Capitolo 36
Hester sobbalzò quando sentì un rumore che proveniva dal corridoio. Fu nitido, non di quelli attutiti che provenivano da fuori. Si riversò nelle sue orecchie allarmante, facendola risvegliare bruscamente da quell'ovattato stato di trance in cui era caduta. Le orecchie presero a formicolare: era stato come un rumore di passi, lento e soffice. Erano piedi scalzi, non aveva avvertito il familiare suono delle suole delle scarpe che si abbatteva sul pavimento. Era proprio quella caratteristica ad averla fatta sobbalzare. Non poteva esserci nessuno in casa; forse aveva delle allucinazioni uditive?
Ne aveva avute per un po' di tempo quando si era lasciata da Noah. Sentiva la sua voce, le sembrava di udire ancora il suo passo deciso che attraversava le stanze.
Quando aveva preso le sue cose per poi confinarle in soffitta aveva avvertito un senso di vuoto al petto, come se una mano le si fosse infilata nella gabbia toracica per toglierle il cuore. Era stata una sensazione insolita. Se qualcuno lo avesse fatto davvero, allora avrebbe dovuto sentire il dolore che si propagava su di lei come un fuoco alimentato dalla benzina, che diventava sempre più alto. Invece non sentiva niente. Come se il tirare di tendini e lo squarciarsi della carne fosse passato in sordina. Come se qualcuno le avesse somministrato un anestetico così potente da farla sentire sott'acqua.
Non avrebbe dovuto avvertire il cuore che sanguinava? Non avrebbe dovuto percepire un coltello conficcato nelle carni? Perché si era sentita così vuota?
Hester ricordava bene che non era riuscita nemmeno a percepire davvero il dolore dei lividi che le macchiavano la pelle di un orrendo blu. Ricordava che si era buttata sul letto, che le era parso di non avere più la terra sotto i piedi, che si era resa conto di non avere neanche più lacrime da poter versare.
Voleva provare emozioni più di ogni altra cosa ma Noah le aveva portato via tutto.
Noah le stava alle spalle, adesso. La guardava con quegli occhi torvi in cui lei si era specchiata e che aveva temuto per tanto, troppo tempo. La guardava stando in silenzio. Lacrime solitarie le attraversarono la faccia in sentieri fatti di vetro. Hester non riusciva più a sostenere quello sguardo. La sua vita era diventata una poltiglia fatta di annullamento e ricerca ossessiva di ciò che l'aveva resa così vuota.
Sei ossessionata da me.
La voce di James le danzava nel cervello, era uno spillo che si insinuava nelle orecchie di soppiatto per poi penetrare il timpano in un colpo solo.
Si piegò in singhiozzi che solo lei poteva sentire.
Lei e l'uomo che aveva prodotto lo scalpiccio sul pavimento.
*
Era così debole.
Così fragile da essere irritante – lei voleva qualcuno che avrebbe fatto resistenza, Hester invece le dava l'idea di una che si sarebbe fatta dare fuoco senza nemmeno implorarla di non farlo. E Aileen voleva sentire le urla, voleva sentire le parole TI PREGO NON FARLO.
Hester non le avrebbe dette e questo era deludente.
Si sentiva una dea capace di decidere le sorti delle umanità, le sembrava di poter levitare in aria e riuscire a toccare il soffitto se solo avesse voluto. Si era tenuta lontana da James per tutto quel tempo – e non aveva fatto altro che sentirsi sola. Sola, inadatta, costretta a indossare una maschera che pian piano le aveva stretto il viso sempre di più finché non erano comparse delle piaghe marcescenti. Era questo che volevano tutti, no? Essere accettati. Lo aveva detto anche a Hester durante una delle loro sedute.
Aveva raccontato tutto a James. Di come aveva riesumato quella parte di sé che aveva sepolto. Lui le aveva detto che era stata bravissima, che finalmente adesso non era più falsa. Adesso non si meritava più di soffrire, ma prima sì. Solo la sofferenza porta a galla il vero lato di te.
Aveva ragione.
*
Si era immaginato tante volte Aileen con un coltello in mano, ma non pensava che potesse essere così bella con una lama stretta tra le dita e i capelli ruvidi. Camminava con gesti studiati per non fare rumore – per produrre suoni quel tanto che bastava per giocare con Hester. La ferita che le aveva inflitto sanguinava ancora, ma l'avevano ben nascosta davanti agli occhi di Matthew. Ora era messa in mostra come un trofeo di cui Aileen andava fiera – e forse era davvero così, forse era fiera di ciò che era diventata.
James pensò che quello che la loro società diceva fosse una puttanata. Non era vero che un'immagine pulita era bella. Esisteva chi era nato per abbigliarsi con il Male. Con il buio dipinto addosso e gli occhi in cui formicolavano cose sconosciute. Aileen era fra quelle persone; quando la intravedeva a scuola era sempre così curata e al tempo stesso così spenta.
