12

Le tenebre della notte erano ormai calate quando i giovani viaggiatori scorsero due fievoli luci in mezzo all'oscurità. Giunti dall'altro lato della collinetta, Bellatrix non sentiva una parte del suo corpo che non tremasse di trepidazione. Le sue gambe, che da quando era ripartita per attraversare la gola non si erano fermate un attimo, rimasero immobili, attonite come il resto delle sue membra. Cosa fosse quella strana sensazione che l'avvolgeva, non l'avrebbe saputo dire, ma era come se un timore inspiegabile l'avesse assalita.

Timore? Timore di cosa? Non era certo la prima volta che qualcuno andava a sentire delle profezie dalle maghe o a chiedere un passaggio di clan. Ma se le risposte che avrebbero dato non fossero state tra quelle auspicate? O forse era una paura viscerale dovuta all'incontro stesso con quelle due creature, che ancora non riusciva a immaginarsi? Non erano fate, non erano daimona. Ma allora cos'erano? Durante il viaggio tra i prati insieme a Mijime aveva cercato a lungo di ipotizzare il loro aspetto e le loro abilità, ma nemmeno questo sembrava possibile: con tutta la varietà presente sull'isola anche la cosa più bizzarra e inconcepibile poteva davvero essere reale.

Lanciò una breve occhiata a Mijime, che come al solito non sembrava turbato; anzi, un sorrisetto era sorto sulla sua bocca, probabilmente perché sapeva che presto avrebbe potuto esporre la sua richiesta. Mentre camminavano le aveva spiegato, in modo un po' meno enigmatico della sera precedente, che aveva un'importante questione da sbrigare con le maghe; non le aveva rivelato di più, ma Bellatrix era già soddisfatta del modo amichevole in cui le aveva parlato: non erano più sorti motivi d'attrito tra loro e si era mantenuta la stessa atmosfera pacifica nata poco prima. Era difficile pensare ormai che il loro nuovo rapporto, formato da una sorta di reciproco rispetto e sopportazione, si sarebbe modificato: avendo sistemato anche questo aspetto e poiché stavano per portare a termine la loro missione, le cose si stavano volgendo al meglio. Dopo tutte le disgrazie capitate, non poteva che avvenire un ribaltamento.

Bellatrix mosse un piede e si avviò giù per il pendio, le gambe che affrettavano il passo istante dopo istante, colte da una nuova frenesia: in breve si ritrovarono presso la staccionata - di cui non avevano esattamente capito il senso - che creava una sorta di ingresso.

L'abitazione delle maghe non era come se la sarebbero aspettata: nulla di magnifico, nulla di grandioso. Era piccola, poco più che una capanna, e realizzata con materiali poveri e grezzi: i muri di pietra sostenevano un tetto di legno e paglia e le uniche due finestre erano talmente piccole che non si intravedeva neanche parte dell'interno.

Mijime spinse la porta del recinto e si introdussero in quell'area delimitata, facendo estrema attenzione, quasi potessero venire assaliti all'improvviso da qualche bestia a guardia della casa: il timore che Bellatrix aveva sentito alla prima vista di quella costruzione e che per poco era riuscita a sopprimere andava amplificandosi man mano si avvicinava e sembrava toccare persino Mijime, appena irrigiditosi al suo fianco.

Il silenzio intorno a loro opprimeva tutto e persino i loro movimenti avevano cessato di produrre rumore. Ma un suono non tardò ad arrivare.
«Davvero delizioso, Arla!»

Bellatrix si sentì raggelare e le sue gambe si bloccarono di nuovo, ma tese ugualmente l'orecchio per sentire meglio.
«Non avrei mai pensato che abbinare unicorno e fiori del deserto potesse essere una buona idea».
«L'importante è aggiungere allo stufato un po' di rosmarino».

La giovane guardò stranita il compagno, considerando le parole che aveva appena sentito: si sarebbe immaginata che le avrebbe sentite parlar di tutto tranne che di cibo; e di che genere di cibo!

«I clan dell'estremo est allora se la cavano con la cucina: mi sembra assurdo!»
«Sicuramente sono meglio di quelli che vivono da questa parte: insieme alla civiltà questi hanno perso anche il buon gusto. Penso di non aver mai assaggiato niente di più disgustoso di un apireo».

Ascoltandole, Bellatrix sentiva le loro voci e già con quell'elemento poteva confermare che non fossero né fate né daimona: non erano musicali e cristalline e nemmeno sovrumane; erano le voci di due semplici anziane, una, quella di Silva probabilmente, un po' più rauca. Il mistero che si nascondeva in loro iniziava a stuzzicare anche la sua curiosità.

«Allora, dimmi» riprese la voce più strascicata tra le due. «Ti sei dimenticata di rivelarmi alcuni avvenimenti?»
«Oh, Silva, ne succedono talmente tanti che non te li posso dire tutti, lo sai».
«Certo che lo so. È da duemila...»
«Non serve ripeterlo ogni volta».
«Be', allora racconta».
«Mmm, ricordi Ton Eeron
«Clan del sud, di circa trecento componenti, pacifico, devoto soprattutto a Erola, alla ricerca del tesoro da duecento anni. Cos'ha combinato?».
«È stato massacrato da una frana disastrosa, nel Massiccio Meridionale dove vivono. O meglio, vivevano».

