Il silenzio la avvolgeva.
Doveva spezzarlo in qualche modo.
Doveva sapere, anche se aveva già deciso che avrebbe relegato quel caso in una stanza della sua mente che sarebbe rimasta chiusa a chiave.
«Come sarebbe a dire se le era fatte da sola?» il cuore di Hester batteva troppo veloce, se lo sentiva rimbombare nelle orecchie.
Una domanda che uscì spontanea dalle sue labbra prima ancora che la potesse davvero fermare. La sete di informazioni cresceva col passare degli istanti.
«Aileen aveva forti istinti masochisti, e tutta la sua storia clinica lo confermava. In terapia raccontava di un certo Konrad, di cui però non ha mai voluto dire il cognome. Sospetto che questo ragazzo neanche sia mai esistito, in realtà.»
Quell'ultima frase scagliò in Hester una confusione che la destabilizzò. Non aveva mai preso in considerazione quell'ipotesi; lei stessa era partita dal presupposto che Aileen le stesse raccontando la verità, a differenza di quanto faceva James.
«Come fa a saperlo?» controllò il tono della voce, che le era venuto fuori troppo ansioso. «Voglio dire», si riprese. «È stato verificato che non esiste nessun Konrad?»
La sua tutor sospirò.
«Konrad Schmidt era un paziente del padre di Aileen, questo sì. A seguito del ricovero ho parlato con i genitori, chiedendo loro se vi fossero stati episodi che potessero aver scatenato un trauma riconducibile a questo ragazzo.»
Silenzio.
«Aileen raccontava che si trovavano di notte, la sera, e che lui la costringeva a fare delle cose. Cose orribili, che avevano alterato la sua percezione della realtà. Non ha mai specificato in cosa consistessero, però.»
Hester sentiva la testa girare. Tutte quelle informazioni le si stavano scagliando addosso in modo doloroso. La facevano sentire inutile. Lavoro buttato, impressioni sbagliate. Una fotografia che era solo da stracciare e dimenticare.
«Nei suoi racconti è sempre stato tutto molto vago, ma immagino che con te non sia andata diversamente» asserì la Duncan.
«No, in effetti» disse Hester. Tornò con la mente ai fotogrammi delle sue sedute con Aileen. Al suo sguardo che andava ovunque, la sua postura appassita. Il modo in cui sembrava dire tutto senza specificare niente. «In particolare, durante una seduta, ha detto che Konrad faceva delle cose talmente gravi che a un certo punto è stato chiuso in carcere. Le ho chiesto il motivo, ma lei ha risposto che non poteva dirmelo.»
Pausa.
«Ho attribuito il suo atteggiamento alla paura che nutriva nei confronti di questo ragazzo» rifletté. «Non faceva che guardarsi intorno, mentre parlava di lui. È stato un gesto che ho notato subito; era come se temesse che, in un certo senso, fosse nascosto nella stanza ad ascoltarla. Non aveva senso, eppure sembrava percepire la sua presenza in modo tangibile.»
Riportò alla mente l'espressione di Aileen, i suoi occhi terrorizzati e appena velati di lacrime. Il modo in cui i suoi capelli apparivano disordinati. Tutto in lei suggeriva ansia – delirio, forse. La sua testa era tormentata da pensieri paranoici in cui il ragazzo che l'aveva segnata la perseguitava, anche se era in carcere.
Ma era davvero così che era andata?
Il mal di testa si fece più forte.
«In realtà faccio fatica ad accettare che tutta questa storia non sia che una costruzione mentale» riprese. «Il suo timore nei confronti di questa figura era così vivido. Non ho mai dubitato che stesse dicendo la verità.»
Poteva concedersi di essere fragile in presenza di una collega. Era lì per consultarsi con lei, per cercare di uscire dal tunnel nero che era diventato quel caso. La sua prima esperienza lavorativa stava cercando di inghiottirla. Era disposta a qualunque cosa pur di restare aggrappata alla sanità mentale che le era rimasta.
La dottoressa Duncan assunse un'espressione intrisa di tenerezza. «Il problema di queste persone è che sono loro stesse a credere alle bugie che raccontano. Vivono nelle storie che prendono forma nella loro testa, senza saper distinguere che cos'è reale e che cosa no. Del resto, Aileen mi aveva detto che era stato Konrad a ferirla. Eppure era stata recuperata da una strada sperduta del Queens, quando è venuta da me. Era da sola.»
«Quindi anche Aileen si configura come una persona con profilo psicotico?» Hester non voleva che la sua voce suonasse così incredula.
«Ho paura di sì.» E di nuovo quel tono inquieto, in cui vibravano informazioni indecise se uscire o meno. «Questo spiega perché si sia relazionata con James» concluse. «Ha un pattern di personalità quasi contraddittorio, è incline alle situazioni dannose per sé stessa e contemporaneamente manipola la realtà e le persone. Comunque, l'avvicinamento più recente a James non è il primo.»
Quella frase.
Aveva dato voce a quelli che avevano cominciato a essere i suoi sospetti, da quando la Duncan aveva detto che James e Aileen erano stati ricoverati nello stesso periodo. Quelle domande si erano accese dentro di lei. Erano fulmini che colpivano un masso sgretolandolo subito.
Non era un caso che il suo primo paziente avesse scelto proprio lei, a partire da quel giorno in corridoio – niente, di tutta quella storia, era mai stato davvero casuale.
Le sembrò di vedere tutto.
James che la puntava da lontano. Che la scrutava studiando il momento ideale per ghermirla – forse per risolvere un conto che avevano in sospeso.
Hester realizzò di avere un nodo in gola. Quale conto in sospeso poteva esserci? Erano solo ragazzini.
