Capitolo 1
Atto Primo – Tutti e tre
1.
New York era caotica, frenetica.
Come la sua testa.
La ammirava e ci si scioglieva dentro mentre percorreva la strada per andare a scuola. Una strada che ormai era abitudine, rumori ripetitivi, chiacchiere, melodia cacofonica dei taxi e dei clacson impazziti. Ciclisti che imprecavano contro chi apriva la portiera dell'auto troppo presto rischiando di farli cadere, minacce di riportare l'accaduto al tribunale federale.
La Stuyvesant High si stagliava alta in quella baraonda, un edificio in mattoni illuminato in pieno dalla nebbiosa luce mattutina. Si lisciò l'elegante maglione color senape che aveva messo sopra una camicia azzurra, mentre ne percorreva l'ingresso. Toccò distrattamente la collana di perle che portava al collo: sapeva che la cicatrice era ancora visibile – anche se era nulla, confronto a quello che era rimasto indelebile dentro di lei.
Il caos che aveva intorno le sembrava ovattato. Il rumore del traffico onnipresente, il prato davanti alla scuola dove gli studenti ripassavano gli appunti o si fumavano una sigaretta, l'andirivieni di ragazzi nuovi e di matricole che venivano portate a vedere le aule, le segreterie, la mensa. La ragazza che pubblicizzava il club di volontariato, quello che cercava di reclutare membri del club di dibattito, e i volantini sul nuovo corso di teatro – tutto era come un gigantesco formicaio, in cui nessuno si dava mai pace.
«Ehi, Lee!»
Jessica – la sua migliore amica – si avvicinò, facendo ondeggiare i lunghi capelli scuri a ogni passo, gli occhiali leggermente appannati per il freddo e la condensa. «Com'è andato il test di psicologia avanzata?»
Aileen controllò il telefono. Sorrise. «Mi è appena arrivata la notifica. Ho preso una A.»
«Te l'avevo detto che questo corso era proprio su misura per te. Il professor Neil ti adora già» disse Jessica, mentre apriva il suo armadietto per prendere i libri di anatomia. Aileen non poté fare a meno di avvertire un altro sorriso spuntare prepotente sulla sua faccia. Poche volte si era sentita in quel modo: le sembrava di aver mosso un piccolo passo verso quello che era il suo obiettivo finale, come se tutti quegli sforzi stessero andando per il verso giusto. E forse se lo meritava, dopo quello che aveva passato.
«Questo non significa che diventerò una brava psichiatra. E tantomeno che riuscirò a sostenere un paziente antisociale.»
«Lee, hai mai considerato di darti alla psicologia clinica, piuttosto che a medicina?» se ne uscì Jessica – come se non l'avesse neanche ascoltata. Faceva sempre così: viveva in un mondo tutto suo.
«Sarebbe da prendere in considerazione, in effetti» disse. «Cioè... non penso proprio che mi troverei male. Resterebbe solo da vedere se riuscirei a fare... beh, quello.»
La prima volta che si sorprese a osservarlo era seduto sulla poltrona di pelle marrone dello studio di suo padre. Louis Clark era ossessionato dall'idea di avere uno studio in casa propria: diceva sempre che, accogliendoli in casa, i pazienti si sarebbero sentiti più a loro agio.
Aileen aveva quattordici anni.
Le parole che aveva letto sul tomo relativo ai cluster B di suo padre erano già diventate come un'ossessione. I pazienti del cluster B erano fatti di sguardi sciolti in pensieri cupi e di rabbia antica, di violenza trattenuta da gesti nervosi e apparente normalità.
Negli occhi di quel paziente c'era il pericolo – selvaggio, incontrollabile – e le era sembrata la cosa più attraente che avesse mai visto.
I suoi occhi rotondi apparivano infossati. Forse era proprio quello a dargli un'aria affascinante – diversa, il volto plasmato per sembrare innocente. Le labbra piene rosse, quasi femminili. La pelle, bianchissima e perfetta, lo faceva sembrare come scolpito nel marmo. I capelli, di un castano che sembrava più chiaro o più scuro a seconda della luce, incorniciavano un volto spigoloso che Aileen trovava perfetto.
Un volto che, però, esprimeva una freddezza inaudita. Come se non ci fosse niente, in quegli occhi che potevano essere quelli di un angelo. Come se quella sfumatura così chiara di colore fosse stata architettata apposta per essere ingannevole.
Perché c'erano le tenebre lì dentro, Aileen lo avvertiva.
«Come sta andando la tesina, a proposito?»
«Ho appena letto un libro molto interessante. Credo mi servirà, è davvero illuminante sulle cause dei comportamenti deviati e criminali di chi ha il disturbo antisociale.»
Jessica sorrise. «Dammi qualche spunto per uno dei miei libri» la incalzò. Aileen ricambiò il sorriso: Jessica, appassionata di crime e horror da che ne aveva memoria, aveva sempre avuto un debole per i lati oscuri delle persone.
«Se vuoi ti presto direttamente il libro» fece spallucce. «Non è un problema.»
Salirono le scale che conducevano all'aula – la A34 – e si infilarono dentro, sistemando le proprie borse ai lati del banco; Jessica, al solito, si sedette davanti a lei.
«Vado un attimo in bagno» disse Aileen, notando che l'insegnante non c'era ancora; sfilò lo smartphone dallo zaino rosa, però, per sicurezza. «Mandami un messaggio appena la Hopkins entra, okay?»
«Certo.»
«Grazie.»
Essere all'ultimo anno, in fondo, era anche questo; coprirsi, fare del proprio meglio per riuscire a mantenere una buona immagine agli occhi dei docenti, e assicurarsi i risultati migliori. Del resto, era quello che volevano fare tutti: Aileen, a volte, aveva come la sensazione di essere immersa in un mare popolato da squali, pronti a divorarla al minimo passo falso. Lei non poteva fallire, oppure tutti i suoi progetti sarebbero andati in fumo – cercava di focalizzarsi su questo, mentre si recava a passo deciso verso il bagno.
Non voleva pensarci. Non poteva farlo, o sarebbe annegata.
Non poteva annegare di nuovo.
Un ritorno alla realtà, l'interruzione dei suoi passi. La testa che veniva strappata ai pensieri che la tormentavano. Qualcuno l'aveva strattonata all'indietro, facendola sbattere contro la parete e tenendola immobilizzata.
Non urlò, non protestò. Rimase lì, arrendevole, passiva; non aveva mai immaginato che un gesto come quello potesse scagliarle dentro una paura così paralizzante, così cocente – così debilitante.
Ma perché non reagiva?
Appena alzò gli occhi su quel ragazzo, si sentì gelare.
Due occhi azzurri la stavano fissando intensamente, come se la stessero studiando: era James Nichols, uno studente nuovo che era arrivato quello stesso anno, e di cui non si sapeva nulla. Si sapeva solo che aveva raggiunto una popolarità immediata, che erano bastati pochi mesi perché si fosse guadagnato la reputazione del più desiderato della scuola. Qualcuno sapeva che aggrediva le persone? Lo aveva già fatto? L'aveva presa di mira?
Domande che si spintonavano senza un criterio, che si sovrapponevano, in un aggrovigliarsi disordinato in mezzo a quell'ansia che le faceva scuotere il corpo esile e delicato. Sul suo braccio pallido sentiva già l'impronta della mano che sarebbe rimasta, a ricordarle quel contatto brutale, improvviso, senza senso.
Nell'istante in cui vide i suoi lineamenti così da vicino, Aileen capì che le avrebbe fatto del male, e che nessuno le avrebbe creduto se fosse andata a raccontarlo.
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