2 - 𝘊𝘰𝘮𝘦 𝘦𝘷𝘰𝘤𝘢𝘳𝘦 𝘪𝘭 𝘥𝘪𝘰 𝘥𝘪 𝘶𝘯 𝘤𝘶𝘭𝘵𝘰 𝘱𝘳𝘰𝘪𝘣𝘪𝘵𝘰 𝘪𝘯 𝘵𝘳𝘦 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘭𝘪𝘤𝘪 𝘱𝘢𝘴𝘴𝘪 (Lola pt. II)

Lola ebbe l'impressione che nella biblioteca fosse appena calato il freddo.

«Intendete... il testo sacro della chiesa demoniaca?» azzardò il professore.

«Precisamente.»

Consoli diede le spalle alla classe e bisbigliò all'orecchio del preside: «Signore, quel testo è stato giudicato eretico sin dal primo concilio...».

«Sciocchezze. Sono sicuro che ne abbiamo una copia da qualche parte.» Indicò gli scaffali con la punta del bastone. «Certo, i Dicasteri non ne sarebbero granché contenti, ne converrete. Ma il mondo si trova sull'orlo di un momento decisivo e non dobbiamo lasciare che la superstizione o la paura ci fermino.»

L'intera classe, Lola compresa, lo osservava con tanto d'occhi. Chronakis aveva sempre avuto il suo gran da fare contro l'ingerenza della chiesa solare e non ne aveva mai fatto mistero, ma il prestigio dell'accademia gli dava il potere sufficiente perché le alte cariche della Curia continuassero a considerarlo più un eccentrico che un reale pericolo.

Lola, però, aveva l'impressione che fosse semplicemente stato abile nel fregarli tutti.

Era merito di Chronakis se lei poteva sedere a quel tavolo di lettura, con un diploma in tasca e la divisa maschile, invece di ritrovarsi incinta e sposata a un ubriacone delle colonias.

«Esistono forze oscure che fanno parte del nostro mondo» disse il preside. «Per combatterle dobbiamo comprenderle. Non possiamo permetterci di farci spaventare, ritengo.»

«Ma questo significherebbe cedere a riti profani e pericolosi» replicò il professore, asciugandosi la fronte con un fazzoletto di stoffa.

«Naturalmente nessuno vi chiede di commettere sacrifici umani.» Chronakis sorrise compì un elegante svolazzo della mano, come per scacciare un'ape in una calda giornata estiva. «Il Libro di Xatozl insegna che con l'ascesa della chiesa solare il signore del Sottomondo sia diventato assetato di potere. A volte basta anche solo una goccia in suo nome per richiamarne l'attenzione e far entrare in gioco forze dimenticate. Posso dare una dimostrazione anche adesso.»

Gli studenti allungarono il collo mentre un'eccitazione elettrica si diffondeva per la biblioteca.

Il professor Consoli, che era sul punto di avere un mancamento, si rintanò dietro una libreria per inalare una boccetta di sali ricostituenti.

Chronakis si avvicinò a una bacinella di bronzo sistemata su un plinto. Lola ricordava che si trattasse di un manufatto risalente alla Terza Era, poco dopo l'istituzione del patto di Aragopoli-Arnier-Parquedad, la cosiddetta lega del Sole. Il bibliotecario stava sempre a spolverarla.

Il preside sfilò un guanto e si incise un piccolo taglio sul palmo con il becco affilato della testa d'aquila, poi chiuse il pugno e lasciò cadere circa tre gocce di sangue sul fondo della bacinella.

Mormorò qualcosa in una lingua che Lola non aveva mai sentito. Le ricordò l'antico solare, ma forse era persino precedente alla fondazione della città.

La luce che pioveva dalle finestre si affievolì, come se il crepuscolo fosse piombato all'improvviso, e il fuoco nel camino si spense. Gli studenti presero a sussurrare e a farsi più vicini gli uni agli altri. Lola capì che quello non era il momento di prendere appunti, e mise via la piuma d'oca. Ebbe la sensazione che un pezzetto di ghiaccio le si stesse sciogliendo contro la nuca e gocciolando sotto i vestiti, lungo la spina dorsale.

Chronakis si avvicinò alla teca di vetro ed estrasse l'eteromassimetro. Lola lo aveva utilizzato diverse volte durante le ore di laboratorio. Era un intricato marchingegno composto da una serie di tubi di ottone finemente lavorati, collegati a una sfera di cristallo incastonata su una base di legno. Al suo interno, meccanismi di ingranaggi e cristalli calibrati rilevavano e quantificavano l'energia magica presente nell'aria circostante.

