Sconfitta
⛔ATTENZIONE:
questo capitolo conterrà scene violente, descritte nel dettaglio.
Ci sarà presenza di sangue e battaglie.
Se siete sensibili a certe cose, ne
sconsiglio la lettura.
Alla fine cadiamo tutti.
Chi con rimpianti e chi no.
Questa è la realtà.
La realtà che non tutti reggono.
Come me,
Che ancora oggi,
Sogno di un mondo più umano.
-MessedGirl
(None di Giugno)
Pov Shakai_
Quel giorno Shakai si svegliò con una strana sensazione allo stomaco, una sensazione che si sovrappose alla mancanza del coniglio, persistente da ormai giorni e giorni.
Avrebbe voluto continuare a dormire beatamente, con Bonne incastrato fra i suoi sogni senza violenza.
Uno strano pizzicore al naso glielo fece storcere mentre si metteva seduto tra le pellicce.
Una mano fra i capelli e uno sbadiglio bloccato fra le labbra.
Sentì una porzione di pelle all’altezza del polso bruciacchiare, lo guardò attentamente strofinandoselo, non accorgendosi di due leggere impronte dall'odore di mandarla su esso.
Quando uscì di casa, il villaggio era silenzioso, abbandonato a sé stesso. Il sole doveva ancora sorgere e sembrava la fine del mondo con quei soliti corvi a girarci intorno. Se si faceva attenzione si poteva percepire il proprio cuore battere e il sangue pompare nelle vene.
La primavera era vicina, si poteva annusare l'odore dei primi fiori sbocciati timidamente. Ma il suo branco la primavera non riusciva a vederla.
All’Alpha gli vennero i brividi mentre percepiva la presenza di Connie dietro di lui, probabilmente anche lui sveglio da poco. Si girò prendendolo tra le braccia.
Gli occhi nuovamente persi al confine.
«Sai che giorno è oggi, vero?» chiuse a a bassa voce, cercando di non interrompere quella quiete momentanea.
Shakai guardò con la coda dell’occhio il bimbo, aggrappato al suo collo. Anche lui aveva uno strano odore. Diede la colpa ai futuri eventi che quel giorno preveniva, non percependo la nota mandorlata per via della concentrazione.
Connie, in risposta annuì piano, poggiando la testa sulla sua spalla.
«Voglio che non esci di casa, per nessuna ragione al mondo, neanche la testa puoi ficcare fuori dalla porta. D’accordo?»
«Tu starai con me?»
«Sai che non posso, devi stare protetto e custodire casa nostra dai cattivi, ricordi? Il nostro castello non può essere profanato da nessuno »
Connie ridacchiò scalciando per farsi mettere giù. Poi portò la mano alla fronte, a piedi uniti.
«SI SIGNORE, PROTEGGERÒ CASA NOSTRA DA TUTTI.»
«Perfetto mio guerriero, ora rientra dentro.»
Shakai gli strofinò la testa mentre lo guardava rientrare a casa, già l’odore del branco nemico a stuzzicarli il naso. Si fidava del bambino, non era la prima volta che rimaneva in casa durante quel macello. Meno vedeva, meglio era.
Saperlo in casa lo faceva sentire meglio, un peso in meno sulle spalle, che reggevano già troppo.
Si assicurò di non intravedere Connie prima di muovere i primi passi verso i confini, a mento alto e mani congiunte dietro la schiena.
Il sole stava salendo e Shakai, con la coda dell’occhio, si guardò intorno, percependo i primi passi verso quell'incubo perenne.
Le donne, che senza vita uscivano di casa, combattute contro un destino che non volevano.
Gli angoli della bocca tirati in giù da forze supreme, mentre osservavano Shakai che camminava in mezzo al loro territorio verso la fine, in parte odiandolo e in parte sperando quel giorno in un cambiamento.
Anche se il ragazzo non sembrava voler cambiamenti. Non quel giorno.
Ne erano rimaste poche di donne, molte erano scappate, preferendo vivere con i propri compagni e figli, come relitti, altre invece erano morte. Ma nonostante fossero state vendicate, rimaneva un grosso sapore amarognolo in bocca a chi le aveva perse e a Shakai, che si impegnava a non perderne nemmeno una, nonostante in molti l’avessero abbandonato.
