Il malinteso
Nel bel mezzo di un gelido inverno, rigido e polare, Ardyr varcò le porte del pub, nel centro dell'amata Toronto.
"Il bar del mezz'elfo", recitava l'insegna di legno, appesa a una solida asta di ghisa, subito fuori dal locale. Nelle strade, il gelo e la neve affollavano il centro cittadino. La piazza del mercato era spoglia, le bancarelle vuote, il cielo cupo e grigio. L'aria fendeva i polmoni, fredda com'era.
- Uh, chi mai si vede? Da quanto tempo?
- Troppo poco! Fortuna che hai acceso il camino, Bria.
- Ridi poco, ho quasi finito la legna.
- Non puoi comprarne dell'altra?
- Secondo te? Con il vento che soffia e la neve che cade, tutte le segherie dell'impero hanno chiuso i battenti ed esaurito le scorte.
- E non puoi uscire tu per procurartela?
- E come?
- Andando nel bosco, magari?
- Certo, e poi chi mi resuscita? Tu, forse?
- Volentieri! Ma è un servizio costoso e dubito tu possa permettertelo!
- Sei un gran simpaticone! Sei un guaritore, no? Perché non curi i cieli? Razza di mago da strapazzo, donaci il bel tempo!-
E si misero a ridere, mentre Bria versava una qualunque birra nel boccale di Ardyr. Il locale era vuoto, popolato solo dai due mezz'elfi. Gli sgabelli e le panche sentivano la solitudine. Con quel gelo erano in pochi a uscire di casa, figurati poi ad andare in taverna.
- Come sta tuo padre? - Domandò Ardyr, celando dietro le sue premure il puro sadismo di un guaritore affamato. Le possenti grandini delle settimane passate gli avevano portato tanta carne fresca e succosa, malaticcia e sanguinante, ma per lui non era mai abbastanza. Si erano ripresi tutti troppo in fretta, senza neppure bisogno di una dolorosa medicina, di qualche intervento o macabro incantesimo. Non lo avevano divertito a sufficienza.
- Bene, forse? Non esce di più di casa.
- Come tutti, d'altronde.
- A corte nulla di nuovo? -
Il mezz'elfo storse lo sguardo e rispose con il volto corrucciato, mentre si grattava nervosamente i corti capelli, pallidi e lattiginosi:
- Pettegola come sei, possibile che non ne sai nulla?
- Ma ti permetti?!
- Non ho detto nulla di strano. È la pura verità.
- E comunque no, non ne so nulla, razza di maleducato! Parla chiaro! A cosa ti riferisci?
- All'assassinio!
- Ma dai! Ma quella è roba vecchia, ormai.
- Sì, sarà stato due anni fa, ma qualcuno ha da poco ripescato delle antipatiche coincidenze e le sta usando come prove per incastrarmi.
- Brutta faccenda!
- Sono fatti strani, bizzarri e poco rilevanti, ma l'imperatore teneva molto a quel tipo e muore dalla voglia di giustiziare il colpevole.
- Tipo? Che fatti?
- Non mi va di parlarne.
- Dai, puoi fidarti!
- Ovviamente no! Te l'ho ricordato poco fa, sei una gran pettegola! E poi sono troppo riservato per concederti certi dettagli.
- D'accordo. Tanto, siccome sono una gran pettegola scoprirò da me quel che nascondi, fin nei più succulenti dettagli.
- Fai pure. È tutto sul giornale. - Disse, estraendo il quotidiano locale dalla tasca del lungo cappotto e lasciandolo sul bancone.
- Ah.
- Buona lettura! Vado, ho un po' di gente da accudire.
- Grazie! A dopo.
- A mai più! -
Ardyr aveva rapidamente trangugiato il contenuto del boccale e se ne stava andando. Sarebbe tornato al castello, dove ricopriva l'importante ruolo di medico. Molti non lo reputavano adatto e rimpiangevano il suo predecessore, quel pover'uomo sulla cui morte ora si indagava.
Rimasta sola, Bria pensò bene che non avrebbe incontrato nessun altro cliente quel giorno. Dunque chiuse la porta d'ingresso e fuggì nel retrobottega, dove abitava. Era un'unica stanza, piccola ma confortevole, dotata di un umile letto, accantonato sul muro sinistro, a cui tenevano compagnia la grassa libreria e il caminetto. Il fuoco l'aveva lasciato acceso, ma ormai era quasi spento. Danzava ancora una sola fiamma, esile e magra, sul ritmo del crepitio della legna, che bruciava nel rossore delle fauci del fuoco, diffondendo nell'aria una calda e avvolgente luce soffusa, del colore di un mandarino. Bria si sedette scompostamente sul letto, si passò una mano tra i capelli e sorrise al cielo. Aveva il quotidiano, stretto tra le dita.
