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[Potrebbe contenere scene violente]

Talvolta si dice che la volontà sia la forza più importante e più poderosa tra tutte: senza di quella si può possedere il corpo più valoroso, la mente più eccelsa, le idee più brillanti, la saggezza più profonda, l'indole migliore, ma non si andrà più lontano che d'un passo. La volontà è quell'elemento capace di dare la spinta necessaria all'uomo per partire e arrivare a toccare le stelle. E questo era quello che pensava Kairos, mentre bloccava il bastone della lancia di Morag che andava a scontrarsi contro il suo, lo respingeva e, afferrata una liana alle sue spalle, si allontanava preparandosi a scagliarsi di nuovo contro il suo allievo.

Da quando al neoteros era stato concesso di restare nel clan, a patto che diventasse utile all'interno della loro comunità, ovvero che entrasse nella classe guerriera, quello non aveva fatto altro che allenarsi, non limitandosi a un blando addestramento per diventare un Cacciatore sufficiente, come aveva invece scelto Spiro. Morag coglieva ogni momento libero di Kairos per chiedergli di scontrarsi e, quando il ragazzo doveva svolgere i suoi doveri di Cacciatore, stando ai suoi racconti si recava da solo nella zona a confine con le basse mangrovie, dove le liane erano più grosse, intricate e meno maneggevoli, dove persino un Gheneiou avrebbe faticato a muoversi con facilità: lì provava il suo equilibrio, esercitandosi a mantenersi saldo sulle liane e intanto a usare la lancia.

E in soli cinque giorni aveva ottenuto risultati esorbitanti. Si scontravano da pari a pari ormai e Kairos avrebbe potuto giurare di non aver mai visto alcun Cacciatore maneggiare le armi come aveva imparato a fare Morag.

Certo, molte abilità le aveva già acquisite le settimane precedenti al breve ma intenso addestramento dell'ultimo periodo e, ugualmente, il suo modo di combattere era ancora impreciso e impetuoso, non paragonabile a quello dei Guerrieri, ma per il poco tempo trascorso aveva già compiuto passi enormi.

Così quel pomeriggio si trovavano lì, proprio nel luogo in cui Morag soleva allenarsi, in un angolo della foresta così fitto di liane che permetteva un combattimento tutt'altro che semplice, ma anche di sperimentare le mosse e le strategie più disparate.

Kairos si arrampicò in fretta sulla sua liana, lasciandosi inseguire da Morag, per mettere in atto la sua tattica: mentre il neoteros fosse risalito, avrebbe avuto entrambe le mani occupate e la lancia momentaneamente sottobraccio - era difficile, per un non nativo, dirigersi verso l'alto con un solo arto. Quello sarebbe stato il momento propizio per attaccare: Morag non avrebbe avuto il tempo per riprendere la lancia e difendersi, e i suoi punti vitali sarebbe rimasti scoperti abbastanza a lungo perché Kairos potesse approfittarsene.

Il ragazzo si girò all'improvviso, la lancia in pugno, pronto a sferrare quello che sarebbe stato il colpo decisivo nel loro duello, ma una sorpresa lo attendeva: Morag gli era alle calcagna, molto più vicino rispetto a quanto Kairos si sarebbe aspettato, ma soprattutto aggrappato alla pianta di sostegno con una sola mano. Con l'altra reggeva la lancia, puntata contro il petto del ragazzo.

Con un movimento repentino, la sollevò con forza e la punta del bastone andò a toccare la parte destra della cassa toracica di Kairos.
Un sorrisetto competitivo comparve sulle labbra del neoteros: «Ho vinto» disse, palesando l'evidenza, la voce piena di orgoglio nel pronunciare quelle due parole.

Kairos spostava lo sguardo dalla pietra smussata della lancia posata sul suo petto, che Morag si ostinava a premergli contro, quasi gli dispiacesse dover perdere proprio allora la dolce sensazione della vittoria, al viso del suo avversario, che cercava di mascherare una gioia che era in realtà prorompente. Era la sua prima vittoria.

«Be', non mi avresti ammazzato, se avessimo usato delle lance affilate e pronte per la guerra» si affrettò a specificare il ragazzo: per quanto fosse contento del risultato ottenuto dall'amico, infatti, non gli avrebbe elargito così facilmente dei complimenti; come aveva imparato lui pochi anni prima, una quantità troppo massiccia di questi ultimi non faceva altro che infiacchire ogni volontà di migliorarsi. Perciò avrebbe continuato a comportarsi da insegnante pignolo: «Non hai colpito la zona del cuore».

«Ma certo, l'ho fatto apposta» disse di rimando Morag, amplificando il sorriso, sempre più entusiasta. «Così saresti morto dissanguato in preda ad atroci dolori. Non sono malvagio?»
«No, sei solo sbadato» ridacchiò il ragazzo, per poi aggiungere: «E pessimo a mentire».
«Senti chi parla» borbottò l'altro, mentre prendeva una liana e si slanciava verso la diramazione più vicina a loro. «"Raya,"» iniziò a dire, distorcendo la voce, per riportare il dialogo avvenuto la sera prima sotto l'oikarion del ragazzo, appena tornati dall'addestramento, «"te lo assicuro, non abbiamo combattuto". "Kairos, cos'è il livido che hai sul braccio? E quello sulla gamba di Morag? Mi avevi promesso che gli avresti solo insegnato a migliorare la tecnica". "Mi-mi sono schiantato contro una mangrovia che non avevo visto. E comunque se ci alleniamo non rischiamo nulla". "Allora lo dici anche tu che vi siete allenati!"»

