Capitolo 16
«È la cosa più lugubre che abbia mai sentito. Non credo che dormirò questa notte» decretò Matthew, una volta che Hester ebbe finito di raccontare.
«Mi avevi chiesto di dirtelo, se la situazione fosse sfuggita di mano» replicò lei, elusiva.
Mise nei piatti il pollo arrosto che aveva preparato per cena, posizionando poi il tutto in tavola. Matthew intanto stava prendendo bicchieri e posate – non riusciva mai a stare fermo. Non che a lei dispiacesse, visto che comunque passava molto tempo a casa sua.
«Lo so, ma non credevo che si trattasse di una storia così disturbata» si limitò a dire il suo migliore amico, inasprendo la voce sul termine "disturbata".
«Se è per questo, neanche io» si limitò a dire, alzando le spalle, con un sospiro. «E non credo nemmeno che un caso simile sia di mia competenza. Mi aspettavano delle mansioni ben precise, quando ho accettato questo lavoro» precisò, mentre si sedeva. Matthew la seguì a ruota; si accomodò sulla sedia trasparente e si passò una mano in mezzo ai riccioli neri, sollevando il suo braccio magro.
«Beh, lo immagino» disse.
«Quello che mi aspettavo era di avere a che fare con... beh, con i soliti problemi di cui soffrono gli adolescenti. Disordini alimentari, autolesionismo, abuso di sostanze. Cose così» si bloccò, gli occhi che saettavano tra le pieghe di un pensiero. Non avrebbe mai detto che il suo primo caso sarebbe stato così complesso. «Adesso, invece, sospetto di trovarmi di fronte a un caso che riguarda i disturbi di personalità» disse, infatti. «Peraltro, non si tratterebbe nemmeno di uno fra quelli più facili da curare. Non sono pronta per una cosa del genere.»
«Pensare che un ragazzo di soli diciassette anni sia stato in grado di incidere una Y sul corpo della sua fidanzata è davvero macabro» ammise Matthew. Era diventato improvvisamente pallido, e tagliava lentamente il pollo a piccoli pezzi. «Da quanto segui questo caso?»
«Quasi un mese. James ha fatto tre sedute.»
«Cristo» fece il suo amico, bevendo un bicchiere d'acqua.
«La mia teoria è che presenti un pattern manipolatore di personalità. Non so se si possa parlare di disturbo narcisistico, ma» indugiò. «Sia Savannah sia Aileen sono state raggirate abilmente da lui, hanno subito atti violenti e, nonostante tutto, non hanno denunciato. Intanto, nessuno sembra rendersi conto dei problemi che James ha. Avrà anche diciassette anni, ma è un camaleonte. È bravo a nascondere quello che realmente è: se non fosse stato per le due ragazze, io stessa non avrei capito cosa si celasse dietro la sua apparenza da studente modello.»
Matthew stava zitto: sembrava ascoltarla attentamente, seppur con una certa inquietudine. «Che cosa hai intenzione di fare, adesso?» chiese solo.
Hester si alzò dalla tavola, versò un po' di vino in due calici, e guardò il suo migliore amico negli occhi. «Non lo so. Sicuramente ci saranno da approfondire diverse questioni, nelle sedute di terapia. Per esempio, James dovrebbe raccontarmi di quando è stato ricoverato. È una cosa che Savannah ha menzionato, oggi. Pare che gli sia successo qualcosa che lo ha cambiato in modo radicale. La domanda è, perché non me ne ha parlato lui per primo.»
«Queste cose non dovrebbero trovarsi, che so, negli archivi della scuola?» ipotizzò il ragazzo, mentre allungava la mano verso il calice che Hester gli porgeva. Bevve un sorso di vino, poi appoggiò il calice sul tavolo.
«Non credo» rispose lei, sovrappensiero. «Si tratta di questioni personali del singolo studente. E poi, se fosse successo qualcosa di eclatante la dottoressa Duncan me lo avrebbe detto.»
