Taranus dei Tenebris

Shakai lo guardò in faccia, sentendo le guance ardere.

Dov’era finito il temibile Alpha guerriero? Beh, si era perso tra quelle braccia e forse… Forse, poteva andare bene essere debole solo davanti ai suoi occhi.

In fondo… Poteva meritarsi anche lui quell’emozione che faceva battere il cuore e tremare le gambe. E in fondo, poteva meritarselo anche quel giovane uomo, che per troppo era rimasto solo.

Forse potevano meritarsi a vicenda, senza distruggersi davvero. Se la dea luna gli aveva destinati, doveva esserci una motivazioni valida e forse potevano anche provarci a… Sperimentare come era lasciarsi andare.

«Non è un problema se rifiuti…» la mano di Bonnie gli portò una ciocca sulla nuca.

Shakai non sapeva cosa significasse veramente quel “Posso assaggiarti” ma annuì comunque, socchiudendo gli occhi.

A Bonnie gli si alzò il petto in maniera profonda, prima che si avvicinasse a quella pelle di caramello e facesse uscire la lingua tra le labbra.

Leccò leggermente una guancia, tracciando una traiettoria retta. La pelle era morbida al tatto, tanto da fargli girare le testa. Il naso era vicino a quella porzione e l’odore lo stava destabilizzando.

Intanto, dalle labbra di Shakai uscì un sospiro, appena udibile.

E quando la lingua leccò ancora una volta e rientrò in bocca, le labbra, incontrollate, baciarono la parte umida, da sotto l’occhio fino alla gota. Strusciarono giù, lentamente, fino a toccare l’angolo della bocca. Leccò anche quello e quando Shakai schiuse le labbra carnose, la lingua passò veloce anche sul labbro superiore, sino all’altro angolo.

Gli gemette involontario in bocca, ricambiato subito da Shakai.

E quando il respiro gli entrò tra le labbra, si allontanò dal volto, avendo la voglia di chiudergli il labbro liscio appena leccato, tra le sue, succhiarlo e fare lo stesso con quello inferiore.

E finalmente capì una piccola parte della sua voglia. Lui non voleva la sua carne maciullata e il suo sangue in bocca. Lui aveva solo voglia della sua pelle sulle labbra. Del suo sapore sulla lingua e nel palato.

Shakai riaprì gli occhi, scontrandoli con quelli di Bonnie ancora fissi sulle sue labbra. Era durato tutto pochi secondi e non gli bastava.

Gli poggiò entrambe le mani sulle guance, facendo sfiorare le punte dei nasi.

«Chiudi gli occhi Bon.» e Bonnie lo ascoltò, lasciando che l’immagine di Shakai venisse oscurata dalle palpebre.

Shakai si avvicinò lentamente, fino ad attaccare le loro labbra. Si scambiarono piccolo baci a stampo, mentre l’umidità sulla sua guancia si asciugava.

«Apri la bocca.» prima che la sua lingua facesse irruzione nella bocca del coniglio che, aveva ascoltato il comando senza esitazione.

E quando i muscoli umidi si toccarono per la prima volta, si sentirono rinati, in qualcosa di nuovo e caldo.

Si sentirono uniti, mentre disperate, le lingue continuavano a giocare tra di loro. Non ci fu bisogno di staccarsi, perché in maniera naturale, trovarono il loro ritmo, respirando dal naso.

Un braccio di Bonnie corse lungo la schiena di Shakai, portandolo stretto a lui, mentre l’altra mano si poggiava sul retro del collo, sfiorando la nuca per spingerlo, se possibile, maggiormente verso la sua bocca.

Quando succhiò la lingua di Shakai, che aveva un sapore indefinito e celestiale, quest’ultimo gli strinse le braccia intorno al collo, inarcando la schiena. Piccoli ansimi e gemiti lasciavano la bocca di entrambi, venendo coperti dal rumore osceno che il bacio produceva. Non si capiva più di chi fosse la saliva nella bocca dell’altro, non si capiva più nulla in quei sapori differenti, ma fusi alla perfezione.

Entrambi, dopo un tempo indefinito, sentirono di non poter tenere più il cuore nel petto, quindi si staccarono con uno schiocco e le lingue piccanti.

«Io…» sussurrò con voce roca Shakai, sentendo le parti basse tirare contro i calzoni.

«Sei magnificamente buono.» sbuffò Bonnie, senza riuscire a staccare gli occhi da quel volto che sembrava la cosa più bella del mondo. Il caramello si scaldò con un leggero rosa e lui ebbe l’esigenza di stringerselo al petto, lasciando che gli nascondesse il volto nel collo.

