Il tramonto

(Harry)

Quegli occhi. Quanto avrebbe voluto guardare quegli occhi per sempre, quanto avrebbe voluto farsi scaldare fino all' eternità da quelle due braci ardenti che ora lo scrutavano senza ritegno, senza imbarazzo, senza nessun filtro. Da vicino era ancora più forte il loro potere ipnotico su Harry e lui avrebbe voluto avvicinarsi ancora di più, voleva toccare quel fuoco, anche a costo di scottarsi, di fondere, ma la distanza non glielo permetteva, perché la distanza sostanzialmente non c' era. Allora lui calava le palpebre e reclinava la testa in modo da catturare quelle due labbra e assaporarle; avvicinava le mani ai lati del viso e poi le faceva scorrere tra i capelli, i polpastrelli sfioravano il collo e trovavano strada lungo le scapole. Un altro affondo nella bocca calda, e subito dopo ne seguiva un altro ancora più umido e ancora più insaziabile. La teneva stretta e Vera rassicurava lui con gli sguardi bollenti e con le lievi carezze che lo ancoravano a quel surreale limbo che lasciava spazio solo a loro due e a nessun altro.

Lasciava spazio a loro due e a nessun altro: un ragazzo, oramai maggiorenne, dai voluminosi capelli che gli conferivano una statura ancora più alta e dal segno inequivocabile che sostava sulla sua fronte, impressogli dal mago che un tempo era chiamato Tom Riddle.
Lord Voldemort lo guardava con rabbia e fervore ed Harry Potter ricambiava quello sguardo con piacere, mentre i due maghi delineavano un cerchio perfetto con i loro passi prudenti, un margine dentro il quale sarebbero volate maledizioni, una in particolare che avrebbe segnato il destinato del mondo magico.

Albus Silente lo aveva avvertito che sarebbe successo alla fine, che si sarebbero ritrovati uno di fronte all' altro e avrebbero decretato la fine della guerra. Lo aveva ribadito cinque mesi prima, quando comparve nell' idilliaca Kings Cross che aveva più che altro la parvenza del paradiso babbano. Harry non capiva: un attimo prima era nell' oscura catapecchia della signora Bathilda Bagshot ed era sicuro che la sottile scintilla verde che lo aveva colpito alle spalle avesse posto fine alla sua vita; e invece ora si trovava a parlare con l' ex preside del progredire della missione, con il lontano ricordo delle urla di Hermione che portavano il suo nome.

Queste preoccupazioni finirono in secondo piano quando il preside gli sveló che lui era stato da sempre un Horcrux, creato e distrutto accidentalmente, insaputo da Harry e dallo stesso Voldemort, uno strumento del quale solo Albus Silente si era potuto servire; lui disse che era per il bene comune, ma ad Harry fece male comunque.

-Tieni ancora duro Harry, perché sono sicuro che, la prossima volta che sarete uno di fronte all' altro, tutto finirà- c' era una certa nota di malinconia e di tristezza nelle sue parole -Io confido in te, Harry. Ho sempre confidato in te- Forse un po' troppo, si ritrovò a pensare il ragazzo.

-E confido di rincontrarti- disse l' ex preside, posandogli la sua mano ossuta sulla spalla di Harry e stringendola

-Nell' ufficio del preside?- chiese il ragazzo -Anche lei ora è in uno dei quadri dell' ufficio, no?- sperava che non si fosse offeso per il mancato tatto che usò, pronunciando quelle parole, ma è come se fossero uscite senza il suo consenso

L' anziano sorrise, tranquillizzandolo e mollando la presa sulla spalla -Certo, nell' ufficio del preside-

Quando Albus Silente si dissolse aveva ancora quel rassicurante sorriso sulle labbra che Harry avrebbe voluto che fosse durato per sempre; la permanenza in quel posto era allettante.
Aprendo le palpebre, trovò due occhi color nocciola che lo scrutavano preoccupati e delle ricce ciocche di capelli che gli sfioravano il viso.

