2 - 𝘊𝘰𝘮𝘦 𝘦𝘷𝘰𝘤𝘢𝘳𝘦 𝘪𝘭 𝘥𝘪𝘰 𝘥𝘪 𝘶𝘯 𝘤𝘶𝘭𝘵𝘰 𝘱𝘳𝘰𝘪𝘣𝘪𝘵𝘰 𝘪𝘯 𝘵𝘳𝘦 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘭𝘪𝘤𝘪 𝘱𝘢𝘴𝘴𝘪 (Lola pt. I)
IL LIBRO DI ARGOROTH
2.
Come evocare il dio di un culto proibito in tre semplici passi
Lola scoccò un'occhiata furtiva alle mani di Portia (bianche, soffici e curate) e poi guardò le sue (olivastre, piene di calli e con il segno di una bruciatura lunga e stretta sul dorso).
Lì in piedi di fronte al presidente della commissione di laurea e uno stuolo di professori in toga scura e volti torvi come cornacchie, erano le uniche due giovani donne in mezzo a un nutrito gruppo di uomini che a breve sarebbero stati investite del diploma conseguito presso l'Alma Mater dei Segreti e delle Scienze.
Ma se Portia, una volta uscita da lì in uno svolazzo della gonna blu fiordaliso, avrebbe riposto la sua pergamena in un cassetto e debuttato in società con tre anni di ritardo, Lola sarebbe tornata al suo dormitorio, avrebbe messo in ordine lo scrittoio e si sarebbe concessa una settimana di pausa in vista delle lezioni della specialistica.
Sfilò l'orologio da taschino e lo aprì e richiuse con uno scatto nervoso.
Il presidente di commissione aprì un libro sul ripiano del pulpito e cominciò a leggere ad alta voce i nomi dei candidati, il titolo della loro tesi e la votazione. A ogni stretta di mano, tra le panche alle loro spalle si sollevava un boato di applausi che riecheggiava fino alle volte costolonate della sala.
«Lola Cruz» tuonò il presidente.
Lola si irrigidì nel corpetto e batté i tacchi dei mocassini, mettendosi sull'attenti.
Calò il silenzio.
«La signorina Cruz ha dimostrato notevole acume con la pubblicazione del suo studio sulle particelle indipendenti» continuò, rivolgendo uno sguardo alla sala. Aveva le labbra contratte, quasi avesse appena dato un morso al limone. «Per chi non è del mestiere, le particelle indipendenti rappresentano tutti quegli strascichi di magia che viaggiano nell'intercapedine tra i piani di esistenza e che, con apposita strumentazione, possono essere raccolte e utilizzate a prescindere dalla volontà del Dio. La chiesa solare, infatti, insegna che l'unico modo per veicolare l'energia è attraverso la fede e la benevolenza divina. Recenti studi teorici, però, affermano l'esistenza di altri canali che possono essere aperti con le sole forze dell'uomo. E anche se l'estrazione del teone, la particella magica per eccellenza, è ancora un'ipotesi, lo studio della signorina Cruz dimostra quando il dibattito sia acceso e sull'orlo di un punto di svolta mai visto nella storia del mondo.»
Lola cercò di non guardarsi indietro, anche se avrebbe pagato per poter studiare le facce dei presenti. Una giovane donna ricoperta di complimenti in ambito accademico? Lo avrebbero trovato insolito. Sospetto, persino. E la cosa le provocava un certo brivido di piacere.
«Fatte queste considerazioni, la commissione ha votato per concedere alla signorina Cruz la massima votazione cum laude presso il Dipartimento di Fisica Divina dell'Alma Mater dei Segreti e delle Scienze.»
Le ginocchia di Lola ebbero quasi un cedimento. Le persone applaudirono, anche se con poco entusiasmo.
Salì sul palchetto, dove le venne consegnata la pergamena. Strinse le mani ai professori e al presidente di commissione, poi guardò brevemente la sala.
Per un momento, desiderò che la sua famiglia fosse lì. Non per condividere quel traguardo, certo. Solo per sbatterglielo in faccia.
