Capitolo 8-Scontro finale

Apollo mi prelevò, mi curò la caviglia e mi riportò sull' Olimpo. Nell' agorà, mi attendevano gli dei del Dodekatheon al completo. Tutti mi fecero i complimenti, sebbene con un po' di reticenza. Sfoggiai un sorriso smagliante. Nessuno credeva che ce la facessi ed invece. ..eccomi lì , trionfante. Era un traguardo memorabile.
Dopo alcuni festeggiamenti, Artemide mi prese da parte. Lei era stata la dea che senza dubbio aveva sempre creduto in me e, nonostante qualche piccola divergenza, il nostro rapporto si poteva definire un'amicizia.
"Sei stata grandiosa"
"Grazie. Senza i tuoi preziosi consigli, non credo che avrei portato a termine l'impresa."
"Naturalmente. Il merito è però senz'altro tuo"
La dea curvò le labbra in un sorriso tirato. Inarcai un sopracciglio. Nonostante si professasse contenta della mia vittoria, appariva tesa, come dimostravano quel finto sorriso e le mani attorcigliate tra loro in un continuo movimento frenetico. In più, evitava accuratamente d'incrociare i miei occhi.
"C'è qualcosa che non va?"
Artemide sospirò. "Le prove a cui devi sottoporti non sono ancora finite." Mi lanciò uno sguardo carico di preoccupazione "Ora dovrai affrontare il vero nemico."
Corrugai la fronte, confusa. "Cosa vuoi dire?"
"Il vero scopo della prova non era testare i tuoi poteri" mi spiegò, sistemandosi il cerchietto sul capo "bensì quello di verificare se tu fossi all'altezza di scontrarti con un semidio."
Incrociai le braccia sul petto, inclinando leggermente la testa. "Continuo a non capire"
Artemide sospirò ancora, stavolta più pesantemente. "Il vero motivo per cui ti è stata instillata l'essenza divina è che io avevo bisogno di una sorta di figlia che si misurasse con i discendenti di Niobe." Mentre lo diceva, continuava a sfregarsi le mani, nervosa. "Qualche tempo fa, infatti, Ares si accoppiò con un'umana, ultima superstite dei Niobidi "
Tacqui, in attesa che terminasse la spiegazione.
"Dalla loro unione, nacque un figlio che, come tutti i discendenti di quella ignobile donna, mi giurò vendetta."
Non me me stupii, conoscendo il mito. Niobe era una donna, figlia probabilmente del fiume Xanto, che, maritata col re di Tebe, ebbe sette figli e sette figlie. Con estrema superbia si vantò di essere migliore di Latona, che aveva partorito solo due gemelli, Apollo e Artemide appunto. Latona s'infuriò e mandò i figli a vendicarsi, cosicché essi, con le loro frecce, uccisero i suoi figli. Quanto a Niobe, ella fu tramutata in pietra.
"Non erano morti tutti?"
"Purtroppo no" proseguì Artemide con astio "due di loro, Cloride e Amicla, sopravvissero. Piene di risentimento per la morte dei fratelli, mi giurarono vendetta, trasmettendo quest'idea a tutti i loro discendenti."
"Va bene. Questo lo hai già detto. Però sono soltanto umani, perché preoccuparsi?"
Artemide mi lanciò un'occhiataccia. "Questo Niobide è un semidio, figlio di Ares" replicò stizzita "ciò implica che il padre lo supporta nel suo proposito di vendetta. Essendo io naturalmente in disaccordo, si rischia la formazione di due fazioni avverse all'interno del Dodekatheon." Mi scoccò un'occhiata penetrante. "Sai cosa significa?"
"Una guerra tra dei" mormorai a bassa voce.
Artemide increspò le labbra in un sorriso amaro. "Esattamente. Ciò è quello che auspica Ares."
Ero confusa. Questa diatriba tra dei era senz'altro preoccupante ma non comprendevo appieno il mio ruolo. "Io però cosa centro?"
"Tu, Diana, sarai colei che, riportando la vittoria sul semidio, sventerai la guerra." Mi mormorò con estrema serietà.
"Io cosa?" Sbottai. "Ha giurato vendetta a te, perché dovrei intervenire io?" Era totalmente assurdo.
