesse curato nei suoi vent'anni di vita. Eppure tutto questo non era abbastanza per suo padre, l'unica persona da cui bramasse un riconoscimento.
Non era giusto! Nessuno capiva le sue intenzioni, nessuno la appoggiava: prima Rigel, poi suo padre, poi ancora tutti i membri del clan che stimavano sacri persino i respiri del loro capo. Fortunatamente gli Anziani erano ancora dalla sua parte: se anche loro se ne fossero andati, sarebbe rimasta sola. Ma anche in quel remoto caso non avrebbe cambiato la sua prospettiva: lei aveva ragione, mentre gli altri erano tutti ciechi. Sapeva cosa doveva fare per perseguire il bene del suo popolo e avrebbe continuato a farlo.
"Neoteroi". Strinse il coltello tra le dita, mentre un ghigno rabbioso si dipingeva sulle sue labbra. "Datemi l'occasione e mostrerò a tutti che si devono rivolgere a me con l'appellativo di anaxa".
~
«Paula! Paula! Adesso devi raccontare dello scontro della nonna Genew con Mortino!» Le voci di Hermit e Sofia sovrastavano quelle di tutti gli altri bambini radunati sul ramo sopra cui aveva preso posto l'Anziana riconosciuta da tutti i piccini soprattutto per il suo ruolo di cantastorie.
Morag osservava la scena in disparte, temendo di fare un passo falso, ormai persino di fronte a qualche bambino: dopo gli avvenimenti di tre giorni prima questo stato di tensione era l'unico che lo caratterizzava. Dopo l'intervento di Genew la normalità era tornata, nessuno aveva più tentato di aggredirli o li aveva anche solo squadrati, ma il suo animo era inquieto, perennemente afflitto dalla preoccupazione che qualcos'altro potesse accadere quando meno se lo aspettavano. Kairos, Raya e gli altri avevano fatto il possibile per restituire a lui e agli altri neoteroi la tranquillità di sempre - non li lasciavano mai soli e i due coniugi li avevano ospitati nel loro stesso oikarion - ma nemmeno questo sembrava funzionare.
«Dovresti distrarti» gli aveva consigliato Kairos, più di una volta. Così quella sera si era fatto trascinare ad ascoltare le storie di Paula, provando a tenere la mente impegnata con i racconti oppure osservando gli altri ascoltatori, quasi tutti coetanei di Hermit e Sofia, e imparandone i nomi. Peccato che nemmeno questo riuscisse ad alleviare la sua tensione: di tutti i racconti dell'Anziana non sarebbe stato in grado di riassumerne uno e i nomi dei bambini gli erano sfuggenti. Gli mancava totalmente l'attenzione. Sospirò: cosa poteva temere adesso?
Genew aveva posto la pena peggiore per chiunque li avesse aggrediti nuovamente, l'esilio. Eppure continuava a sentire una costante paura.
Scosse la testa: doveva concentrarsi. Ripassò i nomi dei bambini di fronte a lui, che pendevano dalle labbra dell'Anziana, e provò a imitarli.
«Ancora?» ribetté la donna, un po' provata. «Ma, ragazzi, è da quando è calato il sole che non faccio altro che narrare episodi di battaglia».
«Ma questo è stupendo!»
«Alla fine Genew e tutti gli altri, a parte Kyon, muoiono».
«Sì, ma stavano vincendo» specificò un bambino dell'età di Hermit, dai lunghi capelli corvini, che Morag ricollegò subito a Nikias, il figlio maggiore di Zeno.
Hermit scosse la testa. «No, Nikias, ti sbagli: Genew aveva praticamente vinto. Ed è stata l'unica mortale nella storia a farlo. Ed è mia nonna!» si sbrigò infine a specificare, tutto orgoglioso della sua ascendenza.
«E anche la mia!» sottolineò Sofia, che non poteva essere da meno rispetto al fratello, per poi esortare ancora l'Anziana. «Allora, Paula, cosa aspetti a raccontare?»
«Ma è un episodio così violento... Ci sono anche dei bambini piccoli» disse, indicando due bambinetti che non dovevano avere più di sette anni.
