12.1

Il sole stava sorgendo e Mijime aveva quasi raggiunto le mangrovie: già da un'ora incrociava sporadicamente alcune pozze in cui crescevano quelle piante, sebbene con dimensioni molto minori rispetto a quelle di Tou Gheneiou. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte e non aveva ancora avuto tempo di mangiare: si era solo preoccupato di bere, incontrando un fiumiciattolo lungo la sua via, per poi riprendere subito la strada. Era stremato dal viaggio del giorno precedente ma fin da piccolo era stato abituato a sopportare la stanchezza e la fame: non si sarebbe certo fermato per così poco. Doveva raggiungere Tou Gheneiou il prima possibile, neanche tanto per informare gli altri, quanto per allontanarsi da quel luogo maledetto.

Con la falcata svelta viaggiava all'interno dell'umida giungla. Il clima presente al suo interno era opprimente, soprattutto se paragonato all'aria fresca che si respirava sulle colline, ma anche quello non era nulla in confronto al senso di impotenza provato di fronte alle maghe.

Gli ricordava così tanto la sua infanzia.
"Non devi! Ricordare è dannoso, rende solo vulnerabili". Sapeva bene che il passato non si può cancellare ma se viene dimenticato, quantomeno, non è così doloroso. Non doveva essere quello lo scopo dell'isola? Cancellare completamente il passato di coloro che vi giungono perché rinascano come nuovi individui? Invece per lui era stato l'esatto opposto: da quando era diventato adulto aveva impiegato tutti i suoi sforzi per non essere succube della sua storia e ora stavano venendo completamente vanificati! Il nome, le maghe, il suo futuro... Tutto era in combutta contro di lui per fargli rispuntare nella memoria il suo vissuto.

Nulla gli avrebbe risollevato il morale, non un dolce pensiero, non il dolce suono che avrebbe potuto sentire nella sua testa se solo si fosse concentrato. Persino la musica, la sua compagna più cara, era inutile allora: le melodie sono un meraviglioso modo per vedere la vita con la positività di un bambino, ma solo quando questa può essere ricercata. Davanti ai suoi passi Mijime, con il nome che portava e che preconizzava il suo avvenire, non scorgeva alcuna traccia di speranza.

Raccolse un masso da terra e lo scagliò con vigore contro il tronco di un albero; innumerevoli uccelli colorati si librarono in volo, spaventati dal frastuono. Cosa sarebbe costato a quella vecchia, si chiedeva ancora, digrignando i denti, cambiargli il nome? Avrebbe voluto che il bersaglio del suo lancio fosse la sua orribile faccia rugosa. Gli sarebbe bastato solo quello, non essere più Mijime. Ma Arla non glielo aveva concesso e per il resto dei suoi giorni sarebbe rimasto in quella miserabile condizione.

«E così non hanno esaudito il tuo desiderio».
«Mi dispiace così tanto! Però ti assicuro che sei bellissimo lo stesso!»
«Elvira, non penso gli importi adesso: hai visto come è triste...»
«Elene, dovrebbe solo essere felice di essere così bello!»

Ci mancavano solo quegli esseri! Lo avevano seguito per tutto il percorso che aveva compiuto, dalla casa delle maghe fino alla sua attuale posizione. Non avevano fatto altro che sghignazzare alle sue spalle per tutto il tempo, scommettendo su chi sarebbe stata la prima a rivolgergli la parola. Un simile corteo era proprio quello di cui aveva bisogno! Ma finché non avessero parlato con lui direttamente le avrebbe ignorate, aveva pensato.

Sentendo le loro vocine rivolgersi proprio a lui, però, non riuscì a trattenersi ancora a lungo e, raccolto un altro masso, lo scagliò contro di loro. Al diavolo l'autocontrollo! Tutto stava andando alla rovina, che senso aveva trattenersi ancora?

La pietra centrò in pieno Elvira, che rovinò a terra sospinta dall'oggetto, per poi alzarsi di nuovo in volo quasi immediatamente.
«Che sensazione strana!» esclamò l'esserino con voce sognante, raggiungendo le altre compagne che erano volate verso l'alto. «Avete visto: ha stile anche quando lancia le pietre!»
«Oh, sì!» le fece eco Elene. «È davvero incredibile! Torniamo da lui: voglio essere presa io la prossima volta!»

Le tre creature si riavvicinarono a Mijime con cautela e ripresero a seguirlo, cercando di essere il più silenziose possibile, ma lasciandosi come sempre scappare qualche risatina.
«Cosa volete ancora?» chiese a denti stretti il giovane, sentendole e squadrandole completamente, mentre dentro di sé aveva già ripreso a reprimere ogni impulso. Doveva riprendere controllo di sé anche con quelle. Abbandonarsi all'istintività sarebbe stata solo l'ennesima vittoria che poteva concedere all'isola.

