Capitolo 15
Si era preparata meticolosamente per quella cena; aveva passato ore davanti allo specchio, passandosi il trucco in modo tale da valorizzare i suoi occhi, ritoccando lo smalto rosso – un colore classico ed elegante, il suo preferito – in modo tale da farlo essere perfetto. Voleva essere un'altra, per quella sera, vestita di normalità e spensieratezza. Voleva non pensare a quella giornata di lavoro che era sembrata eterna; per dire la verità, voleva non pensare a James e Aileen, perché ormai sembrava non esserci altro nella sua testa.
Rachel e Olive l'avevano invitata a un prestigioso ristorante di Manhattan per una sorta di rimpatriata, visto che era da un mese abbondante che nessuna delle tre era riuscita a trovare un buco di tempo. Le aveva conosciute stando con Noah; anche se si erano lasciati, aveva comunque mantenuto l'amicizia con loro.
Rachel era un'importante manager, Olive lavorava come insegnante di letteratura in una scuola superiore di cui ogni volta dimenticava il nome. In realtà non aveva mai avuto chissà quali rapporti di confidenza con loro: quelli erano riservati solo a Matthew. Comunque, erano sempre la compagnia ideale per una serata di divertimento, quando aveva bisogno di zittire un po' i pensieri.
«Hester!» la chiamò Rachel, perfetta come sempre nel suo tubino nero. «Stai benissimo, stasera» si complimentò, mentre la stringeva in un abbraccio. Rachel era sempre stata così: affettuosa, espansiva.
«Grazie» disse, sorridendo raggiante. Aveva fatto del suo meglio: si era messa un abito rosso che non aveva mai indossato, i tacchi alti le slanciavano la figura esile e le autoreggenti le mettevano in evidenza le gambe magre. Aveva già attirato qualche sguardo, non appena era entrata nel locale.
«Quel tipo in fondo ti sta guardando» le disse Olive, avvicinandosi a lei fino a sfiorarle il viso con alcune ciocche dei suoi capelli ricci.
Hester si girò, cercando di intercettare il ragazzo di cui la sua amica stava parlando. Era alto, moro e con gli occhi azzurri. Sembrava molto più giovane di lei...
Il suo cuore ebbe un sussulto. Non poteva essere.
«Hester? Ti senti bene?» la voce di Rachel le raggiunse le orecchie ovattata.
James?
Lo mise a fuoco: era solo vagamente simile al suo paziente. Sospirò, cercando di mascherare l'improvviso senso di oppressione che le aveva stretto il cuore in una morsa.
«Hester?» Olive la chiamò, guardandola con i suoi rassicuranti occhi verdi. «Che succede?»
«Il tizio di cui mi hai parlato mi sembrava un mio paziente» snocciolò. «Uno particolarmente complicato.»
«Penso tu sia molto stressata» le disse la sua amica, dopo averle riservato un'occhiata materna. «Avevi bisogno di uscire un po'.»
«In che senso è molto complicato?» si inserì nella conversazione Rachel, accendendosi una sigaretta.
Avevano preso posto sui divanetti del locale, al centro della sala. Nonostante il marasma generale, quell'angolo era abbastanza appartato da dare a Hester la sensazione di poter parlare indisturbata. Le luci al led viola erano diventate rassicuranti. «Raccontaci» proseguì.
«Si tratta di un ragazzo di nome James» Hester fece spallucce, facendo ondeggiare i capelli castani. Li aveva piastrati appositamente per quella sera, e a ogni suo spostamento oscillavano sinuosi. «Ha una specie di relazione malata con un'altra ragazza... e temo che sfoci in qualcosa di orribile» mentre parlava, sentiva che il suo lavoro si stava infiltrando in ogni sfera della sua vita. Si odiò per questo: finiva a parlare dei suoi pazienti anche quando si era imposta di non farlo. Doveva essere una serata come tante altre, quella: avrebbe dovuto parlare con le sue amiche del tipo che, al bar, le aveva scritto il suo nome con il cioccolato nella tazza del caffè, quella mattina. Oppure di quanto fosse felice per Matthew, e per la sua relazione con Robert. In fondo, dopo Noah, aveva rimesso insieme i pezzi, nonostante gli strascichi di quella notte le rimanessero appiccicati addosso come veli ustionanti. Invisibili alla maggior parte delle persone, ma che bruciavano ininterrottamente.