Sorrise senza essere visto, sentendo le labbra umide raffreddarsi senza il calore intorno a loro. Con la sensazione di felicità nel petto.

«Parla o sarò costretto ad usare le maniere forti.» Antiel strinse i denti, possedendo molta meno pazienza del suo Alpha.

Atalano, che si era occupato delle ferite dello sconosciuto ancora appeso alle catene, sistemò le garze, pronto a tornare a lavorare con il padre.  «Ricordatevi che non riesco a resuscitare i morti.» sbuffò, prima di uscire dal capannone.

Gli occhi selva del ragazzo erano stanchi, ma la determinazione sul suo volto non era scomparsa. Neanche quando aveva visto tornare il lupo che aveva calciato.  Gli venne in mente quella strana creatura che lo aveva quasi ucciso.

Dovevano essere Anime, rifletté, quando un movimento catturò il suo udito. Era stato appena percettibile, fuori da là dentro, ma c’era stato e una leggera nota di agrumi gli aveva fatto venire la pelle d’oca.

«Parla.» questa volta gli venne assestato un pugno in volto. La testa rimbalzò e sputò sangue, essendosi morso la lingua.

«Vaffanculo. Ti ucciderò una volta liberato.» ringhiò. Se la stava davvero prendendo sul personale. «E ucciderò anche il tuo Alpha.» bruciò con gli occhi il nominato, che se ne stava a qualche metro di distanza, con le braccia incrociate al petto.

Un altro movimento e ancora un po’di quell’ odore.

Gli si scurarono gli occhi  e improvvisamente non pensò più al sangue defluito dalle braccia, alla fame che stava provando e al bruciore alla lingua, nonostante il morso non fosse stato poi così brutale.

«Tu vuoi uccidere me? Bada bene ragazzo! Mi basta toccarti per ammazzarti.» sibilò Antiel, colpito nel profondo da quella mancanza di rispetto.

«Voglio quel ragazzo.» sussurrò la vittima, chinando il capo.

Shakai si avvicinò. Gli prese la mascella in mano e gli alzò il volto «Ripetilo.» ordinò.

«Voglio quel ragazzo. Se mi date il ragazzo, io parlerò e non farò del male a nessuno. Ma voglio quel ragazzo.» parlò, estremamente più calmo.

Shakai si allontanò ancora, cercando di capire a chi si riferisse, mentre Antiel sembrava aver già capito.

«Vuole Zen.» disse infatti, toccandosi il mento e squadrando il giovane, quando Shakai gli tirò un pugno in mezzo al petto, facendogli mancare il respiro.

Poi gli afferrò i capelli, inclinandoli la testa «Bastardo. Siete tutti dei bastardi. Cosa vuoi da lui? Credi che io ti dia uno del mio branco? Credi che io ti possa anche solo lontanamente dare uno dei miei giovani? Solo per fartelo usare come un giocattolo.» urlò. Urlò talmente forte che James, che se ne stava fuori da là, aggrottò le sopracciglia.

«Credi che io non abbia visto in tutti questi anni, cosa voi facciate alle donne? Alle donne! Alle persone che dovremmo proteggere.» urlò ancora. Scaricando la sua rabbia su quel corpo. Lo fece con i pugni, con gli schiaffi, con i calci, lo fece come poté, cercando di scaricare i sensi di colpa, ancora una volta agganciati a lui. «Chi cazzo ridarà loro la vita? Loro potranno tornare libere, ma mai nulla sarà come prima. Voi, sporchi bastardi, avete diviso famiglie, fatto soffrire bambini, distrutto una popolazione, ora pregna di dolore.» lo prese dal collo, ancora segnato dagli artigli di Bonnie, che era stato costretto a non entrare «Chi ridarà loro la vita?» domandò ancora, con gli occhi lucidi e rossi.

Al tenebris vibrarono le corde del cuore, nel vedere quegli occhi così ammalati di dolore. Si inumidirono anche i suoi, che in fondo era solo un ragazzo. Prese tra le mani la catena, stringendola con forza, sentendo il rammarico crescere in lui, lasciarlo più stordito di tutti quei colpi.

«Io non ho fatto nulla!» e finalmente urlò, come da anni voleva fare, quelle parole « Io non ho fatto nulla! Mi dispiace, mi dispiace!» urlò anche lui, mentre le lacrime gli bagnarono il volto sporco di fango e sangue. «Io ho dovuto assistere, ma non ho mai fatto nulla! E ogni giorno ho gli incubi per questo gigantesco orrore.»