«Ci piaci così tanto!» si giustificò Elvira, diventando tutta rossa: non sembrava avere alcuna lesione sul corpicino, sebbene l'avesse colpita con forza con una pietra il doppio di lei.
«Sparite» ordinò il giovane, freddo; doveva solo rimanere solo.
«No!» Elene scoppiò a piangere e presto anche Elvira iniziò a singhiozzare. «Ti prego! Facci rimanere qui sulle tue spalle: in cambio faremo tutto ciò che vorrai! Chiedici qualsiasi cosa e noi te la diremo, basta che ci lasci sedere su di te e ammirare la tua bellezza!»

Mijime sapeva di non avere scelta: avrebbe potuto lanciare contro di loro qualsiasi oggetto, sbraitare, perdere sempre di più la sua umanità, ma quelle non avrebbero smesso di importunarlo.
Respirò profondamente per l'irritazione: «Potete restare».
I volti delle fate tornarono immediatamente raggianti e le loro vocine iniziarono a lanciare urla di gioia, subito però interrotte: «A una condizione: niente urla, schiamazzi o qualsiasi cosa che possa anche solo minimamente infastidirmi».

Le tre si posizionarono sulle sue spalle, Elpenore ed Elene su quella destra, mentre Elvira su quella sinistra. Fu quest'ultima a parlare per prima, iniziando a toccargli i capelli con fare consolatorio: «Mi dispiace tanto che le maghe siano state tanto cattive con te! Non dovresti essere arrabbiato... anche se non posso fare a meno di dire che, quando hai il volto così corrucciato, sei davvero meraviglioso».

«Ho detto: nulla di fastidioso». Mijime si passò una mano sulla faccia, preso dalla disperazione: quegli esseri dovevano pur avere un'utilità che poteva sfruttare a suo vantaggio. I loro poteri. Subito ricordò della portentosa azione con cui avevano collegato le due sponde e una certa curiosità lo avvolse: quanto erano forti, fino a dove potevano arrivare? Magari si sarebbero persino rivelate utili. Magari sapevano qualcosa in merito al tesoro. Un dubbio però gli sovvenne: le maghe avevano parlato di trasgressioni, di punizioni. Forse era meglio chiedere qualche informazione in più in merito.

«Le due vecchie» iniziò con una punta di scherno, pronunciando l'appellativo di Arla e Silva, «hanno detto che avete trasgredito la legge per farci passare...»
«Elene, hai sentito! Gli interessiamo!» iniziò a gridare Elvira.
«Senza urlare!» specificò Mijime, fulminandola.
«Certo, certo, scusaci» rise l'altra, coprendosi la bocca con una mano. «Però non ho capito la domanda».

«Pensavo si intuisse» alzò gli occhi al cielo Mijime: si prospettava un lungo viaggio. «Cercherò di essere più esplicito: come avete fatto a infrangerla? È perché avete usato i vostri poteri in un determinato momento? È perché li avete usati vicino all'abitazione delle maghe?»
«No, perché abbiamo aiutato dei mortali consapevolmente» disse per prima Elvira, tranquilla.
«È la Legge che tutte le creature, dalle fate, ai folletti, alle ninfe, ai daimona, devono rispettare: non agevolare e non perseguitare il mortale» proseguì Elene, altrettanto quieta.
«Alla quale si aggiungono diverse specificazioni» concluse Elpenore.

«Ah sì? Perché?» chiese ancora il giovane, incuriosito da quella parentesi sulla giustizia stabilita dalle divinità.
«I daimona dicono che non sia giusto che alcuni mortali siano aiutati o abbattuti dalle creature più potenti, alcune delle quali potrebbero far loro subire davvero qualsiasi cosa: quindi non si può rendere un mortale così privilegiato, per esempio facendo in modo che non debba più lavorare, oppure non si può arrivare a uccidere un mortale».

«Effettivamente è giusto» annuì tra sé Mijime, riflettendo: era la legge di cui l'isola aveva bisogno, perché le divinità non si intromettessero nelle faccende dei mortali e viceversa. Tuttavia doveva esserci qualche meccanismo incrinato, altrimenti lui e il suo clan non sarebbero incappati in quella maledizione tremenda che ancora lo faceva rabbrividire. Ma chi poteva essere stato ad avergliela scagliata contro, se non erano stati i daimona, perché molto più diretti, a sentir parlare le maghe? Forse indagando avrebbe scoperto anche questo: «E avete parlato di eccezioni?»