Lo vedeva nei suoi occhi azzurri, vacui. Niente catturava davvero la sua attenzione, si lasciava trascinare dalla corrente della vita. Fino a quando non si erano incontrati e aveva riacceso quel ricordo che era stato sepolto in qualche angolo della sua mente. James sapeva che prima o poi sarebbe stata pronta, che era solo questione di tempo prima che capisse – come del resto era successo anche a lui.
E ora?
Ora era una farfalla letale. Ed era bellissima.
Si avvicinava circospetta a Hester – stava ancora di spalle, aveva paura e James lo sentiva, ma si ostinava a non voltarsi. Forse sapeva che erano loro. Forse anche lei aveva capito da tempo che il suo destino era restare intrappolata nel suo stesso lavoro – forse lo sapeva che aver avuto a che fare con loro l'avrebbe portata a una cosa sola.
Forse era quello che voleva, in fondo.
Nella frazione di un istante iniziò il Primo Atto.
Aileen conficcò la lama del coltello da cucina nella schiena di Hester, che crollò a terra con un verso strozzato. James sentì il rumore delle vertebre che si incrinavano riversarsi secco nelle sue orecchie. Chiuse gli occhi ascoltando la sua stessa tachicardia. Guardò Aileen: le iridi sembravano esserle diventate nere – forse era la luce, forse era la sua percezione alterata, non lo sapeva. Non gli interessava. Adesso le immagini non erano più frammentate, tutto aveva un suo ordine e un suo senso, la luce della casa di Hester sembrava vibrare come un neon guasto. Forse era solo la sua testa ammaccata a dargli quell'impressione, ma ormai non gli interessava più. Gli sembrava che le cellule fossero impazzite. Sentì le pupille dilatarsi come quelle di un gatto quando un gorgoglio riempì il silenzio; la gola di Hester si stava riempiendo di sangue, forse Aileen aveva colpito talmente bene da perforare il collo – aveva raggiunto la carotide?
Era tutto annebbiato e lui voleva vedere, ma quello stato di eccitazione mentale lo faceva sentire in una bolla. Una mano invisibile aveva avvolto quella porzione di cervello utile al controllo degli impulsi. L'aveva messa in ombra, ora non funzionava più e restava attiva solo la parte animale. James voleva avvicinarsi a Hester e bere il sangue mentre scendeva dalle sue labbra. Doveva essere così dolce da dargli alla testa. Era bizzarro il modo in cui quel teatro di violenza stava andando avanti con la sua rappresentazione – in silenzio. Soffocato. Ovattato. Come se non esistesse nemmeno – esisteva invece, vero?
Solo i suoni del dolore riempivano la casa.
Aveva ragione lui, Hester era come Aileen. C'era qualcosa nel suo passato che faceva sì che accettasse persino di essere torturata senza fare una piega. Aileen e Hester erano due ragazze già distrutte, niente ormai poteva distruggerle ulteriormente. La maschera che portavano era funzionale solo alla loro società di merda dove chiunque doveva dimostrare di essere più degli altri. Più bello, più equilibrato, più e basta.
Senza periodi passati in cliniche psichiatriche alle spalle, dove il cervello veniva mangiato dalle domande dei medici a cui in realtà di te non fregava niente. Senza il Nulla che quei posti esprimevano. Forse se non fosse stato per lui e Aileen anche Hester sarebbe diventata uno di quei medici che ti vogliono analizzare senza interesse. Solo per dire che sei malato e farti sentire come se non meritassi niente.
Come se loro fossero migliori.
James cercò di calmarsi. I pensieri correvano troppo veloci, non gli davano tregua. Il niente che era stata la sua mente si era trasformato in uno stagno in cui lampeggiavano i colori più disparati – viola, giallo, blu, rosso. Rosso come il sangue che colava sempre più copioso dalle labbra di Hester, la risata di Aileen come sottofondo.
Violagialloblurosso
Cambiavano a ogni sbattere di ciglia. Cangiavano come le sfere stroboscopiche delle discoteche. Aileen aveva iniziato a sferrare più coltellate a Hester – una due tre quattro dieci non le contava più. Si era perso. Guardava la scena dall'alto. Era il creatore del mostro che stava divorando la sua prima vittima.
I capelli di Aileen adesso erano zuppi di sangue, le stavano appiccicati ai lati e non poteva essere vera – non era la stessa ragazza che aveva fermato alla Stuyvesant High tenendola per un braccio. Era un'altra ma era migliore, anche se sapeva che per la società sarebbe stata terrificante.
Non per lui, comunque.
A lei bastava questo, tanto.
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