Incontri Inaspettati
"Devo essere totalmente impazzita. Anzi no, sono totalmente fuori di testa. Ma che accidenti ci faccio qui?"
Melany se ne stava impalata davanti all'entrata della biblioteca, il biglietto misterioso stretto nella cavità della mano. La postura rigida e tesa, tipica di uno studente impreparato durante un'interrogazione. Era arrivata sul luogo indicato con largo anticipo rispetto a quanto concordato.
Corcordato? Ma concordato con chi?
Melany si stava domandando se fosse quello il giorno esatto. Il foglietto effettivamente non riportava alcuna data. Non era stata una scelta molto razionale, quella di presentarsi in biblioteca in un giorno qualunque, seguendo le bizzarre direttive di un biglietto misterioso che tecnicamente non dovrebbe neppure esistere. Un biglietto che dovrebbe semplicemente raffigurare il frutto di uno dei suoi sogni insoliti e un po' bislacchi.
Eppure era lì, stretto nella sua mano.
Rappresentava una prova concreta e tangibile che forse vi era una minima possibilità che quello che le stava accadendo non era semplicemente uno scherzo dettato dalla sua fervida immaginazione.
Melany non stava ancora realizzando con precisione le azioni che aveva intrapreso nelle ultime ore. Aveva trascorso la mattinata a scuola, con la testa china sul banco, pensando e ripensando alla singolare visione onirica che aveva avuto nella notte. Era rimasta profondamente turbata nel ricordare quanto più dettagliatamente la memoria le consentisse, ogni singolo passaggio di quella fantasticheria che l'aveva accompagnata nel sonno.
Mamma e papà felici, la colazione, il bacio sulla guancia, il viaggio in auto fino a scuola. Ashley e le sue amiche che desideravano giocare con lei. Niente scherzi. Niente umiliazioni.
Nessun pianto. E poi lei.
Caitlyn.
Il suo sorriso luminoso e la sua voce gentile erano stampati nella sua mente come un tatuaggio sulla pelle. Scoprire chi fosse quella bambina e se veramente potesse esistere nella realtà era un pensiero che, suo malgrado, la stava ossessionando.
Non riusciva a comprendere quale strana forza l'avesse guidata fino alle porte della biblioteca di Whiterdore, l'unica grande biblioteca rimasta ancora attiva in quella ridente e frenetica cittadina. Whiterdore era sorta fra la città di Melbourne e la città di Canberra, la capitale dell'Australia. Da quando la tecnologia si era progressivamente insinuata nel tessuto sociale, economico e politico della città, non vi era rimasto molto spazio disponibile per l'insediamento di altre biblioteche. Nel tempo erano state costrette a cedere la loro storica importanza, in nome della cosiddetta "era moderna".
I prodotti in formato cartaceo erano stati rapidamente sostituiti dal materiale reperibile on-line. Testi scolastici, grandi classici, romanzi di ogni genere, notizie relative agli accadimenti che avvenivano in tutto il mondo potevano essere facilmente rintracciabili navigando sui numerosi siti internet che avevano reso il settore dell'editoria decisamente marginale rispetto a un tempo.
Erano tempi duri per le menti illuminate e malinconiche, rimaste ancorate a quell'ideale retrò che sapeva di antico e di anacronistico. Non erano rimaste molte occasioni per godere dell'armonioso intreccio di pagine e inchiostro, del profumo di carta stampata e dell'inconfondibile fascino emanato da un tradizionale manuale cartaceo.
Melany risentiva parecchio della modernità che aveva avvolto e ingabbiato il mondo in quella prigione telematica.
Desiderava vivere in un luogo profondamente diverso, fluttuare in dimensioni alternative, poter assaporare quelle sensazioni calde, forti, vive, tangibili, proprie di quel passato di cui lei non aveva personale e diretta esperienza. Ne avvertiva un vago sentore unicamente attraverso le meravigliose letture che accompagnavano le sue lunghe giornate, trascorse perennemente con la punta del naso immersa in quelle pagine bianche macchiate d'inchiostro.