Hermione era stata la sua salvezza in quei mesi; senza di lei sapeva che non sarebbe più riuscito a concludere niente e semplicemente a sopravvivere, perché si era reso conto di aver già usato una cartuccia di riserva per la vita, e questo gli poneva molta più angoscia di prima, quando ancora non sapeva che gli era stato donato quell' unico jolly. L' ansia si era trasformata in un perentorio mal di testa che non gli permetteva di concentrarsi sulla missione; allora lui si sforzava, frustrato, molte volte saltando i pasti e restando sveglio più del dovuto. Hermione oltre a riscuoterlo ogni volta dal suo torpore, dal suo continuo rimuginare nel vuoto, doveva sorbirsi i suoi borbottii e gli stalli di depressione che lo prendevano generalmente dopo una notte passata in bianco. Le doveva molto.

Quando Ronald tornò a Febbraio le cose migliorarono, anche se i due piccioncini finirono per accantonare Harry, ma non tante volte e di questo gliene fu grato.

Vera si limitava a pensarla nei momenti in cui la sua mente era arrivata a fine corsa e, mantenendo l' attenzione focalizzata su di lei, le preoccupazioni scomparivano e davano spazio all' immaginazione: cosa stava facendo in quel momento, se anche lei stava osservando il profondo cielo puntellato di stelle di quella notte, difficile dato che il suo dormitorio era nei sotterranei, ma non impossibile; sicuramente lei non si trovava appoggiata ad una tenda con il formicolio ai piedi e tre maglioni di lana della signora Weasley indossati, ne produceva nuvolette di vapore ad ogni respiro, ma confidò nella speranza che anche i pensieri della ragazza delle volte si rivolgevano a lui. Non erano mai stati chiari sulla loro relazioni, quindi quelle speranze spesso gli apparivano vane, molte volte si dava dello stupido per questo: Vera poteva tranquillamente stare con un altro in quel momento, rivolgendo al fortunato sguardi acidi come aveva fatto con lui e subito dopo sorridere; fare la difficile come pochi riescono ad esserlo e poi restare senza difese quando i suoi occhi assumevano quel colore caldo, che tanto gli piaceva, perché significava che stava andando tutto bene: finché c' erano lei e i suoi occhi caldi andava tutto bene.

Quello che si era creato mentre camminava in uno dei passaggi di Hogwarts in presenza di Ron, Hermione e Neville, era un' aspettativa grande, l' aspettativa di rivederla appena varcata quella porta che dava accesso alla stanza della necessità, aspettativa tanto grande nata nel momento in cui Neville nominò il nome di Vera nelle persone che frequentavano l' ES, che nel momento in cui relamente entrò in quella stanza, ne rimase deluso.

Quando si guardò intorno vide visi che gli sorridevano, stupiti della sua presenza, ma non vide il suo. Poi incrociò i suoi occhi caldi e tutto si seguí velocemente: i loro baci, i Mangiamorte che rompevano le difese, fasci di luce rossi e verdi che tagliavano l' aria, la breve tregua tra le due fazioni, le decine di morti in sala grande e... Voldemort.

Poté osservare il suo stupore mentre la bacchetta di sambuco abbandonava la sua presa e si avvicinava, come se fosse attratta da una forza calamitante, al suo vero possessore. Il tempo pareva essere rallentato quando il corpo inerme di Tom Riddle cadde, privo di grazia, sul pavimento della sala grande. Poi seguì un attimo di silenzio che venne interrotto dalle urla di gioia dei presenti.

I primi ad avvicinarsi a lui furono Ron ed Hermione che lo abbracciarono di slancio. Harry sentiva le gambi diventare sempre più molli ad ogni abbraccio, ad ogni pacca sulla spalla, ad ogni parola. Sarebbe potuto morire in quel momento con quella sensazione di felicità e di euforia che vibrava nel suo stomaco, con l' adrelina che gli scorreva nel corpo che gli permetteva di restare ancora in piedi dopo tutto quello che aveva appena passato, che permetteva a tutti di stare in piedi.

-Ce l' hai fatta- sussurrò Vera stretta nel suo abbraccio, mentre Harry si sentiva la testa offuscata, leggera, e aveva un sorriso che non riusciva a lasciare le sue labbra -Ce l' hai fatta- ripeté.

Rincontró Albus Silente.

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