«Io non sono piccola!» sbottò una di questi - "Tina, la sorella di Nikias" ricordò Morag. «Ho già sei anni e mezzo!»
«E poi è importante sentire queste storie, così ci si abitua alla paura e si diventa coraggiosi!» sentenziò Sofia.
«Non preferite qualcosa di meno cruento, anche se emozionante lo stesso?» provò ancora a convincerli l'Anziana. «Come quella volta che il nostro clan ottenne il permesso per vivere per sempre nelle mangrovie, oppure-».
«No!»
«Vogliamo sentire di quando Genew, mentre tutti gli altri stavano distraendo Zarkros, intrappolò Mortino!»
«La parte peggiore...» commentò Paula, alzando gli occhi, per niente convinta di proseguire.
I bambini si avvicinarono allora al corpo di Paula tutti timorosi - come se lo fossero! - e iniziarono a guardarla intensamente, sgranando gli occhi e piegando all'ingiù il labbro inferiore, mentre le manine si giungevano in segno di preghiera. «Per favore».
Paula sospirò. «Avrete gli incubi per tutta la notte, come la volta scorsa, ma vi accontenterò lo stesso» disse scherzosa, avvicinando a sé Sofia e chiudendole gli occhi: subito, anche gli altri bambini li strizzarono per serrarli al meglio.
"Magari è questo il modo corretto per distrarsi". Morag constatò di non essere guardato da nessuno e li chiuse anche lui.
«Il vento imperversa, grida, ruggisce. È furioso: nel bosco appena fuori dai nostri territori, un pugno di semplici mortali insolenti sta ballando le danze che gli sono dedicate, senza grazia, senza seguire i passi corretti. Che scempio! Il vento come può star calmo, vedendo deturpato in tal modo il suo encomio?»
«Paula». Morag sussultò all'interruzione del racconto.
«Tina!» esclamò, irritato, il fratello maggiore, lanciando alla seccatrice un'occhiataccia, insieme a tutti gli altri. «Non si deve interrompere!»
«Ma io non ho mai capito perché Zarkros si sia arrabbiato tanto, solo per una danza fatta male».
«Piccola Tina,» sorrise affettuosa Paula, scompigliandole i capelli, «per te è solo una danza fatta male, per il daimon del vento è la peggiore delle onte: i riti sono estremamente importanti per gli dei, altrimenti non li richiederebbero, e se non vengono eseguiti nella maniera corretta possono rivoltarsi contro loro stessi».
«Ah sì? E come?»
«Questo non è dato sapere. Sono ipotesi di noi mortali, che abbiamo osservato come, ogni volta che si sbaglia qualcosa nei riti che ci richiedono, si adirino tanto: infatti ci sono le danzatrici, che, ispirate direttamente da loro, non possono compiere un passo falso. Ma questo non c'entra: adesso richiudete gli occhi». Morag, non certo di aver afferrato quel concetto, obbedì e si lasciò trascinare di nuovo all'interno della storia.
«Quel pugno di mortali è formato dalla squadra più ardita di Tou Gheneiou: uomini e donne volontari, pur sapendo di gettarsi tra le braccia della morte, decisero di abbracciare lo schema prodotto dalla mente di Genew. La paura li tormenta - lasceranno questo mondo e tutti i cari - ma la volontà di contribuire a superare il limite umano è più forte. E così si muovono scomposti, e così urlano le parole del canto sacro, ridendo in faccia al destino che accomuna i mortali.