Il giovane continuava a imitare la divertente scenetta dei giovani coniugi, mentre Kairos, con un'espressione falsamente contrariata, che tradiva un ché di divertito, si sbrigava a raggiungerlo. Proprio allora intravide una figura muoversi tra la folta vegetazione alle spalle di Morag, che non si accorgeva di nulla immedesimato com'era. Il ragazzo riconobbe l'espressione gentile che caratterizzava suo padre e sorrise a sua volta, posizionandosi sul ramo di fianco all'amico e volgendo le spalle al genitore sopraggiunto in sordina. Come voleva il suo ruolo, era lì per valutare la nuova recluta e la categoria del Percorso più adatta in base alle sue capacità: ovviamente doveva agire senza farsi scoprire, altrimenti le sue deduzioni in merito non sarebbero state abbastanza realistiche. Doveva aver visto abbastanza, perché Kairos colse i suoi movimenti mentre se ne andava.

«Allora, cos'hai da sorridere adesso?»
Le parole di Morag fecero sobbalzare per un attimo Kairos, che arrossì; come tutti sapevano bene, era davvero incapace di mentire e, sebbene non volesse rivelare al neoteros la sua contentezza per i miglioramenti dell'amico, il suo volto tradiva ciò che pensava: Morag non era soltanto adatto a diventare un semplice Cacciatore, ma suo padre avrebbe di sicuro ritenuto opportuno porlo già da subito a un grado più elevato.

«Uhm, Raya» azzardò, sperando di sembrare abbastanza credibile: non voleva essere lui ad annunciarglielo prima del tempo, voleva che si stupisse da solo di lui, non appena alla Cerimonia delle Nomine avesse sentito il suo nome tra quello degli Avventurieri.
«Certo, cosa sto a chiedertelo?» scosse il capo Morag, mentre il ragazzo tirava un sospiro per non essersi fatto scoprire: guai a lui se gli avesse rovinato la sorpresa! «Piuttosto» continuò il neoteros, «ho sentito dire dai tuoi fratelli che diventerai Sentinella senza nemmeno passare per gli Avventurieri!»

«Si vedrà» tagliò corto l'altro. In quell'anno in cui era stato Cacciatore era migliorato drasticamente e ormai quel grado aveva iniziato a stargli stretto, lo vedevano tutti. La verità era che Kairos non aveva interesse di progredire: aveva intrapreso il Percorso più spinto dalle aspettative del suo popolo, che esortava tutti i giovani a iniziare la strada delle armi.

«Sarai un grande Guerriero, Kairos».
«Forte e onorabile, come gli avi di Genew dai quali discendi».
«Non dimenticare le tue radici».
Quante volte aveva sentito discorsi simili da piccolo! E, così influenzabile com'era, compiuti i sedici anni, aveva pregato suo padre di annoverarlo subito tra i Cacciatori. Al tempo lui e Raya erano poco più che amici e il pensiero di trascorrere la vita al suo fianco non lo aveva mai scalfito: il suo desiderio era entrare a far parte della Squadra di Ricerca e di trovare lui stesso il tesoro.

Poi aveva scoperto di suo figlio e la sua ambizione si era frenata: perché doveva proseguire nel Percorso? Perché doveva rischiare di abbandonare per sempre Raya e la famiglia che stava per costruire? Il compito di Cacciatore era rischioso, si poteva sempre incappare in qualche animale feroce nelle basse mangrovie, ma bastava fare estrema attenzione per non rimetterci la vita. Non era così semplice nelle altre categorie: uscire dalle mangrovie significava infiltrarsi, seppur in pace il più delle volte, nei territori degli altri clan, che non era detto fossero così entusiasti di avere degli estranei nelle loro terre. Anche solo in qualità di Avventuriero ci si poteva imbattere in una situazione simile; le Sentinelle erano invece il primo baluardo di Tou Gheneiou contro i nemici, le più esposte al rischio. Per non parlare poi dei Guerrieri.

La loro vita era infinitamente più precaria e Kairos non voleva renderla tale poche lune prima della nascita di suo figlio. Prima o poi avrebbe abbandonato quell'idea: era ben evidente che fosse forte e capace, pronto a progredire nei gradi del Percorso, e se così non fosse successo la gente avrebbe iniziato a insospettirsi.
«L'avete vista sua madre? Una neotera: che ci si poteva aspettare dai figli?» «Debole, inutile, pauroso ed egoista: un neoteros nato sull'isola».
Già sapeva quali sarebbero potuti essere i commenti.

Con suo padre aveva concordato che sarebbe rimasto Cacciatore solo fino al primo compleanno del bambino, quando Raya non avesse più avuto così tanto bisogno del suo appoggio.

«Sinceramente non mi importa molto del grado che otterrò nel Percorso. Ho già detto cos'è importante per me e non ti seccherò ancora, ripetendolo» disse, specificando poco di più solo per non sembrare scortese nei confronti dell'amico. Pronunciando quelle parole, la sua mente tornò ad accoccolarsi nel pensiero della pelle morbida e liscia di Raya e subito si chiese se esistesse una simile idea che allietasse allo stesso modo anche il neoteros. «Per te, invece? Cos'è importante? E non dirmi l'approvazione dei Gheneiou, che tanto non ci credo» lo incalzò, con un sorrisetto insinuante, al quale Morag avvampò, girandosi dall'altra parte per non mostrare quel rossore tipico di chi prova un certo interesse per qualcuno.

Kairos sogghignò: lo sapeva! Aveva sempre saputo che tra lui ed Em sarebbe nato qualcosa e adesso ne vedeva i primi germogli, per lo meno da una delle due parti: l'altra prima di sciogliersi dalla sua rigidità avrebbe potuto impiegarci una vita, ma nulla era ancora detto. Dai racconti di sua moglie, che aveva avuto modo di stare in sua compagnia per quattro giorni interi, sembrava il più delle volte una vecchia e petulante bisbetica, ma ogni tanto, quasi involontariamente, mostrava un lato più umano, che lasciava sperare cose migliori.

Il ragazzo stava per commentare quell'improvvisa reazione di Morag, ma una piccola figura si precipitò rovinosamente tra lui e il neoteros: quello scalmanato di suo fratello Hermit.