- Ardyr, cosa mai hai combinato, stavolta? Raccontamelo tu, caro giornale.
- Sudditi, abbiate paura! Due anni fa si è abbattuta su di noi la precoce dipartita del fedele druido, erborista e guaritore di corte. L'apparente suicidio era rimasto immotivato e avvolto in una densa coltre di mistero fino a poche ore fa. Infatti, alcuni ufficiali del nostro amato esercito nutrono fondati e ragionevoli sospetti verso l'attuale fattucchiere e medico locale: Ardyr il mezz'elfo! Questi covava profonde inimicizie nei confronti della vittima ed era stranamente introvabile all'ora del crimine. Per di più, è stato di recente trovato in possesso di un antico e polveroso volume sulle arti arcane. Il manoscritto, inciso con il sangue sulla cartapecora, non solo reca il proprio nome nell'indice dei libri proibiti di questo nostro impero, ed è dunque proibito, ma fornisce precise indicazioni sull'accurato ed efficiente omicidio, su come nascondere le prove e le tracce del proprio agire tramite la magia. Che Ardyr abbia ucciso per ereditare la comoda posizione di guaritore? Egli non è stato in grado di fornire all'accusa un alibi sufficientemente robusto per essere scagionato, motivo per cui vi consigliamo fermamente di cercare un altro medico o di miscelarvi i farmaci con le vostre mani. -
- Oh, povero Ardyr! - Cinguettò Bria, preoccupata per il fato del suo amico. Non sapeva come provare la sua innocenza o cosa pensare. Conosceva Ardyr da anni e sapeva tutto di lui, persino sul suo brutto passato. Era a conoscenza della sua indole crudele e maligna, dato che l'aveva beccato più volte a prescrivere volutamente dei farmaci più forti del dovuto ai pazienti che gli erano più antipatici , così da donare loro un leggero mal di pancia, ma non lo riteneva affatto capace di macchiarsi con l'assassinio.
- Oh, Ardyr, in che razza di guai ti sei cacciato! -
Pensò bene che avrebbe potuto provare a indagare a palazzo, ma con quel freddo le sarebbe stato impossibile.
- Cosa tentare? Come tentarlo? - Una folle idea le si presentò in mente. Lei provò subito a scacciare quel pensiero, ad allontanarlo, ma mandarlo via non poteva. Non ci sarebbe riuscita.
- Andiamo, non posso farlo! Sarebbe bellissimo, ma ho promesso. - Fin da piccola era stata educata a comportarsi come una semplice essere umana, pur appartenendo alla stirpe degli elfi. Suo padre, un tipo premuroso e buono più del pane, ma pieno di paure, le aveva insegnato a nascondere la magia, nonostante l'avesse nel sangue. Era difficile maneggiarla, farne un uso decente senza rischiare la pelle. Negli anni, Bria aveva sentito più volte l'opinione del padre a riguardo e più volte era stata rimproverata per aver ficcanasato tra vecchi libri di incantesimi o pergamene runiche, fino al giorno della promessa. Seccata da quelle infinite lamentele e dagli interminabili discorsi sul suo futuro, decise di accogliere il volere del padre e fece una solenne promessa. Mai avrebbe fatto uso di un qualunque sortilegio e non sarebbe andata per nessun motivo oltre la foresta di Woodsmore.
- Cosa c'entra la foresta?
- Figlia mia, nulla, ma se ne parla così male.
- Ho sentito brutti racconti, ma credo siano semplici favole o racconti popolari.
- Bria, da brava, da retta a tuo padre, non battibecchiamo pure su questo!
- D'accordo. Non ci andrò. -
E così, Bria aveva dimenticato la magia e vissuto facendo finta di non sapere cosa fosse. Ma oggi, alla sua memoria era riaffiorato il ricordo di una vecchia formula, pericolosa e potente, tanto da poter concedere una possibilità ad Ardyr. Bria teneva al suo amico, forse lo amava, ciò non saprei dirlo. Di certo non avrebbe voluto vedere la sua bella testa infilzata su una forca, come un'oliva su uno spiedino. E sicuramente aveva trovato una valida scusa per sperimentare un antico incantesimo e questo la stuzzicava. Lo aveva negato per molto tempo, mentendo persino a sé stessa, ma le arti arcane la incuriosivano. Fin da bambina aveva provato un grande interesse per tutto quanto le era stato proibito dal padre. Se per anni era rimasta sopita e sepolta, ora quella profonda voglia di sperimentare stava riemergendo. Quindi, Bria si alzò dal letto, posò il suo allegro sguardo sullo specchio, appeso al muro, e parlò al suo riflesso.