Shakai sperava che tutte le donne del villaggio se ne andassero, per crearsi una vita agevolata e senza complicanze.
Ma nonostante questo erano ancora là, con lui, con il branco, fedeli come pochi. Sfortunatamente, molte volte, la legge “prima il branco” era più forte di qualsiasi cosa. Coma una medicina iniettata nelle vene.
Intravide Zacary e Antiel che mano per mano sostavano davanti casa loro, pronti per il soccorso.
Tra gli alberi, si notarono le prime macchie. Gli uomini dei Tenebris si avvicinavano correndo.
Ridendo, come solo il peggior assassino poteva fare, anche con la consapevolezza delle sue azioni.
Lo stomaco di Shakai si chiuse, quasi vomitò mentre veniva sorpassato da quegli esseri senza cuore. Che a vista d’occhio si disperdevano nel suo villaggio un tempo sereno.
Shakai non si girò, continuò a puntare gli occhi oltre quegli alberi, sognando un momento di libertà, una vita parallela in cui ciò non accadeva.
Le prime urla, l’odore delle prime lacrime e quello amaro dello sperma. Stava tutto ricominciando.
Shakai sentì la testa girare dolorosamente, piantò i piedi a terra per non cadere, mentre davanti a lui si parò Molkov, l'Alpha dei Tenebris.
Non poté che maledire nuovamente suo padre, che nonostante fosse morto, continuava a portare dolore nella sua vita.
Quell'inverno avrebbe preferito congelare…
Occhi pieni di rimpianti in occhi derisori.
Molkov batté le mani, una due e tre volte, guardando il capo branco così privo di forza.
«Amico! Amico! Ci rivediamo finalmente, davanti a questa bellissima giornata di sole.»
Come poteva vedere il sole, quando Shakai vedeva solo tempesta e nuvole?
«Io e te non siamo amici Bastardo»
«Lo senti? Lo senti questo?» Ghignò l’altro, mentre prendeva una profonda boccata d’aria, cibandosi di ciò che stava portando.
Si, lo sentiva Shakai l’odore del sangue, quell’odore misto di paura, rassegnazione e ruggine, ma non s'azzardò ad annuire. Fissando attentamente quella figura, che di buono non aveva nulla.
«Questo è l’odore che ogni mostro dovrebbe sentire. Imparare a vivere con i propri dolori fa di te una persona forte. Non lo sapevi? Guardati, vigliacco, con le lacrime agli occhi e l’odore di tristezza, non hai paura di essere visto debole?»
Molkov si avvicinò di qualche passo.
«Io non sono il mostro. Siete voi i mostri, come fate ad andare avanti con la consapevolezza di distruggere donne e famiglie? Spero possiate morire macerati dai sensi di colpa»
Shakai non si preoccupò della saliva che uscì dalla sua bocca per lo sforzo delle urla, rosso in volto voleva affondare la mano nel petto di quel bastardo e tirarne fuori il cuore. Che tanto a lui il cuore non serviva.
«Come fai a dire di non essere un mostro? Guarda…»
Molkov che di sensi di colpa non sapeva l’esistenza, si avvicinò a lui e lo prese dalle spalle girandolo verso allo scempio.
Le donne del suo branco erano ora sdraiate a terra. Alcune prive di sensi e altre con ancora gli uomini su di loro. Erano solo passati una manciata di minuti, quel giorno erano più violenti del solito, alla fine non ne sarebbe rimasto nulla che un cumulo di macerie, da raccogliere e riunire.
Shakai doveva esserci abituato, doveva davvero esserlo dopo tutti quegli anni.
Ma come fai ad abituarti a qualcosa del genere?
E nonostante gli anni, cadde sulle ginocchia e rimise, accompagnato dai forti conati.
Molkov lo seguì, tenendogli i capelli in un falso segno di pace, prima di tirargli indietro la testa, senza neanche aspettare che finisse. Quasi facendolo affogare con il suo stesso vomito e obbligandolo a guardare.
Là, in ginocchio e inerme.
Avvicinò il volto al suo orecchio.
«Guarda cosa ci permetti di fare, guarda.»