"Perché noi dei non possiamo combattere contro gli umani. È un decreto di Zeus. Sarebbe sleale"
Risi senza gioia. Ora mi era tutto chiaro. Gli dei, lasciavano risolvere le loro questioni, le loro controversie agli umani. Non eravamo altro che pedine di un gioco di scacchi, perfettamente sacrificabili.
"No" urlai "non risolverò i vostri problemi! Non sono un burattino nelle vostre mani e di certo non combatterò contro quel semidio!" Ero fuori di me. Mi sentivo maltrattata, offesa e soprattutto. ..usata. Provavo disgusto per le divinità che si divertivano a giocare con le vite umane.
"Nemmeno se quel semidio fossi io?" Intervenne una voce a me conosciuta alle mie spalle. Un timbro sprezzante, derisorio, che mi era noto sin dal primo anno di liceo. Gabriel.

"È un piacere rivederti" esordii voltandomi.
"Anche per me" Curvò le labbra in un sorriso astuto "Sorpresa di trovarmi qui?"
"Non più di tanto" mentii, esibendo un falso sorriso. "Uno stronzo litigioso come te non poteva che essere figlio di Ares"
Mi si avvicinò e rise amaramente. "Dimentichi anche violento e sanguinario." Mi lanciò un'occhiata penetrante. "Molto sanguinario"
Socchiusi gli occhi, per nulla intimorita. "E tu dimentichi chi sono io."
Lui si aprì in un sorriso scaltro e maligno. "Lo so bene invece. Sei la finta figlia di colei che sterminò la mia famiglia" Il tono, inizialmente calmo, sfumò in ira crescente, fino a quasi diventare un ringhio nelle parole finali. "Ma ora basta parlare" sogghignò "mostrami cosa sai fare"
Sogghignai a mia volta " Con estremo piacere"
Artemide mi richiamò e mi lanciò una spada, che io afferrai al volo. Era di ferro lucente, con la punta d'argento. Solida, maneggevole. Perfetta per uccidere Gabriel.
Il ragazzo fece comparire una spada dal nulla e tentò un affondo, che io evitai con prontezza.
A mia volta, gli puntai l'arma contro ma il semidio lo parò. "Allora non sei brava solo con l'arco" osservò causticamente
"Che ti aspettavi?" Replicai mirando al costato "Artemide è abile nell' uso di tutte le armi"
Parò il colpo. Era veloce, constatai sgomenta.
Non mi feci scoraggiare e tentai un altro affondo, colpendolo di striscio ad una gamba. Sorrisi, trionfante. Gabriel, dagli occhi di brace, s'infuriò alquanto e, con un grido di guerra, mi si scagliò contro. I suoi attacchi divennero veloci e precisi, tanto che difendermi mi costò fatica e sudore.
"Già stanca?" Mi canzonò.
Sfoggiai un sorriso smagliante."Affatto"
Affondai un colpo laterale, mirando al fianco, ma fallii.
Così non lo avrei mai battuto, pensai mentre continuavamo a combattere. Dovevo trovare il suo punto debole.
Lo scrutai di sottecchi con attenzione, rilevando che aveva un buon attacco e una discreta difesa, ma una cattiva postura. Era troppo slanciato in avanti. Esultai silenziosamente. Era sufficiente fargli perdere l'equilibrio per batterlo.
Persa in queste considerazioni, lasciai la difesa sguarnita e Gabriel ne approfittò, colpendo il braccio destro con cui reggevo la spada. Presa alla sprovvista, cacciai un grido di dolore ed innavertitamente lasciai cadere la spada a terra. Il tonfo sordo riecheggiò nelle mie orecchie come al rallentatore.
Gabriel sorrise, o meglio, ghignò mentre sul mio viso si dipinse un'espressione sgomenta. Accadde tutto in un attimo.
Cercando di non farmi sopraffare dal panico, mi chinai per raccogliere l'arma ma Gabriel fu più rapido e mi atterrò con una mossa di Karate. Tentai di rialzarmi però lui si protese in avanti, puntandomi la spada alla gola. La punta tagliente mi solleticò il collo, facendo fuoriuscire un rivolo di sangue.