Chronakis girò la manovella di attivazione e sulla placca d'argento inchiodata alla base di legno apparvero i primi valori.

«Onde delta alle stelle» concluse con una certa soddisfazione. «L'eteromassimetro rileva che ora, in questo preciso punto, lo strato tra il piano degli uomini e quello del Sottomondo è piuttosto sottile.» Si rivolse alla classe. «E cosa comporta che lo strato sia sottile?»

«Che Xatozl può sentirci» mormorò Lola senza accorgersene.

Chronakis si voltò nella sua direzione e le rivolse un sorriso che la fece sobbalzare. «Molto bene, dottoressa...?»

Dottoressa.

Da quando si era laureata, era la prima volta che qualcuno la chiamava in quel modo. Non importava che portasse la spilla d'argento dell'accademia appuntata sul petto, la testa di aquila arpia di profilo. (1) In quell'ultima settimana si erano ostinati tutti a darle della signorina.

Lola si rilassò e gonfiò il petto. «Cruz.»

Il preside sollevò il bastone e l'energia divina che saturava l'aria si condensò crepitando nella testa metallica dell'aquila arpia. Poi lo batté a terra, e l'energia si sprigionò attraverso il pavimento in un'onda d'urto che mandò diversi studenti a gambe all'aria in un turbinio di fogli, piume d'oca e pergamene.

«Dottor Vinciguerra, non fatela tanto lunga» lo ammonì Chronakis, accennando a un Tito che si era persino messo a fluttuare sopra le loro teste. Dopo qualche secondo, all'esaurimento della carica divina, il ragazzo finì faccia a terra in mezzo ai divanetti.

Lola si diede una sistemata al caschetto, cercando di non ridere, ma il ragazzo dovette accorgersene comunque perché la fulminò con lo sguardo.

«Vi ho rubato anche troppo tempo. Vi invito tuttavia a riflettere su quanto appreso oggi» disse Chronakis, come se non avesse appena attentato alla vita di quindici studenti solo per tenere il punto. «Buona prosecuzione. Professore.» Si inchinò e lasciò la sala, inseguito dall'occhiataccia torva del bibliotecario che era spuntato da dietro una colonna, armato di panno e boccetta di solvente per ripulire quel disastro.

Il professor Consoli diede un'occhiata alla meridiana e dichiarò la fine della lezione, lasciando anche lui la sala con la boccetta di sali di nuovo sotto il naso.

Lola si chinò a raccogliere gli appunti che erano svolazzati via, ma il suo sguardo si posò su un paio di stivali con le punte rivolte verso di lei.

«Cerchi di farti notare, quesadilla?» la apostrofò Tito, che con quello sbaffo d'inchiostro sotto il naso era tutto fuorché minaccioso.

Lola ripose le sue cose nella cartella e si alzò. «Levati di mezzo, Vinciguerra.»

Pronunciò il suo nome come a dire: non mi interessa che tu sia il figlio di un funzionario della Gastaldia, per me rimani un idiota.

Cercò di suonare il più calma possibile, per quanto la prospettiva di conficcargli il pennino in un occhio fosse allettante.

Si spostò di lato per aggirarlo, ma Tito fece altrettanto e le sbarrò la strada. «Ma nelle raffinerie non insegnano agli scarti a stare al loro posto?»

«Questa l'hai già usata, sai?»

Lola provò a svicolare di nuovo, senza successo. La sua irritazione virò verso l'ansia quando si accorse che un paio di amici di Tito si stavano avvicinando.

«Sai, mi stavo chiedendo: come diavolo ha fatto una come te a ottenere il massimo del punteggio?»

Lola si scaldò. «Mi sono resa utile alla comunità scientifica. Dovresti provarci anche tu ogni tanto.»

La faccia di Tito divenne paonazza. «Scommetto che li hai corrotti.»

«Per corrompere qualcuno ci vogliono i soldi» insinuò uno dei suoi amici con un sorriso maligno. «L'altro topo di fogna che era con te alla cerimonia di laurea, da quant'è che non si cambia quegli stracci?»

«Giusto.» Tito le si avvicinò abbastanza da soffiare il suo fiato caldo e umido sulla fronte. «Devi aver per forza usato altri talenti.»

Lola gli tirò uno spintone e corse in corridoio, la bile che le ribolliva nello stomaco. Spalancò la porta del bagno delle donne e lasciò cadere la cartella a terra con un tonfo. Si appoggiò con le mani alla parete, cercando di regolarizzare il respiro. Aveva una gran voglia di urlare, ma poi qualcuno se ne sarebbe accorto, le avrebbe dato dell'isterica e sarebbe stato ancora peggio.