«Hermit, buttandoti giù dalle liane in questo modo, prima o poi finirai per farti male» lo rimproverò il maggiore, sospirando.
«Fratellone! Che dici! È un modo per misurare la forza e il coraggio!» rispose a tono l'altro, per poi dimenticarsene quasi subito. «Non immaginate cosa ho sentito!» esclamò quindi, un sorriso raggiante gli percorreva tutta la faccia.
«Sentiamo cosa sarà mai successo» commentò Morag, ridacchiando all'esaltazione del piccolo.

«Allora,» iniziò, prendendo un grande respiro, «Rose mi ha detto che Raya le ha detto che Sem le ha detto che Niko le ha detto che Artax gli ha detto che Eos la Sentinella ha avvistato il falso daimon
«Sarà uno scherzo di tua sorella, visto tutto il giro di parole» sorrise Kairos, scuotendo la testa. «Hermit, è impossibile che Mijime sia già tornato: nemmeno il papà ci mette così poco ad andare e tornare dalle maghe. È ancora pomeriggio ed è partito solo ieri mattina; così facendo, non deve essersi fermato un solo istante e lo trovo improbabile. E poi non hai parlato di Bellatrix: di lei non si sa niente? Dai, Hermit, Eos si sarà sbagliata, se è vero tutto ciò che ha detto Rose».
«Eos è la Sentinella migliore di tutte: non sbaglia mai!» continuò a sostenere il fratellino. «Dai, tornate a casa! Dobbiamo accoglierlo, e poi voi due vi siete già allenati abbastanza: poi non è giusto che il neoteros diventi più forte di me!»

Kairos si scambiò un'occhiata con Morag, che annuì con un'espressione divertita: potevano anche tornare agli oikaria, per quel giorno avevano dato. «Va bene, hai vinto» sospirò quindi il ragazzo, alzandosi in piedi aiutato da una liana. «Però non ti abbattere se scoprirai che non c'è». Subito partirono, Hermit in testa a tutti, esaltato come non mai per il ritorno del suo neoteros preferito.

~

Una cospicua folla di persone si era radunata intorno all'oikarion di Genew e della sua famiglia. Kairos si guardò intorno, riconoscendo a stento tra la moltitudine Rose, Iulius e Anita, sui volti dei quali era accesa una forte espressione di stupore. Sui rami attorno, appesi alle liane o addirittura sulla piattaforma stessa le persone più disparate del clan: semplici lavoratori, iniziati al Percorso, guerrieri di lunga data, persino qualche Anziano e in particolare l'arcigno nonno Pitone, che standosene in disparte sulla piattaforma osservava il tutto con aria supponente.

Il ragazzo si voltò subito verso il compagno, rilevando sul suo viso la stessa incomprensione che sentiva lui: cosa ci faceva tutta quella gente ammassata dall'oikarion della sua famiglia? Evidentemente l'informazione di Hermit sull'arrivo di Mijime e Bellatrix doveva essere corretta, ma comunque non si spiegava l'interesse di tutti costoro, che saranno stati per lo meno una cinquantina di persone, per il loro ritorno.

Immediatamente cercò lo sguardo di sua madre, provando ad avvicinarsi a lei sulla piattaforma, ma ricevendo indietro solo un'occhiata dubbiosa. Kairos strinse la lancia, preoccupato. Non sapeva perché ma sentiva un pessimo presentimento.

Dalla direzione della sua abitazione, giunsero a un tratto anche Raya, Em e Spiro, che doveva essere andato con loro, non sapendo che altro fare, accompagnati dalla piccola Sofia: sui volti dei quattro il medesimo stupore a vedere tanta gente.

Raya con mosse abili si fece strada tra la folla e raggiunse Kairos, seguita dai due neoteroi, mentre Sofia già correva da Anita, seguita da Hermit, sfuggendo alla vista del fratello maggiore.
«Che sta succedendo?» chiese sua moglie. «Sofia ci ha detto che è stato avvistato Mijime, senza però essere accompagnato da Bellatrix, così siamo arrivati qui».
«Hermit ci ha portati qui dicendo la stessa cosa: la notizia deve essere girata in fretta...» rifletté Kairos, cupo, provando a guardare ancora verso la madre: avrebbe voluto raggiungerla, ma un muro di persone lo divideva da lei e non poteva scostarle tutte in malo modo per farlo. Scosse la testa: si stava preoccupando per niente. Dopotutto, cosa mai poteva accadere? Quelli saranno stati solo dei curiosi, che volevano apprendere che i neoteroi fossero divenuti Gheneiou, come sicuramente era avvenuto. Una volta che Mijime fosse arrivato e lo avesse detto, se ne sarebbero andati, soddisfatti e rassicurati.

La gente continuava a riversarsi in quell'angolo della foresta, tanto che sembrava non ci fosse più posto per muoversi. E arrivò anche la giovane Genew, insieme a Rigel, a qualche altro membro della Squadra di Ricerca e a Germanico, che non appena toccò il legno della piattaforma si accasciò a terra, stremato. Ma a sua sorella non importava molto in quel momento: scortata sempre dalla prima danzatrice, si fece largo tra la folla e giunse al centro, dove si trovava il resto della famiglia di Kairos. Al giovane parve di vederla squadrare la madre, ma fu questione di pochi istanti: subito dopo il suo occhio vigile si era fissato verso un punto preciso della foresta, quello da cui sarebbe dovuto arrivare il neoteros, con le sue notizie.

E così fu. Una figura, veloce e precisa, si calò dalle cime degli alberi e arrivò in pochissimo sulla piattaforma su cui si erano ammassati. Balzò sopra a essa lasciandosi la liana alle spalle e raggiungendo la folla. Kairos non riusciva a cogliere l'espressione che aveva in volto, poiché aveva la testa piegata verso il basso, ma vedeva com'era stremato: le spalle piegate in avanti, le ginocchia stanche su cui cercava di appoggiarsi, il respiro che provava a normalizzarsi. Non avrebbe mai pensato di vedere Mijime in quello stato.

La preoccupazione, che Kairos sentiva e che percepiva anche in Raya e negli altri, mentre si sporgevano per osservare il neoteros, non segnava però il volto di Genew. «Allora? Che hanno detto? E perché la tua compagna non c'è?» chiese quella, senza molti preamboli.

