12. Falò



Giugno 1820, Isola di Montecristo

Seduta su una panca in legno, avvolta da una coperta che mi era stata consegnata con malagrazia dal capitano David, osservavo il falò che bruciava a pochi metri da me, intorno al quale pirati e giovani donne succinte bevevano e danzavano.

Cercavo, per quanto mi era possibile, di rimanere in disparte rispetto a quel baccanale, terrorizzata dalle risate sguaiate e dai comportamenti lascivi tenuti dai pirati.

Lo sciamano Torchio era a gambe incrociate accanto alla panca su cui sedevo e masticava alacremente della carne secca.

Quando eravamo giunti al monastero, il capitano David mi aveva condotta subito in quel chiostro e mi aveva lasciata in quella che aveva definito la mia "prigione", ossia una piccola stanza dotata di letto, coperte, un pitale, un armadio con all'interno un cambio d'abito e una piccola finestrella troppo stretta per potervici fuggire attraverso.

Ero rimasta in quel luogo sporco e malsano ad osservarmi intorno e storcere il naso per qualche minuto, poi mi ero fatta forza e mi ero accoccolata sul letto sgangherato, prendendo subito sonno.

Quando il capitano David era venuto a prendermi era ormai l'imbrunire e mi aveva proposto di partecipare ai festeggiamenti per la mia cattura, così da scaldarmi vicino al fuoco e mangiare un po'.

Analizzando il comportamento del mio rapitore non riuscivo a capire la sua improvvisa freddezza nei miei confronti. Possibile che fosse stato colpito dalle parole che gli avevo detto durante il nostro viaggio a dorso di mulo? Più ci pensavo più quel pensiero di sembrava verosimile.

Era da quando gli avevo chiesto se fosse davvero così impossibile per lui resistermi, che si teneva a distanza e ogni volta che mi si avvicinava sembrava farlo di malavoglia.

Come quando, poco prima, mi aveva portato la coperta che in quel momento copriva le mie spalle, proteggendomi dal freddo; si era limitato a passarmela con lo sguardo rivolto altrove, i suoi occhi avevano a malapena accarezzato il mio viso per un secondo, poi era tornato ai festeggiamenti e a ridere sguaiatamente con altri pirati.

«Gradite?», chiese Torchio, spostando appena il capo nella mia direzione e allungandomi un piatto al cui interno si trovavano una decina di strisce di carne secca.

Storsi leggermente il naso, ignorai l'odore pungente e poco gradevole di quell'alimento e, incoraggiata dal rumoroso gorgoglio del mio stomaco, afferrai un pezzo di carne secca.

«Vi ringrazio», dissi, ottenendo un piccolo sorriso da parte di Torchio.

Lo sciamano lasciò il piatto con la carne secca vicino ai miei piedi, poi tornò a masticare alacremente e ad osservare il resto della ciurma divertirsi.

«Voi non festeggiate?», chiesi, curiosa dall'anormale comportamento di Torchio.

Il ragazzo scrollò le spalle: «Festeggio a modo mio».

Avrei voluto porgergli ulteriori domande e scoprire altro sul conto di quel pirata taciturno e serio, ma in quel momento la mia attenzione venne nuovamente catturata dal capitano David, che stava ballando con una giovane fanciulla i cui seni esposti avevano ottenuto baci e morsi da quasi tutti i pirati presenti quella sera.

Trovavo alquanto crudele il comportamento del mio rapitore e, malgrado fossi consapevole che da un diavolo simile non mi sarei dovuta spettare altro, una parte di me continuava a sperare in un trattamento di favore.

Avrei voluto prendermela con la ragazza che si trovava tra le sue braccia, ma non me la sentivo di giudicarla per il suo comportamento sfacciato, non quando io stessa, più volte, avevo pensato e sognato il capitano David con peccaminosa passione.

Gli occhi del mio rapitore si tuffarono nei miei da metri di distanza, accesi da una luce maligna, poi le sue labbra scesero su quelle della giovane tra le sue braccia e io percepii con chiarezza una fitta all'altezza del petto.