L'unico volto che riconobbe fu quello di Felipe che, anche se era seduto su una panca in fondo alla navata, spiccava con addosso la sua camicia di cotone grezzo, le brache troppo larghe e il gilet rappezzato. Le sorrise.
Alla fine della cerimonia, uscirono a braccetto per i viali alberati che si diramavano nei giardini della città universitaria. Ad aspettarli, tenuti a bada da un paio di guardie della milizia cittadina, c'era un manipolo di fervidi credenti che urlò loro di pentirsi.
«Fanno sempre così?» chiese Felipe.
Fu un sollievo sentirlo parlare nella lingua di Manos de Angeles. Anche i pochi conterranei che frequentavano l'accademia si ostinavano a non farlo. In quei tre anni aveva imparato che le persone si sentivano più a loro agio quando gli stranieri fingevano di rinnegare le proprie origini per integrarsi.
«Spesso» disse Lola. «Soprattutto negli ultimi mesi. I Dicasteri stanno discutendo se trattare la Fisica Divina come un'eresia, ma hanno le mani legate finché il teone non verrà estratto.»
«Quindi è solo questione di tempo.» Felipe fece una pausa. «Forse rimanere a Castrelia potrebbe essere pericoloso, in futuro.»
Lola girò la testa di scatto verso di lui. «Non dirlo neanche.»
«Ma...»
«Mi sono appena laureata, Felipe. Lasciami godere questa giornata in santa pace.»
L'espressione di suo fratello si ammorbidì e le fece un cenno di assenso con il capo. «Hai ragione. Scusa.»
Comprarono un paio di quesadillas da un compatriota che girava per il campus con il suo carretto e andarono a sedersi su una panchina, sotto le fronde di un salice che ondeggiavano nella brezza. Anche quella era una cosa che non faceva più, mangiare quesadillas, non da quando i suoi colleghi ricchi e viziati glielo avevano affibbiato come soprannome, ma non ebbe il coraggio di farlo sapere a suo fratello.
Diede un morso. La tortilla era un po' molle, ma sapeva di casa. Della mamma. Forse l'unica cosa bella che ricordava di Manos de Angeles.
«Potresti prenderti una pausa» disse Felipe. «Venire con me, magari. Salutare tutti.»
«I corsi della specialistica iniziano la settimana prossima.»
«Non li vedi da tre anni, Lo.»
Lola diede un altro morso e masticò lentamente. «Io lì non ci torno» mormorò.
Osservarono un nugolo di piccioni intenti a beccare croste di pane in mezzo alla strada.
«Non capisco come ci riusciate» sbottò. «Vivere in casa con lui, dopo quello che ci ha fatto.»
«Semplice necessità.» Felipe sospirò. «Penso che ci siamo abituati. E poi ha smesso di bere, lui...»
«Ha ucciso la mamma quando eravamo bambini. Ed è rimasto impunito.»
Lola perse l'appetito.
La gente moriva in continuazione nelle colonias di Bejudulce. Si moriva per le malattie, per la violenza in famiglia, per le guerre fra bande e per gli abusi di potere dei soldati. E si moriva anche nelle raffinerie di porfiria, el sangre de la tierra, per i turni di lavoro massacranti e i fumi tossici. Lei aveva rischiato quasi due volte. In effetti era un miracolo che fosse ancora viva, considerando che aveva passato le sue poche ore libere a studiare in segreto per diplomarsi e poter accedere all'istruzione superiore. Se ripensava alla se stessa di quegli anni, vedeva una ragazzina assonnata e denutrita, con i vestiti strappati e i capelli scuri tagliati cortissimi sempre sporchi di fuliggine.
«Anche i nostri fratelli avrebbero voluto esserci oggi» disse Felipe. «Ma sai com'è... i biglietti del Köstner sono costosi. Abbiamo fatto una colletta, sai?»
«Lo so, Fel, non fa niente. Sono felice che tu sia qui.»
«Sei proprio forte, sai?»
Lola si allentò lo scollo del ruff, unico sbuffo bianco nella divisa nera e austera dell'accademia. «Davvero? Non mi trovi ridicola?»