Incontrò il suo sguardo nello specchio. Non portava più i capelli rasati a zero come quando lavorava nelle raffinerie, ma non era comunque mai stata capace di farli crescere fin sotto il mento. Un po' per praticità, un po' perché portare i capelli lunghi sarebbe stato l'ennesimo elemento che l'avrebbe fatta apparire femminile, debole e stupida.

Ma non serviva mai a niente. Né portare i pantaloni, né sgobbare il triplo degli altri, né avere i capelli corti: un Tito Vinciguerra le avrebbe comunque ricordato che ciò che aveva guadagnato non fosse davvero merito suo.

Si incastrò i capelli dietro l'orecchio e si massaggiò le palpebre.

In quel momento, la porta del bagno si spalancò ed entrarono Tito e i suoi.

«Non dovreste essere qui» scattò Lola. «Questo è il bagno delle...»

Tito le fu addosso con un balzo e la sbatté contro la porta della latrina. L'impatto con la superficie di legno le fece andare l'aria di traverso.

«Ascoltami bene, quesadilla» le sibilò in faccia. «Non mi interessa come hai fatto a prendere il massimo dei voti, né con quanti professori sei andata a letto. Non ti azzardare nemmeno per un secondo a crederti una di noi solo perché hai un pezzo di carta con il sigillo dell'accademia. Sei e sarai sempre un ratto delle raffinerie. Hai capito?»

Lola si disse che se le fosse uscita anche solo una lacrima di fronte a lui si sarebbe odiata per sempre.

Annuisci. Fallo e ti lascerà andare, forse.

Lola serrò i denti. E gli tirò una testata sul naso.

Tito barcollò, imprecando, e le diede un ceffone così forte da farle ruotare la testa di lato. Un sibilo prolungato le bucò il timpano. Finì a terra, con il bagno che le vorticava attorno e gli insulti dei suoi colleghi che le rimbombavano nel cervello come se si fosse infilata dentro una campana e qualcuno la stesse picchiando dall'esterno.

Sentì il rumore della porta che si apriva. Poi, di un bastone da passeggio che colpiva il pavimento.

«Cosa sta succedendo qui, signori?»

Lola alzò la testa, e capì di essere ai piedi del preside Chronakis. Lui la guardò. «Dottoressa Cruz, cercavo proprio voi. Permettete?» Le porse la mano per aiutarla ad alzarsi.

Lola accettò, cercando di ignorare il senso di mortificazione che le stringeva lo stomaco.

Tito e i suoi due amici li fissavano imbambolati come le tre civette sul comò.

Chronakis appoggiò entrambe le mani sulla testa del bastone e, pur rimanendo cordiale, Lola notò una punta di gelo nel suo sguardo che le diede i brividi.

«Signori, non tollererò questi comportamenti scandalosi nel mio istituto un minuto di più. Neanche da voi, dottor Vinciguerra. Mi vedo costretto a informare vostro padre.»

Tito le sembrò improvvisamente minuscolo.

«Adesso andate.» Li congedò con uno svolazzo della mano, e i tre sgattaiolarono fuori dalla porta a testa bassa.

Rimasero in silenzio per qualche momento.

«Grazie» sussurrò Lola. «Io...»

«Vorrei scambiare due parole con voi nel mio ufficio, dottoressa Cruz.» Chronakis indicò l'uscita con un elegante cenno del braccio accompagnato da un piccolo inchino. «Mi fareste l'onore di unirvi a me per un rinfresco?»



L'ufficio di Chronakis si trovava in cima a una delle quattro torri che delimitavano il campus. Per raggiungerla dovettero infilarsi in un piccolo ascensore a manovella che lui attivò toccando la plancia con la testa d'aquila, irradiando gli ingranaggi di magia.

Lola si era sempre chiesta quale divinità pregasse per concedersi quei piccoli trucchi. Molti dei rampolli che frequentavano l'Alma Mater si laureavano in Arti Solari non per particolare vocazione verso Lyra, ma per imparare a canalizzare la sua magia. Un giorno sarebbero stati membri della Curia o Cavalieri del Sole, e da come si comportavano, spadroneggiando ovunque andassero solo per sfoggiare il loro privilegio, non era una prospettiva edificante.

Ma Chronakis, non lo aveva mai visto bruciare un singolo rametto di alloro in favore del signore del Sopramondo. Che venerasse davvero Xatozl, in segreto?

Lola cercò di scacciare il pensiero. In fondo, era la prima volta che gli stava così vicino.