Le labbra tiepide toccarono l’orecchio, adagiandosi su di esso e lasciando uscire le frasi in sussurri. Brividi di disagio riempirono la pelle di Shakai, a quel respiro caldo.
Completamente indebolito non ebbe la forza di spingerlo. Non ora che la verità gli era stata sbattuta in faccia.
«Lasciami»
Una patina di sudore sulla fronte, luccicante sulla pelle caramello.
«Se tu non avessi voluto permettere ciò, ti saresti ribellato. Invece sei qua. Accanto a me. A guardare, come il peggiore dei complici.»
Shakai a quell’affermazione spalancò gli occhi.
Aveva ragione, lui era un complice, riusciva solo a guardare, troppo debole per fare altro. Avevano ragione lui e le persone del suo branco. Era un verme, un viscido verme, esattamente come Molkov e i suoi uomini.
Le donne gridavano e le sue orecchie sanguinavano ma rimaneva là, sperando che tutto finisse. Che tutto fosse un sogno.
Che una volta risvegliato accanto a lui ci fosse la sua sorellina Shaila. A dargli la mano sua madre e al suo fianco Erdinal, con l'unico peccato di amare la sua compagna e non di aver ucciso la sua gente.
Shakai spintonò leggermente Molkov, che cadde a terra. Asciugò la bocca dai residui con il dorso della mano e si rialzò, con le gambe tremanti.
Non era un sogno. Quella era la realtà.
La realtà che ti fa tremare le ossa e ti riduce in polvere, stringendoti in un pugno senza alcuna compassione.
Quella non era altro che realtà, e lui era troppo debole per riuscire a superarla.
La realtà non si può ignorare
«Tu sei come me, Shakai. Esattamente come me.»
Shakai ci vide rosso, il pugno partì senza volerlo ma si scontrò contro ad un albero là accanto, riuscito a trattenersi. La sua gente era in mano a dei diavoli, non poteva permetterne la completa distruzione.
«Andatevene.» le parole uscirono fredde dalla sua bocca, glaciali. E anche se sapeva non fosse possibile, le pronunciò comunque.
«Non possiamo, abbiamo un patto io e te.» due mani si poggiarono ancora sulle sue spalle, facendole irrigidire.
«Non siamo noi ad avere un patto, ma i nostri genitori.»
«E noi siamo la loro stirpe. Siamo obbligati dal sangue e dalla Dea.»
«La Dea non vorrebbe tutto questo.» Shakai lo disse perché davvero lo pensava. La Dea era qualcosa di puro. Si sentì quasi in colpa di fargli vedere tutto quello.
«Io si invece.» Molkov premette le mani dolorosamente, lasciando impronte.
«Perché?» Il grigio si morse un labbro, fissando due formiche risalire l'albero.
«Non c’è bisogno che tu lo sappia.»
Una mano scese e Shakai spalancò gli occhi sentendola fra i suoi capelli e sul suo collo in una languida carezza.
«Che diamine fai? Lasciami.»
Shakai si girò spingendolo via, si trattenne dal tapparsi le orecchie dalla risata che Molkov s’era lasciato uscire.
«SHAKAI!»
Una voce interruppe quel macabro discorso, una voce acuta e spaventata, facilmente riconoscibile. Connie.
Con occhi di fuoco la testa si girò in automatico. Cercando tra i corpi una cascata di boccoli rossi.
Quando lo trovò, niente riuscì a trattenerlo.
Connie sostava tra le braccia di un guerriero, che con un ghigno se lo stringeva addosso. Scalciava, urlava e tirava morsi.
Ma come poteva un bambino competere con un uomo? Cosa volevano dal suo Connie? Dal suo piccolo lupo?
Shakai spinse Molkov che cercava di trattenerlo.
Come possono gli altri non fare nulla? Davvero farebbero del male ad un’anima così pura?
Shakai prese la rincorsa e si lanciò tra i corpi, saltandoli e schivandoli fino a raggiungere il suo obiettivo.
L’uomo che non se lo aspettava si ritrovò balzato indietro di qualche metro, lasciando il bimbo piangente, in lacrime per terra. Shakai si curò di prenderlo e portarlo dietro di lui, prima di gridare come mai aveva fatto.