«Te ne sei andata dalle colonias per venire a studiare qui. Ti hanno dato una borsa di studio, e ora sei laureata. Hai una carriera davanti.» Lui le prese la mano, e lei provò l'impulso di sbottonarsi il corpetto per ricominciare a respirare. «Non sei affatto ridicola. Ce l'hai fatta, Lo.»
«Non sarebbe stato possibile se tu non mi avessi aiutata a scappare.»
Lola lo aveva ringraziato centinaia di volte nelle sue lettere, ma sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza. Si costringeva a usare un linguaggio semplice e diretto che non rendeva giustizia a quello che provava, perché Felipe riuscisse a leggerla senza difficoltà.
«Quindi...» suo fratello le lanciò un'occhiata. «Non vieni?»
Non finché nostro padre è ancora lì, avrebbe voluto dire. Non ce ne era bisogno. Felipe lo sapeva. E sapeva anche che ora lei, a differenza sua, poteva permettersi il privilegio di negargli il perdono.
«Mi dispiace» disse Lola. «Anche per me il biglietto è costoso. La borsa di studio non copre spese extra.»
«Ho capito.»
Trascorsero il resto della giornata insieme. Calata la sera, Lola chiamò una carrozza e accompagnò suo fratello in stazione. Lo osservò allontanarsi verso l'imbarcadero, tra i vapori dell'immenso dirigibile ormeggiato nell'hangar. Lo vide mettersi in fila.
«Fel!» Felipe si girò a guardarla. Lola lo raggiunse di corsa e gli gettò le braccia al collo. «Un giorno avrò abbastanza soldi per farvi venire tutti qui.»
Quando tornò al dormitorio, si accorse che la sua coinquilina non c'era. Lucrezia doveva essere andata a festeggiare la sua laurea in letteratura castreliana nella magnificente villa di campagna a Castel di Rosa.
Lola sfilò la divisa maschile, piegò i calzoni sulla sedia, indossò la vestaglia e si coricò sul materasso, gli occhi rivolti al soffitto.
Tritò un po' di melissa con il pestello e mise a scaldare un pentolino d'acqua sul fuoco.
Sperò che facesse effetto quasi subito. Forse se si fosse addormentata, il senso di malinconia che le opprimeva il petto si sarebbe dissolto.
A Lola piaceva avere una divisa e non essere costretta a sfoggiare i suoi abiti vecchi e scuciti in mezzo a tutti quei rampolli di buona famiglia. La vita di una donna straniera in accademia era già difficile così.
Le ci erano voluti mesi di «capricci», come li aveva definiti il segretario del Dipartimento di Fisica Divina, per ottenere il completo maschile. Non perché desiderasse a tutti i costi dare scandalo, ma si trattava di una semplice questione pratica. I calzoni erano oggettivamente più comodi per passare ore a studiare in biblioteca o per muoversi da una parte all'altra del laboratorio. Siccome nessuno sembrava avesse intenzione di ascoltarla, aveva scritto una lunga lettera indirizzata al preside Chronakis elencando tutti i vantaggi di un simile abbigliamento.
Non appena l'aveva imbucata si era chiesta se non avesse osato troppo. Invece, contro ogni pronostico, qualche giorno dopo le erano stati recapitati tre completi identici fuori dalla porta del dormitorio femminile.
Lola uscì dall'appartamento e attraversò i giardini del campus, diretta verso la biblioteca.
Varcato l'ingresso, si trovò un'ampia sala irradiata dalla luce che trapassava i vetri dei finestroni piombati. Le volte affrescate rappresentavano scene di mitologia solare, con i sette arcangeli di Lyra seduti sui troni attorno allo stemma della Curia, l'occhio del dio immerso tra le fronde dell'albero-portale.
Lola trascorreva lì gran parte del suo tempo, a leggere e divorare biscotti, rannicchiata sulle poltrone di fianco al camino di pietra. Scale a chiocciola e scalette erano disseminate tra le scaffalature ricolme di libri rilegati in pelle, manoscritti e incunaboli protetti da grate di ferro.
Passeggiò tra i tavoli di lettura vuoti, globuli e mappe del Dorso di Balena, fino a raggiungere un gruppo di circa quindici ragazzi che stavano aspettando l'inizio della lezione seduti sui divanetti.