Mijime alzò la testa. Probabilmente non aveva mangiato né dormito dal giorno prima per riuscire a ritornare così presto e il suo volto ne era la prova: due grandi occhiaie segnavano il suo viso, la pelle, già di per sé chiara, era ancor più pallida e gli occhi assonnati. L'espressione, tetra, non presagiva niente di buono.

«Se due di noi moriranno, lo faranno anche gli altri quattro. Bellatrix per questo ha scelto di diventare una maga e penso si stia recando dal Vulcano». La sua voce non aveva alcun colore e il suo sguardo era fisso, mentre guardava un punto casuale, con gli occhi ardevano di furore, forse per le risposte non esattamente piacevoli delle maghe, forse per motivi che Kairos non conosceva. «Non ho altro da aggiungere».

Il ragazzo si girò a osservare i neoteroi, sui volti dei quali era spuntata una diversa espressione di sgomento, ma ugualmente intensa per tutti: Morag aveva smesso di muoversi, con la bocca semi-aperta, Em aveva preso a dissentire con la testa, quasi non volesse credere alle parole di Mijime, Spiro si era portato entrambe le mani alla fronte e persino Germanico aveva alzato appena il volto, per rivolgere gli occhi terrorizzati al portatore della notizia.
La situazione era peggio di quello che avrebbero potuto immaginare! Chi avrebbe pensato che il destino avesse voluto essere così crudele con loro?

Un brusio intorno a loro aveva iniziato a diffondersi: Kairos notò un particolare fermento nella zona della piattaforma su cui si era piazzato suo nonno e nello stesso istante sentì una mano gelida che gli afferrava un braccio. Raya era dietro di lui, anch'ella preoccupata, e gli fece un cenno come a dire di andarsene e di portare con lui i neoteroi e chi potesse: non era l'unico, dunque, ad avere un orribile sentore.

«Faremmo anche meno fatica a farli fuori, allora».
Kairos si sentì mancare il respiro sentendo quella frase provenire da qualcuno di fianco a lui. Non aveva capito chi fosse e non gli interessava: dovevano solo allontanarsi da lì, il prima possibile. Tirò Morag per la tunica e cercò di fargli intendere con lo sguardo di seguire Raya, che avrebbe portato via lui, Em e Spiro - Germanico era troppo lontano e non avevano tempo di raggiungerlo. Ma proprio in quel momento il rumorio di sottofondo fu messo a tacere da una potente voce femminile, espressamente stizzita. «Poco m'importa se morirete; e altrettanto poco m'importa della tua compagna. Neotere,» lo chiamò Genew, avvicinandosi minacciosa, «sai perché tutta questa gente è venuta qui? C'è una sola cosa che ci preme sapere: siete diventati dei Gheneiou

Arrivò a una minima distanza da lui e con un colpo secco fece in modo che sollevasse la testa e la guardasse negli occhi: senza mutare espressione, ma mantenendo la solita irrisoria che lo contraddistingueva, Mijime rimaneva in silenzio. Allo stesso modo tutti i presenti si erano ammutoliti, tendendo l'orecchio per ascoltare quell'ultima sentenza, che arrivò al cuore di Kairos come una freccia: «No». Il primo colpo scagliato da una delle due parti nemiche.

Come in battaglia è la prima freccia che fa iniziare lo scontro, così fu quella piccola, all'apparenza insignificante, parola a sollevare l'orda dello schieramento opposto, indistinta e scatenata, desiderosa solo di combattere.

«Bene, che se ne vadano!» sentì dire il ragazzo, da qualcuno che aveva alzato la voce al di sopra delle urla degli altri. «Teniamoci il Figlio del Sole e gli altri li mandiamo via».
«Concordo».
«Concordo».

Due o tre continuavano ad aizzare la folla e questa aveva iniziato a cercare i nemici: tutti si guardavano intorno per scovare i neoteroi e, non appena furono avvistati, il cerchio di persone iniziò a restringersi, strappando di mano ai giovani dell'altro clan le poche armi con cui potevano difendersi e sospingendoli verso il centro della piattaforma, dove si trovava il loro compagno, l'unico sul cui volto non fosse spuntata un'espressione di terrore.

Kairos avrebbe voluto raggiungerli ma la moltitudine lo bloccava e il ragazzo si ritrovò presto solo, in balìa delle gomitate e dei colpi di quelli intorno a lui, sempre più eccitati, istante dopo istante. Aveva perso di vista Raya, non vedeva più la sua famiglia, non riconosceva nemmeno i neoteroi, totalmente disorientato da quelle grida isteriche e brutali. Solo a un tratto sembrarono interrompersi. Kairos sollevò la testa, alzandosi sulle punte dei piedi, e vide suo nonno al centro della piattaforma, con un dito sentenzioso puntato contro i suoi amici.

«Ci hanno sottratto il nostro cibo!» iniziò, la voce vigorosa e carismatica. «Ci hanno sfruttato! Sono rimasti qui per quasi una luna come parassiti! E continueranno a farlo! Ci prosciugheranno, senza far niente, e si aspetteranno che noi continueremo a servirli! E poi si insinueranno tra noi e inizieranno a parlare con i nostri figli, menti deboli e ancora malleabili, e, con la loro mentalità da neoteroi, li corromperanno, precludendo loro la strada per raggiungere gli alti valori che da sempre possiede il nostro clan. Li renderanno tutti uomini senza onore, quali sono loro! È questo che volete per il loro futuro?»
«No!»
«A morte!»
«Non fanno parte del nostro clan!»