Le due non si sentivano più; forse stavano rivolgendo una preghiera in silenzio alle anime dei membri di quel clan: era strano che importasse loro così tanto della vita di alcuni mortali, ma allo stesso tempo non potevano essersi messe a tacere senza motivo. Le supposizioni della giovane furono subito smentite. La voce di Arla scoppiò in una risata glaciale, malvagia, e Silva la seguì dopo pochi istanti, accompagnata dal rumore di qualcosa che cadeva per terra. Bellatrix non si accorse di aver fatto un passo indietro.

«E pensare che l'avevo pure detto al loro capo, Emu!» esclamò Silva, ridendo ancora. «Più chiaro di così: "una tempesta di pietre sarà la vostra ultima visione". Questi mortali che non riescono a interpretare le profezie e a usarle a loro vantaggio sono così divertenti
«E un altro clan in meno che riuscirà ad arrivare al tesoro».
«Poi? Poi? Raccontami altro!»
«Va bene, ma questa non ti piacerà: due neoteroi stanno ascoltando i nostri discorsi».

Bellatrix sobbalzò: li avevano sentiti?! Avrebbe dovuto immaginarselo, considerato che una delle due conosceva ogni evento del passato e del presente, ma era riuscita ad avvertire anche loro, che non avevano fatto il minimo rumore e si erano tenuti abbastanza distanti? La preoccupazione tornò ad assalirla, e il respiro di Mijime di fianco a lei, anch'esso fattosi irregolare, non l'aiutava.
Dall'interno non proveniva più alcun suono, come se qualcuno fosse in ascolto dall'altra parte del muro.

«Ecco cos'era quella strana presenza che avvertivo...» disse poi Silva. «E io che pensavo fossero solo le fate».
«Oh, no, sono proprio due mortali e, anzi, dei neoteroi nuovissimi: è da appena un mese che sono naufragati sull'isola».
«E come avrebbero fatto a raggiungere il nostro piccolo angolo di pace se abbiamo fatto scomparire il ponte proprio ieri?»
«Tre E» disse Arla, con una nota divertita, proponendo alla compagna quella sorta di indovinello.

«Elpenore, Elvira e... Non saprei».
«Ed Elene».
«Quelle due irruente hanno coinvolto una piccola anima pura come lei... Oh, sono senza parole! Addio, pace! Ecco che dobbiamo tornare al lavoro! Ma per chi ci prendono tutti? Le serve dei clan?»
«Inizia a pensare a una bella punizione per quelle tre: metterle a fare per altri tre anni le nostre portavoce non ci conviene, quindi pensaci bene. Però, ora che sono qua davanti, non possiamo far attendere i nostri visitatori ancora molto; venite dentro,» comandò poi la maga, imperiosa, alzando la voce perché potesse essere ben udibile, «Mijime e Bellatrix».

I due si guardarono di nuovo, sbalorditi. Arla non sapeva solo che due persone avevano varcato il loro territorio, ma conosceva anche chi fossero. Nemmeno questo li avrebbe dovuti sorprendere più di tanto: erano loro che attribuivano i nomi agli abitanti dell'isola. Bellatrix fece un respiro profondo e poi si decise a proseguire: raggiunse la porticina di legno e con cautela la spinse avanti, venendo immersa nel più completo disordine.

Centinaia di piccole tavolette di terracotta incise erano sparse dappertutto, appoggiate ad antichi mobili di legno mangiati dalle termiti, appese ai muri, per terra; qualcuna pendeva persino dal soffitto, che presentava vistose crepe lungo le assi di legno. Oltre a quelle tavolette, miriadi di piccoli vasetti, ciotole, terrine, o qualsiasi altro tipo di contenitore di piccola o grande dimensione, riempiti delle sostanze più disparate. Bellatrix, non appena aveva varcato l'ingresso, per poco non ne aveva rovesciati due, uno con un liquido verdognolo al suo interno, e un altro che emanava un fumo rosso e maleodorante, che le dava il voltastomaco e impregnava del suo odore la casa.

Quella sensazione di nausea in realtà era iniziata da quando aveva oltrepassato la soglia, come culmine di quella marea di emozioni che l'avevano assalita dal suo arrivo. Ora non aveva più dubbi: era la presenza di quelle due a far questo effetto. Quelle due che ora erano davanti ai suoi occhi, sedute per terra intorno a un calderone che ribolliva rumorosamente.