«Eh, ce ne sono tante! È una legge così complessa... Questa è la voce principale e poi seguono dei punti specifici: a meno che il mortale non abbia concesso vasti doni per quanto riguarda l'agevolare; a meno che il mortale non abbia recato offesa per quanto riguarda il perseguitare; a meno che l'azione non sia stata portata dalla contingenza e questa riguarda entrambe».

Ed ecco disvelate tutte le crepe su cui si ergeva quella legge.
«Spiegati meglio, fata» ordinò il giovane, sperando di essersi sbagliando almeno sul significato dell'ultima postilla.
«Uff, se Zarkros sta imperversando con una bufera e per sbaglio travolge degli umani, non ha nessuna colpa, perché stava solo esercitando il suo elemento». Purtroppo aveva interpretato bene.
«Però non può perseguitare un mortale con il suo vento, giusto?»
«Giusto».
«E chi è a stabilire se l'aiuto o l'omicidio sia stato casuale?»
«I daimona si riuniscono insieme nella loro assemblea, la boulé, e votano per l'assoluzione o la condanna».
«E chi ha stabilito le leggi?»
«I daimona».

Mijime non riuscì a reprimere una sentita risata, che fece sobbalzare in aria le fate. Non avrebbe mai pensato che un luogo potesse essere amministrato peggio di com'era l'Exo e invece l'aveva trovato, senza neanche molte difficoltà. Forse però era un presentimento dettato solo dal fatto che aveva ascoltato una sola legge; probabilmente ne erano state stilate altre, che tutelassero davvero i mortali.

«Ci sono altre leggi?»
«Be', quelle che spiegano le gerarchie» disse Elene. «I daimona sono gli esseri supremi, a seguire ci sono le ninfe, poi le fate e i folletti e infine i mortali. Le categorie più basse devono portare rispetto e venerare quelle superiori nel modo che decidono le stesse: solo i daimona richiedono dei riti praticamente da parte di tutti».
«Non ho capito perché...» si strinse nelle spalle Elvira. «A me non cambia se un mortale mi offre una montagna di cibo: noi creature non abbiamo bisogno di mangiare».

Dunque i riti non erano indispensabili perché i daimona restassero in vita. Ma allora perché li richiedevano? Doveva esserci una motivazione, di questo Mijime era certo, ma chiedere ulteriormente alle fate non sarebbe stato utile: Elvira aveva appena fatto intendere che non ne sapesse niente e non era così complessa da premeditare una risposta simile solo per depistarlo.

«E poi le leggi sono finite?» si accertò ancora, troppo stranito dalla quasi totale mancanza di giustizia presente in quel luogo.
«Sono già abbastanza!» esclamò invece Elpenore, scattando in avanti. Mijime alzò gli occhi al cielo: non doveva stupirsi di molto. Con dei sudditi simili, che contestano le leggi per la loro quantità, piuttosto che per la qualità, i daimona potevano continuare a farsela da tiranni anche per sempre. Il loro giudizio era l'unico metro esistente, avrebbero potuto rigirare dalla loro ogni qualvolta volessero quelle poche leggi, precarie com'erano, e per di più non esisteva neanche un'opposizione.

«Non mi sembrano difficili da rispettare in realtà» obiettò Mijime, senza esternare le sue riflessioni, che tanto sapeva sarebbero rimaste inascoltate dalle menti ottuse di quelle tre.
«Sì, invece!» sbottò Elvira, massaggiandosi alcune parti del corpo come se le dolessero all'improvviso. «Io dimentico sempre quando sono le Giornate dei daimona e vengo sempre punita».
«Finché sono solo le dimenticanze delle Giornate... Ti becchi qualche anno di lavori con le maghe - come è successo a voi due almeno cinquecento volte! - ma poi finisce lì. I problemi arrivano quando scoprono che abbiamo aiutato dei mortali, dato che né li perseguitiamo malignamente né li uccidiamo». Elene rabbrividì tutta, mostrandosi più scossa di quanto Mijime credeva fosse possibile per una fata.

«Perché?» la incalzò ancora il giovane, suscitando un'improvvisa reazione nelle fatine.
Elvira, Elpenore ed Elene lo fissarono come se avesse appena posto la domanda più ovvia di tutte.
«Quella è la Legge».
«Quella che se infrangi sei finito».
«Per voi è l'equivalente di quella che dice di non tradire e uccidere un membro del proprio clan: porta in sé la punizione peggiore che noi possiamo concepire».
Si unirono dunque con fare solenne, sebbene stessero continuando a tremare, e, quasi fosse una sentenza, pronunciarono: «L'eliminazione».

«La morte?» si accertò Mijime.
«Noo!» sbottò Elvira, scuotendo ripetutamente il capo. «Le creature magiche non muoiono!»
«Smettiamo di esistere, scompariamo, definitivamente» spiegò Elene.
«E il nostro ricordo scompare con noi» concluse Elpenore, cupa e improvvisamente pallida in volto: quella in effetti doveva essere l'unica prospettiva che spaventasse davvero quelle creature immortali.

