Un nuovo custode
«Sicura che funzionerà?».
«Non abbiamo altra scelta».
Il rumore dei tacchi risuonò nella testa di Ludovico come il rullare di una batteria, le voci al contrario gli giungevano ovattate, deformate. Provava a schiudere gli occhi, ma erano come incollati. Era in un sogno da cui non riusciva a staccarsi, in mezzo alla nebbia, circondato da esseri mostruosi che non aspettavano altro di catturarlo, della quale riusciva solo a intravedere le sagome attraverso quel muro di umidità che gli gelava il sangue fino al midollo, tanto da sentir le ossa tremare dentro la sua carne. Percepiva il battito accelerato del cuore, il respiro affannato gli riecheggiava nella mente, l'odore di zolfo pungeva le narici e gli appestava i vestiti, lo stomaco assalito dai crampi pareva sul punto di scoppiare.
«Se lui l'ha generato, vuol dire soltanto una cosa» la voce della donna era preoccupata «Vuole ritornare e questo non lo possiamo permettere, non ora almeno, i patti non erano questi».
«Forse credeva che il povero Taddeo sarebbe vissuto qualche altro decennio».
«Forse, oppure c'è lui dietro la sua dipartita, li hai letti anche tu i segni sul suo corpo prima che sparissero». La donna aprì l'anta del mobile bar, poggiò il dito sul tappo di single malt scotch whisky, tamburellò su quello di un gin african e presa una bottiglia di grappa fuoriclasse riserva, la rigirò tra le mani. Quelle bottiglie erano tutti suoi doni, glieli portava da ogni suo viaggio, la rimise al suo posto e alla fine scelse del rum nero dei caraibi. Era quello che bevevano assieme nelle occasioni speciali. Versò da bere a entrambi, gli porse il bicchiere.
Angelo, nella sua forma umana, assaporò il liquido scuro, percepì cannella e zenzero, gli lasciò in bocca il sapore della liquirizia, schioccò la lingua :«Qualunque sia la verità, adesso sarà lui a doversi occupare del passaggio».
«L'unica cosa a nostro favore è che la sua parte demoniaca sia ancora dormiente» la donna si avvicinò a Ludovico, sdraiato sul divano nell'ufficio, posto in quella che un tempo era la sagrestia, ordinato e tirato a lucido, dalle tonalità grigie e marroni.
Lo scrutò e i suoi occhi iniziarono a bruciare :«Si è creato una chiave, riuscendo a non far trapelare nulla sulle sue intenzioni, nemmeno ai piani bassi».
La donna andò a sedersi alla scrivania di legno scuro e ben organizzata di Taddeo. L'uomo era un maniaco dell'ordine, tutto sul ripiano era disposto in fila, a distanza regolare. Prese la foto in cui Taddeo, ancora ventitreenne, era seduto sui gradini all'ingresso del bar, assieme a lei in versione felina che si strusciava alla sua schiena. Quel giorno avevano festeggiato un anno di attività. Lei trovava quelle usanze umane ridicole, ma lui era stato il suo custode preferito degli ultimi secoli e le era sempre piaciuto accontentarlo, l'aveva viziato come fosse stato il suo animaletto da compagnia.
«Tan, andrai a dire di Ludovico a chi sai?» Angelo, anche se all'apparenza era tranquillo, trepidava dentro di sé.
Sapeva bene che presto sarebbero iniziati i problemi. Molti demoni minori avrebbero provato a passare illegalmente dall'altra parte, per riuscire a far riemergere il loro signore in quel mondo. Avrebbero usato Ludovico, cercando di far risvegliare il demone che dormiva in lui, così da poter spalancare le porte dell'inferno. Con un semplice custode non sarebbe stato possibile, ma con quelli come il ragazzo era tutta un'altra storia. Per questo le unioni fra demoni, angeli e umani erano state vietate da entrambi gli schieramenti. Si rischiava non solo di causare la fine del mondo, ma dell'intero aldilà e chi comandava, voleva evitarlo.
Erano concesse soltanto una volta ogni secolo o due, sotto stretto controllo. Le conseguenze alla successiva fuoriuscita di demoni maggiori si potevano trovare su i libri di storia. Guerre, epidemie, cataclismi, tutte cose che portavano il genere umano a perdersi, chiudersi in se stesso, smarrire appunto la sua umanità.
Tan rimise la foto al suo posto, raddrizzandola meglio con un dito :«Devo andare, lui saprà dirmi come gestire al meglio la situazione». Si alzò e ancheggiando si mise al fianco di Angelo :«Tienilo d'occhio, l'incantesimo che gli ho fatto dovrebbe rallentare il risveglio della sua natura, ma stando in contatto con così tanti demoni c'è sempre il rischio che si spezzi» mutò in una nuvola di fumo rosso :«O che qualcuno acceleri il processo» e si diradò.
Angelo si versò ancora da bere, gestire quel ragazzo sarebbe stato complicato, ma non impossibile, si disse, cercando di non darsi per vinto. Non poteva lasciarsi prendere dallo sconforto, lui era un angelo caduto, condannato all'inferno. L'unica possibilità che avevano quelli come lui di redimersi e poter tornare così a essere come prima della caduta, era quella di allearsi con l'esercito dei Celestiali in occasione di queste dispute. Ogni volta lui, però si era messo in disparte, rimanendo neutrale.