- Papà non lo scoprirà! -
Dunque, serrò gli occhi e farfugliò quelle ingarbugliate parole. Finalmente le aveva liberate! Da prima le ronzavano in testa, rimbombavano senza volersi fermare. E le parve di sentire la lingua accartocciarsi tra i denti, stretta nel palato. Aveva paura, ma vinse su sé stessa e riuscì ad alzare le palpebre. Era nel forte imperiale.
- Bria?
- Ardyr!
- Cosa combini a palazzo? -
Era apparsa dietro un angolo, lungo il corridoio che portava alla sala del trono.
- Mi hai vista?
- Fare cosa?
- Meglio così. Magari un giorno ti spiegherò. -
Bria sospirò, sollevata. Evidentemente Ardyr aveva girato l'angolo appena dopo la sua comparsa.
- Hai tempo per parlare?
- No. L'imperatore mi ha convocato.
- Non eri impegnato con dei pazienti?
- Infatti. Sua maestosità ha il raffreddore.
- Ah. Temevo fosse per la faccenda dell'omicidio.
- No. Di quello se ne parlerà tra un paio d'ore, al processo.
- È oggi? Così presto?
- Hanno fretta. Te l'ho detto, l'imperatore freme dal bisogno di decollare qualcuno.
- Non pensavo fosse tanto urgente.
- Lo è. Ora, lasciami andare, non ho tempo.
- Aspetta! -
Ardyr l'aveva già sorpassata e se ne stava andando, quando lei lo prese per un braccio e lo tirò indietro con quanta più forza aveva. Il mezz'elfo si voltò stizzito.
- Si può sapere cosa vuoi?
- Ti ammazzeranno! Non lo capisci?
- Non lo faranno.
- Sì, invece! Saranno sbrigativi e ti condanneranno.
- Ed è un problema?
- Certo che lo è, stupido!
- Ascoltami: dopo l'infanzia che ho vissuto e gli orrori che ho patito, non temo la morte. Se dovesse giungere da me la guarderò in faccia e le farò una pernacchia.
- Almeno lasciami qualche indizio. Cercherò prove per scagionarti, sono qui apposta!
- Non ne troverai. Non ce ne sono.
- Ma se non sei stato tu almeno avrai un alibi.
- Lo ho.
- E allora? Problema risolto.
- No. Non dirò dov'ero. È troppo imbarazzante.
- Rischieresti davvero la forca per questo segreto?
- Me lo porterò nella tomba!- Le rispose ridendo, dopo essersi liberato dalla sua presa.
- Sarai in aula?
- Sì! Testimonierò a tuo favore.
- Sarà inutile! A dopo. - E si allontanò
- Davvero ti sta bene?
- Ti sembro spaventato? - Domandò a sua volta, senza nemmeno girarsi verso di lei, anzi, dandole le spalle.
- No.
- Infatti, non lo sono. Bria, il vento muove le pedine, porta avanti gli eventi. È lui a spostare le foglie secche da una sponda all'altra del fiume. Ma non è così forte da poter fare suo il mio volere. Pensi di esserlo tu? Ho preso la mia decisione, non mi importa di cosa accadrà e sono consapevole delle conseguenze, quindi le accetterò per come verranno.
- Ma perché? Hai detto di avere un alibi!
- Sì. Ma ho anche il coraggio per oppormi al turbinio degli eventi. Non mi piegherò. Accada quel che deve accadere.
- D'accordo. Hai compiuto la tua scelta. Io perseguirò la mia. A più tardi. -
Senza attendere un'altra risposta, Bria girò i tacchi e se ne venne via. Avrebbe dovuto trovare un modo, un qualunque modo per discolpare quel testardo. E si interrogava su questo mentre attraversava l'ampio corridoio. Le pareti, alte almeno quattro o cinque metri, erano adornate con grandi finestre, vetrate immense, intervallate da colonne marmoree, scanalate e rastremate, accostate al muro e poste una ogni dieci, forse quindici passi. Sul pavimento granitico correva un unico grosso tappeto rosso, ricamato con lo stemma del casato imperiale. Il soffitto era costruito con volte a crociera, che partivano dai capitelli delle colonne, decorati con leggiadri motivi floreali e vegetali. Non v'erano lampadari o torce e il corridoio risultava comunque ben illuminato, nonostante il Sole fosse coperto da giorni da quei minacciosi nembi grigiastri.
- Non è stato lui. No, non può essere colpevole. - Continuava a ripersi Bria, nella speranza di riuscire a convincere almeno sé stessa. - E se lo fosse?- I dubbi presero ad assalirla, a ridurre in brandelli l'idea che lei aveva di Ardyr. Non si era posta quella domanda dall'inizio della vicenda. - E se non fosse innocente?. - Aveva subito dato per scontato che l'imperatore, che l'opinione pubblica e l'esercito intero stessero sbagliando sul conto del suo caro amico. - E se avessero ragione? - Si chiese, un'altra volta. Poi capì cosa pensare.