"Come ci si sente ad essere un passo dalla morte?" Mi chiese con il consueto ghigno odioso.
Ansimai, in cerca d'aria. "E tu?" Ribattei "come ti senti ad uccidere una ragazza disarmata?"
Nonostante mi mostrassi sicura di me, in realtà ero terrorizzata. La punta premuta sul collo mi faceva sentire quanto ormai il braccio della morte fosse vicino. Stavo letteralmente guardando la morte in faccia. Ed il suo volto era quello di Gabriel sogghignante. Forse, questa era la cosa che mi disturbava di più. "Bene, estremamente bene." Sorrise malvagiamente "È una bella sensazione uccidere colei che mi tormenta da tre anni. La mia vendetta sarà finalmente compiuta" fece scorrere la lama sulla mia gola, dapprima con delicatezza poi con più forza. Si vedeva chiaramente che traeva piacere dal torturarmi. Voleva infliggermi una morte lenta e dolorosa. Qualche rivolo di sangue fuoriuscì ed io strinsi i denti per non emettere gemiti.
È la fine, pensai. Stavolta, non sarei riuscita a salvarmi. Un nodo mi strinse la gola. Mi morsi il labbro inferiore per impedirmi di piangere. Non volevo dare la soddisfazione di vedermi in lacrime. Il Fato non era stato affatto clemente con me.
Era sul punto di strapparmi alla mia famiglia, ai miei amici, alla mia vita, all'età di soli sedici anni. Inoltre, era stato crudele. A spedirmi negli Inferi, sarebbe stato proprio colui che odiavo di più.
"Non è giunta la tua fine" riecheggiò la voce di Morfeo nella mia mente.
"Cosa?" Replicai. Più che dirlo, formulai il pensiero. Ad ogni modo, il dio mi udì ugualmente.
"Non è ancora il momento per te di morire" asserì con sicurezza.
"Ma..." bloccò la protesta sul nascere.
"Tu ce la puoi fare. Non ti arrendere. Sei una ragazza combattiva"
Anche se non potevo vedere, immaginai che sorridesse.
"Trova uno stratagemma."
"Come faccio? Mi tiene bloccata!"
"Fallo parlare mentre escogiti un piano."
Riflettei sull' idea. La situazione era disperata però non potevo arrendermi. Non avrei mai dato la soddisfazione a Gabriel d'uccidermi. Lo dovevo a coloro che avevano creduto in me. A coloro che, come Artemide, mi avevano sempre sostenuto. A coloro che, come Morfeo, mi avevano supportato moralmente. Ma soprattutto, lo dovevo a me stessa.
"Grazie. Di tutto" sussurrai.

Tornata alla realtà, seguii il consiglio di Morfeo. "Posso dire una cosa, prima di morire?"
Il ragazzo ghignò. "Certamente"
"Io..." annaspai. Avevo bisogno di tempo. "Vorrei ringraziare gli dei" sparai. Benché non potessi vederli, ero sicura che avessero un'espressione esterrefatta. Io infatti non avevo perso occasione di dimostrare il disprezzo per loro. In quel momento più che mai, dovevo persuaderli della veridicità delle mie parole. Era in gioco la mia vita. "Loro...mi hanno fatto conoscere e scoprire questo mondo, l'Olimpo, pieno di meraviglie inimmaginabili per la limitata mente umana."
Mentre parlavo, scorsi, vicino al mio fianco, il guizzo di un arma. Per poco non urlai di gioia. Appeso alla cintura, c'era un pugnale di cui avevo dimenticato l'esistenza.
"Loro, mi hanno svelato la mia vera identità" proseguii, allungando con discrezione la mano verso l'arma "Mi hanno aiutata a capire che ero ben più di una semplice umana." Le dita avevano ormai raggiunto il pugnale ma non riuscivo ad afferrarlo. "Per avermi dato un ruolo essenziale per il destino dell' universo" Stavo dicendo un mare di bugie ma non m'importava.
"Ma soprattutto" proseguii Riuscendo finalmente ad estrarre l'arma dal fodero, "li ringrazio per avermi permesso. .." Alzai lentamente il pugnale "di fare questo" conclusi, affondando la lama nel costato di Gabriel.

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