«Il vento imperversa, grida, ruggisce. Genew lo sente ancora, ma è lontano. Sogghigna: sa che è il momento. Leva l'urlo di battaglia e alla testa della moltitudine di tutti gli altri Guerrieri si getta contro l'esercito nemico. Impugnano le lance, si scagliano giù dagli alberi contro i bronzi e colpiscono all'impazzata. Il sottobosco si tinge di rosso. Genew travolge ogni uomo che le si stagli di fronte, affonda la propria arma nella sua carne e passa oltre. Ha un solo obiettivo: il protetto di Zarkros, colui che è vissuto, vive e vivrà, la contraddizione vivente, l'uomo immortale. Mortino. Ed eccolo là! Risplende la fulva chioma, quasi voglia attirare Genew fino a lui. "Vieni" sembra dire, "scontrati con me. Tanto morirai". Ma Mortino non sa dello stratagemma della mortale. Irridente, tiene le braccia conserte, lascia che gli giunga contro, sottovalutandola perché la supera di almeno due spanne: è piccola in confronto a lui, ha solo una lancia in mano. Il gigante sa che, se solo volesse, potrebbe mandarla nell'oltretomba in un soffio: sarebbe facile come schiacciare un moscerino. Ma Genew è veloce, più di quanto ci si possa aspettare, e, mentre quello ride di lei, gli trapassa il ventre. È immobile. Ma non è ancora morto. Non basta così poco per mandare all'aldilà il più forte dei mortali».
«Ecco! Arriva la parte più bella!» sente Morag. Forse era Hermit, forse Nikias, forse un altro? Non gli importava: il giovane aveva orecchie solo per la narrazione.
«Mortino ha lo sguardo vacuo e balbetta, invocando il vento di guarigione che lui solo sa comandare, per rigenerarsi. Estrae la lancia dal ventre e cerca Genew con lo sguardo, ma quella ora gli è dietro, aggrappata alla sua schiena con le unghie e con i denti. In una lotta efferata lo dilania in ogni modo: gli strappa la pelle e le ferite che gli procura, per quanto all'apparenza insignificanti, considerate tutte insieme lo fiaccano come un'unica enorme. Mortino non può non rigenerarle e perde tempo, mentre Genew, avvolta attorno a lui come un serpente, continua a pungolarlo, facendosi strada sul suo corpo per arrivare a ciò che le interessa: la sua spada, attaccata alla cintola, che, una volta estratta dal fodero, tradisce il suo padrone. Lo stesso punto che prima era stato colpito dalla lancia ora sanguina per il colpo inferto dalla spada. Mortino, trattenendo le urla di dolore, inizia a riformare il suo corpo, ma Genew non si ferma e non gli dà il tempo. Un altro affondo, un altro, un altro, un altro e un altro. Il sangue esce copioso, le viscere sono ben visibili e Genew ammira il tutto con un folle sorriso, consapevole di star compiendo qualcosa di ben oltre le potenzialità umane. Pianta la spada dal basso verso l'alto e gli apre l'intero busto, procurandogli la cicatrice che tutt'ora è l'unico segno che deturpa il corpo di colui che è simile a un dio.
«Il gigante è esangue tanto che, con una minima pressione, Genew lo spinge a terra. Incombe ora su di lui, ne ha pieno potere, può decidere della sua vita. La spada si conficca ancora nella sua carne, stavolta tra le costole. Genew vede la morte nei suoi occhi: gli ha colpito il cuore. Il brivido del piacere della vittoria percorre tutto il suo corpo. Ma, in quello stesso momento, ne sente un altro, esterno, provocato da un vento gelido e stizzoso: non è il vento di guarigione che invoca Mortino - ormai non potrebbe più. È Zarkros, venuto a infliggere la sua punizione alla donna che ha osato sfidare gli dei. Genew non fa in tempo a gridare di terrore che le braccia evanescenti la sollevano, la trasportano in alto nel cielo, e intanto le strappano poco alla volta la carne, riducendola a brandelli. Un suono perpetuo e disarmonico impregna il cielo, mentre tutto il resto tace. Ma solo per pochi attimi: troppo in fretta si spegne l'ultimo, soffocato, grido di battaglia della grande guerriera.
«Mortino si è risollevato: l'empia azione di quella donna era la scusa giusta che serviva a Zarkros per rimettere in sesto il suo pupillo, ormai in fin di vita. Il gigante amato dagli dei si guarda intorno, ammirando il campo di battaglia, come sempre cosparso per lo più dal sangue nemico. E in quel momento, proprio sotto i suoi occhi, cade dal cielo un sottile straccio di stoffa marrone, sudicio di sudore e di sangue. La sola memoria di quell'illustre anaxa dalla colpa di bramare troppo fama, potere e grandezza».