Si percepiva fortemente estranea alla realtà in cui viveva, una realtà che non le apparteneva e dalla quale voleva disperatamente fuggire.
Ma adesso, forse, il destino le stava presentando un'occasione per poter evadere. Una ragione per poter cambiare. Anche se, ragionando a mente lucida, non era un'opzione così plausibile.
Ma in fondo cosa, in questa storia, aveva davvero senso?
In ogni caso ormai si trovava lì, salda sulla porta d'entrata. Tanto valeva farsi avanti.
Melany varcò la soglia con le gambe molli e l'espressione tipica di chi era stato colto con le mani nel sacco. Il silenzio sibillino che avvertiva nell'atmosfera era rotto solo dal rumore sordo dei suoi passi. La sua adorata biblioteca, il suo porto sicuro, quieto e taciturno, d'improvviso le appariva incredibilmente estraneo e non più troppo accogliente. Si sentiva avviluppata in un clima spettrale, dai contorni sinistri.
Dirigeva lo sguardo prima a destra e poi a sinistra, guardinga, incontrando volti sconosciuti che le incutevano una spiacevole sensazione di timore.
"Ma cosa diamine mi sto aspettando?" pensò, ragionando fra sè e sè "In fondo questa è casa mia. Non dovrei sentirmi così a disagio. L'unica cosa certa in questo momento è che sono al sicuro qui dentro. Questa biblioteca è tutto per me. La conosco meglio delle mie tasche. Andiamo Melany, rilassati. Stai calma. Respira".
Chiuse gli occhi, quasi senza rendersene conto. Fece un lungo respiro, poi un altro. Ne seguì un terzo. Continuò ad ispirare ed espirare più e più volte, come se stesse svolgendo una lezione di educazione fisica, ma non per questo smise di camminare, l'andatura incerta e malferma.
SBAM!
"Maledizione, guarda dove metti i piedi!"
Una voce decisa e scortese si levò all'improvviso. Aveva urtato qualcosa. Anzi no, qualcuno.
Si ritrovò gambe all'aria in una frazione di secondo, la testa dolente e la mente confusa.
Aprì gli occhi.
Un bambino all'incirca della sua età, con un'espressione particolarmente infastidita, era fermo davanti a lei e la stava scrutando con occhio critico e sguardo accusatore.
Melany si trovava ancora con il sedere ben piantato al pavimento, sommersa da una discreta mole di libri che sicuramente appartenevano al bambino dai capelli corvini. L'impatto avvenuto durante lo scontro dei loro corpi li aveva fatti crollare a rotta di collo proprio sulla testa di Melany, che si stava massaggiando le tempie doloranti.
"Scusami" bofonchiò, rimettendosi in piedi "Non mi ero accorta ci fosse qualcuno. Mi dispiace."
"Certo che no, come avresti potuto. Avevi gli occhi completamente serrati. Accidenti a te, hai fatto cadere tutti i libri che avevo in mano" disse il bambino misterioso con sguardo torvo e una nota decisamente aspra nel tono di voce.
"Ti aiuto a raccoglierli" rispose prontamente Melany, chinandosi lesta sulle ginocchia e iniziando a mettere le mani un po' qua e un po' là, desiderosa di porre fine a tutto quel trambusto.
"Lascia perdere" tagliò corto lui "Hai già fatto abbastanza, mi pare".
"Ti ho già chiesto scusa, mi pare. E poi mi è sembrato che anche tu non fossi troppo attento, considerato che avevi la visuale bloccata da tutti quei libri!"
Appena ebbe finito di pronunciare quelle parole, Melany si portò immediatamente le mani alla bocca, incredula.
Da quando aveva acquisito una parlantina tanto audace?
"Sarà" rispose con indifferenza il bambino senza nome, passandosi una mano fra i capelli "Fatto sta che hai fatto un bel casino. Dovrai rimediare"
"Abbiamo fatto, vorrai dire. E come potrei rimediare, se non mi dai modo di aiutarti a raccoglierli?" ribattè Melany indignata, indicando i vari manuali sparsi sul pavimento e complimentandosi con sé stessa per la nuova versione di sé appena maturata.