La luce rossa del falò gettava sulle due figure intrecciate un alone di peccato e perdizione che mi fece pensare all'Inferno cantato da Dante nella sua "Divina Commedia", lettura che mio padre amava particolarmente.

Sospirai e abbassai lo sguardo sul mio grembo, malinconica, chiedendomi come dovesse aver preso mio padre la notizia della mia improvvisa scomparsa.

Ero stata così sciocca a non ascoltarlo, così ingenua a lasciarmi incantare dal serpente del peccato come la prima donna, Eva, nel giardino dell'Eden.

Spostai lo sguardo sulle mura in pietra della chiesa poco distante, dove il capitano David non mi aveva permesso di entrare, una volta arrivati, e provai il forte desiderio di avere il caldo conforto della fede in una notte simile.

«Gradite dell'acqua?», chiese Torchio, attirando la mia attenzione.

Annuii con foga, lieta della sua proposta e sorrisi: «Sì, la gradirei molto».

Lo sciamano si allontanò con passo deciso e io tornai a tormentarmi al pensiero del mio povero padre, da solo e disperato.

«Gelosa, Caterina?»

Sollevai lo sguardo, sorpresa, e osservai il volto sfacciato e sorridente del capitano David.

«Gelosa? Di cosa state parlano?», chiesi, aggrottando la fronte.

Le mie parole sembrarono coglierlo in contropiede e per qualche istante rimase in silenzio ad osservarmi, poi un'espressione adirata gli stravolse i lineamenti: «Se non siete gelosa, a cosa stavate pensando Caterina? Perché siete tanto triste?»

Involontariamente sorrisi: «Mi avete rapita, Damiano, perché mai non dovrei essere triste?»

Il pirata abbassò lo sguardo, sembrava perplesso: «Vi state davvero disperando per non aver potuto sposare quel vostro duca da quattro soldi?»

«In realtà stavo pensando a mio padre e al dolore che la mia scomparsa deve avergli provocato, ma sì, rimpiango di avervi creduto un uomo d'onore e di aver preferito voi al duca Raggi della Rovere».

Il capitano David incassò il collo tra le spalle, sembrò quasi ferito dalle mie parole per un istante, poi un sorriso feroce gli incurvò le labbra: «Uomo d'onore o meno, Caterina, sappiamo entrambi che vedermi baciare un'altra vi ha fatto soffrire».

Abbassai lo sguardo, portandolo sulle mie dita sottili, che giocavano con l'orlo frangiato della coperta: «E se anche fosse? Vi sentite forse rinvigorito dalla consapevolezza di avermi ferito? Valgo così poco ai vostri occhi?»

Un ringhio disumano eruppe dalle labbra del mio rapitore.

Sollevai il mio volto per osservare i lineamenti induriti del capitano David e mi sentii piccola e impotente.

«Poco? POCO!?», urlò, allargando le braccia: «Siete impossibile, Caterina», disse, prima di allontanarsi con falcate nervose, diretto verso la botte di rum da cui la sua ciurma attingeva frequentemente.

Fu in quel momento che una ragazza dai lunghi e ricci capelli biondi lo raggiunse e gli gettò le braccia intorno al collo, ridendo felice.

Rimasi ad osservare la scena con occhi attenti, chiedendomi se quella ragazza fosse sua sorella, per il modo dolce e affettuoso in cui si stringevano l'uno all'altra.

«Vicky!», esclamò il capitano David, sostandola dal proprio corpo per vederla in viso: «Come stai?»

Fu in quel momento, mentre la luce sanguigna del falò illuminava il volto della sconosciuta, che spalancai le labbra in un urlo privo di suono.

Quella ragazza era la veggente, quella mandata da Cupido che mi aveva letto la mano al mercato, quella che mi aveva consigliato di fuggire con il capitano David per raggiungere la felicità a cui agognavo da sempre!

Incredula osservai la scena, chiedendomi come fosse possibile che quella ragazza si trovasse lì.

Torchiò tornò in quell'istante e mi porse un bicchiere d'acqua, che bevvi in un sorso solo, gli occhi ancora puntati sulla giovane donna con gli occhi circondati da uno spesso strato di kajal nero e numerosi braccialetti ad adornarne il polso sottile.

