Capitolo 32




La casa dei signori Clark si trovava in un grazioso stabile in mattoni, al numero 216 sulla settantottesima strada. Quando entrò dalla porta verde decorata da un arco verniciato si sentì come se il cuore gli stesse affondando in petto. La presenza stessa di Aileen, così vicina e così pulsante, lo destabilizzava. Non aveva voglia di farle del male, però. Non sentiva il bisogno di sbatterla contro il muro e tirarle i capelli fino a strapparli. Avrebbe potuto afferrare un coltello dal cassetto della cucina – la casa era in open space e ci avrebbe messo la frazione di un secondo a percorrere tutta la sala – ma quel qualcosa che gli diceva di muovere le gambe fino a raggiungere un qualunque oggetto tagliente non c'era.

Si sarebbe potuto divertire, con lei.

Avrebbe potuto afferrarla e gettarla a terra e lei glielo avrebbe fatto fare. Poi le avrebbe afferrato i capelli e le avrebbe scavato le guance col coltello fino a disegnarle un onnipresente sorriso sulla faccia. Un sorriso che non si sarebbe scrollata di dosso nemmeno con la chirurgia plastica. Nemmeno con tutti gli interventi che il dottor Clark avrebbe potuto pagare. L'avrebbe trasformata in un clown che nessuno avrebbe mai voluto vedere.

Perché non lo stava facendo?

Pensò a Hester.

Era stata il prezioso aiuto che cercava, la consapevolezza a cui aveva sempre anelato; aveva seguito un istinto quasi primordiale, quando si era presentato in quello studio. Ogni frammento adesso andava al suo posto e tutto appariva tangibile, non più spoglio com'era prima. Prima cercava di afferrare qualcosa che non era certo esistesse. Ora tutto quanto aveva finalmente un senso. 

La complicità di quella ragazza non era stata un caso. Il modo in cui non aveva reagito la sera di Halloween, il suo atteggiamento sempre così debole – così passivo.

Aileen non era mai stata una preda. Ogni suo impulso si era sfogato solo perché era lei a permetterlo. E ora era come se tutto quel tempo non fosse mai passato.

Qualcosa si era acceso dentro di lui. Si sentiva euforico, avrebbe voluto urlare a tutti che aveva capito, anche se l'uomo che lo aveva cambiato restava ignoto. Ma non gli importava più ormai. Voleva solo assecondare l'incendio freddo che gli bruciava dentro.

«Preparo dei pancake» la voce di Aileen coprì il frastuono dei suoi pensieri.

Il contesto era così dissonante rispetto al buio della sua testa che gli sembrava di fluttuare.

«Come va il progetto di chimica?» Aileen glielo chiese mentre si metteva a tirare fuori l'occorrente dalla dispensa. L'atmosfera era conviviale, innocua. Lo faceva apposta, glielo vedeva negli occhi. Così se fosse rientrato qualcuno non avrebbe sospettato niente. E all'improvviso la trovò meravigliosa nella sua bolla di falsità. Chiunque vedeva solo una ragazza ambiziosa, sempre curata. Ciò che di più lontano ci fosse dall'immagine che gli altri avevano della malattia mentale. Posata, studiosa, solare. Il sorriso non le mancava mai. Se Aileen avesse ucciso qualcuno, sul giornale ci sarebbe stato scritto che era gentile e che salutava sempre tutti.

«Bene, penso lo consegnerò in serata» rispose. «Perché me lo hai chiesto?»

«Così» si limitò a dire Aileen. I pancake sfrigolarono nella padella quando ce li lanciò dentro senza alcuna delicatezza. A James venne in mente il rumore che poteva fare il cervello di Aileen se solo glielo avesse asportato da quella sua testa coperta da una cascata di capelli dorati. Lo avrebbe lanciato nella padella e se lo sarebbe mangiato. Si chiese che sapore avessero i suoi pensieri.

