16. Una lunga storia
Giugno 1820, Mar Tirreno
Appoggiata alla balaustra del ponte della nave del capitano David, osservavo l'orizzonte, cercando di ignorare il vento freddo che mi sferzava il volto e spettinava i capelli, raccolti in una semplice treccia.
Gli ultimi stralci di tramonto erano ancora visibili; l'arancione, il rosa e il giallo stavano per lasciare definitivamente il posto al grigio plumbeo della notte e le nuvole scure venivano sospinte bruscamente dal vento sulla tavolozza di colori in cielo.
La nave era salpata da circa un'ora e avevo avuto la possibilità di assistere, con gli occhi sbarrati dalla meraviglia, a quanto lavoro fosse necessario per portare al largo un veliero tanto maestoso.
Essendo la figlia di un duca non avevo dimestichezza con termini, usanze e procedure relative alla pirateria e alle navi in generale; per questo il capitano David, mentre urlava ordini alla sua ciurma, aveva provato a spiegarmi qualche concetto base, ma mi ero ritrovata ben presto troppo distratta dalla maestosità del mare per capire effettivamente ciò che mi stava dicendo.
«È bellissimo, vero?»
Sussultai e mi voltai alla mia sinistra, notando Torchio accanto a me, intento a sua volta ad ammirare l'orizzonte.
«Sì, bellissimo... È tanto che siete qua?»
Lo sciamano fissò i suoi occhi scuri nei miei; dalle sottili rughe intorno agli occhietti che fosse divertito o infastidito da qualcosa: «Abbastanza», rispose semplicemente, prima di tornare ad ammirare l'enorme distesa blu curo di fronte a noi.
«Gli indumenti maschili vi donano», aggiunse il giovane uomo, osservandomi con la coda dell'occhio.
Scrollai le spalle: «Sono molto comodi, ma non mi sento particolarmente a mio agio; sono stata abituata a metri e metri di stoffa e numerosi strati di biancheria, avere così pochi indumenti addosso è... insolito».
«Interrompo forse qualcosa?», chiese una voce alle nostre spalle, coe che riconobbi all'istante,
Mi voltai per puntare i miei occhi in quelli del capitano David e sorrisi: «Stavamo parlando di abiti, di comodità e di abitudini».
«Interessante argomento di conversazione. Immagino che sia strano per voi indossare i pantaloni», disse il capitano, appoggiandosi a sua volta alla balaustra, dando le spalle al mare, gli occhi che sembravano voler scavare voragini nei miei.
«Vero, lo stavo giusto dicendo a...»
Mi interruppi bruscamente, quando mi resi conto che Torchio non si trovava più alla mia destra.
«Come fa a comparire e scomparire così?», chiesi allibita, puntando lo sguardo nuovamente sul viso dai lineamenti virili del capitano.
Lui mi sorrise e scrollò le spalle: «Torchio è molto silenzioso e discreto».
Non ero particolarmente soddisfatta da quella risposta, ma non insistetti oltre e tornai ad osservare l'orizzonte e i colori del tramonto.
«Conoscete la vedova Agostino D'Olmi?»
Scossi il capo: «Temo di non aver mai avuto l'onore».
Il volto del capitano si fece ancora più affilato: «Speravo che le vostre conoscenze altolocate potessero essermi utili, Caterina, ma a quanto pare mi sbagliavo».
Lo osservai indispettita: «Pensate che solo perché figlia di un nobile io conosca tutti i nobili del Mondo, Damiano?»
«No, Caterina, ma speravo conosceste almeno molti nobili del Regno».
«Non ho viaggiato molto nella mia vita, Damiano, a differenza vostra. Vorrei ricordarvi che fino a pochi mesi fa mi trovavo in un istituto di Orsoline. Conosco più le suore e le funzioni religiose, che i Regni d'Italia e i nobili».
Rimanemmo a fissarci, entrambi indispettiti per lunghi secondi, poi Damiano sorrise: «Conoscete abbastanza le suore da potervi fingere una di loro?»
«Forse... Cosa avete in mente?»
«Se posso, Caterina, preferisco evitare uno scontro armato e ottenere ciò che voglio con l'inganno, così da non mettere inutilmente a repentaglio la vita dei miei uomini. Se conoscete davvero il mondo della chiesa come dite, non dovrebbe essere difficile per voi fingervi una suora ed entrare nella dimora della vedova Agostino D'Olmi per portarle sollievo spirituale».
Con le labbra socchiuse dalla sorpresa, mi scoprii affascinata dalla velocità con cui il capitano era riuscito a ideare un possibile piano, per ottenere ciò che voleva.
«Avete una mente molto brillante», dissi, incapace di trattenermi dal fargli quel complimento, prima di arrossire per l'imbarazzo.
Il capitano David sorrise e appoggiò la propria mano sulla mia, ancora aggrappata alla balaustra.
Il rossore sulle mie guance si fece incandescente.
«Non sono diventato capitano di questa nave per il mio gradevole aspetto, Caterina», disse il giovane uomo, con sguardo fiero.
«Posso chiedervi com'è successo? Come vi siete unito alla pirateria?», chiesi, andando oltre l'imbarazzo che provavo in quel momento.
«È una lunga storia, Caterina», disse lui, distogliendo lo sguardo.
«Mi piacciono le storie lunghe, Damiano».
Il capitano David sorrise appena, gli occhi fissi sull'orizzonte, dove i colori del tramonto erano quasi scomparsi del tutto.
