Storia
⛔ATTENZIONE:
Il capitolo contiene violenze sessuali, se non siete portati per certe letture, sconsiglio di proseguire.
Passato_
Pov. Erdinal
Il piccolo raggio di sole che finalmente era riuscito a vedere dopo essere riuscito a nutrire e a coprirei i bambini, era scomparso con il peggioramento della moglie.
Il piccolo Shakai tremava tra le braccia di ciò che rimaneva di sua madre, consumata dalla malattia. La pelle cagionevole e fredda faceva pensare ad un imminente morte, che tutti speravano non arrivasse mai.
«Mamma, resta con me, non andare via»
Le piccole mani paffute si posarono sul viso tirato. Già consapevole di quello stantio odore intorno a lui, nonostante la giovane età.
Le labbra screpolate della madre si mossero a malapena, senza produrre suoni.
Erdinal stava al capezzale della moglie, fissava malinconico la sua famiglia unita, sgretolarsi lentamente. Il figlioletto dai capelli grigi simili a quelli di Emory, si mostrava forte nonostante il dolore che poteva sentire da quella distanza. Shakai sarebbe stato un nobile alpha in futuro, un forte guerriero. Avrebbe portato avanti il suo onore.
L'uomo più grande sorrise nel notare quel particolare.
«Forza Shakai, esci da qui, la mamma deve riposare ora.»
Shakai senza farselo ripetere, zampettò verso la porta chiudendola dolcemente. Si sentirono distintamente i suoi passi raggiungere la cucina.
Erdinal ne approfittò per unire la sua mano a quella della sua amata metà. Emory strinse leggermente la presa.
«Non preoccuparti amore, vedrai che ti rimetterai in sesto, ora abbiamo più cibo e pellicce... e sono sicuro che Fey, la nostra guaritrice, troverà qualcosa per te, per questo tuo male improvviso.»
Dopo un bacio sulla fronte si chinò in ginocchio ai piedi del baldacchino e affondando le mani congiunte sopra alla pelliccia d'orso, che cadeva pesante sul pavimento, cominciò a pregare come faceva da parecchio tempo.
Un alpha con le difese abbassate e chino sulle ginocchia è troppo vulnerabile, ma a lui sembrava non fregare molto. Non in quel momento in cui la macchia violacea e nera, rossa come un pugno, sullo stomaco della donna, gli tornava in mente anche ad occhi chiusi.
Avrebbe voluto dare la sua stessa vita per salvarla.
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Come Erdinal aveva sperato e pregato, la moglie, dopo le dolci cure di Fey e i pasti caldi che assumeva, anche se lentamente, si riprese.
Con lei si attenuò pure il cadere della neve e il fischiare del vento. Li uomini avevano iniziato ad uscire per riparare i danni del villaggio, sapevano tutti che se erano vivi dovevano ringraziare i pacificae che avevano condiviso con loro le risorse primarie fino a quel momento.
Ma Erdinal era sempre teso, fissava l'orizzonte in maniera assorta e preoccupata. Qualcosa doveva succedere e lui ne era pienamente consapevole. Aveva dato meno di quel patto. Poteva sembrare una bazzeccola ad occhi di altri ma, agli occhi di Victor, sarebbe bastato un qualcosa che a lui non piaceva e saresti stato completamente morto.
Non passò molto tempo prima che i Tenebris richiedessero vendetta.
Erdinal aveva scritto la propria sorte e quella del suo branco, peggio di quegli anni passati ad annaspare per la sopravvivenza.
Si aspettava un torto da parte di Victor, ma non pensava che esso, potesse attenersi a tali barbarie.
Si era presentato ai confini dei magna coetus il giorno delle calende di settembre, quando ormai la neve si era sciolta e il terreno stava asciugando.
Erdinal e Victor discussero ad alta voce per molto tempo, finché il rosso ebbe la meglio.