«Perché allora ci avete aiutato?» chiese Mijime: se una fine così grave le poteva attendere, quale mai poteva essere la motivazione che le aveva spinte a tanto?
«Perché sei bello!»

Mijime all'esclamazione di Elvira squadrò tutti e tre gli esserini: lo stavano prendendo in giro? Elpenore però si sbrigò a specificare: «E non guardarci così! Non hai idea di che noia sia la nostra vita: e fai comparire delle nuove piante, curale, parla con gli animali, i mortali, le altre fate, vai a trovare i folletti, fai visita alle ninfe... Non cambia mai! Correre alcuni rischi, come andare contro i daimona stessi, invece è divertente, basta solo essere prudenti: le maghe ci avranno beccate di sicuro e per questo ci puniranno con qualche lavoretto, ma l'importante è che i daimona non se ne accorgano. Ma nel caso dovessero farlo, questa volta siamo protette lo stesso!» esclamò raggiante, eseguendo una piroetta, sotto gli sguardi soddisfatti delle altre due e quello ancora incerto di Mijime, che fece affrettare Elene a dare ulteriori spiegazioni: «Abbiamo aiutato solo te e abbiamo mandato via la tua compagna, che sfortunatamente è potuta passare lo stesso; quindi siamo salve».
«Ma sono lo stesso un essere umano».

«Mhm» dissentì Elvira. «Sei senza barba, come un daimon, e noi nella fretta di aiutare non abbiamo capito che fossi un mortale. Arla, che vede tutto ciò che è successo e che accade, potrebbe persino testimoniare dalla nostra parte: se guardasse nel passato, vedrebbe che noi abbiamo esplicitamente cacciato quella racchia donnaccia; poi, che abbia usufruito della nostra magia è un'altra questione».

«Ma che motivazione è?» chiese ancora Mijime: se fosse stato lui il giudice di quell'ipotetica causa si sarebbe persino messo a ridere davanti alle tre imputate; ogni volta che aprivano bocca gli ricordavano che sull'isola non c'è limite all'assurdità.
«È il nostro salva-esistenza da portare davanti alla boulé, nel remotissimo caso dovessero chiamarci!» esclamò Elpenore, tutta fiera.
«Devi averne sempre uno, altrimenti...» la seguì Elene, che scosse velocemente la manina davanti alla sua faccia, segno che Mijime ipotizzò significasse che si era finiti.

«Quindi mi state dicendo che non siete preoccupate» riassunse il giovane, ancora abbastanza dubbioso.
«No» scosse ancora la testa Elvira, ormai spazientita da quelle continue incertezze. «Zarkros per motivare i suoi continui interventi in aiuto di Mortino usa dei salva-esistenza molto più stupidi e i suoi fratelli nella boulé gli credono».
«Elvira!» esclamò Elene, abbassando drasticamente la voce e volando vicino a lei. «Se ti sentisse...»
«Ma è la verità...»
«Sai che può toglierti l'esistenza con molto meno!» la rimproverò ancora, strattonandola per un braccio. «E lo ha già fatto».

«In teoria non possono farlo solo qualora una creatura disobbedisca alla Legge?» rifletté Mijime, incuriosito anche da quell'ultimissimo aspetto.
«Vuoi che in un'esistenza intera non trovino uno sgarro con cui accusarti?» sentenziò retorica Elpenore. «E se loro non lo ricordano Arla lo sa di certo, e basta che glielo si chieda perché risponda».

«Ho capito: questi daimona rigirano la Legge un po' come pare a loro» concluse Mijime, subito zittito dalle fatine, che scattarono verso la sua bocca e la tapparono tutte insieme. «Shh!» sussurrarono poi, prolungando il suono mentre squadravano il giovane. Quest'ultimo le scostò facilmente da sé, con un colpo che le rimandò in balìa dell'aria: «Intanto siete state voi a trasgredirla, la Legge».
«Non è vero, ti abbiamo scambiato per un daimon» continuò Elvira, irremovibile nella sua menzogna.
«Va bene, cambiamo argomento» sospirò infine il giovane, che aveva altre questioni da chiarire, ben più importanti di una sterile diatriba con quelle tre in merito a chi avesse ragione o meno.
«Oh, menomale» sospirarono le fate, all'unisono, rilassandosi e tornando nelle loro prime postazioni.

«Parlatemi meglio di voi creature». Forse con quella questione sarebbe persino riuscito a capire chi fosse stato a lanciare la maledizione: saperlo non era inutile come dicevano le vecchie; magari avrebbe potuto ingraziarselo e riuscire a cavarsi l'impiccio di essere così legato ai suoi compagni. Intanto però doveva conoscere l'identità di questa creatura.