L’urlo bloccò tutti, tutti si girarono e per un attimo tremarono. Tutti tranne Molkov, che da lontano fissava in attesa di qualcosa.
E poi lo fece, si trasformò nel suo lupo grosso il doppio dopo la successione, lanciandosi contro a quella cosa, che umano non poteva chiamarsi.
Morse, morse forte.
Sul fianco nudo, poi una mano, poi alla gamba, si agguantò dove poteva.
Sentiva il sapore del sangue dissetarlo mentre non ci capiva più nulla, sentiva solo le grida strazianti di dolore che lanciava l’uomo. Smembrò e staccò via pezzi di carne, peggio di quando cacciava, lo fece per piacere, per vedetta, per odio.
Le urla si erano ormai affievolite, per il sangue che usciva a rivoli disconnessi dalla bocca.
Non vedeva nulla, sentiva gli occhi spiritati e cattivi. In grado di uccidere ad un solo sguardo.
Poi si attaccò alla gola ringhiando e staccando con forza la giugulare.
Finalmente facendolo smettere di respirare e ringraziare di poter morire, senza più quell'atroce dolore.
Fiotti caldi e prosperosi di sangue lasciavano le ferite, cadendo e macchiando il suolo.
Stava ringhiando al nulla, ancora preso dall'adrenalina, quando un dolore sordo lo fece piegare in due.
Due lupi avversari lo avevano colpito al fianco, affondando gli artigli in profondità.
Shakai si guardò intorno, vide uomini combattere contro altri uomini. La polvere s’era alzata dalla terra, portata da quella battaglia involontaria. Da quella battaglia che forse avrebbe cambiato molto e tutto.
Ce la mise tutta ad abbatte i suoi nemici, ma al quarto morso alla nuca cadde.
Quasi privo di sensi. Vedeva sfocato, qualche lacrima cadde rassegnata, mentre quei due guerrieri si abbattevano su di lui con forza e cattiveria. Ai due si aggiunse un terzo.
Shakai sperò con tutto se stesso che qualcuno si prendesse cura di Connie, come lui aveva fatto fin ora.
Connie…
Lo cercò con lo sguardo appannato, in mezzo a tutti quei corpi -che ora erano anche maschili- privi di vita, il dolore dimenticato per la preoccupazione.
In mezzo a quel campo di battaglia, in mezzo a quel trambusto di urla, grida e tanto sangue, lui stava mezzo nascosto da una botte che probabilmente qualcuno aveva lanciato dalla foga.
Le mani sugli occhi e le guance bagnate di lacrime, dondolava con le gambe strette al petto ripetendo qualcosa tra le labbra. Shakai si sforzò per identificare quelle parole, le ultime che sapeva avrebbe sentito.
«Mamma… Shakai… Mamma...Shakai.»
Come una mantra, non ripeteva altro.
Pianse anche Shakai, singhiozzò ormai impotente, un po’di moccio gli era colato lungo le guance, seccandosi con le lacrime. Sentiva di non poter lasciare quel mondo, non se la sua gente era in balia di mostri, non poteva abbandonarli così.
Ma non poteva farci nulla, non ora che il cuore batteva più lento e gli arti erano diventati più freddi. Umiliato e con il cuore rotto, socchiuse gli occhi.
«Mi dispiace Connie, mi dispiace davvero, perdonami. Scappa, fai di te un uomo come io non sono riuscito ad essere, perdonatemi, perdonatemi tutti per non essere riuscito a liberarvi l'anima…»
Quel giorno non era andato come doveva andare, tutto era sfociato in qualcosa di più grande, più grande dei Magna Coetus stessi.
I restanti vivi captarono quelle parole, le sentirono riverberargli dentro, attaccarsi a loro come una seconda pelle.
Connie smise di singhiozzare, perse un battito e si girò.
Sentiva che qualcosa stava cadendo in maniera irreparabile.
Shakai giaceva ad occhi viteri, forse morto, a poco distanza da lui. Le lacrime luccicanti sulle guance spente e le labbra serrate e bianche, di un bianco preoccupante.
E riprese a piangere più forte di prima, impaurito di aver perso la persona più importante per lui.
Era rimasto solo al mondo, solo come Bonnie.
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