«Forse non avremmo dovuto cominciare quelle sedute» la sua voce, esile ma ferma, gli si conficcò nelle orecchie.

«Penso l'esatto contrario» se non fosse stato per Hester tutta quella storia non avrebbe mai avuto un suo posto. L'episodio di Halloween sarebbe stato l'ennesimo picco di sadismo casuale, un frammento del quadro generale con cui lo avevano bollato nell'ospedale psichiatrico. «È stato grazie a Hester che adesso siamo qui.»





*





La guardò, ancora con quegli occhi disturbati, quegli stessi occhi che la facevano sentire come se fosse nuda. I pancake erano pronti. Aileen li mise nei piatti con gesti studiati, poi appoggiò i piatti sul bancone. L'odore dolciastro si diffondeva nell'aria ma James non sembrava intenzionato a mangiare.
Si avvicinò – minaccioso, folle, aggressivo. Lo vide nei suoi movimenti da squalo che voleva fare qualcosa; quei gesti gli erano appartenuti anche la sera di Halloween. C'era già stato quell'avvicinarsi lentamente, quasi girandole intorno.

Ma adesso era tutto diverso.

Aileen lo guardò e sorrise, il suo cervello che fluttuava. Erano così vicini, adesso, che le girava la testa. L'ondata di adrenalina che la investì fu come un terremoto che la scuoteva, dandole l'impressione di impazzire. Rise di una risata bassa, quasi gutturale.

Ma io sono già pazza.

Perché sei stata in clinica, Aileen?

Quanti anni avevi, Aileen?

Una persona normale non sarebbe rimasta lì a guardare – a contemplare – quel ragazzo fatto della paura stessa, mentre si avvicinava con tutta l'intenzione di fare qualcosa di terribile. Lei, invece, non aspettava altro; aspettava di essere uccisa, di essere mutilata, di essere... non lo sapeva nemmeno lei. Bastava che fosse lui a farlo.

James si fermò a pochi centimetri dal suo corpo, ascoltando il suo respiro ansante, con le sopracciglia sollevate e un ghigno freddo di soddisfazione stampato sul volto.

«Aileen» iniziò. La sua voce ora era un cobra. Per lei era una droga, una carezza ingannevole ed elettrizzante allo stesso tempo. «Hester è stata brava. Ci ha riuniti. Da soli non ce l'avremmo mai fatta.»

Silenzio, poi. Un niente fatto di parole non dette, che aspettavano solo di essere abbastanza reali da essere pronunciate davvero.

James la scrutò e lei annegò nei suoi occhi. Le sembrò di vedere la sé del futuro, con i capelli scompigliati e la faccia annegata nel rosso. Un'immagine che risvegliava in lei una trepidazione mai provata. Il labbro prese a tremarle come se stesse per piangere, ma non era tristezza a generare quel tic involontario.

Le sembrò quasi di sentire i respiri di James che si infrangevano sulle sue guance come una risacca. Voleva fondersi col pavimento e voleva ucciderlo nello stesso momento. Voleva che lui le facesse male e voleva cancellarlo.

James non la smetteva di fissarla in quel modo che non avrebbe mai dimenticato – lo stesso modo in cui la guardava quando erano entrambi in clinica e si erano scoperti simili. Quando aveva guardato i suoi occhi e aveva pensato che ci fossero le tenebre dentro.

Erano i suoi occhi ad averle fatto quell'effetto. Konrad c'era e non c'era.

Konrad non esisteva.

Era sempre stato James ad averle suscitato quella curiosità incomprensibile e malsana. Lo capì quando il ragazzo, in un gesto di un'eleganza imperfetta, si scostò i capelli scoprendo una cicatrice. Il tremito agli arti aumentò incontrollato quando Aileen immaginò il rilievo ruvido sotto le dita – perché quella cicatrice era talmente enorme che le sembrò di sentirla al tatto. Si conficcò le unghie nei palmi delle mani mentre immaginava quell'agglomerato di pelle rovinata sotto i polpastrelli.