Una alta, con un naso imponente, l'altra più bassa ed esile di corporatura; la prima con i capelli bianchi e intrecciati insieme a quelli che parevano piccoli ossicini, mentre la seconda portava un copricapo scuro, simile a un turbante, che le copriva la testa fin sulla fronte. Per il resto erano simili: gli abiti di entrambe erano larghi e coprivano tutto il loro corpo, lasciando scoperti solo la testa, le mani e i piedi, da cui si poteva comprendere quanto quelle due fossero vecchie: le mani, su cui si osservavano grandi vene ben visibili, erano quasi scheletriche, con dita lunghe e nodose, e una profonda e antica cicatrice su una delle due andava a impreziosirle. Dei loro volti, ragnatele di rughe, soltanto gli occhi, azzurri quelli della prima e verdi quelli dell'altra, erano vivi e scintillavano di una luce singolare, mentre li fissavano con sguardi incuriositi, che penetravano fin dentro le viscere.

Tra le varie idee che Bellatrix si era fatta delle maghe, se le era immaginate come due anziane signore ma certamente non così; la loro presenza la turbava e la metteva in soggezione. Voleva iniziare a parlare, ma ogni parola le si bloccava in gola. Fu Mijime a iniziare un discorso, con il solito modo affabile: «Mie signore...»

«Lo so, Mijime: avete tre domande per noi» lo interruppe Arla, guardandolo con un sorriso. Sul volto del giovane comparve una leggera espressione di stupore, mentre Bellatrix confermava tra sé l'ennesima supposizione. L'anziana lo osservò meglio, amplificando il sorriso: «Non stupirti tanto: sei pur sempre al cospetto delle maghe dell'isola. Devo dire che siete arrivati con un insolito tempismo» commentò, accennando alla ciotola che stava tenendo in mano, riempita di una disgustosa brodaglia: la sua compagna ne stava sorreggendo un'altra identica. Bellatrix abbassò appena il capo: ecco perché prima stavano parlando di cucina. "Speriamo solo che questo non le abbia irritate..."

«Risponderemo a tutti i vostri quesiti: dopotutto, se siete riusciti a convincere quelle tre scansafatiche a trasgredire la legge, ve lo siete meritati. Prima però dobbiamo finire di mangiare. Se intanto volete accomodarvi». Con la mano che reggeva il cucchiaio fece cenno di sedersi insieme a loro.

I due giovani, dopo un attimo di esitazione, si inginocchiarono: non conoscevano le intenzioni delle maghe ed era meglio non farle innervosire, ora che sembravano tranquille e ben disposte verso di loro.

«Prima di iniziare, vorrei mettere in chiaro qualche cosa con voi due» disse poi Arla, estraendo il cucchiaio e puntandolo prima contro Mijime e poi contro Bellatrix. «A ogni momento non saliente del ciclo della luna, noi due ci rilassiamo. Ora, che quelle tre là abbiano creato un ponte solo per voi è un'eccezione che non dovrebbe nemmeno verificarsi - se lo venissero a scoprire i daimona potreste dir loro addio. Quindi, ricordate di osservare bene la luna, per le prossime volte: non vorremmo avere altre noie» concluse, immergendo di nuovo il cucchiaio nella zuppa.

"Ma Genew non aveva accennato a niente di tutto ciò" rifletté Bellatrix.
«Certo, Bellatrix» le sorrise Arla, leggendo ancora il suo pensiero. «Genew ha la fortuna di venire da noi sempre quando c'è luna nuova e dà per scontato che il ponte ci sia sempre. Ma, vedi, il lavoro di noi maghe è una vera faticaccia: tutti vogliono sapere cosa succederà loro e si riversano qua a centinaia. Quando siamo diventate maghe, la nostra casa era sempre così piena di gente che abbiamo dovuto formare il crepaccio che circonda il nostro territorio, per vivere un po' in pace. Ma ecco che i mortali si radunavano ugualmente sull'altra sponda e iniziavano a gridarci di uscire: era ancora più fastidioso di prima. Così abbiamo stabilito questo compromesso».

«Dovrebbero essere le fate a informarvi, durante la nostra assenza,» continuò Silva, sbuffando, «ma sono esseri stupidi e svogliati: di tutte quante, soltanto una presenta un minimo di intelligenza e serietà, la mia piccola e perfida Elettra! Ma bando alle ciance! La nostra cena è conclusa, sebbene non in modo particolarmente piacevole, e siamo pronte a rispondere; vedete di fare in fretta che non abbiamo tutta la sera».

«Cominciamo pure» asserì Arla, alzandosi in piedi e andando a frugare tra i vari scaffali pieni di vasetti: si muoveva rapidamente senza incurvarsi su se stessa, nell'andatura non sembrava affatto vecchia. «La profezia sul vostro clan, dite?» iniziò a leggere nelle loro menti, mentre estraeva un piccolo boccetto trasparente. «Avrebbero dovuto dirla Elpenore, Elvira ed Elettra ma non ne avevano voglia, sento».
«Anche Elettra?!» esclamò Silva, allibita.

«Su, smettila coi tuoi favoritismi, Silva, e limitati a dire ciò che devi» la spronò Arla, tornando al proprio posto e svuotando tutto il contenuto nel calderone: una nube bianca si sollevò improvvisamente, costringendo i giovani a tenere serrati gli occhi.