«Ma che noia!» sbottò Elpenore, appendendosi a una ciocca di capelli di Mijime, che la scacciò di nuovo con un colpetto.
«Allora smammate» disse con semplicità il giovane, mostrando la sua solita tranquillità, anche se per la prima volta il timore che potessero andarsene lo assalì: la necessità di conoscere il suo possibile nemico era prorompente e non si sarebbe perdonato se non l'avesse soddisfatta.
«Uff, va bene» sbuffarono le altre tre, seguite da un impercettibile sospiro di sollievo di Mijime.

«Allora,» attaccò Elpenore, iniziando a elencare annoiata tutto ciò che sapeva, «noi fate siamo esseri magici collegati a un elemento naturale presente nell'isola: non ce n'è uno che non abbia una fata a custodirlo e curarlo. Io ed Elene siamo collegate agli alberi ed Elvira ai fiori, e abbiamo qualche potere dato dal nostro elemento, come far crescere i fusti e le radici degli alberi per me ed Elene, mentre per Elvira far sbocciare i fiori, e altre cose di questo tipo. Tutti ci considerano inutili ma senza di noi l'isola non andrebbe affatto avanti! Nessuno lo vuole ammettere, ma senza il nostro operato l'isola morirebbe».

«I daimona potrebbero essere un po' grati nei nostri confronti, ogni tanto...» borbottò Elvira, con una smorfia irritata.
«Elvira!» la richiamarono subito le altre due, e Mijime, prima che potessero cominciare un altro battibecco, si sbrigò a sollecitarle a proseguire: «Siete immortali e invulnerabili?»
«Sì, come anche le altre creature» rispose Elene, ricomponendosi in un attimo: era incredibile come quelle riuscissero a perdere la concentrazione da quello che stavano facendo in così poco tempo! Mijime non ci fece molto caso e continuò: «E siete tutte sorelle?»
«Teoricamente sì, condividiamo tutte la stessa madre» disse Elvira, accompagnata dalla precisazione di Elpenore: «Che è l'Isola».

"L'isola stessa sarà un'altra divinità o semplicemente sono nate dalla natura, che tendono a personificare?" rifletté Mijime, a quelle parole, e subito chiese: «L'Isola?»

«Ehm, sì... L'Isola» ripeté Elpenore, la voce improvvisamente incerta.
«La creatrice di tutto» completò Elvira. «La creazione è avvenuta molto tempo prima dell'arrivo dei primi mortali; non conosciamo infatti il tempo trascorso tra quella e il presente, perché il calcolo degli anni è stato introdotto dai vostri antenati».
«Fatto sta che l'Isola si è addormentata duemila anni fa, quindi non ti deve interessare» concluse particolarmente distaccata Elene.

Erano piuttosto restie a parlarne... Forse l'Isola era qualcosa non dato a sapere ai mortali. Le fate stesse si erano evidentemente sbagliate a rimarcare questo elemento e gli avevano riferito solo il minimo indispensabile perché non seguitasse a domandare. Se avesse insistito con questioni in merito, probabilmente non avrebbero risposto: doveva cercare di carpire qualche informazione in più attraverso altre vie. E se fosse stata lei, seppur dormiente, o qualcuno collegato alla sua figura, ad averli maledetti?

«E vostro padre?»
Le tre scossero la testa contemporaneamente.
«Non ce l'abbiamo, siamo nate dall'Isola e basta, ma in momenti diversi e molto prima che i mortali giungessero qui: in base al momento preciso in cui siamo nate il nostro nome ha delle iniziali particolari».
«Noi tutte iniziamo con EL, ma prima di noi ne sono nate tante altre».
«Di solito però leghiamo solo con quelle che hanno le nostre stesse iniziali, anche se talvolta capita di dover parlare con altre».

«Sembrate più complesse di quanto credessi» affermò Mijime, alquanto stupito dai rapporti presenti tra le fate, ma anche per non lasciar trapelare la sua delusione: sull'Isola aleggiava ancora un velo di mistero troppo spesso perché potesse scorgere qualcosa in più. Ma non doveva avere fretta: magari avrebbero aggiunto qualche elemento in più confondendosi ancora. Doveva solo pazientare.