"Non intendevo questo. Come ti chiami, Miss Sbadata?" domandò secco, il tono freddo e asciutto.
"No" pensò Melany "Non un altro nomignolo. Non un'altra presa in giro. Ne ho abbastanza."
"Come prego?" chiese il bambino dai fluenti capelli corvini, con un'espressione interrogativa dipinta sul volto accigliato. Non si aspettava tanta schiettezza da una bimba così minuta e all'apparenza così tenera.
Melany non si era nemmeno resa conto di aver pronunciato quelle parole ad alta voce. Non si era accorta che quelle frasi le erano schizzate fuori dalla bocca come lava incandescente esplosa con ferocia da un vulcano in eruzione. Ma la rabbia che sentiva ribollire nel sangue come fuoco che arde era davvero troppa, difficile da contenere.
"Melany" sbottò "Mi chiamo Melany. Melany e basta. Non ti azzardare a chiamarmi in altri modi, capito?" concluse stizzita.
"Pff, come ti pare. Bene Melany-e-basta, piacere di fare la tua conoscenza e bla bla bla altre cavolate del genere. Seguimi."
"Ehi, aspetta" Melany rimase interdetta da quell'ultima, folle affermazione.
Un perfetto sconosciuto le stava chiedendo di seguirla? Ma seguirla dove?
E soprattutto perché?
"Che ti prende? Dai sbrigati. Non ho tempo da perdere" il bambino ancora senza nome raccolse velocemente i libri rimasti sul pavimento e li abbandonò su uno dei grandi tavoli di legno disposti schematicamente fra uno scaffale e l'altro.
"Questi li riprenderò più tardi" disse fra sé e sé. Si sistemò il cappuccio della felpa scura sopra la testa, e infilò le mani in tasca. Non prestando la minima attenzione a Melany, cominciò a dirigersi verso la porta d'uscita.
"ASPETTA UN ATTIMO HO DETTO!"
Melany strillò come mai aveva fatto prima d'ora. La sua voce riecheggiò potente in ogni angolo. Resasi improvvisamente conto di trovarsi ancora in biblioteca, si tappò immediatamente la bocca con le mani, sprofondando in uno stato di profonda vergogna.
Gli studenti seduti al tavolo accanto distolsero prontamente gli occhi dalle loro noiose letture scolastiche e la fulminano con lo sguardo. Anche la faccia accigliata della bibliotecaria seduta al bancone e seminascosta dietro al monitor del computer non lasciava intendere nulla di buono.
"SC-scusate" riuscì a malapena a pronunciare, mordendosi il labbro inferiore.
Il bambino dai capelli corvini trattenne una risatina divertita. Sogghignò, spostando lo sguardo sui lacci consumati delle sue scarpe e tirando un calcio nel vuoto. Ma non si voltò nemmeno per un istante e proseguì dritto imboccando la via d'uscita.
"Ehi aspetta un secondo, ti prego" sibilò Melany, tentando di attirare la sua attenzione ancora una volta "Non mi hai detto come ti chiami"
Il bambino senza nome si fermò di colpo, proprio di fronte alla porta scorrevole, che quindi si aprì rilevando la sua presenza.
Stette ancora in silenzio. La testa china a fissare le piastrelle color avorio del pavimento.
Dopo qualche secondo la porta tentò di richiudersi, ma il bambino dai capelli corvini prontamente ci infilò il piede in mezzo, bloccandone la chiusura.
Ruotò di scatto la testa facendo scivolare una ciocca di capelli da un lato e rivolse a Melany un'occhiata acuta e penetrante.
I suoi occhi scuri, intensi come la notte e taglienti come una lama, catturarono lo sguardo turbato di Melany, che d'istinto arretrò d'un passo.
"Nathan" decretò "Il mio nome è Nathan. Ma puoi chiamarmi Nate."
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Ragazzi... Da qui in poi... Colpi di scena a non finire! Giudicate voi... Fatemi sapere con un commento sincero se la storia vi piace e vi appassiona... E fatemi anche delle critiche se lo ritenete opportuno!
Melany, Caitlyn, Nathan... Che ne pensate di questo trio?
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