Quando li riaprirono, la maga con il turbante aveva chiuso le palpebre e la sua faccia aveva assunto un'aria totalmente concentrata per diversi lunghissimi secondi. Bellatrix tratteneva il fiato e cercava di tenere ferme le gambe, che altrimenti si sarebbero mosse ripetutamente in preda all'emozione: stavano davvero per scoprire il futuro del loro clan... oppure si trattava di qualche informazione che li avrebbe avvicinati al tesoro?

Silva spalancò di nuovo gli occhi: «Per il vostro clan in generale non vedo nulla che possa rivelarvi già adesso» concluse. Quelle parole spensero la trepidazione di Bellatrix come un alito di vento la fiamma di una candela: erano partiti bene!
«Perché le fate sono sempre così imprecise?» sospirò irritata Arla. «Per voi Silva non ha ancora previsto nulla, ma sappiamo questo, ciò che vi avrebbero dovuto comunicare quelle creature insulse: la maledizione che qualcuno ha scagliato su di voi».

«Una maledizione?» Bellatrix sgranò gli occhi, protendendosi verso la maga. La magia era qualcosa che trovava incomprensibile, ma non ci voleva molto a capire che quella parola potesse avere qualsiasi significato, tranne che uno positivo. Ma perché era capitata a loro? Cosa potevano aver fatto? Chi, poi, era in grado di manipolare la magia in quel modo? Improvvisamente capì: Zarkros, ecco in cosa consisteva la sua vendetta.

«Si vede che sei una neotera, Bellatrix: non è stato Zarkros, i daimona non lanciano maledizioni sui mortali; per vendicarsi sono molto più... diretti» riprese subito Arla. «Ma perché dovrebbe interessarvi chi è stato? Non cambierebbe nulla. Sappiate piuttosto ciò che recita: qualora due ne moriranno, gli altri li seguiranno».

La giovane sentì il mondo allontanarsi da lei, mentre nella sua testa rimbombava solo quella frase.
Qualora due ne moriranno, gli altri li seguiranno.
Erano in costante pericolo di morte! Più di una volta avevano corso dei rischi, ma se lo avessero saputo prima certo non avrebbero intrapreso certe idee: tutti i giochi sulle liane con i figli di Genew, le innumerevoli cadute dai rami... Adesso si aggiungevano Zarkros e i Gheneiou come possibili minacce alla vita di uno di loro e, di conseguenza, di tutti loro.

Lanciò un'occhiata preoccupata a Mijime, che però non pareva ancora turbato: aveva solo corrugato appena la fronte e continuava a guardare verso le maghe. Ma come faceva?! Aveva per caso colto qualcosa che a lei era sfuggito, una parte consolatoria in quel lugubre discorso?
La giovane cercò di concentrarsi e provare a ragionare lucidamente ma quelle parole non riuscivano a uscire dalla sua testa.

I suoi pensieri furono interrotti da una risata soffocata di Arla, che interruppe a un tratto, senza motivo. Gli occhi azzurri adesso erano spalancati, lo sguardo vitreo, perso nel vuoto: non era più con loro.
«Sta succedendo qualcosa» mormorò alla compagna, con una nota eccitata.
«Cosa, Arla?»
«Dammi il tempo di vedere! Intanto proseguite con le domande» disse come ultima cosa, prima di perdersi totalmente nella sua visione.

Bellatrix continuò con voce sommessa, ancora scossa per la notizia precedente: «Volevamo chiedervi se fosse possibile fare una transizione di clan, entrando a far parte di Tou Gheneiou».
«Voi siete Tou Melitos» considerò Silva tra sé, passandosi ripetutamente il pollice e il medio ai lati del mento. Un lungo silenzio calò nella stanza, tanto che il movimento della vecchia pareva essere l'unico rumore; Bellatrix continuava a osservare la maga, il volto sempre più disperato: i secondi che passavano sembravano voler annunciare una seconda risposta negativa.

Silva alla fine, terminata la riflessione, sorrise di nuovo: «No, non potete».
«Come non possiamo?!» esclamò Bellatrix, non riuscendo più a trattenere la calma. Non potevano essere ammessi in quel clan. Li avrebbero cacciati, di questo passo, non c'era dubbio: neanche Genew, allora, avrebbe voluto tenerli con loro; oppure sarebbero rimasti, ma solo finché Germanico non avesse ucciso Mortino, cosa che prima o poi sarebbe accaduta. O ancora li avrebbero trattenuti per sempre, ma sotto forma di schiavi. Oppure... Il futuro, senza la sicurezza di Tou Gheneiou che li proteggesse, prendeva ormai le tinte più fosche della scala cromatica: solo la vecchia di fronte a loro sapeva quale fosse la verità ma, continuando a sorridere sorniona, non gliel'avrebbe mai rivelata.