«Grazie!» esclamò Elvira, avvicinandosi con un grande sorriso al suo orecchio e cercando di toccarlo ancora; il giovane la fermò in tempo e si affrettò a continuare con le sue questioni: «Passando alle altre?» Le fate, come aveva sempre creduto, non erano di certo le loro nemiche: i loro poteri erano solo collegati alla natura e non competevano la capacità di esercitare malefici.
«Piano, piano! Un po' alla volta. È una vera faticaccia rispondere a tutte queste domande» esclamò Elene, gettandosi stremata sulla spalla del giovane.
«Vero, ma pur di stare sulle tue spalle farei ogni cosa!» aggiunse subito Elvira, sbattendo le lunghe ciglia e cercando ancora di toccare una parte della testa di Mijime, che sbuffando la lasciò fare: pur di conoscere di più sull'isola e le sue creature, non si sarebbe tirato indietro.

«I folletti sono quelli più vicini a noi, anche se sono decisamente più giovani, essendo nati poco dopo l'arrivo dei mortali. Alcuni dicono che siano la versione maschile di noi fate, anche se sono brutti e stupidi, a parte il mio Kyri» aggiunse subito Elpenore, fermandosi un attimo per stare qualche secondo imbambolata, persa probabilmente nella visione del suo amato folletto, finché non si risvegliò, «e si divertono a fare scherzi ai mortali: le magie che producono sono piccole e insulse ma, essendo i maestri dell'inganno, riescono a farle sembrare enormi e potentissime! Un umano potrebbe anche morire dentro all'incanto di un folletto, non perché questo sia effettivamente efficace, ma perché un mortale diventa vittima delle atrocità che vede durante l'incanto, da quello che ci raccontano».

«E loro che funzione hanno?» chiese Mijime: ciò che Elpenore aveva appena descritto non si avvicinava ancora alla maledizione citata dalle maghe, ma, finché poteva, non avrebbe perso l'occasione di dar sfogo alla sua curiosità. «Se voi preservate l'isola, serviranno a qualcosa anche loro».

«Eliminano i mortali in eccesso - infatti sono gli unici esonerati dalla Legge» disse Elvira, seguita da Elene: «Capita che a volte ne naufraghino troppi sull'isola o che in un periodo si riproducano troppo e i mezzi di sostentamento non siano più sufficienti: per mantenere l'equilibrio, i folletti incantano quelli che ci sono in più e li uccidono. Perché sentano il bisogno di ucciderli sono gli unici che devono nutrirsi per non soffrire: quando l'isola inizia a essere sovrabbondante iniziano a sentire la necessità di mangiare un mortale, finché non si ritorna alla normalità».
«E lo scelgono a caso?»
«Certo, perché è vietato perseguitarne uno specifico».
«Ma se uccidessero un mortale volontariamente qualcuno se ne accorgerebbe?»
«Se solo lo volesse, sì»

«Se solo lo volesse...» ridacchiò ancora Mijime: ogni volta che si parlava della Legge, capiva sempre di più che fosse presente più per ornamento che per una vera utilità. «Ho già capito che voi creature considerate le leggi proprio come facevo io nell'Exo».
«Cosa intendi?»
«Lascia perdere e prosegui. Loro sono nati come voi, dalla sola Isola?»
«Esatto».

«Ma tra voi potreste riprodurvi?» chiese poi, sovvenendogli una curiosità più fine a se stessa che altro.
«No, godiamo del piacere carnale senza dover sperimentare la parte dolorosa e come noi anche le altre creature» disse Elpenore, con un sorrisetto soddisfatto.
«A meno che quelle non si accoppino con dei mortali, cosa che ovviamente noi non possiamo fare» specificò Elene. «In quel caso potrebbero sopraggiungere dei semi-mortali, che possono essere mortali a tutti gli effetti oppure delle ninfe».
«A questo punto potete parlare di loro» le spronò ancora Mijime, certo che quella fosse la volta buona per scoprire l'identità del misterioso nemico di Tou Melitos.

«Le ninfe sono le figlie dei daimona o di altre ninfe e sono collegate a un luogo preciso, quello in cui sono nate. Hanno una forma corporea, per cui sembrano delle donne nella piena giovinezza, e hanno poteri collegati all'elemento del genitore magico, ma non li mostrano quasi mai perché mancano di intelligenza, poverine» sogghignò Elene, bloccando un attimo il suo discorso per dar sfogo alla sua risata cristallina. «Tutto ciò che interessa loro è vedere le storie d'amore che intercorrono tra i mortali, tra le divinità e i mortali e tra loro stesse e i mortali».
«E pur di vederle trasgredirebbero persino la Legge!» esclamò Elvira, affiancandosi divertita alla compagna.
«Sono molto stupide, non riescono nemmeno a trovare dei salva-esistenza decenti» considerò Elpenore, alzando le spalle con aria di sufficienza. «Ma le perdoniamo: sono così simpatiche!»
«Hai ragione: ci invitano sempre a mangiare le bacche di bosco insieme. Selena poi racconta sempre delle cose così interessanti: avete sentito ieri quando parlava-» ricordò Elvira con aria spensierata.

