Capitolo 17
La serata era proseguita in modo tranquillo, tra una chiacchiera e l'altra. Matthew le aveva raccontato che ultimamente vedeva Robert un po' distante. Aveva paura che lo volesse lasciare; Hester non pensava che le cose stessero così. Matthew aveva il brutto vizio di distorcere la realtà nelle sue paranoie, annegandoci dentro. Era così sensibile che le ricordava un bambino bisognoso di affetto.
Robert era una persona molto concentrata sul lavoro – come, del resto, anche lei. Lo capiva, in un certo senso. Se avesse avuto una relazione stabile, probabilmente non avrebbe avuto abbastanza energie mentali da dedicarle. Questo era meglio non dirlo a Matt, ma a volte pensava che fosse normale volere un po' di distanza in relazione. O comunque, evitare di stare tutto il tempo appiccicati.
Matthew aveva avuto bisogno di sfogarsi fino a tardi. Come sempre, Hester lo aveva invitato a dormire; il suo migliore amico diventava apprensivo quando si trattava di Robert, e in ogni caso sapeva bene che, se fosse tornato a casa sua, non avrebbe chiuso occhio.
Avevano parlato del suo nuovo lavoro e gli occhi gli si erano illuminati; gli stava piacendo sempre di più, contrariamente alle aspettative. La nuova stabilità che gli si stava prospettando davanti come social media manager, dopo tanti anni di addetto ai contenuti e al copywriting – lavoro che, comunque, amava – lo rendeva soddisfatto. Hester aveva sorriso mentre quelle parole gli sgusciavano dalle labbra carnose nel loro suono vibrante di felicità. Gli ripeteva sempre che il suo buon gusto lo avrebbe portato da qualche parte, nella vita.
Si ricordava di quando, timoroso, le faceva vedere alcuni scatti che faceva – paesaggi, Robert, animali, fiori, lei, boschi innevati. Matthew catturava la magia con la sua macchina fotografica, immortalando frammenti di vita che sarebbero rimasti vivi per sempre.
Hester aveva trovato la tranquillità nella sua voce. Nel modo in cui raccontava le cose e in cui la teneva abbracciata come si tiene abbracciata una sorella. Aveva trovato qualcosa di consolatorio nel suo profumo, nei tatuaggi che aveva lungo le braccia, nel come le aveva detto "buonanotte" prima di girarsi su un fianco e addormentarsi in breve tempo.
Lei non era riuscita a dormire, invece. Aveva guardato il soffitto – come ha fatto James stamattina mentre pensava a come camuffarsi – e poi si era alzata, perché aveva bisogno di una sigaretta.
In fondo la paura fa sì che la gente ti rispetti, no?
Quella frase. Quella dannata frase, detta in quel modo, non le aveva dato pace tutta la sera. Le era ronzata nella testa come un calabrone. Le aveva pungolato il cervello andando a stanare i ricordi più remoti dagli anfratti del suo passato.
Ebbe paura di presentarsi al lavoro, il giorno dopo. Una vecchia sensazione si fece strada dentro di lei risvegliando la sé di anni prima, insieme a tutti i ricordi legati a quel periodo. E subito si rimproverò – non si smentiva mai – perché non era possibile. Lei, impaurita da un ragazzino di diciassette anni?
Non era possibile, era il suo paziente; era lei che comandava, non lui. Lei aveva il controllo, lui solo l'illusione di avercelo. Ma allora perché si trovava con gli occhi sbarrati nel mezzo della notte? Erano persi tra i grattacieli, il fumo della sigaretta che si levava nell'aria; la finestra aperta dava sullo skyline di New York, che con il suo lampeggiare di luci e le sue vie le ricordava la complessità della mente di James. Intricata, illusoria. Dove c'erano luci solo per trarti in inganno e distrarti dalle vie più oscure. Vie dove c'era sempre qualcuno pronto a rubare ciò che avevi o a ferirti con un colpo di pistola.
La sua attenzione si focalizzò sui battiti del cuore. Le erano aumentati in modo incontrollato. Li sentiva nello sterno, nelle orecchie, nel cervello.
Va tutto bene.
E poi, la vide.
Una piccola scatola sul davanzale della finestra accanto, in legno scuro, con dei ghirigori intarsiati con cura; aveva tutta l'aria di essere un'opera di artigianato che qualcuno aveva confezionato con amore, eppure le scagliò dentro un'ansia lancinante.
Restò paralizzata; in circostanze normali avrebbe svegliato Matt, ma adesso aveva a stento la forza di respirare. Il cuore sembrava scoppiarle nel petto ora. Si guardò intorno, aspettandosi che qualcuno saltasse fuori dal buio e la afferrasse per accoltellarla; passarono diversi istanti, ma non successe niente. La notte scorreva serena, le stelle illuminavano il cielo buio di New York. Matthew continuava a dormire, nessun uomo incappucciato lo uccideva nel sonno. Non c'erano grida, solo il leggero sfrigolare del filtro della sigaretta. Le uniche prove che era entrato qualcuno erano davanti a lei: la finestra aperta e la scatola scura, sconosciuta nella sua casa, a ricordarle che qualcuno era entrato, invadendo i suoi spazi.
Hester afferrò l'oggetto in un gesto rabbioso, aprendo il coperchio di scatto. Le mani erano già sudate. I polpastrelli pizzicavano; la sigaretta un cadavere abbandonato sul davanzale.
Non c'era niente, in quella scatola. C'era solo un biglietto, un rettangolo di carta che imitava un effetto sbiadito con una grafia che ci danzava sopra, elegante, sicura.
L'uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, – un cavo al di sopra di un abisso.
Buonanotte 😊
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