«Lei chi è?», chiesi allo sciamano, incapace di trattenermi.

«Victoria», disse semplicemente Torchio, prima di sedersi nuovamente per terra, a gambe incrociate.

«Fa parte della ciurma?», chiesi, innervosita dalle risposte troppo coincise dello sciamano.

«Sì», ci fu un attimo di silenzio, poi continuò: «Se ti sembra familiare è normale, Damiano l'ha mandata per convincerti a presentarti all'appuntamento in giardino l'altra notte, pensava che avessi bisogno di un'ulteriore spinta».

Appena Torchio mi aiutò a mettere insieme i pezzi del puzzle, sentii il sangue affluirmi alle guance per l'imbarazzo e l'umiliazione, e il respiro mozzarmisi in gola.

Quella rivelazione mi turbò tanto da farmi svenire su quella panca in legno, gli occhi di Torchio che mi osservavano preoccupati e le membra che mi si rilassavano in un sonno senza sogni.

Quando ripresi coscienza non mi trovavo più nel chiostro, la luce infernale del falò non illuminava più i volti satirici dei pirati e il suono delle loro risate era lontano.

«State bene, Caterina?»

Era la voce del capitano David, del quale scorsi la silhouette una volta che i miei occhi si abituarono al buio della stanza in cui mi trovavo.

Mi ci vollero pochi secondi per ricordare quello che era successo e per realizzare che il letto su cui ero sdraiata doveva essere quello della mia prigione.

«Andatevene», dissi in un lamento, portandomi le mani a coprirmi il viso, così da nascondere le bollenti lacrime che minacciavano di rigarmi il volto.

Avevo creduto fino all'ultimo, per quanto il mio rapitore fosse un diavolo senz'anima, di avere dalla mia parte Cupido. Mi ero fidata delle parole che avevo sentito al mercato, parole dette da quella che avevo creduto una vera veggente, mi ero aggrappata a quella speranza con tutte le forze per non impazzire e avevo creduto di poter essere finalmente me stessa in mezzo a quei pirati rozzi e sporchi e di poter essere felice.

Invece avevo scoperto che anche quella era stata una terribile bugia, architettata dal capitano David.

Il materasso cedette sotto il peso del mio rapitore e, con gesti bruschi, cercai di allontanarlo: «Cosa credete di fare?? Vi ho chiesto di andarvene!»

«Il vostro profumo Caterina è per me il migliore afrodisiaco», biascicò il capitano David, il volto premuto contro la mia gola e le labbra che lasciavano languidi baci sulla mia clavicola esposta dalla leggera scollatura del vestito.

Non riuscii a muovermi, la pelle che mi bruciava per quel contatto intimo e le mani che mi tremavano violentemente.

«Siete ubriaco?», chiesi con un filo di voce, incerta se cedere a quelle lusinghiere carezze, o ribellarmi.

«Un po'», ridacchiò il capitano David, scostando il viso dal mio collo per portare le labbra a un soffio dalle mie: «Desidero baciarvi, Caterina».

«Non intendo oppormi», sussurrai, con la voce che mi tremava.

La bocca dell'uomo scese implacabile sulla mia, le sue mani mi circondarono con infinita delicatezza il viso e io chiusi gli occhi, inspirando a fondo l'odore di rum, salsedine e tabacco.

Risposi al bacio con tutto l'ardore che poteva provare il mio corpo minuto, prendendomi quel bacio che tanto agognavo.

Poi, prima che le mani o le labbra del capitano David potessero compiere altri gesti avventati, mi scostai, sfruttai la lentezza, dovuta ai sensi alterati dall'alcol, del mio rapitore e con un movimento fulmineo raccolsi da accanto il letto il pitale e abbattei l'oggetto sulla sua nuca.

Il corpo privo di sensi dal capitano mi schiacciò contro il materasso in un primo istante, poi riuscii a liberarmi e, con il cuore che mi batteva furiosamente in petto e le dita che mi tremavano, cercai di prendere profondi respiri e di calmarmi.

Non riuscivo a credere di aver davvero avuto l'audacia di attaccare il mio rapitore, che in quel momento sembrava profondamente addormentato sul mio letto.