«Torniamo al discorso principale» le richiamò Mijime prima che iniziassero a discorrere dell'ultimo gossip venuto a sapere dalla ninfa Selena. Così nemmeno una delle ninfe poteva essere la loro vessatrice e non lo erano neanche i daimona: le maghe avevano detto così e ipotizzare che avessero mentito avrebbe solo complicato ulteriormente le cose: a questo punto poteva essere soltanto l'Isola, di cui quelle erano tanto contrarie a parlare, o un'altra creatura ancora. Di quel passo non l'avrebbe mai scoperto e forse era soltanto inutile continuare ad arrovellarsi su quel cavillo; era meglio dedicarsi a qualcosa di più concreto. «Restano solo i daimona» le invitò allora, affinché seguitassero il racconto.

Le tre si irrigidirono e passarono diversi istanti prima che Elpenore, dopo un lungo sospiro che trasudava preoccupazione, prendesse la parola: «Se delle altre creature ce ne sono migliaia, loro sono solo otto e in ordine di potenza sono Morìa, lo spirito degli animali, Krèitton, lo spirito del fuoco, Ròbero, lo spirito della roccia, Zarkros, lo spirito del vento, Calpurnia, lo spirito dell'acqua, Baal, lo spirito delle piante, Keziah, lo spirito della luce, e Melas, lo spirito dell'oscurità. Sono le divinità più importanti dell'isola».

«Sono nati dall'Isola come noi, ma non ricordo bene quel tempo...» proseguì Elene, sviando subito; il suo silenzio fu colmato dalle parole di Elvira, che venne presto in aiuto della sorella, cambiando argomento: «Formalmente non avrebbero un corpo solido, come noialtri, infatti sono sostanze incorporee e invisibili; di loro natura sono esseri neutri, né maschili né femminili, ma possono prendere le sembianze che preferiscono e assumendole decidono se sembrare più uomini o più donne».

«Ne prediligono una, ma possono avere entrambe le forme» continuò Elvira, che si era già ripresa. «Calpurnia, che di solito appare come una bellissima giovane, si è trasformata spesso in uomo, per godere con delle fanciulle».
«A volte gode con delle fanciulle anche senza trasformarsi in uomo» precisò Elene.
«Fatto sta che gode! Sicuramente più di me, che ho Kyri lontano!» esclamò infine Elpenore.

«E loro a cosa servono?» chiese ancora Mijime, interrompendo subito le lamentele della fata.
«Come a cosa servono?!» ribatté stupita Elvira. «I daimona sono le creature più importanti! Li ha designati l'Isola stessa, quando si addormentò secoli fa, a mantenere al suo posto l'ordine dell'isola».
«E aveva espressamente chiesto che lo facessero infondendo timore e comportandosi da tiranni?»
«Ehm... io non lo so».

«Non vi siete mai poste questa domanda?» le provocò ulteriormente il giovane: doveva esserci qualche altro motivo, oltre alla Legge, oltre alla decisione dell'Isola, che le spingesse a restare così sottomesse ai padroni di quella terra.

«Non dovremmo parlarne!» scosse violentemente la testa Elene, nascondendosi tra le ciocche mosse di Mijime.
«Però non ha tutti i torti» rifletté Elpenore.
«Elpenore, hai appena finito di scontare la tua punizione qualche giorno fa» la riprese ancora l'altra fata degli alberi. «Vuoi ricominciare?»

Mijime rivolse discretamente un occhio allo scambio di parole che si stava svolgendo sopra alle sue spalle: Elpenore non rispondeva più e nemmeno Elvira aveva intenzione di intervenire. Sospirò, appena deluso: «Va bene, vedo che non siete ancora pronte per una rivolta. Peccato, sarebbe stato divertente. Piuttosto, che altre creature ci sono?» cambiò argomento: per quanto gli potessero interessare gli intrighi dietro alle creature magiche, aveva ancora delle priorità e non poteva aspettare ancora.
«Come che altre creature ci sono? Le abbiamo nominate tutte».
«Ci deve essere qualcun altro, altrimenti chi è stato a maledirci?» disse il giovane, con una nota marcatamente sarcastica: quelle tre lo stavano facendo irritare e il fatto che non riuscisse a pervenire alla verità che auspicava per altre vie gli aveva ormai fatto perdere la pazienza.

«Sei maledetto?!» esclamarono in coro.
«Era ciò che voi due» continuò, puntando un dito contro Elvira ed Elpenore, «avreste dovuto dire a me e al mio clan quando ci avete visti per la prima volta».
«Ah, quello...» mormorò la fata dei fiori.
«Allora? Chi è stato?» seguitò a domandare Mijime, sempre più concitato, fino a fermarsi bruscamente nel suo cammino.