«La vostra vita, in cambio delle vostre femmine ogni none del mese.»
Il solito ghigno sbucò sulla faccia del lupo.
Erdinal sapeva che nessuno poteva ritirarsi da quella tragedia, persino i pacificae potevano solo guardare da lontano dispiaciuti a sperare che non succedesse anche a loro.
Purtroppo i tenebris avevano almeno il triplo dei componenti dei pacificae e li sarebbe bastato uno schiocco di zanne per sterminare, nonostante la loro forza, tutta la popolazione che da tempo aveva radici in quel terzo di territorio. Erdinal non aveva altra scelta se non sacrificare qualcosa, per riuscire a mantenere viva un'altra cosa. Uno scambio, un patto con il diavolo fatto lupo che se ne andava in giro con il muso sporco di sangue e sicuramente non di animali da caccia.
_Presente_
Pov. Shakai (24 anni)
Flashback
(None di maggio, settimo giorno.)
Le grida lancinanti si irradiavano a vista d'occhio tra gli alberi, che fieri si ergevano alti e robusti, dando vita alla boscaglia che macchiava tutto il territorio.
Le donne deturpate dal dolore di quelle violenze, cercavano di nascondere il tutto almeno ai bambini che osservavano la scena con occhi sbarrati, nascosti dietro alle finestre di ogni casa. Solo ciuffi di capelli e sguardi confusi si potevano intravedere. Dita appese ai davanzali e respiri sui vetri.
C'erano uomini feriti, per aver cercato di salvare le proprie amate da quel destino, che sapevano non poter scampare. L'importante era non uccidere, questo i tenebris lo sapevano. Sapevano che il patto prevedeva una vendetta alla prima uccisione ma sapevano anche affondare l'artiglio e toglierlo giusto poco prima che potesse causarne la morte.
Un grande peso stringeva lo stomaco di Shakai per non poter aiutare quelle donne, ma sapeva di essere incatenato e non poter aiutare per quel lugubre incubo che poi, un senso nella sua testa non aveva.
Lo scenario si ripeteva ormai da quattordici anni, andando avanti anche con la sua generazione.
«Mammaaaa!»
Una voce stridula proruppe in tutto quel baccano, attirando il suo sguardo attento.
Vide distintamente, una massa di capelli ramati ballonzolare seguendo il corpo, che cercava disperatamente di raggiungere le braccia della madre.
L'uomo che in quel momento violava il corpo di quella bellissima donna, alzò gli occhi grigi di scatto, come disturbato da quella vocina acuta.
Agguantò nel suo sguardo quello smeraldino del bambino e con un sorrisetto, smise di muoversi, allungando una mano verso il rosso e lasciando momentaneamente da parte il corpo della donna. Il cervello troppo offuscato da quel piacere lugubre da poter ricordare che i bambini non si dovevano neanche sfiorare.
Il piccolo mosse incerto qualche passo verso a quell'uomo e Shakai, senza mostrare la sua paura fece passi chilometri, per bloccarlo in tempo dal polso magro.
«Non ti avvicinare Connie, torna a casa.»
Gli occhi verdi si puntarono nei suoi particolari rossi e con un sospiro, lo accolse tra le braccia alzandolo dal suolo. Con cura coprì la spalla lasciata scoperta dalla casacca marroncina.
Lo sentì scalciare per farsi lasciare andare.
«Mamma, mamma voglio la mamma, lasciami andare»
Per farlo stare buono, dovette spingere la sua testa contro l'incavo del suo collo e forzarlo in quella posizione scomoda. Voleva andare via, portarlo lontano da là, ma questo avrebbe scatenato ancora più rabbia e rancore nei suoi confronti.
«Connie, amore di mamma, fai il buono, tra poco potrò stringerti a me e cantarti quella canzoncina che ti piace tanto, ricordi amore mio? Scaccerò tutto questo vicino a te, com'è che faceva la canzone piccolo Connie?»