Kairos aveva paura, mentre guardava la sua gente: loro non erano così, non erano un popolo uso alla violenza, anzi, suo padre si spendeva tanto per creare al loro interno un clima di pace e serenità permanenti, come doveva esserci all'interno di un clan. Eppure, gli stessi uomini e donne che aveva avuto modo di conoscere da quando era nato adesso erano lì, a urlare contro giovani che non avevano fatto nulla di male: erano i suoi coetanei, con cui aveva scherzato e giocato da bambino e con cui era cresciuto, erano i loro genitori, che ricordava lo avessero sempre trattato con indulgenza, erano persone che aveva sempre stimato tranquille e morigerate, che anzi dicevano che la prima delle virtù era la pacatezza. E ora li sentiva sputare i peggiori improperi contro i suoi amici: non potevano essere gli stessi che conosceva!

E dov'era sua sorella? Doveva fare qualcosa! Solo lei ne aveva il potere, ora che suo padre non c'era. Non poteva permettere che i neoteroi venissero ammazzati. O forse era tutto ciò che aveva sempre voluto?

~

«Genew, vedi di mettere fine a tutto questo. Stanno esagerando, tuo nonno per primo». La giovane anaxa si voltò appena, sentendo il tono freddo di Rigel che le sussurrava alle spalle. Fece roteare gli occhi: cos'aveva da ridire, adesso? Il piano che aveva organizzato con gli Anziani, cogliendo i momenti in cui suo padre e i tolleranti Eracle, Èlia, Paula e Vinsenes erano fuori dall'Oikìa, stava andando a meraviglia. Avevano disposto che buona parte delle Sentinelle si spostasse nella zona da cui i neoteroi sarebbero rientrati nei confini del clan fin dal mezzogiorno: avevano pensato che fosse difficile che tornassero prima, ma avevano lo stesso preferito prevenire possibili anticipi, scelta rivelatasi poi alquanto lungimirante. In seguito, le Sentinelle avrebbero dovuto annunciare a più persone possibili del rientro dei neoteroi, cosicché tutti, spinti dalla curiosità, andassero ad appostarsi presso l'oikarion in cui si sarebbero recati. Nel mentre, le sue zie, Pako e Mara, avrebbero intercettato suo padre e avrebbero fatto in modo che rimanesse lontano per un tempo sufficiente. Una volta che non ci fossero più stati impedimenti, si sarebbe sentito il verdetto, se fossero diventati Gheneiou o meno, e in caso della risposta negativa se ne sarebbero sbarazzati.

Non sarebbe voluta arrivare a tanto, ma se suo padre non capiva di doverli allontanare, per il bene del suo popolo, sarebbe passata ai modi più duri e incisivi che avesse a disposizione.

«E sapete che vi dico ancora?» continuò Pitone, sempre più infervorato. «L'altra neotera non è mica andata dal Vulcano: sono tutti in combutta contro di noi, sono alleati con Mortino. Si è recata nelle terre del Nord e là rivelerà al nemico dove ci troviamo nella foresta e come fare per raggiungerci! Arriverà il suo esercito, conquisterà la nostra terra e ci sterminerà! È questo che volete?»
«No!»

«Genew, vuoi rispondermi?» proseguì Rigel, stringendole la spalla facendo maggiore pressione. Non aveva detto nulla nemmeno a lei: come Zeno, seguiva troppo i pensieri del capo del clan. Doveva essere giusto così, era lui la loro guida, ma Genew aveva organizzato tutto ciò per il bene del suo popolo. Presto o tardi l'avrebbero capito anche loro. O forse non l'avrebbero capito, ma intanto la minaccia dei neoteroi si sarebbe dissolta.

«E intanto loro se ne approfittano: li stiamo servendo, dando loro il nostro cibo, i nostri abiti, il nostro aiuto, ma intanto mandiamo a morte il nostro clan. Vi sembra ragionevole?»
«No!» Il grido della folla fu ancor più poderoso: se anche tra i Gheneiou ci fosse stato qualcuno che provasse pena o indifferenza per i neoteroi, in quel momento avrebbe comunque cambiato opinione, passando finalmente dalla parte del giusto. Perché era giusto eliminare quei parassiti.

«Genew, nostra anaxa». La giovane si sentì chiamare dal nonno con l'appellativo del capo del clan: anche questo era voluto, per evidenziare come la decisione sarebbe stata sua. «Tu sai cosa devi fare».

Un sorrisetto compiaciuto si dipinse spontaneo sulle labbra di Genew: per quanto tutto fosse programmato, la consapevolezza di quel potere che concretamente non aveva mai esercitato la inebriava. Finalmente anche lei avrebbe fatto qualcosa di buono per Tou Gheneiou.

«Tuo padre non c'è» si sentì sussurrare ancora da Rigel. «Ma fa' come se ci fosse lui. Non ho nessuna intenzione di placare uno spargimento di sangue per causa tua».
«Non ti preoccupare, Rigel» replicò Genew, parlando per la prima volta. «Ho in mente di usare una certa... clemenza».

Spostò quindi gli occhi dalla compagna d'armi a quei vili neoteroi che si trovava davanti, impauriti e tremanti. Oh, sì. Avrebbero presto realizzato quanto fosse clemente.

~

Tutta l'attenzione di Kairos era ora sulla figura della sorella, che si aggirava intorno ai Melitos lentamente, per poter puntare gli occhi, intrisi di odio, su ognuno di loro. Non parlava, si limitava a guardarli, visibilmente compiaciuta di ciò che stava per fare. Kairos doveva intervenire, ora che la folla si era placata per ascoltare le parole della figlia del capo, e riuscì finalmente a farsi strada per raggiungere le prime file. Ma la voce di Genew rimbombò: «Avete sentito, neoteroi, il volere del mio popolo? Mio padre non c'è: alcuni costruttori stanno ponendo i tronchi per un oikarion nuovo e, siccome aveva già svolto gli altri suoi compiti, è andato a dare una mano. Dunque, io sono il capo». Indugiò qualche istante, come ad assaporare quell'ultima frase, in cui stava dentro tutto il suo desiderio di detenere quel potere.