Matthew la fissò, senza sapere cosa dire. «A pensarci bene, sì» ammise poi, «Voglio dire, se fosse stato un ragazzo violento in modo incontrollabile, a quest'ora lo sapresti. Magari non te lo avrebbero neanche assegnato come paziente.»
«Esatto» gli diede manforte. «In fondo, questa è la mia prima esperienza lavorativa. Per quanto io possa aver studiato in merito a disturbi di personalità, quando ti trovi davanti il soggetto che ne ha uno, è comunque diverso. E certi pazienti rischiano di farti perdere il senno.»
Osservò la panna nella sua tazza, pensierosa. «James è sempre stato il genere di studente di cui nessuno sospetta nulla» rifletté poi, ad alta voce. «Non mi stupirei se avesse fatto qualcosa di orribile, facendo poi ricadere la colpa su qualcun altro. Qualcuno che fosse un bersaglio facile.»
«Fa sempre parte dello spettro narcisistico della personalità?»
Hester sospirò.
«Sì. Se non, addirittura, della psicopatia.»
«Senti, Hester» Matthew sospirò, guardandola con aria apprensiva. La ragazza capì subito che quello che il suo amico avrebbe detto da lì a poco le avrebbe fatto male. «Non credo che dovresti proseguire con questa cosa.»
«Perché?» si era irrigidita subito. In realtà, sapeva dove Matthew volesse andare a parare; ma sentirlo dire ad alta voce sarebbe stato doloroso, avrebbe aperto uno squarcio dentro di lei.
«Sei troppo coinvolta. Lo dico per te» la voce di Matt era piena di affetto. «James mi ricorda Noah, per certi versi.»
Lo aveva detto, alla fine. Aveva detto quello che lei in fondo sapeva. Sentirlo pronunciare da qualcun altro, però, aveva quel retrogusto feroce della consapevolezza di starsi raccontando bugie. D'un tratto, un moto di rabbia la investì come un treno.
«Devo andare avanti, Matt. Devo superare questa cosa di Noah. Ed evitare un paziente che gli somiglia non mi aiuterà.»
Il discorso si chiuse lì; fortunatamente, il suo migliore amico aveva capito l'antifona, e non insistette oltre.
Noah stava sfoderando il suo sorriso da ragazzo della porta accanto, mentre parlava con alcuni amici che le aveva appena presentato. Tutti a fissarla, a chiederle cosa facesse nella vita; lei rispondeva che studiava psicologia, sentendosi sul filo del rasoio. Il cuore che le batteva furiosamente nello sterno, la sensazione che, se avesse detto una parola sbagliata, Noah sarebbe tornato a trafiggerla con gli occhi e, una volta a casa, avrebbe dipinto la sua carnagione olivastra con dei lividi violacei. Studio psicologia, mi piacerebbe diventare psicologa relazionale, calmati Hester calmati, è solo una conversazione.
Era incredibile quanto lui riuscisse a essere così dolcemente normale, in presenza di altri. Perché non poteva esserlo anche con lei?
Scosse la testa; si sentì stupida per aver desiderato una cosa del genere. Era ovvio: con lei, lui aveva una confidenza che con altri non aveva. Si faceva vedere in tutti i suoi aspetti, compreso quel lato arrabbiato e senza controllo.
Come aveva fatto la sera prima.
Il dolore cresceva, la sera prima; si faceva incessante, come la sua presenza nella sua vita. Noah non l'aveva nemmeno guardata in faccia; era voltata di spalle, mentre la faceva sua con prepotenza. Era una persona, in quel momento, ma anche qualcos'altro di molto meno importante – una preda, forse. La mano di lui che le graffiava la schiena, perché ne aveva bisogno, aveva bisogno di sentirla urlare di dolore e paura insieme.
Solo quei suoni avevano riempito l'aria della stanza, ed erano stati melodia anche per lei.
«È fantastica, ammiro molto l'impegno che mette in quello che fa.»
Lo spettacolo stava andando avanti, perché lui aveva deciso così. Lui burattinaio, lei burattino.
E quelle erano tutte bugie.
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