capitolo 5- Allenamento

Artemide mi afferrò un braccio e mi condusse fuori dal tempio. La lasciai fare, ancora stordita dalle parole di Ares.
Mi trascinò lungo tutta la via maestra, fino a giungere di fronte alle porte dorate che sigillavano l'ingresso nella città.
La dea si soffermò un attimo poi le sorpassò. "Dove stiamo andando?" Chiesi spazientita divincolandomi dalla sua presa.
"Oltre ai giardini di Persefone," spiegò Artemide facendo un gesto circolare per indicare l'ambiente circostante "c'è un bosco. Ci alleneremo là."
Mentre me lo diceva, osservai meglio l'ambiente in cui ci trovavamo. Eravamo, come spiegato dalla dea, nei giardini sacri a Persefone. Precedentemente, Morfeo mi aveva narrato il mito della creazione di questo luogo, secondo il quale esso fu progettato da Demetra per la figlia quando essa fosse tornata dagli Inferi. Dovetti riconoscere che aveva fatto davvero un buon lavoro. Diviso idealmente in quattro zone da viali acciotolati, ognuna di essa presentava le proprie peculiarità.
Nella prima area alla mia destra, si elevavano maestosi alberi di ciliegio in fiore, accompagnati da cespugli di biancospino, il cui profumo gradevole si espandeva nell' aria.
Procedendo, la seconda porzione aveva una meravigliosa statua che fungeva da fontana, rappresentante Persefone, da cui zampillava acqua cristallina.
Dietro, vi era un laghetto in cui si gettava una cascatella.
Le altre due aree erano invece disseminate di fiori variopinti delle specie più disparate, dai tulipani, alle rose, fino ai rododendri.
Infine, lungo i viali, erano sparse varie panchine.
Era un luogo stupendo, ideale per rilassarsi.
Artemide si schiarì la voce. "Immagino il tuo stupore nel vedere queste meraviglie. Però ora dobbiamo dedicarci all'allenamento."
Già, l'allenamento. Era giunto il momento di dimostrare le mie reali affinità con la dea cacciatrice. Ne sarei stata in grado? Dal loro atteggiamento, era ben chiaro che gli dei non credevano minimamente in me. Anzi, erano certi che avrei fallito. Alzai fieramente il mento. Fosse solo per dimostrargli che avessero torto, sarei riuscita nell' impresa.

"Seguimi"m'impose Artemide. Eseguii l'ordine e giungemmo in una radura, delimitata da pini. Il loro odore pungente mi pervase le narici. Involontariamente, sorrisi.
Artemide sorrise a sua volta. "Adori questo luogo, eh? La natura incontaminata, le odi alllegre degli uccelli, il gorgoglio dell' acqua, l'odore dei pini..."
"È il paradiso" terminai al posto suo.
Gli occhi della dea luccicarono di gioia. Certo, il termine paradiso era di origine cristiana ma era un chiaro segno della nostra comunanza.
"Passando a cose più serie..." proseguì Artemide "È opportuno che ti fornisca un abbigliamento più comodo." Diedi una rapida occhiata alla mia tunica turchese sfarzosa ed elegante.
Del tutto inadatta ad un allenamento.
Artemide dunque fece un cenno col dito e, in un attimo, il chitone di Afrodite fu sostituito da una veste bianca corta più pratica, corredata da cintura e calzari di pelle. I capelli invece rimasero acconciati in una sorta di chignon.
"Per prima cosa, devo testare le tue abilità nel tiro con l'arco. Se contieni davvero la mia essenza-come penso- dovresti essere una buona tiratrice."
Contenere la mia essenza. Era una definizione che non gradivo per nulla. Sembrava che fossi un contenitore, privo d'identità.
Mi porse un arco di legno di tasso con una corda di lino.
Corrugai la fronte. Un momento. ..come potevo sapere che fosse di legno di tasso? Non avevo mai usato un arco prima d'ora...sicuramente era entrata in gioco la reminiscenza; questo ricordo, che non mi apparteneva, provocava una strana sensazione.
"Allora. ..come ti pare?" Mi chiese Artemide, preoccupata dal mio silenzio.
"È. ..comodo, maneggevole, direi." Ed era vero. L'impugnatura si adattava bene alla mia presa.
"Cosa aspetti...provalo!"
La dea fece comparire dal nulla un bersaglio, posato su un albero.
Con mano tremante, tesi l'arco. Tentai di prendere la mira, ma l'agitazione m'impediva di mantenere ferma la freccia.
Notando il mio nervosismo, Artemide mi si accostò e mi sussurrò parole tranquilizzanti.
"Sei troppo rigida. Rilassa le spalle" mi suggerì. "Prendi un respiro profondo e tira."
Seguii le sue indicazioni, chiusi gli occhi e scoccai la freccia.
"Non male" Non mi resi conto di aver trattenuto il fiato finché la dea non commentò il mio tiro.
Riaprii gli occhi ed osservai il bersaglio. La freccia non aveva colpito il centro esatto, bensì una parte a lato.
Sorrisi. Potevo ritenermi soddisfatta, essendo solo il primo tentativo.
Artemide non fu del mio stesso avviso. "Puoi fare di meglio" sentenziò. "Riprova"