«Anche se vorrei tagliare la gola a tutti voi,» disse, estraendo velocemente un coltello e posandolo sul collo di Spiro, che iniziò a tremare, «affondando bene la lama nella vostra carne, rigirandola, e sentire la vostra miserabile vita venire meno,» proseguì con enfasi, per poi staccarsi dal malcapitato, «non lo farò». Tutti i Gheneiou la stavano osservando trepidanti per l'azione, tranne Rigel, che dalla sua prima fila la guardava carica di disapprovazione. «Se due di voi neoteroi dovessero morire, se ne andrà anche il Figlio del Sole, che purtroppo è indispensabile. La mia clemenza allora vi salverà la vita: andatevene e non tornate mai più. Non avrete problemi voi, non ne avremo noi. Tutto risolto. E se davvero voi non siete qua in qualità di spie di Mortino, accetterete di buon grado. Altrimenti la verità è chiara... Per questo non vi obbligherò ad andarvene: restate, restate pure. Non crediate però di poter dormire sonni tranquilli: non stupitevi, se un Gheneiou arriverà, la notte, a squartare il ventre a voi, che altro non siete che delle spie! E costui non solo non riceverà alcuna punizione, ma verrà anche premiato, con i più alti onori, per il suo coraggio, la sua forza e il suo amore per il nostro popolo! Tutto ciò che voi odiosi neoteroi non possedete».

Un grido di ovazione scaturì dalla folla, che fece fremere di rabbia Kairos ancor più delle terribili parole della sorella, che ora se ne stava a guardare i neoteroi dalla sua posizione predominante, con un sorriso di scherno. Il ragazzo diede una spinta a un uomo che aveva di fianco e che aveva sollevato la lancia, mentre ascoltava il discorso di Genew, e riservò un trattamento analogo a chiunque lo opprimesse nel centro della folla dove si trovava: in breve si ritrovò lui stesso in mezzo alla piattaforma.

«Genew, smettila!» gridò, con tutta la voce che avesse in corpo per sovrastare i versi della moltitudine. «Nostro padre non sarebbe d'accordo».
La giovane distolse lo sguardo dai neoteroi, per volgerlo sul fratello, quasi orripilata: «Kairos, che c'è?» chiese retorica, sgranando gli occhi mentre si muoveva verso di lui. «Cosa hai detto? Ho sentito bene? Sei... dalla parte dei neoteroi

Kairos si ritrovò sua sorella a un palmo dal naso: era più bassa di lui, ma comunque tutto in lei dava segno della sua potenza, la muscolatura quasi prorompente, l'andatura fiera, gli occhi imperiosi. Il ragazzo era piccolo davanti a lei, insignificante il suo pensiero. Ma non per questo avrebbe taciuto.

«Sì, sorella» affermò. «Il trattamento che vuoi riservare loro è tutt'altro che clemente, mettendoli di fronte a una decisione solo apparente: o morire, perché fuori dal clan non sarebbero al sicuro, o morire, uccisi da uno di noi. Non rimangono nel nostro clan perché sono delle spie, ma solo perché non hanno un altro posto dove andare! È assurdo volerli mandare a morire, sebbene non abbiano fatto niente. Certo, c'è stato l'incidente di Zarkros, che però ritengo sia stato più utile che dannoso: da quel momento hanno tutti iniziato a impegnarsi, lavorando come non hanno mai fatto, pur di rimanere qui. E proprio adesso tu li vuoi cacciare! Il nome del nostro clan sarà anche diverso, ma loro sono uomini, proprio come noi. E sono innocenti: per quanto la legge dell'isola glielo consentirebbe, non andrebbero mai ad allearsi con i Mortinou. Io li conosco, a differenza tua, e potrei giurarti che non ci farebbero mai del male».

Un silenzio di ghiaccio divideva fratello e sorella ed era andato a posarsi su tutti i Gheneiou, rimasti allibiti dal coraggioso discorso del giovane Kairos. Gli identici occhi cristallini dei due figli di Genew continuavano a guardarsi, non osando compiere alcun movimento, entrambi speranzosi di un mutamento da parte dell'altro, che non sarebbe mai arrivato.

Fu Genew a distogliersi da quel torpore, iniziando a scuotere la testa, mentre sul suo volto andava delineandosi una profonda delusione: quel minimo cenno del capo diede di nuovo l'attacco alla folla perché intervenisse e le urla ricominciarono.

«È già stato deviato!»
«Povero Kairos, povero Kairos!»
«Misera prole di Genew!» esclamò Pitone, tragico, affiancandosi a Kairos e indicandolo a tutti i presenti. «Antichi, antichi anaxes, cosa dite di fronte a ciò? Cosa dite vedendo che la carne della vostra carne tradisce Tou Gheneiou in favore dei neoteroi

«Nonno, non ho mai detto di non essere dalla parte di Tou Gheneiou» sbottò ancora il giovane, stanco di quella farsa. «È il mio popolo, io mi sento un Gheneiou e farei di tutto per il mio clan! Ma allo stesso tempo non posso accettare che dei poveri innocenti subiscano simili angherie».

La stessa delusione che Kairos aveva visto sul volto della sorella contraddistingueva ora quello del nonno, che con la voce afflitta continuava a dire: «Nipote, come mi fa male vederti così. Ma non è tua la colpa». Kairos sentì il corpo irrigidirsi. «Avete sentito, Gheneiou? Non è sua la colpa! Tutti sappiamo chi è la megera che ha rovinato così questi giovani».

Affiancato a Kairos com'era, mosse un passo, verso la zona della piattaforma sopra cui pendeva la scala di corda e su cui era rimasta per tutto il tempo Anita con i quattro figli minori, attonita per l'evolversi della faccenda.

Prima che si spostasse ancora, il ragazzo lo bloccò dalla spalla. «Non osate farle qualcosa» disse, categorico, ma sostanzialmente inascoltato dai presenti, che avevano spostato l'attenzione da Kairos e dai neoteroi a quella donna il cui volto era stato assalito dalla paura e che cercava invano di scomparire in mezzo alla moltitudine.