Costei si alzò lentamente dalla sua postazione, tenendo una mano a sorreggere la schiena; oltrepassò Arla e giunse vicino a una delle due finestre: lì il soffitto cadeva a spioventi e quasi nel punto di congiunzione con la parete era attaccata a un filo una piccolissima tavoletta di terracotta circolare, poco più piccola del palmo di un adulto. La vecchia lo staccò con un colpo e andò a porgerlo a Bellatrix, che continuando a non capire le intenzioni della maga provò a osservarlo; un ciclo continuo di incisioni si susseguivano per tutta la circonferenza, e al centro un'altra poco più grande che attirò la sua attenzione riportava la scritta:

ΤΟΥ ΜΕΛΙΤΟΣ

Bellatrix lo rilesse più e più volte, supponendo a senso che ci fosse scritto il nome del loro clan, avendone la conferma intravedendo le due lettere che comprendevano il nome di Em - tra le poche comprensibili di quella strana grafia - nella scritta continua che attorniava la tavoletta. Il nome di quel clan che era loro capitato in sorte. Ma come poteva spiegare l'assurdità che Silva le aveva appena riferito, ovvero l'impossibilità di uscirne?

La giovane alzò di nuovo gli occhi verso di lei, notando che intanto Mijime si era portato una mano alla fronte: lui aveva compreso? Con lo sguardo interrogativo esortò la maga perché rendesse edotta anche lei.
«Siete un rarissimo caso di clan dalla struttura circolare» affermò, ripercorrendo con l'indice arcuato quelli che dovevano essere i loro nomi, fino a formare un cerchio. «Se tracci un cerchio, come qualsiasi figura chiusa, e lo ripassi, finirai per ripassare sempre la stessa linea. Un cerchio è chiuso e perfetto così, non è una retta che si prolunga all'infinito, e non è nemmeno un segmento spezzato, che, accostandolo ad altri, puoi allungare sempre di più. Il vostro clan è un cerchio. L'ultima questione?» chiese infine, cambiando bruscamente argomento: mancava ancora la richiesta di Mijime.

Bellatrix, dopo il discorso di Silva, si sentiva ancor più demoralizzata e sentiva solo la fatica accumulata dall'alba che iniziava a gravare sulle sue spalle: anche quella era stata compiuta inutilmente. E adesso come avrebbero fatto a comunicarlo ai loro compagni? E ai Gheneiou? Ma il fatto che la maga avesse appena dato la parola a Mijime le dava un briciolo di speranza: il giovane doveva aver constatato il destino pietoso contro cui si erano appena interfacciati e forse aveva in mente qualcosa che li avrebbe risollevati un poco. Era ancora così calmo... A parte l'attimo di sconforto in cui aveva visto la disposizione dei nomi - di cui doveva già sapere - non aveva ancora mostrato alcuna afflizione, a differenza sua: stava nascondendo qualcosa, ormai ne era certa.

Volse la testa nella sua direzione e fissò gli occhi di lui con i suoi, intrisi di preoccupazione, quasi volessero pregarlo: "Fa' qualcosa, ti prego". Mijime annuì appena, con un mezzo sorriso, e Bellatrix sentì un calore tiepido dilagare nel suo corpo: allora aveva ragione, aveva un piano! Credeva fermamente in lui e aspettava solo che pronunciasse la sua richiesta, anche curiosa di sapere cosa gli fosse sovvenuto: fremeva ormai nell'attesa.

«Vorrei che mi fosse cambiato il nome».

Tutto intorno a lei era scomparso ed era rimasta solo la meschina figura di Mijime, che aveva sprecato una così importante opportunità e a cui lei aveva persino dato fiducia; l'unico rumore era il battito del suo cuore, che accelerava in preda all'ira nei confronti di quel subdolo ed egoista ingannatore. Ma una fragorosa risata la riportò nella caotica capanna.

Gli occhi di Arla non erano più vitrei ma fissavano Mijime, mentre dalla sua bocca continuava a uscire quello sghignazzo raccapricciante, che diventava più stridulo ogni secondo che passava. Si piegò in due, non riuscendo a contenersi, e anche Silva iniziò a sogghignare, ma in modo più silenzioso e contenuto. Il sorriso sulle labbra di Mijime pian piano iniziava a scomparire.

«Questo è molto più divertente dell'attacco di Ton Paidon a Tes Raphanidos! Mai me lo sarei immaginata! Hai sentito, Silva!» esclamò Arla, le lacrime agli occhi. «Pensa di poter cambiare il nome che ho scelto per lui! Secondo lui, io, la grande e potente maga Arla, colei che vede tutto ciò che accade e che è accaduto, non ho riflettuto prima di scegliere un nome ed è così insolente non solo da insinuarlo ma anche da venirmelo a rinfacciare». Si rivolse a Mijime, penetrandolo con uno sguardo gelido e un ghigno che le attraversava tutto il volto. «Cosa c'è, Mijime? Non ti piace il tuo nuovo nome? Avresti preferito un nome come il suo, Bellatrix, che in una delle lingue di voi mortali significa guerriera, o che è una delle stelle più luminose del firmamento? Invece te ne è capitato uno così... miserabile».