Morag riaprì lentamente gli occhi, faticando a riambientarsi alla realtà dopo essere a lungo rimasto immerso in quel racconto. Tutto era rimasto invariato: i bambini, in estasi, guardavano ancora l'anziana donna, non osando fiatare.
«Paula!» Quel silenzio così innaturale per quelle piccole pesti irrequiete fu presto interrotto: il più piccolo degli spettatori aveva iniziato a piangere a dirotto. «Ma non è giusto! Genew muore!»
«Io avevo detto che non era la storia adatta...» sospirò la donna, prendendo il bambino in braccio. «Vedi, Shai,» continuò, materna, «ogni storia ha in sé un insegnamento ed è per questo che è importante ascoltarle. Certo, questa sarebbe per bambini un po' più grandi, però la morale puoi capirla anche tu: quando vogliamo sfidare gli dei, credendoci superiori a loro, il risultato sarà solo il fallimento».
"E agli esseri umani che possibilità è lasciata per progredire o anche solo per decidere da soli della propria esistenza?" Morag iniziava a essere insofferente verso quelle creature che soffocavano in tal modo loro uomini: il suo stesso sventurato destino, rimanere per sempre un emarginato insieme ai suoi pochi compagni, era stato deciso dall'alto. Il libero arbitrio sembrava inesistente.
«Non è vero!» esclamò Hermit, ancora esaltato dal racconto. «La nonna è morta ma verrà per sempre ricordata come quella che, se non fosse stato per Zarkros, avrebbe mandato Mortino all'altro mondo. Quindi la nonna non ha fallito: la nonna l'ha fatta agli dei!»
Morag considerò quelle ultime parole: la vecchia Genew avrebbe vissuto per sempre nelle menti dei Gheneiou come una delle grandi eroine del loro popolo, per quanto la sua fine fosse stata misera e brutale, causata dalla sua empietà. Per quanto non avesse ucciso Mortino, un limite umano l'aveva comunque oltrepassato: quello della morte. Il giovane aggrottò appena la fronte: doveva esserci però un altro modo per imporsi sull'isola, per far valere la propria volontà e non rimanere in balìa di forze superiori. Forse era quella la chiave per la risoluzione di tutto quanto.
«Hai ragione, Hermit» disse Paula, scompigliando la chioma del piccolo, mentre tutti gli altri bambini lo ammiravano per quell'intervento. «L'immortalità che si ottiene con le storie è una prerogativa che nessuno può togliere, neanche i daimona».
«Un giorno si narreranno delle storie anche su di me» continuò Hermit, gli occhi che luccicavano. «Ma prima devo imparare dai migliori: dai, Paula, racconta ancora!»
«No, Hermit, per oggi basta» lo redarguì paziente la donna. «La cerimonia sta per iniziare. Non vuoi sapere chi sarà in grado di progredire nel Percorso?»
«No, voglio sentire altri racconti» disse l'altro, ancora più insistente del solito.
«Se poi me lo chiedi così, neanche per sogno».
«Va bene, va bene. Per favore? Ragazzi, forza!» gridò poi agli altri bambini, incitandoli. «Se glielo chiediamo tutti insieme, prima o poi cederà».
«Hermit, com'è possibile che si senta solo la tua voce in tutta la zona intorno all'Oikìa?»
Iulius era approdato sul ramo e squadrava i fratelli con una severità che non gli era propria. Sofia fischiò stupita e fece un breve cenno con la mano ad Hermit; quello dovette capire il segnale e, salutati velocemente gli amichetti, sgusciò sotto le gambe del fratello, si aggrappò a una liana e si allontanò insieme alla sorella più veloce che potesse.
«E adesso dove...» sbottò il ragazzino, mentre si riprendeva dalla sorpresa. «Hermit, Sofia, dobbiamo aspettare Morag» provò a gridare, ma invano: le due pesti erano già scomparse.