«Riesco a sentire il movimento delle circonvoluzioni del vostro cervello sin da qui.»

Lola sobbalzò e sollevò lo sguardo.

Le porte dell'ascensore si spalancarono e, prima che uscisse, ebbe l'impressione che il preside avesse ammiccato.

L'ufficio di Chronakis aveva pianta ottagonale ed era sormontato da due ordini di cupole affrescate con immagini delle costellazioni, che ruotavano lentamente in concomitanza con i movimenti della volta celeste. Era un tripudio di libri, quadri, orologi e globuli colorati.

Lola notò la presenza di un trespolo troppo grosso. Che genere di volatile avrebbe mai potuto appollaiarsi lì? Un drago?

«Ho un'ospite che mi fa visita ogni tanto» disse Chronakis, intercettando il suo sguardo. «Prego, sedetevi.»

Lola prese posto alla scrivania e il preside suonò un campanello. Poco dopo, una domestica entrò dalla porta con un vassoio imbandito di torte alla frutta, crostate, pasticcini farciti di marmellata, pane appena sfornato, burro, confetture, biscotti e un servizio da tè ornato da delicati motivi floreali. Lo stomaco chiuso di Lola si aprì con un languore.

In tutta la sua vita, non aveva mai visto così tanto cibo per due persone.

«Non fate complimenti.»

Non se lo fece ripetere due volte.

Lola cercò di trattenersi dal riempirsi il piattino con una pila di tutto quel ben di Lyra, ma dopo il primo boccone di crostata perse ogni compostezza.

Chronakis sorrise dietro la tazza da tè e fece un cenno alla domestica. «Grazie, Bianca.»

Bianca si congedò con un inchino e sparì nella stanza accanto.

Parlarono del più e del meno, del tempo di Aragopoli, dei dibattiti della Curia, dello spettacolo del Gioco delle Maschere a teatro e dei pettegolezzi innocenti che circolavano tra gli studenti. Quando Lola ebbe lo stomaco pieno, il preside appoggiò la tazzina da tè sul piatto e aprì uno scomparto della scrivania, estraendo una pila di pergamene rilegate con cura. Le sfogliò senza neanche sfilare i guanti bianchi, quasi stesse esaminando un prezioso incunabolo che non doveva essere danneggiato.

Capì che si trattava di un dossier quando parlò: «Ho letto il suo curriculum. Davvero impressionante. Il massimo dei voti, condotta eccellente, tesi innovativa, parole di encomio dai suoi professori... e non si può dire che lei abbia avuto la strada spianata, a differenza di altri».

Lola cercò di non arrossire troppo.

Il preside richiuse il dossier. «Quando siete intervenuta a lezione, prima, mi sono reso conto che avevate un'aria familiare. Eravate quella ragazza spaesata che tre anni fa si è presentata al test d'ingresso. Parlavate un castreliano stentato, ma noto che lo avete decisamente raffinato.»

Stavolta arrossì davvero. «Vi ricordate di me?»

«Difficile dimenticare una ragazza straniera e senza una famiglia prestigiosa alle spalle che si è presentata sulla porta sventolando sotto il naso di ogni guardia e professore i documenti che attestavano il vostro pieno diritto di sostenere il test.» Chronakis ghignò. «Sono stato più che lieto di concedervi la borsa di studio.»

Lola aprì la bocca, ma la richiuse subito. «Siete stato voi?»

«Certo. Esaminai personalmente il vostro compito e diedi disposizione alla commissione di dipartimento. Felice di constatare di non essermi sbagliato. Odio perdere le scommesse.»

Non stentava a crederlo. Dietro quei modi raffinati, il preside sembrava il genere di uomo che detestava avere torto. Quando era arrivata la lettera di convocazione nella squallida pensioncina di Montelux, per poco non era svenuta tra le braccia del postino. I soldi per l'affitto stavano finendo e la locandiera, una vecchia prostituta che si era ritirata dalle scene, era una donna poco paziente. Le prime notti passate sui materassi del dormitorio erano state così dolci che si era concessa di dormire fino a tardi, finendo per arrivare in ritardo a lezione un paio di volte.

Lola prese coraggio. «Se posso, immagino che non mi abbiate invitata qui solo per riempirmi di complimenti e, ehm... crostata.»

«Mi perdo sempre in chiacchiere. Bianca me lo dice spesso, quell'insolente.» Chronakis sorrise e intrecciò le dita sotto il mento. «Ma in effetti avete ragione, il motivo è un altro: vi voglio nel mio programma speciale.»

***


(1) Aquila arpia

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