Dopo un paio di tiri, le mie frecce centrarono tutte il bersaglio. Tirare con l'arco era un gesto naturale. Eseguivo i movimenti con fluidità e precisione, senza sforzi notevoli. Era come se fossi predisposta geneticamente. ..scossi la testa e sospirai. Questa era solo l'ennesima prova che confermava il mio legame con Artemide. Un legame forte, più forte di uno familiare, che mi rendeva, nella realtà dei fatti, una sua diretta emanazione.
Una constatazione simile implicava questioni irrisolte che non avevo né la voglia né la forza di affrontare.
"Diana" la voce di Artemide interruppe il flusso dei miei pensieri "passiamo ai bersagli più lontani."

Con un sospiro, ricominciai l'allenamento. Ai bersagli lontani seguirono quelli mobili, corredati da corsa e salto. Ero sempre stata piuttosto agile per cui un allenamento intenso non rappresentava una difficoltà. Tuttavia, dopo tre giorni trascorsi con Artemide, dovetti ammettere con me stessa che ero esausta. "Artemide" esalai a fiato corto dopo una serie di addominali, "in cosa consiste la prova?"
Era una domanda che mi assillava da giorni ma non avevo mai osato porla. Per timore della risposta, immagino.
La dea si accigliò ed incrociò le braccia sul petto. "Dovrai catturare il cinghiale di Erimanto"
Mormorò in tono lugubre.
"Il cinghiale di Erimanto? Ma non l'aveva ucciso Ercole?"
Artemide scosse la testa. "L'aveva imprigionato. I mostri poi, esattamente come gli dei, sono immortali. È possibile solo ferirli in modo che essi siano mansueti mentre recuperano l'energia."
Sgranai gli occhi "Ed ora questo cinghiale è pronto per nuovi combattimenti?"
La dea annuì "Non sarà una prova semplice. Dovrai far uso di tutte le tue abilità e conoscenze per superarla." Corrugò la fronte con preoccupazione.
La sua reazione mi stupì. Finora si era dimostrata un'allenatrice dura ed inflessibile ma ora aveva dato prova di possedere un lato più. ..umano. Era evidentemente preoccupata per la mia sorte e ciò implicava che teneva a me, almeno un minimo. "Ma ora basta parlare Stiamo sprecando tempo utile." Sentenziò Artemide. "Altre dieci flessioni"
Scossi la testa e sorrisi. Almeno ora sapevo che si prodigava tanto affinché io superassi la prova.