Questa volta fu Silva a scoppiare a ridere, senza alcun contegno. Arla si alzò in piedi, avvicinandosi a Mijime e prendendo il suo volto tra le dita.
«Non dovresti osare mettere in discussione una scelta delle maghe, che ti piaccia o meno. C'è un perché se ti ho dato quel nome: per ciò che ho visto sul tuo passato e per ciò che Silva ha visto sul tuo avvenire. Conosci già il suo significato e, da quello che leggo nella tua mente, lo conosci bene. Riflettici su: potrai scorgere il futuro anche tu in questo modo, Mijime».

Mollò la presa e si allontanò dirigendosi verso uno scaffale, che spalancò, rivelando l'enorme quantità di arti animali presenti al suo interno. Ne afferrò una decina, alcuni putrescenti, alcuni ancora con il sangue fresco attaccato al pelo, e dalla sua posizione li gettò, uno a uno, nel calderone. Anche Silva si alzò, raccattando veloce dal pavimento una sfera che pareva di metallo e scaraventandola con entrambe le mani, in preda a un'entusiasmo che l'aveva assalita solo negli ultimi istanti, nella grossa pentola, che stava iniziando ad andare di sopra.

Il liquido che fuoriusciva, dal pregnante odore di zolfo ed escrementi, bagnò in breve le canne che rivestivano il pavimento, che si sciolsero al suo solo contatto, e raggiunse in fretta i due compagni. Bellatrix si alzò in fretta, inorridendo mentre vedeva che quel fluido nauseante andava a toccare le sue dita, e poi il torso del piede e le caviglie e l'orlo del vestito... Veloce continuava a salire, lasciandole addosso lo stesso senso di sporcizia che conferivano il suo odore e la sua consistenza appiccicosa. Fece per voltarsi e raggiungere la porta dietro di lei, ma quella era scomparsa.

«Arrivederci, neoteroi» disse Arla, richiamando la loro attenzione. Insieme a Silva, era andata a posizionarsi presso la parete opposta e li stava osservando con un ghigno malevolo, mentre la fanghiglia lasciava fuori ormai solo le loro teste. «Se così vorrà il destino».

La superficie sommerse in quell'istante Bellatrix, che perse ogni sua capacità di movimento. Provò a riemergere, a lottare contro quel liquido orrendo, ma il suo corpo rimaneva fermo e non rispondeva più in alcun modo, bloccato dalla melma, di cui presto avrebbe fatto parte; le sue cellule si stavano staccando una a una, andando a decomporsi e a diventare un tutt'uno con il resto...

Aprì improvvisamente gli occhi. Davanti a lei di nuovo la grande gola.

Ancora con il cuore che sembrava esplodere nel torace, si lasciò cadere a terra, mentre il respiro recuperava il suo ritmo naturale. Era sopravvissuta, le maghe non avevano disciolto le sue membra nel loro fluido. In quegli istanti non riusciva a pensare ad altro e intanto, guardandosi le mani e le braccia di nuovo pulite, il disgustoso ricordo della melma iniziava a scorrere via, lasciandole solo addosso una profonda stanchezza.

Rimase ancora qualche istante, per recuperare le forze, sdraiata sulla terra; era salda sotto il suo corpo ancora ansimante, non liquida e sdruccevole. Questo la rincuorava: avrebbe avuto gli incubi per giorni a venire a causa di quella roba! E un senso a lei incomprensibile si celava anche dietro al fango evocato dalle maghe, come alle tavolette con i nomi dei clan incisi, alla magia delle fate, all'isola...
"Perché" continuava a chiedersi, mentre riprendeva coscienza di sé, "ci hanno respinto così? Se volevano mandarci via perché non hanno fatto qualcosa di meno terribile? Avrà anche questo un senso nel nostro futuro?"

Iniziò lentamente a rialzarsi e improvvisamente, abbandonate le sterili riflessioni sulla magia e ripercorsi gli eventi di quella sera, fu inondata da un profondo sentimento di ira: Mijime. Era venuto con lei per una richiesta così infantile e superficiale?! Avevano subito quel supplizio - perché era ovvio che le maghe avessero sfoderato i loro poteri solo perché la richiesta di Mijime non era risultata gradita - per questo suo capriccio!

Prese a guardarsi intorno con aria forsennata e subito lo vide, seduto a gambe incrociate di fianco a lei. Bellatrix non riuscì a trattenersi e si scagliò contro di lui.
«Sei un idiota!» gli gridò a pochi centimetri dalla faccia. «Hai messo a rischio la vita di entrambi per farti cambiare il nome! Per farti cambiare il nome!»

Non si era ancora ripresa e a muoversi troppo si stancava in fretta: si ritrovò di nuovo ad ansimare, così smise di aggredirlo e si staccò da lui, sedendosi nella sua stessa posizione e guardandolo con aria minacciosa: «Cosa diavolo c'è di male nel nome che ti hanno dato?»