- E se pure fosse? Non mi interessa. Terrei a lui in ogni caso, esattamente come ieri e come il giorno prima di ieri! Proverei compassione per la sua mente deviata, ma non vorrei mai vederlo morto. Non importa se è innocente o meno, cerchiamo di provare che lo sia! -
Dunque continuò a camminare, finche non giunse a un bivio. Girò verso destra, proseguendo verso le biblioteche e le infermerie. Avrebbe parlato con alcune guardie di sua veccia conoscenza. Non sarebbe servito a molto. Lì, tutti erano ceti della colpevolezza del mezz'elfo e lo volevano morto. Ma Bria questo non lo scoprì, perché non arrivò a destinazione.
Infatti, dovette fermarsi prima. Nel mezzo del corridoio vide qualcuno che mai si sarebbe aspettata di incontrare.
- Buongiorno. Lei chi è? - Domandò, molto educatamente, Bria.
- Io? Parli con me? - Rispose l'altra, mordendosi il labbro.
- Sì.
- Ecco, io sono una fata del regno di primavera.
- Il regno di primavera?
- Esatto. È oltre la foresta di Woodmore. Qui se ne parla molto male, anche se siamo vostri alleati.
- Oh, sì se ne dicono di ogni.
- Di questo mi dispiace molto. La corte di primavera è un posto così allegro e accogliente!
- E perché sei qui, miss...?
- Fly! Puoi chiamarmi Fly. - Si morse il labbro un'altra volta. - Sono qui perché potrei aver combinato un bel pastrocchio.
- Molto piacere Fly! Io sono Bria. E di cosa stai parlando? -
Fly, dalle fluenti chiome violacee e gli occhi dorati, aveva passato un lungo paio d'ore camminando avanti e indietro per il corridoio, interrogandosi sul da farsi, colta da un gravoso e pesante dubbio morale. Farla franca o salvare un futuro condannato?
- Per altro, come fai a vedermi? Agli umani sembro un cespuglio!
- Sono per metà elfo.
- Ecco! Sì, gli elfi riescono a distinguere il mio volto dalle siepi!
- Ancora non mi hai risposto, cara Fly.
- Se tu avessi compiuto un atroce crimine e un povero mezz'elfo innocente fosse incolpato al tuo posto, lo scagioneresti?
- Ma quindi sei stata tu! Hai ammazzato il vecchio curatore!
- E tu cosa ne sai? Io non ho mica detto nulla!
- Hai detto abbastanza, invece.
- Davvero?
- Direi di sì!
- Uffa! - Esclamò Fly, seccata e stufa dalle sua sbadata lingua chiacchierona.
- Ascolta, Fly: il mezz'elfo in questione è un mio carissimo amico. Stavo giusto cercando un modo per salvargli la pelle. Ti prego, dammi una mano.
- E perché dovrei?
- Perché sei stata tu a uccidere, no?
- Sì, hai ragione. Andiamo, spiegherò tutto all'imperatore. -
E così fece. Ci volle un po' per far capire all'imperatore che non stava discorrendo con uno splendido mazzo di fiori, ma poi tutto si risolse. Fly spiegò che il vecchio curatore aveva piani per uccidere il re della corte d'Inverno, di cui lei era segretamente innamorata e con cui Toronto aveva da poco stretto una fragile alleanza.
- E perché mai il mio fedele druido avrebbe voluto fare del male al signore d'Inverno?
- Perché anche lui aveva una cotta per me! Sapeva di non potermi avere e quindi aveva deciso di spazzare via la concorrenza. Ma tanto, non mi sarei mai concessa a quel disgraziato. Sta bene dove sta ora! -
Non fu difficile convincere l'imperatore e i suoi funzionari, quindi Ardyr fu scagionato e liberato da ogni accusa.
- Grazie, Bria. Ancora non so come tu abbia fatto.
- Non ringraziare me. Va alla corte di Primavera e ringrazia quella fata per essersi palesata. - Ridevano assieme, al pub, qualche giorno dopo la vicenda.
- Almeno puoi svelarmi quel grande mistero sul tuo alibi?
- No! Te l'ho ripetuto diverse volte, lo conserverò anche in tomba! -
Infatti, mai glielo disse. Ma io, quel giorno, origliai alla porta di Ardyr. Dalla sua stanza provenivano grasse risate e rimbombavano lungo il corridoio. Quindi pensai di affacciarmi alla toppa della serratura, da cui lo vidi giocare con un cane. Lo prendeva per le zampe posteriori e gli faceva fare la carriola.
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