«Sono ancora recuperabili:» continuò Pitone, «Hermit e Sofia non hanno ancora dieci anni. E forse anche Kairos, che pure è già adulto, con il tempo e con l'abitudine capirà. Possono ancora rinsavire! Ma, per farlo, la causa di tutto ciò deve essere eliminata!» esclamò, con maggiore enfasi, indicando Anita. «Uccidiamo la neotera, allora, e salviamo questi cinque ragazzi! Uccidiamo la neotera e strappiamo cinque Gheneiou senza colpa a quella malvagia che il destino crudele ha voluto imporre loro come madre!»

All'ennesima ovazione, un giovane armato di lancia uscì dalla folla e iniziò a correre contro la neotera. Kairos non esitò e si parò subito davanti al corpo della madre, alzando la sua lancia e parando il colpo destinato a lei. In un istante vide il volto dell'aggressore, circondato dai capelli biondicci: Pelia, quasi suo coetaneo, nipote di Pako, l'Anziana sorella di suo nonno, fanatica quanto lui. Doveva essere riuscita a perpetrare i suoi ideali malati nella sua discendenza, evidentemente.

Kairos fu colto da un moto d'ira incontrollabile e, avendo passato la lancia nella destra, strinse la mano dominante a pugno, colpendo vigorosamente il cugino, che fu allontanato di qualche passo. Mentre quello si massaggiava il volto, il ragazzo si voltò verso Anita: parati di fronte a lei, c'erano Rose e Iulius, l'una con gli occhi furenti, l'altro tutto tremolante e assalito dalla sua solita ansia, ma non per questo con una minore volontà di proteggere la madre.

«G-Genew... C-come p-puoi...» mormorò proprio quest'ultimo, rivolto alla sorella, che se ne stava a osservare la scena come se non la toccasse: il panico da cui era avvolto non gli faceva esprimere bene i concetti, ma ciò che voleva dire trapelava persino dai suoi monosillabi.
«Non dici niente?!» gridò invece sua sorella, il temperamento totalmente diverso. «Urlano contro tua madre e tu non dici niente?! Cercano di farle del male, di ucciderla, e tu non dici niente?! Parli tanto di valore, di onore, ma dove sta il tuo, che non fermi neanche una folla impazzita contro colei che ti ha messo al mondo?»

Genew volse lo sguardo anche sui due figli di mezzo, per poi guardare di nuovo Anita, bieca: «Mi ha messo al mondo, è vero. Non ha fatto altro. Non è mia madre. Per me, è solo una neotera. Se è questo ciò che volete,» disse quindi alla folla, «uccidetela: nessuna punizione, umana o divina, cadrà sopra di voi. Mi prendo ogni responsabilità».

Pelia si era ristabilito e aveva ripreso a slanciarsi contro il gruppetto, seguito da diversi altri uomini e donne armati, pronti a investirli, incitati come sempre dal resto della folla. Kairos si guardava intorno: prima aveva visto Rigel dissentire alle parole di Genew, forse sarebbe intervenuta; ma Rigel era scomparsa. Come avrebbe fatto adesso? Era solo. Per quanto Rose e Iulius facessero da scudo al corpo di Anita, non sarebbero mai riusciti a proteggerla: lui era l'unico in grado, ma come poteva fronteggiare almeno sei persone che lo stavano raggiungendo?

Mentre si stava scontrando di nuovo con Pelia, con la coda dell'occhio vide un altro uomo che allontanava Iulius dalla madre e caricava la lancia dietro di sé.

Mijime, arrivato dietro di lui senza che nessuno se ne accorgesse, lo agguantò per la tunica, traendolo via da Anita. Questo si voltò, proponendo a lui il colpo destinato alla neotera; ma Mijime fu più veloce e, presa la lancia dell'avversario tra le mani, se ne appropriò, mentre gli tirava un calcio al petto, che lo fece rovinare a terra. Ormai il neoteros incombeva sulla figura del Gheneiou e, alzata l'arma dietro di lui, la sospinse, preciso, verso il basso. La lancia si conficcò nel legno della piattaforma. Mijime si allontanò dall'uomo che aveva risparmiato, mentre dalle profondità del suo petto iniziava a risuonare una risata cupa e grave, che di attimo in attimo andava a intensificarsi, fino a raggiungere uno stato che rasentava la follia, che fece raggelare il sangue di Kairos.

«Deficienti!» si interruppe infine, per osservare tutti i presenti, uno per uno, con un'aria ancora folle e piena di disprezzo per quell'organismo senza razionalità e buonsenso, mosso solo da un'istintiva barbarie. Alla reazione inimmaginabile del giovane, persino la folla si era ammutolita. «Non sapete fare altro che andare dietro come delle pecore prive di ragione al primo che usa due parole di incitamento. Ma vi rendete conto di quanto siete caduti in basso, correndo senza neanche pensare contro una donna che soffre da tutta la vita - e soffre per causa vostra, che altro non siete che degli invasati intolleranti! - per ucciderla? Perché? Perché potrebbe tradirvi... Come noi. Che idiozia! Ma non è neanche questa quella che avete sparato più grande. No, no, è questa: mandiamoli via e teniamo solo il Figlio del Sole. Ma secondo voi potremmo riuscire a sopravvivere fuori di qui, da soli, in balìa di altri clan? Due di noi, almeno, creperebbero e di conseguenza anche tutti gli altri: potrete dire addio al Figlio del Sole e alla sola possibilità che avete di sbarazzarvi di Mortino. Furbi, furbissimi, davvero dei geni! E il fatto che la morte di Mortino sia una profezia non dà la garanzia che questa avverrà di sicuro: sono sull'isola da praticamente un mese, ma ho già capito che di certezze non ce ne sono. Le Leggi, per gli umani e per le creature, sono inconsistenti, si può usare un pretesto qualsiasi per romperle, dunque chi vi dà la sicurezza che anche la profezia si compierà così come è stata predetta? Non ci metterei la mano sul fuoco. Piuttosto, dovreste fare tutto ciò che è in vostro potere per farla avverare: la minaccia di Mortino è significativa, non la nostra. Quello sarebbe in grado di porre fine al vostro clan anche senza il nostro aiuto: ha quello di un dio, a cosa gli serviamo noi? Vi conviene toglierlo di torno, adesso che ne avete la possibilità e cercare concretamente di disporre la situazione a vostro favore, come sta tentando di fare Genew, il vostro capo, il vostro anax, uno dei pochi, qui in mezzo, che mi sembra abbia capito qualcosa».