Shakai indietreggiò, colpito da quelle lacrime, da quella sincerità che gli oltrepassò il petto. Da quegli occhi che ricordavano i suoi.

«Io non potevo fermarli, ero solo e se provavo a parlare venivo punito. Come facevo a dire qualcosa, se non ero nessuno da poter considerare?» chiese, con il tono rotto dalle lacrime.

«Lascialo andare …» deglutì Shakai, sentendosi in parte un mostro. Aveva generalizzato tutti, non credendo che ci fosse davvero qualcuno di diverso in quel branco.

«Sei sicuro Alpha?» chiese Antiel, con già le mani sulla catena.

Shakai guardò il giovane. Lo vide con il respiro corto e il petto velocizzato. Annuì appena e quando la catena si sganciò, lo osservò cadere rovinosamente per terra, con un forte tonfo.

Si girò verso la porta e si incamminò, dopo aver fatto segno ad Antiel di seguirlo.

Quando furono all’aria aperta, due paia di occhi corteccia lo guardarono.

«Alpha!» trillò Zen, nascosto dai suoi folti capelli scuri, sperando che il maggiore non si accorgesse della sua tentata intrusione e della strigliata di James.

Shakai si avvicinò a lui «Puoi entrare. Assicurati solo che non scappi dal branco. Ho bisogno di parlargli ancora.» gli sussurrò, prima di andarsene.

Zen ignorò quello strano tono di voce, troppo eccitato dalla voglia di vedere ancora una volta il tenebris.

Gli sudarono i palmi delle mani, mentre, sotto lo sguardo sconcertato di James, entrava nel capannone.

C’era odore di morto, di sangue, di lacrime e di terra bagnata. Il cuore gli fece una capriola mentre trovava il coraggio di girarsi, anche un po’ spaventato per il sangue che scorreva nelle vene dell’altro.

Non mosse un passo quando lo trovò nudo, inginocchiato a terra, con la testa bassa e i polsi ancora legati.

Sentì indistintamente il rumore di un respiro profondo che, precedette i due occhi selva a fissarlo scintillanti.

Notò anche da là le lacrime sul volto, nonostante non stesse più piangendo e i lividi sul corpo. Aveva anche un labbro aperto e il sangue a colare sul mento.

Si ritrovò ad arrossire, come l’adolescente che era, trovandolo stupidamente magnifico, nonostante tutto.

«Avvicinati…» un sussurro roco arrivò distinto dalle labbra, mosse a mala pena. «Puoi avvicinarti» continuò.

Zen si guardò un attimo attorno, davvero indeciso sul da farsi. L’attrazione lo richiamava a lui, ma aveva paura, anche tanta, specialmente se si ricordava delle donne distese a terra.

«Non ti farò del male…» sussurrò ancora il tenebris, sentendosi male per quella paura che sentiva sulla pelle, oramai non percependo altro che il ragazzo.

«Me lo prometti?» Zen parlò per la prima volta e l’altro sorrise leggermente, per quanto fosse morbida quella voce.

«Te lo prometto» si arrese. Sentendo il respiro mancare quando piccoli passi fecero rumore verso di lui. Due piedi nudi gli si pararono davanti agli occhi, forse ad un metro di distanza e alzò ancora la testa. Osservò la pelliccia che copriva il corpo minuto, ancora acerbo, il viso paffuto e gli occhi grandi, scuri e scintillanti, pieni di vita.

Venne intossicato dall’odore di agrumi maturi, non troppo accennato per via della sua età, ma ben palpabile secondo lui.

«Ti fa male qua?» Zen si indicò un labbro, parendo ancora più piccolo, con quell’espressione in volto e al tenebris tremarono le mani, dalla voglia di toccare quelle guance morbide.

Si lasciò cadere con il sedere per terra, facendo rumore con la catena pesante, che venne trascinata sul pavimento. «Non troppo.» scosse la testa, leccandosi il labbro che bruciò.

Zen seguì quel movimento e quando si accorse di essere stato beccato, arrossì, spostando lo sguardo sui polsi escoriati.

Si mise sui talloni, mordendosi un labbro sottile e rosa «Io… potrei liberarti… Ma se tu scappi, Shakai mi sgrida.» sussurrò, come se fosse un segreto primordiale.

Lo sconosciuto evitò di emettere versi per quella tenerezza e alzò le spalle, facendo il finto non curante.  Si guardò intorno e trattenendo il respiro per evitare di annusare il profumo del minore, si avvicinò un po’ arcuando la schiena.