La voce della madre si aprì in una splendida melodia, graffiata e rotta ad ogni colpo, chiudendo in una stretta il suo cuore e facendo quasi zittire i presenti.
La canzone accompagnò con nostalgia e dolore quell'atto impuro, che intanto aveva ripreso a squartarla.
L'uomo di fatto, non appena lo vide, lasciò perdere il bambino e si accontentò di quello che secondo lui, era solo un pezzo di carne fresco.
Eppure la donna non smise mai
di cantare per rincuorare il figlioletto, che ancora tremava tra le sue braccia.
Aveva quella forza che solo una madre innamorata del proprio frutto poteva avere.
Lo strinse più forte, cercando di non mostrargli quella scena atroce e non poté fare altro che osservare a occhi lucidi quello che si prospettava davanti a sé.
«Ninna nanna
Ninna oh, questo bimbo a chi lo dò»
I denti dell'uomo strinsero la presa sul collo dal colore caramello della donna, che sussultò nella canzone
«Lo do a te finché vivrò,
A nessun altro lo darò.»
Le sue braccia si distesero ai lati del corpo, sull'erba macchiata dal peggiore dei peccati. Shakai voleva lasciar andare Connie, far comprende a quella feccia che avrebbe potuto ucciderla. Ma non lo fece, rimase con i piedi impiantati là. Forse anche lui ancora troppo giovane per tutte quelle responsabilità che giacevano sulle spalle.
«Sognami amore mio,
Io ti coccolerò»
Temette il peggio, quando l'uomo affondò ancora più brutalmente in lei, tenendo gli occhi fissi sul bambino stretto a lui, che seguiva quella canzone cantandola in simbiosi, in lenti sussurri che arrivavano al suo orecchio.
«Stringimi amore mio,
Io mai ti lascerò.»
I suoi occhi, così simili a quelli di Connie, cercarono quelli rossi del ragazzo maggiore, facendolo sussultare.
La guardò e capì che non c'era futuro per quella donna dal corpo esile, macchiato da lividi e sangue, così tanto che neanche il colore della pelle poteva distinguersi più.
Shakai se la immaginò bianca come la neve, esattamente come il figlio.
Annuì solenne alla sua tacita richiesta.
«E se un incubo tu avrai,
Ricordati di me
Perché se ci sarò io
Tutto meno paura farà...»
La sua voce cessò la dolce melodia e i suoi occhi ora vuoti continuarono a fissarlo, ma le labbra presero linea in un sorriso, sentendosi forse per pensare, per suo figlio che non sarebbe stato solo.
Con quella morte cessò tutto.
Gli uomini dell'altro villaggio andarono via, così com'erano arrivati.
I mariti, i fidanzati e anche gli amici delle donne, le aiutarono a rialzarsi, consci di doversi impegnare per guarire anche solo in parte, quelle ferite sia interne che esterne.
L'erede, vide An-Rey figlia di Fey, la maga elfica del villaggio, uscire di fretta dal suo nascondiglio e precipitarsi a dare una mano.
Con un sospiro profondo, si abbassò cauto sulle ginocchia e dopo una piccola preghiera alla dea madre, chiuse per sempre gli occhi di quella donna a cui avevano spezzato la vita troppo in fretta, lasciando al mondo un bambino ancora piccolo, ma non abbastanza da non poter comprendere il significato.
Tolse la ciocca ramata di capelli che le coprivano gli occhi ora chiusi e sperò davvero, come poche volte, che potesse riposare finalmente in pace. Giurò nella sua testa che sarebbe stata vendicata.
Quella volta un'anima aveva lasciato il mondo e i tenebris l'avrebbero pagata cara.
Si rialzò a gambe traballanti.
«Forza, andiamo a casa Connie»
Sussurrò incerto fra i capelli del piccolo, che ora dormiva, forse svenuto per il legame materni interrotto bruscamente, tra le sue braccia. Le lacrime secche sporcavano il suo collo.
