1. Ballo
Premessa:
Questa fanfiction è stata scritta con l'unico scopo di divertire e far ridere, malgrado ciò presenta una trama strutturata e degli spunti di riflessione.
Essendo ambientata nel 1820 si è cercato di utilizzare un linguaggio meno moderno (questo non vuol dire che ci sono stati effettivamente studi sul modo di parlare dell'epoca, non sono Manzoni e non aspiro a volerlo emulare).
Lo scopo non è quello di offendere nessuno, tanto meno le persone reali a cui la storia si ispira.
La storia nasce dalla mia mente e quella della mia ex coinquilina, il cui nome d'arte è Gerardo (inserito anche nella copertina), ma da un certo punto in poi della storia (che vi segnalerò) sarà solo frutto della mia mente.
Avviso inoltre in anticipo che i capitoli non saranno particolarmente lunghi, quindi se la cosa potrebbe infastidirvi, forse questa non è la storia adatta a voi.
Nel caso dovessero esserci domande, non esitate a chiedere.
Buona lettura!
1. Ballo
1820, Roma
Gli occhi del barone Damiano David trapassarono il mio pudore.
Avevo solo 15 anni, ma capii cos'era l'inferno e che quello doveva essere lo sguardo di un demone.
La sua mano delicata avvolta in un guanto di seta si posò poco sopra la base della mia spina dorsale. Questo gesto impudico e avventato mi fece rabbrividire.
Ringraziai il corpetto e l'involontaria barriera protettiva che innalzava tra la mia pelle e quella del barone.
Mio padre, Ricardo Esteban De la Rosa Ramirez, mi osservava da pochi metri di distanza, gli occhi color carbone erano stretti e colmi di disapprovazione.
«Mi concederebbe il prossimo ballo?», la voce del barone David catturò senza sforzo la mia attenzione. Un tenue rossore mi colorò le gote, mentre spostavo con timidezza lo sguardo sul suo viso marcato dai lineamenti virili.
Abbassai lo sguardo sul mio carnet, dove spiccava a chiare lettere il nome del duca Thomas Raggi della Rovere.
Quasi mi dispiaceva dover deludere le aspettative del barone, che continuava a scrutarmi coi suoi occhi vellutati.
Aprii bocca, ma la voce mi rimase incastrata in gola quando la sua mano prese senza preavviso la mia - mentre l'altra continuava a sfiorarmi la schiena - facendo cadere a terra il mio carnet di ballo.
Mi lasciai sospingere verso la sala, dove ballerini variopinti si muovevano aggraziati, seguendo la melodia di un lento.
Una volta giunti a destinazione, le sue mani mi portarono in posizione, pochi secondi prima che una nuova melodia si diffondesse nella sala.
Mi lasciai guidare, tenendo gli occhi bassi; timorosa che la vista del suo viso virile e le sue labbra sottili potesse far divampare dentro di me il fuoco della passione.
Notai con rammarico il volto dispiaciuto del duca Raggi della Rovere e i suoi occhi verdi che, tristi, seguivano ogni mio passo di danza. Gli avevo promesso di ballare con lui, o forse sarebbe stato più giusto dire che mio padre, il duca Ricardo Esteban De la Rosa Ramirez, gli aveva assicurato di potermi considerare la sua dama per l'intera serata.
Non riuscii a identificare quel moto rabbioso che era nato dentro di me al ricordo di come mi avesse presentata al duca Raggi della Rovere.
Mi ero sentita un pezzo di carne esposto su una bancarella, pronta ad essere acquistata dal migliore offerente.
Non era una novità che mio padre ambisse ad accasarmi col partito più facoltoso a cui potessi aspirare. Ero stata educata in modo impeccabile; sapevo leggere, scrivere, cucire, suonare il pianoforte e dipingere. Mi dilettavo nell'equitazione e nel canto, oltre ad avere una spiccata propensione per la grazia e la timidezza che ci si aspettava dalla mia tenera età. Eppure, malgrado tutto, non sopportavo la gabbia dorata in cui ero stata rinchiusa fino alla tenera età.
«Sapete? La vostra pelle mi ricorda la migliore seta d'Arabia».
La sua voce mi distolse dai miei pensieri.
«Voi siete stato in Arabia?», chiesi, arrossendo impietosamente.
Quanta audacia può serbare un cuore?
«Viaggio molto», disse, facendo affiorare un leggero sorriso su quel volto così mascolino.