E tutto quel discorso da dove saltava fuori? Il viaggio per andare dalle maghe era stato così incisivo su Mijime? Kairos non sapeva cosa pensare, ancora sorpreso dalle capacità oratorie e dai ragionamenti del neoteros, che proprio come aveva fatto prima suo nonno ora stava tenendo a bada la folla. Ma i loro occhi a un tratto si incrociarono, in quelli del giovane un chiaro messaggio per lui: "Li sto distraendo. Porta al sicuro tua madre prima che riprendano".

Kairos notò l'espressione furiosa di Genew e di Pitone: una volta che il discorso fosse finito la pace non sarebbe perdurata; doveva sbrigarsi.
«Ma voi non dovreste essere da meno, rispetto a Genew, che è l'esempio positivo che potete trovarvi sempre davanti agli occhi...» Mentre Mijime continuava la sua arringa, il ragazzo si avvicinò silenziosamente alla madre.

Anita era per terra, con i figli minori, di cui Kairos si era momentaneamente dimenticato durante il tumulto, attaccati a lei, mentre piangevano senza far rumore. Il ragazzo si piegò, prendendola per mano: «Mamma, va' di sopra: Mijime li sta intrattenendo apposta» sussurrò, esortandola ad alzarsi e tendendole la scala di corda su cui arrampicarsi. «Nel caso dovessero scoppiare di nuovo, ci siamo io, Rose e i neoteroi a stare di guardia qua davanti. Non ti faranno niente».

Anita si alzò in piedi, coperta dalla figura del figlio, ancora timoroso che la folla, sebbene così incantata dalle parole di incoraggiamento che stava utilizzando ora Mijime, potesse di nuovo insorgere contro di lei. La donna sollevò i due bambini, avvicinandoli alla scala, che però non volevano saperne di staccarsi dal suo petto.
«Mamma...» mormorò Hermit, il viso completamente cosparso di lacrime.
«Dai, Hermit, sali» ordinò Anita, inflessibile, mascherando la paura che ancora la scuoteva tutta. «Anche tu, Sofia».

I due piccoli si arrampicarono in fretta, subito seguiti dalla figura più lenta e pesante della madre. Qualche Gheneiou si accorse del cambiamento e provò a indicarlo, ma Mijime, ormai al momento conclusivo del suo discorso, alzò la voce, e tutti tornarono a prestargli orecchio: «... sono certo che, una volta usciti dalla folla, una volta riconquistata la vostra individuale intelligenza, sarete in grado di comprendere questo discorso e l'insensatezza delle vostre azioni. Mostratevi, allora, mostrate che non siete solo dei bruti!»

Terminando così, tornò a mischiarsi tra gli altri quattro neoteroi, che lo guardavano esterrefatti, quasi quanto Kairos. Ma lo stupore più evidente si riscontrava nei Gheneiou, alcuni dei quali si guardavano ancora straniti, altri persistevano nelle occhiate d'odio contro i neoteroi, ma molti sembravano star riflettendo sulle scellerate azioni di poco prima.

Ma anche quel momento durò troppo poco: Pitone aveva ripreso a urlare e la folla si era ricomposta, di nuovo compatta contro i neoteroi. Kairos non sapeva cosa sarebbe potuto succedere ma, se non altro, si sentiva sollevato per aver messo al sicuro sua madre, tra tutte le vittime di quella giornata la più debole e indifesa. Per gli altri, sperava succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, che avrebbe placato il suo popolo. Non c'era riuscito Mijime, con il suo discorso così lineare da non poter avere neanche una confutazione, non riusciva a immaginare cosa potesse esserne in grado. L'odio e la paura dei Gheneiou sembravano più forti di qualsiasi altra cosa e di fronte a quelli la razionalità non poteva che soccombere: odiavano i neoteroi per paura che li tradissero e li consegnassero a Mortino e per il medesimo timore volevano arrivare a ucciderli, ma precludendosi in questo modo di cancellare la causa prima di questo moto di odio.

Tanta in loro era l'incoerenza dei sentimenti.

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Ma ciao, bella gente!
Eccoci qua a leggere la prima parte del capitolo 13 (un po' più lunga del previsto, ma doveva essere accurata...) quasi completamente dal POV del coraggioso Kairos (ve l'avevo detto che avremmo iniziato a esplorare anche altre angolazioni) dove vediamo agire un nuovo personaggio (?): la folla! Ho cercato di renderla nel modo più accurato possibile dopo essermi letta un sacco di cose in merito e in particolare la psicologia delle folle di Le Bon. Però se avete consigli, come ben sapete, sono sempre ben accetti ^^. Abbiamo poi la profonda incoerenza che dilania buona parte dei nostri personaggi e Genew f in primo piano (che ho voluto riassumere con la frase finale, una citazione del "De brevitate vitae" del buon vecchio Lucio Anneo): sebbene i neoteroi siano indispensabili per loro, ne sono talmente spaventati che vorrebbero ucciderli tutti. I neoteroi allora cosa potranno fare? La loro forza di volontà (che vediamo spiccare in Morag a inizio capitolo) e il duro lavoro potranno aiutarli? Saranno sicuri a rimanere a Tou Gheneiou? Del resto, dove possono andare altrimenti? Ma forse qualcosa sistemerà questa brutta situazione... Speriamo, almeno!
Vi chiedo solo una piccola curiosità, poi vi lascio liberi: l'avete trovato per ora un personaggio più insopportabile di Genew? 😂😂😂 Se sì, illuminateci, altrimenti diteci quanto a lungo vorreste picchiarla.
Detto questo, ci vediamo con il 13.1, amici!
Ciao ciao!
~🐼🐢

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