«Non capiresti» disse Mijime annoiato, distogliendo lo sguardo: ancora non si mostrava scosso.
«Oh, no, ho capito tutto» continuò Bellatrix, ormai un fiume in piena, pronta a rivoltargli addosso anche tutto quello che aveva trattenuto durante il loro viaggio. La tregua era saltata, di nuovo: del resto, non era mai stata realizzabile; si erano soltanto illusi, quella sera, di poter essere normali compagni di clan. Ma il problema, aveva capito Bellatrix, non era certo lei: il problema era lui. «Non sei altro che un infantile, narcisista, egocentrico opportunista che non fa altro che pensare a se stesso!»

«Può darsi». Mijime fece spallucce, noncurante. «In ogni caso, non è il momento di agitarsi tanto, mia cara. Riflettiamo piuttosto su quello che hanno detto le maghe».
«Non c'è niente su cui riflettere: siamo spacciati, semplicemente spacciati!»

«Ragiona, invece che correre a conclusioni affrettate!» la rimproverò, alzando la voce, e Bellatrix fu costretta a lasciarlo parlare, pur continuando a ribollire dentro. «Partiamo dalla prima risposta che ci hanno fornito: una maledizione incombe sul nostro clan. Qualora due ne moriranno, gli altri li seguiranno. Le maghe sono state un po' evasive e ce l'hanno esposta come una profezia ma ho dedotto questo: quando due di noi moriranno, gli altri, sotto l'effetto della maledizione, perderanno la vita come per magia. Non significa che siamo destinati a morire, perché è una maledizione, non un oracolo: se nessuno di noi creperà o se ne verrà a mancare solo uno, gli altri saranno salvi».

Bellatrix annuì tra sé: suo malgrado, doveva ammettere che il ragionamento del giovane aveva senso.
«Dobbiamo informare gli altri al più presto perché non rischino la vita inutilmente: metterebbero a repentaglio quella di tutti» affermò, ma smentendosi subito: «Ma questa prospettiva si annulla già con il secondo punto: non possiamo diventare Gheneiou e prima o poi ci cacceranno. Sai anche tu che fare affidamento solo sulla profezia del Figlio del Sole non è sufficiente. Sarà difficile sopravvivere tutti quanti» considerò, con un sospiro. «E dobbiamo anche tenere a mente il nostro vero obiettivo: il tesoro». "E io devo ritornare in me" pensò infine. Quante imprese da compiere per un solo essere umano... Improvvisamente il suo volto si illuminò: quella sensazione non veniva a trovarla da tempo e in un attimo la inebriò tutta. «Dobbiamo diventare più forti».

«Cos'hai in mente?» la incalzò Mijime, alzando un sopracciglio.
«Le maghe non sono sempre state tali» iniziò a parlare Bellatrix, fomentandosi a ogni parola di più mentre esprimeva la propria idea. «Le loro voci non erano simili né a quella delle fate né a quella dei daimona, ma erano tra i pochi aspetti che non sembrava venire da un altro mondo: erano quasi normali, da donne anziane. Non sono esseri immortali da sempre: prima erano umane, come noi! Hai sentito quando stavano parlando del loro lavoro: appena erano diventate maghe, i mortali si riversavano da loro in continuazione. Appena lo erano diventate!» Gli occhi avevano iniziato a sfavillarle per l'ambizione che cresceva in lei, il volto ricoperto di entusiasmo. «Divenire potenti come loro - perché sono certa che non hanno mostrato tutto il loro potenziale - e capire i meccanisimi dell'isola, di cui loro sono di certo a conoscenza, sarebbe sufficiente a garantirci la sopravvivenza e anche la scoperta del tesoro, anche senza Tou Gheneiou; oppure saremo così utili che non ci lasceranno andare via e troveremo il tesoro tutti insieme e torneremo nel nostro mondo, nel mondo reale. Ci basta solo scoprire come hanno fatto ad acquisire i poteri, e diventare maghi a nostra volta!»

Bellatrix continuava a guardare Mijime, colma di eccitazione, dimentica anche del loro precedente litigio: nella sua mente era già proiettata nel futuro, in un avvenire estremamente glorioso. Avrebbe manipolato gli elementi, governato la mente unana, ottenuto l'immortalità, l'invulnerabilità e poteri che neanche riusciva a immaginare... Ma soprattutto avrebbe capito tutto. Avrebbe capito l'isola.

«Non è così semplice come la fai tu» disse Mijime, disincantandola dal suo breve sogno a occhi aperti. «Hai ragione: le maghe non hanno sempre avuto i poteri. So come hanno fatto a ottenerli e so anche che non sono state le uniche: è il daimon della roccia, Robero, che concede ai mortali le abilità magiche in cambio del sangue di questi. Hai visto le cicatrici che avevano sulla destra: recandosi dal Vulcano, se le sono procurate e hanno ottenuto i loro poteri. Ma non è detto che noi diventeremo potenti come Arla e Silva: anche Anita è una maga, ma è ben diversa dalle vecchie».

Bellatrix era stupita: Mijime non era il tipo che si arrendeva in partenza, ancor prima di mettersi alla prova, anzi aveva sempre un'altissima percezione delle sue abilità, che effettivamente, le doleva ammettere, non erano affatto mediocri. Allora perché quell'improvviso cambiamento di carattere? A pensarci in realtà era da quando le maghe non gli avevano accordato la sua richiesta che era così: possibile che un nome potesse essere così importante?