Aveva venticinque anni, cazzo. Eppure, se ne sentiva addosso mille.
«Sai, Hester, io ti ammiro molto» ammise Olive. «Ti sei ripresa da un'esperienza traumatica, sei andata avanti con la tua vita. Insomma, è vero che Noah era anche nostro amico, ma... comunque ha fatto una cosa che non doveva fare. Non era... giusto.»
«Ha avuto quello che si meritava» rincarò Rachel. «E tu hai fatto bene ad andare avanti.»
Come glielo avrebbe spiegato che, invece, era andata tutt'altro che avanti? Come glielo avrebbe spiegato che era tutta una finzione, che quella notte tornava sempre a bussare alle porte del suo cervello? Aveva iniziato a vedere Noah perfino nei suoi pazienti. E lo andava a trovare in carcere. E...
E avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire di nuovo quelle mani su di lei e le ossa che scricchiolavano.
James aveva ragione.
Stavano tutti fingendo, Aileen stava fingendo.
Stava fingendo anche lei.
«Già» disse, perché tenere su la maschera era importante.
«Mi sei sembrato parecchio colpito da lei. Cosa ti ha impressionato?»
«Il modo in cui sembra portare perennemente una maschera. È abbastanza brava nel farlo, per cui i suoi amici non hanno ancora capito chi sia veramente.»
«Insomma, è vero, tutti noi portiamo delle maschere» continuò, sistemandosi poi i capelli neri in un gesto spontaneo. «Ma lei mente a sé stessa in dei modi assurdi, secondo me.»
James rappresentava una verità che lei non aveva mai preso in considerazione. Quella consapevolezza le invase il cervello come un fiore malato che stava sbocciando, dispiegando i suoi petali neri.
«Voi che mi raccontate?» chiese, interrompendo quel flusso di pensieri.
«Daniel mi ha chiesto di sposarlo» disse Olive, raggiante. «Mi ha regalato un anello bellissimo quando eravamo in viaggio in Francia dieci giorni fa, e...»
Olive si lanciò nella descrizione di come il suo ragazzo si era inginocchiato davanti alla Torre Eiffel, dei turisti che li guardavano, degli occhi adoranti di lui mentre le faceva la fatidica domanda. A Hester sembrava di guardare il film di una vita perfetta. Cosa avrebbe dovuto dire, se non le frasi fatte che si dicevano in quelle circostanze?
«Sono felice per te, davvero. Siete sempre stati affiatati, voi due» riservò alla sua amica un sorriso dolce. Lei e Daniel si conoscevano dai tempi del liceo, e da allora non si erano mai separati. Erano il genere di coppia tranquilla, da favola.
«Bah, io preferisco divertirmi» fece Rachel, scoccando a Olive un'occhiata provocatoria.
«Lo so, ma non costa nulla essere felici per gli altri, sai?» la rimbeccò lei, sollevando un sopracciglio. In fondo, Rachel e Olive erano sempre le stesse di due anni fa: una lo spirito libero del gruppo, l'altra dolce e romantica.
Lei non era più la stessa da un po', in realtà, ma nessuno aveva il coraggio di scavare più a fondo.
Forse anche Aileen si sentiva sola come lei – forse persino James.
Non posso tenermi sempre questa rabbia dentro. È dolorosa, dopo un po'.
Doveva parlarne con Matthew. Quel caso – quel ragazzo – la stava logorando dall'interno.
Prese il telefono e gli scrisse un messaggio: aveva bisogno di cenare insieme a lui il prima possibile.
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