«Sono nato in una famiglia povera, Caterina, mio padre era un semplice stalliere e mia madre una lavandaia. In quanto primogenito dovetti rimboccarmi ben presto le maniche e cercarmi un lavoro. Fu così che conobbi la contessa Sylvie d'Ambrose, ero sguattero in casa sua e svolgevo le mansioni più umili e mortificanti. Un giorno Sylvie ebbe pietà di me e mi propose un lavoro che mi avrebbe permesso di guadagnare di più e aiutare in questo modo la mia famiglia a uscire dal giogo della povertà. Mi mandò a fare il mozzo su una nave, che solo dopo parecchio tempo capii essere una nave pirata. Inizialmente mi occupavo di pulire il ponte, caricare e scaricare barili, cacciare i topi e aiutare il cuoco con la sbobba, poi un giorno mi misero in mano una spada e mi chiesero se fossi in grado di usarla. Mentii e dissi loro che sì, ne ero in grado».
Il capitano David si scostò la camicia, mostrandomi una delle numerose cicatrici che decoravano macabramente la sua pelle abbronzata.
«Rischiai la vita, ma sopravvissi e guadagnai un bel gruzzoletto, che spedii alla mia famiglia. Sono diventato capitano di questa nave dopo averci vissuto e lavorato come mozzo e semplice pirata per più di dieci anni», disse, sistemandosi nuovamente la camicia, in modo da coprire le cicatrici: «Avere una mente brillante è proprio quello che mi ha permesso di essere nella posizione in cui mi trovo ora, oltre ovviamente alla lealtà verso la contessa Sylvie d'Ambrose».
Ero certa che dovessero esserci numerosi retroscena e dettagli che non si era sentito di raccontarmi, ma non insistetti e non gliene feci una colpa. Da quando ci eravamo conosciuti, quello era il primo e unico momento in cui il capitano si era aperto, parlandomi con sincerità del suo passato e di questo gli ero infinitamente grata.
«Ora, Caterina, vorrei che mi raccontaste voi qualcosa».
Socchiusi le labbra per la sorpresa e abbassai lo sguardo sui miei pantaloni, titubante.
«Non sapete già tutto quello che c'è da sapere?», chiesi, sulla difensiva, chiedendomi dove volesse andare a parare con quella richiesta.
«Mi avete detto di esser stata educata in un istituto di Orsoline, so che eravate promessa sposa al Duca Raggi della Rovere, ma che avete preferito fuggire con un perfetto sconosciuto, piuttosto che sposarvi, so che siete la duchessa più singolare che io abbia mai incontrato... Eppure sono certo che ci sia ancora molto da scoprire su di voi e il vostro passato».
«Temo vi sbagliate, capitano, la mia vita non è particolarmente degna di nota», dissi, un sorriso sbiadito sulle mie labbra.
«Non mi avete mai parlato di vostra madre».
Chiusi gli occhi, cercando di schermare i pochi ricordi che conservavo della donna che mi aveva dato ala luce e scossi il capo: «Non c'è molto da dire, è morta», mentii.
Il capitano David non insistette e io gliene fui grata.
Pensare a mia madre, malgrado il trascorrere del tempo, mi provocava sempre un dolore indescrivibile; ecco perché tenevo ogni sui ricordo sigillato nell'ala della mia mente che non visitavo mai, ecco perché non parlavo di lei a nessuno.
Mia madre, per mio padre, era morta nel 1815 e ne parlava con finto rimpianto a tutti coloro che gli porgevano domande al riguardo; ma io sapevo che mamma era ancora viva, io sapevo che mamma era stata portata via nel cuore della notte dell'8 Novembre del 1815, io sapevo che era stata caricata su una carrozza e non aveva mai più fatto ritorno.
«State bene, Caterina?»
Tornai alla realtà bruscamente, scacciando dalla mente i ricordi di quella notte, decisa a non riviverli mai più, perché troppo dolorosi, e sorrisi al capitano: «Sì, sto bene. Sono solo un po' stanca».
«Potete dormire nella mia cabina, se lo desiderate», disse il capitano, sorridendo maliziosamente: «Probabilmente circoleranno pettegolezzi a riguardo tra la ciurma, ma credo siate abbastanza coraggiosa da non lasciarvi toccare dalle malelingue».
«Credete bene, capitano», dissi, scostandomi dalla balaustra.
Il cielo era ormai dello stesso colore del carbone, illuminato da piccoli tizzoni ardenti, e la vivacità del tramonto era soltanto un ricordo sbiadito.
***
Buongiorno popolo di Wattpad!
Spero che la storia continui a piacervi, io personalmente mi innamoro, ad ogni capitolo che scrivo, un po' di più di Caterina e Damiano e le rispettive sfortune e gioie.
Per la prima volta veniamo a sapere qualcosa sulla madre di Caterina, non molto, ma è comunque un inizio e vi prometto che in futuro scopriremo altri dettagli, sia sul passato di lei, sia sul passato del nostro misterioso capitano David.
Mi sento in dover fare una piccola precisazione: il "Regno" a cui il capitano fa riferimento è ovviamente il Regno delle Due Sicilie, di cui Napoli fa parte nel 1820.
Cosa è successo alla madre di Caterina? E quali segreti cela Damiano?
Lo scopriremo nelle prossime puntate.
Nel frattempo vi invito a commentare il capitolo, per farmi sapere cosa ne pensate.
Come sempre vi ricordo che potete trovarmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp e, per chi fosse interessat* a donarmi un simbolico caffè, trovate il link per farlo nella mia bio.
Un bacio,
LazySoul_EFP
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