Le fate si staccarono da lui, allontanandosi un poco e ponendosi di fronte, allineate tra loro: tacevano, guardandosi talvolta a vicenda, cercando di comunicare soltanto con gli occhi in un linguaggio che Mijime non riusciva a comprendere.
«Be', non esistono solo delle creature» disse infine Elpenore. «Ci sono anche delle entità».
«Comunque non ti crucciare: non è tutto il male che pensi che sia» rivelò infine Elvira, subito redarguita dalle occhiatacce delle sorelle.

«In che senso?» provò a chiedere ancora il giovane, ma le fate, più velocemente di quanto potesse immaginare, volarono in alto, tra le piante, e scomparvero alla sua vista. Mijime fu di nuovo solo, con la sola compagnia di un mucchio di informazioni sulle creature magiche, che probabilmente non gli avrebbero cambiato la vita, e del pensiero che tornò a incombere delle parole delle maghe.

«Riflettici su: potrai scorgere il futuro anche tu in questo modo, Mijime». Così avevano parlato e non avevano avuto motivo di mentire. Finalmente tutto si ricollegava: l'ira di Zarkros, l'odio dei Gheneiou, la maledizione di un'altra entità, tutto girava intorno al significato del suo nome, che dalla prima volta che le fate lo avevano pronunciato aveva saputo non avrebbe portato alcuna buona novella. Tutto andava peggiorando e avrebbe continuato a farlo, finché il destino, una volta che fosse stato sazio di prendersi gioco di loro, non avesse deciso di sottrarli alle sofferenze, di togliere loro la vita.

Ma non poteva andare così! La vita sarebbe rimasta con lui, non l'avrebbe lasciata andare, l'avrebbe tenuta stretta. Era a questo che si stava dedicando da sempre e non avrebbe smesso solo per la malvagità del destino.

Un'immagine balenò alla sua memoria e arrestò il suo passo. Chiuse gli occhi e premette le dita contro le palpebre, forte, fino a sentire dolore. Non poteva ricordare! Guai a lui se l'avesse fatto!

Si appoggiò alla ginocchia e cercò di riprendere a respirare normalmente, mentre la mente instancabile, a cui era stato vietato di ripescare nell'abisso dei ricordi ciò che era passato, iniziò a ragionare: il suo destino era scritto, non poteva mutarlo; le maghe non gli avevano concesso di cambiare il nome e così accadeva per il futuro. Era solo Mijime.

Strinse i pugni: benché questo, non avrebbe smesso di lottare. Mosse un passo, quindi un altro e un altro ancora, fino a riprendere il ritmo veloce che caratterizzava la sua marcia: si sarebbe eretto contro il destino, se così fosse stato necessario, pur di non vanificare l'operato, la fatica di tanti anni. Non avrebbe compiaciuto alcuna entità che volesse osservarlo soffrire: avrebbe visto, questa, chiunque essa fosse, come si sarebbe riscattato!

E così continuava a camminare, senza pensarci, mentre il futuro continuava a roderlo e a consumarlo, e procedeva verso quella sorte così miserabile che gli era stato predetta.

~

Bonjour!
Eccoci qua con la seconda parte del capitolo, densiiiiiiissima di contenuti importantiiiiiiissimi. Tutte le creature sono state spiegate (con anche un bel po' di curiosità che 🐼 ama rivelare), anche se le fate sono state un po' restie su alcuni argomenti... Cosa sarà quest'Isola? È davvero solo addormentata come hanno rivelato le fate? O c'è qualcosa che si nasconde sotto di lei? È stata davvero lei a maledire i nostri neoteroi? Oppure un'altra entità ancora. Abbiamo poi l'importantissima Legge imposta dai daimona (la sua importanza è pari a quella dei traditori tra i mortali, che ormai abbiamo ricapitolato in tutte le salse), che si rivelano essere dei veri tiranni anche nei confronti delle altre creature. Ma queste perché accettano così passivamente, sebbene loro siano tantissime e i daimona solo otto? E infine ecco che torna il tormento interiore di Mijime: le maghe non lo hanno accontentato e il significato del suo nomen omen (che chissà quale sarà mai... avanzate pure proposte) lo spaventa sempre di più, insieme al suo passato che da ormai qualche capitolo cerca sempre di fare capolino... Anche questo che significato potrà avere? Tante domande, poche risposte. Ma tranquilli, amici, arriveranno, se non in questo volume, nei prossimi (ci piace vedervi soffrire hihi).
E detto questo, vi congediamo, ma non prima di avervi chiesto quale sia la vostra fatina preferita (la nostra curiosità è pari a quella di Mijime per le creature *-*)
A presto, con il capitolo 13: si torna a Tou Gheneiou!
Byeeee
~🐼🐢

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top