«Tranquillo, Iulius, raggiungili pure» disse Morag, sollevandosi in piedi. «Vi troverò, non ti preoccupare per me».
L'altro annuì appena, senza neanche guardarlo, e se ne andò. Morag appoggiò ancora la schiena al tronco dell'albero. Il breve momento idilliaco portato dal racconto era terimanto, la realtà si era affacciata nuovamente e lui l'avrebbe dovuta affrontare: gli sguardi dei Gheneiou, i bisbigli mentre passava, i suoi amici che fingevano una situazione di normalità per farlo stare meglio, il clima di tensione che non veniva mai meno, come si era visto nel breve dialogo tra Iulius e i suoi fratelli. Non l'avrebbe sopportato.
«Poveri piccoli». Il sussurro di Paula arrivò alle sue orecchie, facendolo trasalire. Era di fianco a lui, il busto addossato al tronco nella sua stessa posizione. Cosa voleva dirgli? Altre minacce? Era una degli Anziani, era chiaro che si sarebbe comportata alla stregua di Pitone o di un altro di quelli. «È normale che siano così irrequieti dopo le brutalità che hanno visto tre giorni fa» si limitò invece a dire, sorprendendo il giovane: sembrava davvero contraria a ciò che era successo.
«Tu c'eri?» chiese Morag, incuriosito, e quella scosse il capo. «Per fortuna no. L'ho solo sentito raccontare e mi hanno riferito che Hermit e Sofia erano gli unici bambini. Vedere una tale violenza contro degli innocenti e, soprattutto, contro la loro madre deve essere stato terribile».
«Aspetta, aspetta: tu ci reputi innocenti?» Morag era esterrefatto e non era riuscito a trattenere l'espressione stupita, che fece sorridere l'Anziana. «Ma certo, come la maggior parte del clan, lavoratori pratici, a cui basta che lavoriate a vostra volta, senza farsi tutti i problemi della classe guerriera: tre giorni fa, là sotto, erano presenti solo i Gheneiou imparentati con gli altri Anziani, oppure quelli che non fanno altro che rimpiangere il passato glorioso del nostro clan». Morag percepì il suo corpo improvvisamente leggero: per quanto tremendi fossero stati quei momenti poteva ricordarli in rapporto solo ad alcuni dei Gheneiou. Sentire che non tutti lo odiavano fu un vero toccasana: sarebbe stata la prima cosa che avrebbe riferito agli altri, non appena li avesse visti!
Ma il sollievo che ora aleggiava in lui, non era certo proprio della vecchia narratrice. «Non sanno quello che dicono,» continuò, carica di biasimo contro i Gheneiou fanatici, «sono solo giovani che si lasciano prendere troppo dalle storie e dalle leggende, ma in realtà non conoscono l'amarezza della guerra, di perdere qualcuno non per cause naturali».
Quella donna invece doveva essere abbastanza vecchia per averlo vissuto davvero, il passato dei suoi racconti. Da come ne parlava, la guerra l'aveva scalfita nel profondo: i suoi occhi inorridivano al ricordo.
Morag fu assalito da un dubbio. «Allora perché racconti quelle storie ai bambini, se dici che possono renderli violenti?»
«Non tutto è da buttare» sorrise quella. «Violenti, certo, lo eravamo, ma avevamo anche tanti valori: il coraggio e l'onore primi tra tutti. Cancellare il nostro passato equivarrebbe a cancellare anche questi ultimi. E allora che popolo potremmo essere? Un popolo di vili, di disonesti, di egoisti. La diceria che si ha dei neoteroi, che si bisbiglia abbiano dimenticato le proprie radici».
Morag annuì, non potendo darle torto, sapendo che un tempo lui stesso aveva rispecchiato alla perfezione lo stereotipo del neoteros. Ma perché lo era stato? Forse proprio perché non aveva mai avuto valori a cui rifarsi, modelli da imitare. Aveva vagato al buio, senza una meta, finché, scoprendo dapprima cosa fosse l'amicizia, non aveva riaperto gli occhi, lì sull'isola.
