Capitolo 14
La ragazza che entrò la mattina seguente si chiamava Savannah. Hester andò subito a una conclusione: era la fidanzata – ex fidanzata – di James. Capelli biondo grano raccolti in un'ordinata coda di cavallo, occhi nocciola, aspetto acqua e sapone. La bocca era impreziosita da un lucidalabbra alla fragola, il cui profumo aleggiava nell'aria.
«Buongiorno», la salutò, accomodandosi sulla poltroncina di fronte a lei. «In realtà non ho grandi problemi da raccontarle, ma vorrei parlare di una cosa che non ho detto a nessuno.»
«Dimmi pure» Hester fece del suo meglio per essere rassicurante – per farla sentire a suo agio.
«Okay, beh, è... è semplicemente una faccenda troppo grossa» Savannah quasi lanciò la sua borsa verde acqua, piena di ciondoli e pupazzetti pendenti, accanto alla sedia. «E non so come gestirla. Magari esagero io, non saprei. Ma il fatto è» la sua voce si interruppe. «Che il mio ex ragazzo mi ha aggredita, dopo la festa di Halloween. È da allora che ci penso. Non mi do pace. Ovviamente l'ho lasciato.»
«Il fatto che tu abbia interrotto i rapporti con lui è molto importante. Denota che hai una buona autostima, quindi complimenti» disse Hester, suscitando nella ragazza un sorriso colmo di gratitudine.
«Grazie» rispose Savannah, increspando il suo volto delicato. Sembrava una principessa, un'attrice. Hester cominciò a collegare i pezzi: non fu difficile capire per quale motivo James si fosse tenuto accanto una ragazza del genere. Era bellissima, irradiava empatia da ogni poro.
«Che cosa ti ha fatto, di preciso?»
Il volto di Savannah si increspò di nuovo. Il labbro cominciò a tremarle, le palpebre sfarfallarono. Era così dolce... una creatura fragile, indifesa.
«Mi ha tagliata.»
Hester tirò un sospiro. Il silenzio divenne raggelante; quella semplice frase sembrò pesante nel suo significato disturbato.
«Non mi ha tagliata a fondo; la cicatrice non è grave, ma è su tutto il corpo.» Sembrava imbarazzata e terrorizzata insieme, mentre lo diceva.
«In che senso?»
Savannah prese un respiro, lentamente, come se provasse una forte stanchezza.
«Ha preso un coltello da cucina, e ha fatto un'incisione su di me. A Y, come a biologia. Senza motivo. Come se io fossi un animale.»
Scoppiò a piangere. «Ero la sua ragazza, invece» disse. «Ero la sua ragazza» ripeté, mentre le lacrime cadevano copiose sul suo volto roseo, la voce ridotta a un lamento.
«Come ti sembrava? Lui, intendo» le chiese.
Savannah tirò su col naso. «James è sempre stato un ragazzo a posto. Insomma, non è mai stato il genere di persona che fa queste cose. Non era molto affettuoso con me, ma» si bloccò. Forse si era accorta anche lei che le sue parole suonavano poco credibili.
Hester era una psicologa alle prime armi, ma quel discorso le fece già venire in mente un possibile scenario. Una ragazza che sostiene una relazione solo per l'apparenza, quando in realtà si sente sola e trascurata. «Insomma, è sempre stato okay. Fino a quella sera. Sembrava un'altra persona.»
«Ha mai alzato le mani su di te?»
Quella domanda sembrò ustionare Savannah: gli occhi nocciola dalle ciglia lunghe sbatterono di nuovo, come se ci fosse entrato dentro qualcosa di fastidioso. «No, non l'ha mai fatto. Però a volte era strano.»
«Spiegati meglio.»
Savannah spostò di nuovo gli occhi, persa in un ricordo lontano: Hester ebbe la netta sensazione che stesse cercando di riesumare il punto di inizio di una storia che si prospettava lunga e tortuosa.
«Ci siamo messi insieme questa estate. È subito scattato qualcosa, e quando ho saputo che sarebbe venuto alla Stuyvesant sono stata davvero felice. Anche se aveva avuto dei problemi.»
«Che genere di problemi?»
«James non ne ha mai voluto parlare, almeno con me. Non so cosa sia successo di preciso; so solo che è stato per un po' in una clinica psichiatrica.»
Silenzio.
«Quando l'ho conosciuto non ero quella che sono ora, mi spiego?»
«Che vuoi dire?»
«Che mi sentivo inadatta. Solo accanto a lui ho acquistato un senso. Se non fosse stato per James, nessuno vorrebbe essere mio amico, ora. Prima che lui venisse qui, le cose erano molto diverse. E ho dovuto rinunciare a qualcosa, per guadagnare quello che ho ora.»
Per guadagnare
quello che ho ora
Hester restò basita da quella confessione. Savannah appariva un fiore stracciato da un vento troppo forte per farlo restare ben piantato a terra. Come se fosse incapace di rialzarsi da quella relazione perché troppo svuotata per farlo. Era diventata l'ombra di James, troppo insicura per costruirsi un'identità propria.
Aspettò che la sua paziente andasse avanti prima di prendere appunti, sforzandosi di non sospirare.
«Comunque», aggiunse Savannah, e la psicologa seppe che stava per cambiare argomento. In ogni caso, il discorso sarebbe stato approfondito nelle sedute successive. «Ogni tanto era assente, quando ci eravamo appena messi insieme. Ma in quel momento non lo conoscevo abbastanza da addentrarmi in questi discorsi. Non sapevo come comportarmi.»
Hester la squadrò bene: nel modo di fare, di parlare, di essere, era quanto di più differente esistesse rispetto ad Aileen, nonostante in apparenza fossero simili. Avevano una fisionomia quasi uguale, ma Aileen emanava un vissuto che Savannah, con ogni probabilità, non poteva neanche immaginare. Non tanto a livello di esperienza in sé – entrambe le ragazze avevano avuto una relazione tossica – quanto per il modo in cui avevano recepito quell'esperienza.
Aileen aveva una mente diversa.
Savannah incarnava la reazione di una persona equilibrata, spezzata, prosciugata di ogni energia, spaventata. Bisognosa d'aiuto.
Aileen, invece, aveva quel modo di raccontare che rivelava qualcosa di malsano – un morboso appagamento nel trovarsi in situazioni pericolose. Come se avvertisse un senso di appartenenza solamente nella follia.
Tempo fa ho avuto una specie di rapporto con un ragazzo più grande. Si chiamava Konrad. Era un paziente di mio padre.
Il tono con cui aveva pronunciato quella frase – quasi di sincera ammirazione per Konrad – era fuori luogo rapportato a quello che stava raccontando. Completamente su un altro pianeta rispetto alla voce sottile e timorosa di Savannah.
Il quadro era evidente, così come James stesso aveva detto durante le loro sedute: Savannah gli serviva da facciata, Aileen rappresentava quel lato che non faceva respirare mai. Quel lato sbagliato, fuori posto, che ruggiva negli angoli più remoti del suo essere. Ecco perché aveva cercato di annientarla.
«Una volta, però, mi ha detto che avrebbe voluto incidermi con una forbice» la voce della sua paziente interruppe le sue riflessioni. La ragazza, dopo aver detto quella frase, si voltò con fare ansioso, gli occhi allargati come quelli di un cerbiatto impaurito. Come se James potesse sentirla e farle del male perché osava parlare di lui. «Aveva queste fissazioni che mi facevano paura. E poi le ha realizzate.»
La guardò, ancora con quel viso smarrito.
Non disse più nulla.
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