«È l'idea migliore che mi viene in mente per proteggere il nostro clan» continuò la giovane, ormai decisa: la sua determinazione cresceva parola dopo parola. «Penso anche alle minacce di Zarkros: è vero che potrebbe dimenticarsi di tutto, ma nel caso non dovesse farlo non sapremmo come difenderci. Invece con dei poteri magici magari... Tanto vale provare» concluse, fissando il compagno dritto negli occhi. «Sai anche dove si trova questo vulcano e cosa si debba fare con più precisione?»
«Tutto quello che so a proposito te l'ho detto».

La giovane scosse il capo. «Non importa: troverò le informazioni necessarie strada facendo. Chiedere alle maghe non è la scelta migliore, ma ci sarà sicuramente qualcun altro che sa qualcosa». Il suo cervello ormai aveva iniziato a macchinare ogni caratteristica del piano che avrebbe messo in atto per diventare una maga: entro la mattina seguente sarebbe stato completato.

«Quindi hai intenzione di partire?» chiese ancora Mijime, allargando appena gli occhi: sembrava sorpreso.
«Sì, domani mattina».
«Senza sapere la destinazione?!»
«Hai idee migliori?»
«Tornare al villaggio, chiedere ciò che vuoi sapere ad Anita e, soltanto dopo, partire. Avrai anche il tempo di riflettere meglio su questa scelta».
«Non abbiamo tempo!»

«Con te proprio non si ragiona!» esclamò infine, spazientito. Respirò profondamente prima di continuare: «Guarda, fa' come ti pare. Io ho provato ad avvisarti: se ti perderai o se finirai in pericolo sarà solo a causa tua, e ricorda che non ci sarà nessuno a soccorrerti». Così dicendo si alzò in piedi e si diresse verso la foresta.

«Dove stai andando?» chiese la giovane, seguendolo con lo sguardo. «Non abbiamo finito di parlare».
Mijime si fermò, ma senza voltarsi: «Sì, invece: è tutto deciso. Tu proverai a intraprendere il percorso per diventare una maga, mentre io tornerò a Tou Gheneiou. Porterò le notizie agli altri e li informerò della tua partenza» riprese a camminare per poi interrompersi di nuovo, come se avesse dimenticato qualcosa. Si voltò ancora verso Bellatrix, gli occhi che scintillavano alla luce della luna, il sorriso beffardo che la mandava su tutte le furie: «Ti auguro di diventare una maga potente: mi sarà molto di aiuto. E ricorda, è la cosa più importante: non morire».

Riprese così ad avanzare e in pochi istanti sparì tra la vegetazione. Bellatrix cercò di seguirlo, ma era ancora troppo stanca per riuscire a reggersi in piedi a lungo. Dopo essere barcollata diverse volte, si sdraiò nuovamente a terra e si girò sul fianco opposto, mentre ancora malediva mentalmente quel giovane che detestava tanto: se n'era persino andato, lasciandola sola! Lasciandola sola. Un attimo: era tornata finalmente da sola. A quel pensiero le sue labbra si inarcarono verso l'alto. Se solo avesse saputo la data, l'avrebbe segnata dappertutto: per la prima volta Mijime prendeva una buona decisione.

Ora che era sola, sarebbe stato tutto più facile, come quando era sull'Exo: magari avrebbe persino riacquisito un poco le sue facoltà. Ora che era sola, tutto sarebbe migliorato!

~

Hello!
Eccoci qui con il fatidico incontro con le maghe, andato un pochino peggio del previsto... 3 richieste su 3 non soddisfatte, direi che Arla e Silva si sono superate. Se ve lo state chiedendo, NON è perché avevano voglia di fare le bastarde con i nostri amichetti, che sono andate a disturbarle durante il giorno libero. Le risposte sarebbero state tali e quali se con loro fosse andato Genew uno dei giorni corretti. Semplicemente i Melitos sono sfigati come pochi. Parlando di B&M... Speravate, eh, che si fossero riappacificati (vi vediamo che fremete perché la ship si realizzi). E invece no! Si separano anche, magari nemmeno si rincontreranno... Andate a mettere gli occhi su qualche altra coppietta. Prendiamoli quindi singolarmente: Mijime ha deluso Bellatrix per l'ennesima volta e ha esposto la richiesta che tutti si aspettavano, ma vedremo meglio le sue reazione nella seconda parte di questo capitolo (vi anticipo solo che non sarà felice => niente più canzoni, almeno per un po'). La nostra Bella invece sembra andare sempre più verso la strada dell'irrazionalità, sebbene continui a negarselo con tutta se stessa: sarà una buona cosa? E siamo così sicuri a volerla veder vagare nell'isola DA SOLA? Fateci sapere, carissimi, e restate sintonizzati su RadioIsola! Dalla vostra speaker 🐼 è tutto, alla prossima!
~🐼🐢

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