Portai una mano sotto al suo naso per accertarmi che respirasse, poi controllai che sulla nuca non ci fossero ferite di alcun tipo e solo in quel momento decisi che era l'occasione perfetta per fuggire.

Non ero molto brava con l'orientamento, ma confidavo nella ridotte dimensioni dell'isola per poter raggiungere il prima possibile il mare.

Il mio non era propriamente un piano, avrei seguito l'istinto fin dove mi avrebbe portato, se anche fosse stato alla morte, avrei accettato di buon grado un destino simile.

Senza farmi notare, riuscii a percorrere il chiostro fino al portone da cui eravamo emersi, poche ore prima, io e il capitano, a dorso di mulo.

Nel mio animo turbato si rincorrevano forti emozioni difficili da catalogare e pensieri tormentati.

Se parte del mio cuore desiderava ardentemente tornare a casa, disposto a sottostare alle imperiose decisioni di mio padre e, in un futuro molto breve, del mio promesso sposo; dall'altra il mio povero cuore agognava la libertà più di ogni altra cosa.

Ora che sapevo di non avere Cupido dalla mia parte e di non significare poi molto agli occhi del capitano David, il quale era pronto a vendermi al mio futuro marito come un oggetto, non mi restava altro che cercare una strada alternativa.

Immagini orribili riempirono la mia mente.

A quale strada alternativa potevo aspirare? Ero una semplice donna, con un'educazione, ma senza soldi o dimora. Mendicare avrebbe potuto sostentarmi per un po', ma quanto c'avrei messo a prostituirmi pur di avere qualche soldo in più?

Mi fermai, in mezzo dal paesaggio brullo dell'Isola di Montecristo, il corpo scosso dai singhiozzi e la vista sfocata dalle lacrime.

Per evitare di svenire in un momento così delicato, mi concentrai sulla mia respirazione, riempiendo d'aria pulita i polmoni.

L'odore dell'erica e di resina si mescolava a quello di salsedine provenente dal mare e dopo qualche respiro profondo non mi ci volle molto per calmare il mio animo turbato.

Non ricordavo il sentiero che avevamo percorso per arrivare al monastero, ma non me ne preoccupai poi molto; se anche fossi riuscita ad arrivare sana e salva all'imponente nave del capitano David non sarei stata comunque in grado di navigare verso casa.

Camminai a lungo, la luna era abbastanza luminosa quella notte da guidarmi in quel mondo incolore a me sconosciuto.

Mi pentii ben presto di non avere con me acqua, viveri e una coperta, quando un freddo vento iniziò a spirare.

Prima che nuvole scure coprissero la luna trovai una grotta e vi entrai alla ricerca di riparo.

Quasi piansi di gioia quando trovai una piccola sorgente d'acqua e degli stracci e alcune coperte abbandonate sul pavimento umido e freddo di quella che ero disposta a considerare il mio nuovo rifugio, almeno fino a quando non sarebbe sorto il sole, all'alba.

Mi addormentai col viso inondato di lacrime e sul cuore il peso dell'incertezza.








***

Buongiorno popolo di Wattpad!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa pensate della storia fino ad ora.

Per quanto riguarda le informazioni relative al Monastero di San Mamiliano, che si trova sull'Isola di Montecristo, mi sto basando su quello che sa Wikipedia al riguardo, così da inventare il meno possibile. La grotta in cui si ripara la nostra protagonista anche esiste ed è stata luogo di eremitaggio, per questo ho pensato che fosse verosimile il ritrovamento di qualche coperta e straccio al suo interno.

Finalmente ritornano gli svenimenti di Caterina, che prende tutto sommato bene la notizia di non esser stata veramente guidata da Cupido in quest'avventura, in fondo sviene soltanto e poi colpisce Damiano con un pitale, poteva andare peggio...

Cosa succederà nel prossimo capitolo? Lo scopriremo tra una settimana!

Per chi fosse interessato, ho un account su Instagram (lazysoul_efp) dove parlo di cose e tengo informati sulle pubblicazioni.

Un bacio,

LazySoul_EFP

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