«Il nostro Genew l'ha capito e ha rifondato la nostra civiltà, trattenendo il buono dal passato e scartando ciò che non lo è: così ha permesso ai nostri bambini di vedere la guerra solo come una leggenda delle storie». Paula sorrise, genuinamente, nei suoi occhi la profonda stima per il suo anax. «E ha fatto tutto da solo, mentre noi Anziani avremmo dovuto aiutarlo: il nostro compito dovrebbe essere quello di cogliere le cose migliori che abbiamo visto e consegnarle intatte ai nostri successori, così da perfezionarci sempre più, di generazione in generazione; spesso, invece, non si ricerca la via di mezzo, come dovrebbe essere giusto, ma o si trattiene tutto o non si trattiene niente».
Morag sorrise a quelle ultime riflessioni, capendo di avere di fronte a lui una donna così giudiziosa. «Sono contento che tu condivida la tua saggezza con i bambini del clan, tramite le tue storie. Magari continuando ad ascoltarle potrebbe apprenderla persino uno sciocco come me» considerò, rendendosi conto troppo tardi di quanto potesse sembrare ipocrita e falsa quella frase. Ma la profondità di Paula non si sarebbe fermata all'involucro delle sue parole: vedendo come il giovane stava sorridendo, con che occhi la stava guardando, avrebbe capito che era sincero. Una volta tranquillizzato, continuò: «Se solo tutti gli Anziani fossero come te, Genew potrebbe...»
«Oh, non sottovalutare Genew» ridacchiò la donna, annuendo soddisfatta. «Non si lascia certo schiacciare da quei vecchi e imperiosi meranghi».
Il giovane scoppiò involontariamente in una profonda risata che contagiò anche Paula, sebbene non arrivasse a capire come il paragone fosse esilarante alle orecchie del neoteros.
«Che c'è? Sono animali stupidi, ma intrattabili quando si arrabbiano».
«Allora...» continuò a ridere Morag, mentre immaginava gli Anziani con la folta pelliccia e le corna degli ovini delle mangrovie, «allora anche la giovane Genew dev'essere proprio una bella meranga».
Ma a quell'ultima affermazione la risata di Paula si affievolì. «Per lei è diverso ancora...» si limitò a sentenziare, scuotendo la testa e rinchiudendosi un attimo in se stessa. Morag deglutì: aveva detto qualcosa che non andava? Cosa intendeva l'Anziana con quell'ultima frase?
Il giovane non fece in tempo a rammaricarsi, che quella si girò ancora verso di lui, di nuovo sorridente: «Adesso è meglio che tu vada. Goditi questa cerimonia» disse, strizzandogli un occhio come se nascondesse qualcosa.
Morag annuì con vigore, mentre alzava già gli occhi per individuare l'albero su cui aveva preso posto la famiglia di Genew: quando vide Sofia e Hermit sporgersi dalle foglie in una lotta affiatata, capì all'istante dove si sarebbe dovuto dirigere.
«Ah, neotere, dimenticavo». Morag sobbalzò a sentirsi chiamare di nuovo. Paula era ancora dietro di lui, gli occhi rassicuranti. «Non preoccuparti per te e per i tuoi compagni: presto davvero nessuno si curerà più di voi».
Il giovane sospirò: quelle erano le stesse parole che continuava a rivolgergli Kairos per consolarlo. Eppure pareva avessero l'effetto contrario.
«Magari...» sospirò, cupo. «Ma la situazione di Anita, che è qua da vent'anni e ancora la trattano come un animale, non mi fa ben sperare». Si tappò la bocca con una mano: ma cosa gli saltava in testa? Paula sarà stata anche indulgente nei suoi confronti, e certamente saggia, ma infierire in quel modo era un comportamento da sprovveduto.