Attorno alla fronte, in corrispondenza dello scalpo, una linea gli attraversava l'epidermide. Sembrava fatto di un materiale finto, una creatura venuta da un altro mondo.

«Non potevamo essere davvero consapevoli, se non... se non avessimo capito il dolore, comprendi? Sì, vero?»

Si limitò ad annuire, come se fosse sotto ipnosi.

«Ma sì che capisci» disse lui, mettendole una mano sulla guancia. Andò al ciocco di legno che troneggiava in cucina e ne tirò fuori un coltello. Aileen guardò la lama con curiosità morbosa, mentre sentiva un brivido di paura che le correva lungo la schiena e il corpo che fremeva dalla voglia di vedere che cosa avesse in mente. Aveva voglia di capirlo, anche se questo avesse voluto dire...

Cosa? Morire?

La risposta non tardò ad arrivare, nella sua mente. «Fallo» gli sussurrò, e la sua voce era come quella di lui; un soffio, un mormorio appena percettibile, ma intriso di qualcosa di oscuro e inspiegabile, come il groviglio che c'era nella sua testa.

Sul volto di James comparve un sorriso che durò un attimo, che lo fece sembrare un felino in procinto di balzare sulla preda; appoggiò la lama sul suo torace. Aileen rabbrividì, e il respiro le aumentò ancora, di paura, di eccitazione, non sapeva di cosa.

«Lo vedi, Aileen? Hai capito cos'è quell'angolo buio, ora.»

Aileen seppe che quello che sarebbe successo dopo avrebbe impresso qualcosa di indelebile dentro di lei, come una spaccatura con quello che era prima. Aileen stava morendo, l'Altra stava occupando sempre più spazio. Era l'Altra che stava mangiando Aileen. 

Il coltello strappava la sua pelle, lo sentiva; il dolore la pervadeva come una scarica elettrica, andava a fondo, sotto l'epidermide, sotto i muscoli, come un artiglio. Lui la incideva così lentamente che si ritrovò a urlare – delle urla che grattavano l'esofago e lo facevano bruciare – mentre lui la osservava con sguardo esaltato. James si nutriva della sofferenza altrui. Della sua sofferenza. La sua era più divertente, giusto?





I-L-L-A-T-O-C-R-U-D-E-L-E





Ogni lettera era un'agonia, una lenta agonia che lei però desiderava, come se non aspettasse altro, come se non volesse altro che quello. Come se fosse fatta per avere ciò che le stava dando; il suo amore per lui sembrava fuoriuscire da quelle ferite, la pancia ormai era un pezzo di carne martoriato, le lacrime si affacciavano ai suoi occhi. Ma andava tutto bene.

Il sangue sgusciava fuori dai tagli a fiotti inondandole il torace. Se lo sentiva colare persino sulle gambe. Le inumidiva i pantaloni. James la stava sfigurando... proprio come anche lui era sfigurato. Le venne da ridere, e la sua risata sembrò quella di lui, persa, persa, persa, acuta, isterica. Disperata. Una risata nel dolore che le squarciava la pancia. I suoni che produceva la sua carne strappata sarebbero potuti appartenere a un'altra persona, se non fosse stato per quell'incendio sulla pelle.

È divertente, vero?

La risata di James si mescolò alla sua dando vita a una sinfonia di detriti ammassati. Di sentimenti che stazionavano sul fondo dello stomaco. Di un senso di rivalsa nei confronti di chi li aveva sempre voluti normali.

Il ragazzo la guardò serio, freddo, impassibile. La guardò come per dirle che lui aveva immaginato tutto quello sin dall'inizio, che stava solo aspettando che lei uscisse da quell'involucro preimpostato che si chiamava Aileen Clark.

Dalla scatola che conteneva l'Altra.

La aspettava da un bel po', probabilmente.

«Solo la sofferenza porta a galla il vero lato di te», disse. «Ora non sei più falsa.»

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