La mia educazione m'impose di non andare oltre e, abbassando lo sguardo, fermai le numerose domande che si accavallavano nei miei pensieri.
I nostri corpi si muovevano come giunchi appena mossi della brezza del lago.
Il silenzio calò su di noi.
Un movimento troppo avventato di una coppia a pochi passi da noi ci urtò, rischiando di farci perdere l'equilibrio.
Le braccia del barone si strinsero istintivamente intorno alla mia esile vita, impedendomi di cadere.
Oh, quanto ardore in quel gesto, quanta sfrontatezza in quegli occhi d'ebano orientale!
«State bene, Caterina?»
Sentire il mio nome articolato da quelle labbra sottili mi causò un umido piacere al basso ventre.
«Quanto siete insolente, barone», mormorai, più a me stessa che a lui: «L'etichetta esige che voi mi chiamiate col mio cognome: De la Rosa Ramirez».
«Ditelo ancora».
«Scusate?»
«Il vostro cognome, De la Rosa Ramirez. É a dir poco graziosa la vostra erre».
Il barone fissava ostentatamente le mie labbra, mal celando la ferocia nel suo sguardo.
Mi sentii minacciata nel profondo. Ero stata cresciuta in un istituto di religiose, dove c'erano state impartite rigide regole di morale che prevedevano il rifiuto di qualsivoglia contatto con il sesso opposto. Il corteggiamento, lo scambio fugace di sguardi, i mormorii nei corridoi bui dei palazzi; quelli erano comportamenti preclusi alle scolare dell'Istituto Santa Teresa Vergine.
Il ricordo di una giovane educanda, scoperta ad amoreggiare con un garzone e allontanata con disonore dalle Orsoline, mi colpì violentemente.
Il timore di una simile sorte mi fece indietreggiare leggermente, ponendo preziosi centimetri tra il mio corpo e quello del barone David.
Udii qualcuno schiarirsi la voce alle mie spalle: «Vogliate perdonare la mia intromissione, ma è giunto il momento che io possa beneficiare dell'amabile compagnia della signorina De la Rosa Ramirez».
Sgranai leggermente gli occhi, liberandomi con un movimento fluido dalla stretta serpentina del barone.
«Duca Raggi della Rovere, quale inaspettato onore», il barone Damiano David fece un breve inchino, quel gesto fece sfuggire un'onda castana dal codino, la quale si posò sulla sua guancia scavata.
Il duca gli rivolse un sorriso di circostanza: «Perdonatemi, temo di non aver ancora avuto il privilegio di fare la vostra conoscenza. Voi siete...?»
«Non scusatevi, provengo dall'India e sono stato introdotto a questo ballo da una conoscente. Immagino che abbiate sentito parlare della contessa Sylvie d'Ambrose», ci fu un attimo di silenzio, poi l'uomo continuò: «Sono il barone Damiano David, onorato di fare la vostra conoscenza».
«Il piacere è tutto mio», disse il duca con una leggera flessione del busto.
Senza distogliere lo sguardo da quello del barone, il duca Raggi della Rovere, afferrò la mia mano e mi trascinò con grazia verso il centro della sala; voleva che tutti vedessero che io ero la prescelta dello scapolo più ambito di Roma.
Inclinai leggermente la testa e diedi un'ultima occhiata al barone, prima di essere celata dalle altre coppie danzanti.
I suoi occhi scuri mi seguirono per altri due o tre balli, per poi sparire all'improvviso, lasciandomi il sospetto che fosse stato tutto un sogno.
***
Buongiorno popolo di Wattpad!
Siamo alla fine del primo capitolo di questa... cosa, chiamarla storia forse è un po' esagerato.
Alcune precisazioni:
1. Per chi non lo sapesse, il carnet era un oggetto utilizzato dalle dame per segnarvi sopra i nomi di coloro che prenotavano dei balli con loro.
2. Il nome del padre Ricardo Esteban De la Rosa Ramirez è liberamente ispirato al nome del personaggio Esteban Julio Ricardo Montoya de la Rosa y Ramírez in "Zack e Cody al Grande Hotel".
Detto ciò, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia strappato una risata.
Se avete tempo e voglia, i commenti sono sempre ben accetti, soprattutto per capire se la storia può piacere o meno.
Per chi volesse, mi può trovare anche su Instagram; il nome dell'account è lazysoul_efp.
Un bacio,
LazySoul_EFP
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