Il professor Consoli fece il suo ingresso con una pila di pergamene sottobraccio e l'aria tutta scombinata.
«Signori, buongiorno. Prego, sedetevi.»
Lola prese posto a uno dei tavoli di lettura e tirò fuori dalla cartella la penna d'oca, il calamaio e il quaderno. Quando alzò la testa notò che Tito Vinciguerra si stava facendo largo tra i compagni per andare a sedersi proprio vicino a lei. Cercò di non lasciar trapelare troppo la sua irritazione, anche perché era sicura che lo avesse fatto apposta.
«Immagino che voi del Dipartimento di Fisica Divina non abbiate alcuna familiarità con la teologia applicata» osservò il professore. «È una materia per lo più umanistica, ma nello stilare il programma di quest'anno il preside Chronakis ha ritenuto che fosse necessario dare un'infarinatura anche agli studenti del vostro dipartimento. Vedete, i filologi dei testi sacri e i fisici divini lavoreranno sempre più a stretto contatto, visto il recente dibattito scientifico. È proprio nei testi sacri, infatti, che sono racchiusi i segreti per invocare il favore degli dei, ed è necessario che i fisici possiedano almeno le basi se vogliono sperare di approfondire le loro ricerche e conoscere il modo in cui l'energia divina si muove nell'universo.»
Lola sospirò. Aveva sempre preferito discipline più pratiche, ma non c'era niente che potesse fare in proposito.
La lezione filò liscia per i primi trenta minuti. Poi qualcosa prese a battere contro il parquet intarsiato di motivi geometrici.
Lola alzò la testa dagli appunti e intercettò il movimento di un bastone da passeggio e il frusciare di un lungo soprabito nero pece.
Il professor Consoli ammutolì e si voltò. «Preside Chronakis, non aspettavamo una vostra visita.»
Chronakis vestiva gli stessi colori scuri e austeri delle divise, ma per qualche motivo in quanto a eleganza era capace di far sfigurare quel branco di mocciosi viziati. Le mani guantate di bianco erano appoggiate con delicata fermezza sulla testa del bastone a forma di aquila arpia, gli stivali erano sempre lucidati alla perfezione. Il farsetto, abbottonato fino al mento, era decorato da sottili motivi naturalistici e si stringeva sulla vita, esaltandone la figura altissima e snella.
Non era anziano, avrà avuto al massimo quarant'anni, ma forse, merito di quei capelli bianchi come la luna o dello sguardo intelligente, dimostrava la saggezza di un uomo navigato.
«Disturbo?» domandò con un sorriso.
«Certo che no, preside.»
«Ho pensato di fare visita ai nostri sapienti del futuro. Come se la stanno cavando?»
«Stavo per l'appunto introducendo il programma del corso e spiegavo loro il ruolo che la filologia avrà nelle ricerche. Ero sul punto di illustrare il primo passo del Libro dei Tre Profeti.»
«Testo affascinante, senza dubbio. D'altronde, è quello su cui si fonda la chiesa solare. Mi chiedo in quanti di coloro che protestano fuori dalle nostre aule lo abbiano davvero letto per intero.»
Gli studenti ridacchiarono.
«E voi?» domandò Chronakis alla classe. «Quanti di voi lo hanno finito?»
Lola alzò la mano insieme ad altri otto colleghi. Non era mai stata particolarmente credente, ma si trattava dell'unico libro disponibile in casa quando viveva nelle colonias di Bejudulce, e l'unico su cui era riuscita a esercitarsi per imparare a leggere.
Le labbra di Chronakis si arcuarono in un sorriso sornione. «Quanti di voi lo hanno finito davvero?»
Solo due mani rimasero in aria, tra cui quella di Lola.
Il preside batté il bastone a terra. «Beh, una lacuna che dovrete certamente recuperare.» Esaminò i loro volti per un lungo momento, come se stesse osservando un branco di insetti che si contorcevano sotto il microscopio. «E ditemi, qualcuno di voi ha invece familiarità con Il Libro di Xatozl?»
***
Seconda parte del capitolo in arrivo domenica 2 giugno, ore 11
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