Zen fece lo stesso, quasi come incantato «Ti prometto che non scappo e non ti farò sgridare da Shakai.» gli parlò sul volto, facendolo rabbrividire.

Si spostò subito dopo, attendendo che il ragazzino facesse la sua scelta. E si ritrovò a trattenere il sorriso, quando due mani paffute e piccole si posarono sulle corde ai polsi.

«Ho imparato da poco a farlo..» mormorò Zen, cercando di non toccare la pelle dell’altro. «Me lo hanno insegnato a scuola per autodifesa… Ma non sono sicuro che tu possa guardare.» improvvisamente fermò i movimenti. Non era davvero sicuro se andava bene far scoprire ai nemici le loro mosse. Anche solo come slegare un nodo di quel calibro.

Ma lui era davvero un nemico? Lo guardò. Non era intenzionato a fargli male ma poco importava, perché chiuse gli occhi, permettendogli di continuare a slegare i nodi stretti e complicati.

«Fatto!» e qualche istante dopo stringeva la corda tra le mani. Si allontanò subito, quando il tenebris si strofinò la pelle rovinata.

«Grazie» fece egli, non dando peso a quei movimenti, davvero grato che lo avesse liberato. «Puoi avvicinarti ancora un po’? Vorrei, vorrei davvero toccarti.» assunse un espressione seria, nonostante la bizzarra domanda.

E Zen non rifletté sulla pericolosità, quando gattonò davanti a lui che intanto aveva aperto le gambe. Arrossì come un pomodoro «Ma sei nudo!» urlò, come se prima non avesse studiato i suoi addominali ben disegnati.

L’opposto si guardò intorno e si allungò a sinistra, afferrando. un telo ruvido, buttato là accanto. Se lo posò in grembo «Ora non più» asserì impaziente. E quando afferrò i fianchi stretti di Zen e se lo trascinò seduto esattamente tra le gambe, ignorò bellamente il grido di paura mista a sorpresa.

Con l’indice, senza permesso, toccò finalmente una guancia, macchiata da un piccolo neo. Il polpastrello affondò nella carne morbida. «Sei proprio carino.» lo elogiò, osservandogli il profilo dal naso all’insù.

Zen, se possibile, arrossì ancora di più. Non finendo di fissare le travi della pavimentazione, cercando di ignorare quel dito sul suo volto.

«Quanti anni hai?» chiese il tenebris, spostando la mano per poggiarla sulla propria coscia. Smettendo di importunare quella pelle delicata.

«Sedici.» balbettò Zen.

«Sei ancora un cucciolo.» Parlò riflettendo «Sai cosa significa essere Anime?»

Si guadagnò un’occhiata breve ma ironica «Certo che lo so. Ho già sedici anni, non più cinque.» si imbronciò un po’, portando le dita del maggiore a toccargli le labbra come in trance. Zen si scostò un po’ a quel tocco, credendo di potersi sciogliere dall’imbarazzo, mentre la carne rosea bruciava per lo sfioramento.

«Io mi chiamo Taranus. Ho vent’anni.» si presentò il maggiore, trattenendo un sibilio al fastidio per il labbro. «Io e te siamo anime. E il fatto che tu sappia già qualcosa sull’argomento, rende tutto più facile.» dichiarò con leggerezza, nonostante il suo cuore stesse impazzendo.

Zen sussultò trattenendo il fiato. Sentendosi quasi la febbre. Si stropicciò le mani tra di loro. Guardando le sue gambe piegate contro il petto.

Lo sapeva. Lo sapeva eccome che erano Anime. E non sapeva se essere grato o essere triste di averlo trovato da così giovane. In fondo, per la testa aveva ancora molti pensieri pregni di divertimento e sicuramente, Taranus non conosceva mezzi termini.

«Io devo andare adesso.» scattò come una molla, mancando per un soffio le mani di Taranus che cercarono di afferrarlo. «Appena calerà il sole ti verrò a prendere… per portarti a casa mia.» parlò velocemente, già con un piede fuori da là.

A Taranus gli si spensero appena gli occhi, mano a mano che si allontanava. Sentendo un peso sullo stomaco e la voglia di averlo ancora vicino.

«Hai promesso di non scappare e di non farmi sgridare da Alpha Shakai!» intrufolò la testa in una fessura, solo per parlare autoritario. E prima che la voglia di tornare dentro, per permettergli di toccarlo riaffiorasse, uscì completamente, camminando tutto impettito, verso il campo di addestramento.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top