Fine flashback
«Ninna nanna
Ninna oh questo bimbo a chi lo do
Lo do a te finché vivrò ,
A nessun altro lo darò.
Sognami amore mio,
Io ti coccolerò.
Stringimi amore mio,
Io mai ti lascerò.
E se un incubo tu avrai,
Ricordati di me...
Perché se ci sarò io
Tutto meno paura farà...»
Shakai sospirò al termine di quella canzone che usciva in un sussurro dalle sue labbra, certo, non era bella come quando la cantava sua madre, ma sortiva quasi lo stesso effetto su Connie, che ora dormiva tranquillo fra le pelli degli animali che aveva procurato con attenzione.
Era un rituale ormai, da quando aveva preso il bimbo sotto la sua ala, non lo aveva più lasciato andare, ed ogni sera si ritrovava a canticchiare quella ninna nanna.
Gli occhi verdi della madre non smettevano di seguirlo in ogni dove, specialmente nei sogni, lasciandolo insoddisfatto della notte passata.
Erano ormai anni che non riusciva a chiudere occhio, come la dea madre comandava, ma non poteva farci nulla, le urla strazianti delle donne occupavano ogni sua memoria, ogni tassello di cui il suo cervello era fatto.
Suo padre Erdinal era stato reputato un relitto dopo la sua scelta, persino sua moglie Emory lo aveva abbandonato.
Nonostante avesse provato a resistere dieci anni, all'inizio dell'undicesimo, la sua compagna, la sua metà, se n'era andata portandosi dietro la figlia più picca, facendolo ammalare di depressione per la sofferenza e la lontananza.
E lui non poteva fare altro che rimanere a guardare l'uomo che lo aveva messo in vita, morire giorno dopo giorno.
Come sempre, non poteva fare nulla.
Uscì dalla stanza del piccolo e sbatté un pugno sul muro vicino alla porta, cercando di sfogare la frustrazione, si accasciò al suolo prendendosi le ciocche grigie tra le dita.
Ancora poco e sarebbe diventato alpha supremo.
Ancora poco e avrebbe portato alla libertà la sua gente, che nonostante tutto continuava a vivere, forte come non mai, anche se spenti.
Con un balzo fu fuori dalla casa e cominciò a correre tra gli alberi nella sua forma lupesca, cercando tanto quella bramata libertà che ultimamente aveva perso.
Spazio. Chiarimenti.
Ho scelto per la mia storia alcuni personaggi presi da internet che in seguito ho modificato e colorato, appena troverò presta volti, farò anche i personaggi umani, così ognuno potrà scegliere in base alle preferenze,in qualunque caso potete anche immaginarveli a piacere.
Ho usufruito del calendario romano,in quanto lo trovi interessante, volevo usare qualcosa di diverso ed ecco qua.
Le calende del mese sono i primi di ogni mese.
Poi ci sono le none e le idi.
Questi tre giorni erano praticamente i principali.
Le none cadevano o il 5 giorno o il 7
E le idi o il 13 o il 15
None e idi 5° giorno e 13° giorno: gennaio,febbraio,aprile giugno,agosto,settembre ,novembre e dicembre
None e idi 7° e 15° giorno:
Marzo,maggio,luglio e ottobre
I romani contavano il resto dei giorni come si fa ora per arrivare ad una data importante ad esempio se il primo giorno era le calende di settembre il secondo era quello dopo le calende di settembre, il 3 era il terzo giorno prima delle none di settembre, il 4 era il giorno prima delle none di settembre, il 5 le none di settembre e il 6 quello dopo le none di settembre,il 7 era il settimo giorno prima delle idi di settembre e così via.
Lo so lo so. All'inizio è poco chiaro m se siete interessati potete consultare qualche sito internet e sarà molto più chiaro.
Detto questo,buona giornata ☺️
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