«Oh». A sentire il nome della moglie di Genew, Paula cambiò espressione. «Anita è un caso a parte. Vedi, i Gheneiou che ti dicevo prima, chiamiamoli pure "nostalgici", sono spesso in disaccordo con le decisioni di Genew: stipulare in continuazione nuovi accordi di pace, rispettarli sempre, non invadere posti potenzialmente ricchi di informazioni per il tesoro... Tutte cose che con la precedente Genew erano all'ordine del giorno. Tuttavia non si può contestare l'operato del capo e il loro malcontento ricade allora su Anita, colei che viene additata come causa dell'infiacchimento di Genew: prima di conoscerla, per quanto fossero già evidenti la sua pazienza e generosità, concordava sempre con le scelte di sua madre; poi arrivò lei e, mentre Genew si innamorava, iniziò anche a cambiare pensiero. Sua madre, che non la sopportava nemmeno per il carattere piuttosto ribelle che definiva Anita da giovane, l'aveva accusata di aver stregato suo figlio e, ancora anche adesso, quelli che la tormentano portano dalla loro questa motivazione».
Morag teneva gli occhi fissi sui suoi piedi e stringeva sempre con maggiore forza la liana che aveva afferrato: non era possibile che la vita di Anita fosse stata rovinata in quel modo solo perché una parte del clan non condivideva i principi pacifici che aveva portato con sé e mostrato a suo marito. Ma cosa avrebbero potuto farci?
Paula sospirò a sua volta, quasi gli stesse leggendo nella mente: «Lo so, è ingiusto e crudele, come è ingiusto che i semplici lavoratori vengano considerati meno rispetto a chi utilizza le armi. Ma che possiamo farci? Io sono l'unica degli Anziani che la pensa così e nella nostra cerchia non mi lasciano mai parlare. Genew ha provato a migliorare la nostra società ma non è riuscito a renderla perfetta: a un certo punto dobbiamo riconoscere l'evidenza». Emesso un ultimo respiro, il suo tono cambiò: «Rallegrati almeno del fatto che per voi sia diverso: è molto improbabile che vi ritroverete in una situazione simile a quella di Anita. Fidati di me, ragazzo: presto la gente si dimenticherà del fatto che siete neoteroi e, se anche alcuni continueranno a tormentarvi, non appena mostrerete il vostro valore, non potranno che ricredersi». Tornò a sedersi sul suo ramo, mentre gli rivolgeva un ultimo sorriso, che rimase impresso nella mente del giovane: quella semplice inarcatura delle labbra fu la scintilla che riscaldò il suo cuore, che all'improvviso divampò di speranza. Da quel momento, lo sentiva, non si sarebbe più lasciato abbattere da nulla.
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Ed ecco a voi la prima parte del capitolo 15: prima di proseguire con il 16 aspettate il 15.1 GRAZIEEEEEE!
Dicevo, la prima parte del 15, in cui non succede niente. Perdonatemi, lettori, ma mi servono e sono importanti (e spero interessanti). Nella prima parte ritroviamo la giovane Genew, profondamente umiliata dalla sua punizione, tanto da essere adirata in tal modo anche con la sua migliore amica, Rigel: tenete d'occhio quest'ultima, mi raccomando. Nella seconda parte poi volevo esporre un elemento fondamentale all'interno delle società, ovvero l'educazione. E così vediamo come vengono istruiti i bambini del clan dalla comunità, con che valori, con che precetti. Purtroppo non potrò esporre molte leggende, quindi anche in questo ho dovuto fare una selezione: l'episodio (leggendario) della vecchia Genew è utile per vedere anche qualcosa in più su Zarkros e su Mortino e in particolare darvi un esempio concreto di come il daimon del vento svicoli dalla sua Legge (analogamente poi fanno quasi tutti gli altri daimona). Vediamo poi un punto di vista diverso dal solito dei neoteroi con l'introduzione di Paula, che serve più che altro per mostrarvi che non tutti i Gheneiou sono agguerritissimi contro i nostri eroi: ergo, abbiamo speranza (forse)! Ci vediamo al 15.1 per osservare come se la caveranno i neoteroi durante la Cerimonia delle Nomine: sarà un fiasco totale come durante il Giorno di Zarkros? Oppure combineranno, per una volta, qualcosa di buono? Avanzate le vostre ipotesi e intantl vi auguriamo un felicissimo anno nuovo! :)))))))
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