Si chiese quando sarebbe terminata tutta quella oscurità. La bocca della Duncan si muoveva, ma le parole non si riversavano nelle sue orecchie. Non riusciva a sentire niente. Un fischio di sottofondo la avvertì che il suo cervello stava avendo serie difficoltà ad assorbire tutta quella storia.
«Quando facevamo terapia di gruppo erano come attratti da una sorta di energia magnetica. Come se fossero sintonizzati» riprese la sua tutor. «Non ho mai visto una coppia di pazienti così legati nemmeno nei casi più gravi di folie à deux» concluse. Nella sua voce c'era una sincerità così pulita che Hester avvertì un brivido freddo scivolarle lungo la schiena. «Erano coordinati persino nei movimenti. Se James si alzava dalla sedia, lo faceva anche Aileen. Se guardava fuori dalla finestra, subito dopo gli occhi della ragazza seguivano i suoi. Era come se parlassero una lingua tutta loro che restava invisibile agli altri. Inclusi noi psichiatri che ci occupavamo del caso.»
Era davvero possibile che esistesse una connessione così forte nella malattia mentale? Allora esisteva un mondo in cui non era l'amore a legare a tal punto due persone?
Forse nella mente di Aileen era quella la massima espressione d'amore. Anche se era tutto pervaso da sangue e distruzione. James era diventato l'ossessione di quella ragazza prima ancora che diventasse la sua; in un attimo in cui sentì come se tutto quanto stesse crollando, Hester capì che quello era l'effetto che James faceva alle persone. Le affascinava. Faceva credere loro di essere migliore degli altri. Otteneva la loro ammirazione senza fare niente.
«So solo che James è pericoloso» concluse, l'espressione tesa.
«Sì, lo è.»
Fu come se solo in quel momento avesse capito il significato di quel dialogo fra lei e la Duncan.
James deformava le menti, faceva diventare le altre persone nient'altro che ombre confuse. «Com'è andata a finire tra di loro, poi?»
La dottoressa Duncan strinse le labbra. Delle piccole rughe di espressione le comparvero sul volto, gli occhi si assottigliarono. I fascicoli aperti sul tavolo, il cielo di New York che col passare delle ore si era scurito.
«Poco prima che James venisse rilasciato, Aileen è sembrata percepirlo nell'aria. Il tono dell'umore si è abbassato molto, non parlava più durante le sedute. Non raccontava più di Konrad. Si è immersa nel mutismo.»
Silenzio.
«Ricordo solo che mi guardava tutto il tempo, con una cattiveria negli occhi che non le avevo mai visto addosso. Penso tu sappia di cosa parlo» aveva riconosciuto la consapevolezza nel suo viso, forse. Hester ripensò a James, alla luce sinistra che prendevano le sue iridi celesti quando parlava della paura di Aileen. Non era sicura che fosse la stessa cosa, però. Lo sguardo di James le era parso troppo svuotato, le emozioni sempre mimate. Dalle parole della Duncan trapelava che in Aileen vi fosse qualcosa di ancor più profondo e radicato.
«Ha subìto un netto peggioramento. Era chiaro che fosse dovuto al rilascio imminente di James, eppure non era possibile che lo sapesse. Non potevano interagire tra di loro. Erano isolati: lei perché pericolosa per sé stessa, lui perché pericoloso per gli altri. Eppure...» La voce le si spense in bocca.
Hester la fissò.
«Il loro caso è mai stato risolto?» chiese.
«No», rispose la sua tutor. «Il giorno prima del rilascio di James, come al solito, Aileen non rispondeva alle domande che le ponevo durante le sedute. Ormai mi ero abituata. Ma qualcosa è cambiato.»
«Cioè?»
«A un certo punto ho pensato di farle una domanda chiave. E che avrei tratto le mie conclusioni in base alla risposta.»
«Cosa le ha chiesto?»
«Di cosa fosse fatto il legame con James. Le rivelai che avevo notato il loro modo di guardarsi. Le chiesi se pensasse che quello fosse amore.»
Dal modo in cui la sua voce si era abbassata Hester capì che forse non era pronta ad ascoltare la risposta di Aileen.
«Aileen disse che era fatto di fuoco e distruzione. Che non immaginava amore senza gli occhi di James. Che la sua concezione di amore era occhi ghiacciati e sangue caldo.»
Silenzio.
«Era come se i suoi tratti da bambina fossero cambiati. Sembrava persino più spigolosa. La cattiveria ti trasforma, Hester. La malattia mentale spegne ogni minuscolo spiraglio di luce che un essere umano può avere.»
Pausa.
«Dopo aver terminato la frase mi ha fissata. Ed è cambiata di nuovo. Ha sorriso. Un sorriso che non dimenticherò mai.»
Hester in qualche modo se lo immaginò, quel sorriso. Le venne spontaneo chiudersi nelle braccia e strofinarsi le spalle, anche se nella stanza non c'era traccia del gelo tipico di giornate come quella.
«Aveva gli occhi fissi, vuoti. Da allora è improvvisamente migliorata e poi è stata rilasciata. Nessun altro sembrava aver notato il collegamento con James. Sul lavoro pensavano si trattasse di una casualità se i due ragazzi presentavano sintomi simili.»
«Lei non lo pensa? Che presentassero già sintomi simili dall'arrivo in clinica, intendo.»
«Ho visto com'è mutato il comportamento di Aileen. L'ho monitorata» si irrigidì la Duncan. «E posso garantirti che il cambiamento è stato fin troppo rapido, anche se ovviamente c'erano delle basi dall'inizio.»
Pausa.
«Poi se n'è andata, e di lei non ho saputo più nulla. Ma certe espressioni le ho viste solo sui volti di quei due ragazzi. Non me le scorderò mai.»
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