I restanti tre giorni trascorsero con duri allenamenti ed esercizio con vari armi, tra cui la spada, alla mattina, e lezioni su piante ed animali al pomeriggio. Non ebbi dunque modo di riflettere sulla prova che mi attendeva. Ma quando, dopo l'ultima lezione, la dea mi annunciò che aveva un dono da farmi la paura della prova si manifestò con evidenza.
Artemide mi scrutò a lungo prima di parlare. "Vorrei consegnarti questo." Piuttosto asciutta, considerai, mentre mi porgeva un arco. Non era però un arco qualunque. Era d'argento, di meravigliosa fattura. Quando lo presi, mi accorsi che l'impugnatura era modellata per la mia presa...come se qualcuno avesse concepito e costruito quell'arco proprio per me. Alla base, vi era inoltre intagliato un piccolo cervo dai sfavillanti occhi di rubino.
"È fantastico" mormorai "semplicemente fantastico. Grazie"
La dea mi sorrise. "Lo credo bene. L'ha costruito Efesto."
Non me ne stupii. Un opera tale non poteva che provenire dalle fucine del dio-fabbro.
"Perché questo dono?" Chiesi incuriosita dal suo gesto. Lei non pareva proprio la persona che elargiva doni per generosità.
Artemide scrollò le spalle. "Pensavo che avresti avuto bisogno di un arma per superare la prova."
Il suo tono piatto non mi convinse. Se davvero condividevamo l'essenza, come sostenevano gli dei, allora il suo atteggiamento non era che freddezza simulata. Anch'io, come lei, non mostravo le mie emozioni e, solitamente, mantenevo un atteggiamento freddo e distaccato, come meccanismo di difesa dalle delusioni. Credetti che lei stesse facendo lo stesso.
"Se io sono simile a te....varrà anche il contrario, no?" Le feci un sorriso malinconico. "Non devi fingere con me, Artemide.Se hai qualcosa da dirmi..."
La dea rise sprezzante. "Qualcosa da dirti? Vuoi conoscere le mie...emozioni?" Scosse la testa, senza smettere di ridere. "Voi umani siete tutti così. Pensate che ci sia sempre qualche verità, sentimento od emozione che sia, da rivelare."
Artemide schiuse le labbra in un sorriso maligno. "Ti rivelerò un segreto: noi dei non proviamo cose basse e infide come le emozioni. E di certo non ci lasciamo guidare dall' istinto."
Serrai le mani a pugno finché le nocche non sbiancarono. "Già" sussurrai ribollendo di rabbia "dimentico sempre che la regola che vige qui è l'orgoglio. Mai mostrarsi deboli. ..altrimenti chissà a quali pericoli si va incontro." Il mio tono sarcastico e pungente non sfuggì ad Artemide, che mi lanciò un'occhiata intimidatoria. Naturalmente, la ignorai.
"Se davvero vi credete superiori per un motivo sciocco come l'immortalità, vi informo che in realtà i deboli siete voi!" Gridai con le guance paonazze. Ormai ero incapace di fermarmi. "Sì, proprio voi. Non apprezzate il valore della vita. ..e come potreste? La vostra è infinita! Non sapete nemmeno cosa significhi carpe diem!" Sbraitai. "Vivete i vostri millenni uno dopo l'altro,giocando con le vite degli uomini, senza mai fare ciò che vorreste fare davvero: vivere sapendo di morire. Vivere davvero, godendovi ogni attimo che il Fato vi ha concesso."
Il mio tono di voce si era abbassato di un'ottava. Ora la mia rabbia era stata sostituita dall'amarezza. Se avevo creduto che essere dei fosse un dono, ora, guardandoli, non provavo che pietà per loro.
Artemide non disse nulla. Dalla sua bocca non uscì un suono.
I suoi occhi però, di solito freddi e inespressivi, mandavano ora scintille infuocate. Se solo avesse potuto, mi avrebbe incenerito.
Per sua sfortuna non era Zeus, considerai lasciando il bosco.

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