Era stato leale verso gli Eccelsi, ne aveva guadagnato ingratitudine. Aveva combattuto al fianco dei ribelli e ne aveva ricavato quel suo aspetto ripugnante e la caduta. Una volta nel mondo umano era stato abbandonato da entrambe le parti, adesso l'unica cosa che voleva era starsene in pace.
Accettò il lavoro al bar come supervisore perché così non sarebbe dovuto diventare un abitante dell'inferno, poteva vivere nel mondo umano, anche se non poteva spostarsi dal luogo in cui vi era il portale.
Ludovico finalmente riuscì a dischiudere gli occhi, sbattendo più volte le palpebre. Quando la vista gli tornò a fuoco, la prima cosa che vide fu il lampadario di ferro battuto con le dodici finte candele spente. Si stiracchiò, rendendosi conto di trovarsi su qualcosa di morbido, si girò e si ritrovò col viso a un palmo dalla pelle marrone scuro del divano che stava nell'ufficio di suo zio.
«Che mal di testa» si mise a sedere massaggiandosi le tempie.
Angelo gli porse un bicchiere di rum :«Buon giorno».
«No, grazie» sottolineò scuotendo la mano, alzò di scatto la testa. Perché Angelo era al bar e come c'era finito lui nell'ufficio di suo zio?
«Nottataccia?» con la testa indicò alcune bottiglie vuote accanto al divano.
Ludovico ne rimase sorpreso, in vita sua non si era mai ubriacato a quel modo. Adesso però si spiegava l'emicrania e il non ricordarsi com'era finito lì. Qualcosa però gli sfuggiva, come uno di quei sogni che svaniscono all'alba e per quanto ci si sforzi non si riesce a ricordare nulla.
«Buon giorno?».
Le tende della grande finestra a trilobo erano chiuse, ma una lama di luce riusciva ugualmente a penetrare, rimase per un po' a fissare il pulviscolo svolazzare. Si alzò, dovette poggiarsi alla scrivania, il mondo girava tutto. Raggiunta la finestra aprì la tenda, la luce lo accecò, richiuse subito, una fitta alla testa lo fece pentire di quel suo gesto.
«Che ora è?».
Angelo controllò l'orologio al polso :«10:30».
«Cazzo, devo chiamare mia madre» prese il telefonino dalla tasca dei jeans, trovandolo scarico :«Cazzo, adesso chi la sente».
«Sempre apprensiva Soladea».
«Già» cercò di ricordarsi, dove avesse lasciato il caricatore :«Tu la conosci bene mia madre?» si grattò il mento, forse era di sopra, in quella che un tempo era la soffitta e che suo zio aveva adibito a casa.
«Abbastanza, diciamo che non le andavo tanto a genio».
Ludovico non ne era per nulla stupito, sua madre aveva sempre avuto un carattere difficile.
«Ludovico, dobbiamo parlare».
Il giovane si voltò a guardarlo in faccia, il tono cordiale che possedeva sempre Angelo era svanito.
«Ti ricordi cos'è accaduto questa notte?»
Il giovane provò a ricordare :«No».
«Siediti».
Ludovico fece come ordinato.
Angelo gli si mise di fronte :«Adesso ti mostrerò alcune cose, tu non aver paura». Angelo poggiò due dita alla fronte di Ludovico, tracciando un segno e pronunciò :«In memoriam veritatis».
Gli occhi di Ludovico s'illuminarono, la sua mente si spalancò e seppe di fatti accaduti dalla notte dei tempi, verità nascoste, nomi, luoghi legati tra loro da quel compito che adesso gravava sulle sue spalle. Con esse cresceva in lui la consapevolezza di non potersi tirare indietro, l'accettazione era l'unica possibilità, altrimenti le conseguenze sarebbero state catastrofiche.
Quando quel passaggio d'informazioni terminò, Ludovico si sentiva spossato.
Angelo si versò ancora da bere, ma questa volta optò per la riserva speciale che teneva da parte in un armadietto chiuso a chiave. Liquefied death, distillato da Minosse in persona, si voltò a guardare il giovane, gli dispiaceva per quanto gli stesse accadendo, tutto così di fretta poi, solitamente i custodi erano preparati, ma questa volta sarebbe stato tutto diverso.
«Prova questo».
Ludovico ingollò il liquido trasparente, subito dopo si sentì avvampare e gli mancò il fiato, iniziò a tossire e sputacchiare. Quando si fu ripreso, riuscì a dire :«Che diamine era, fuoco?».
«Distillato direttamente dalle acque del Cocito» gli mise una mano sulla spalla :«Come ti senti?».
«Non lo so, è tutto talmente assurdo» Alzò lo sguardo su chi da quel giorno sarebbe stato il suo collega :«Come mai ti vedo in forma umana?».
«Sei soltanto all'inizio, più apprenderai, meglio saprai riconoscere i demoni e vederli nella loro reale forma».
«Adesso che si fa, andiamo di sotto?».
«Dovremmo sì, ma prima mangia qualcosa, sarà una lunga giornata».
Ludovico si alzò, con la mente in subbuglio, nonostante la visione aveva così tante domande da fare.
Salirono per la scala che si inerpicava nella torre del campanile, raggiunto l'appartamento Ludovico andò a sbattere contro la valigia lasciata all'entrata. I suoi abiti erano sparsi dapertutto, Il pc aperto sul tavolo, pacchetti di sigarette vuoti sul tavolino di fronte al divano, calzini lasciati a terra, cicche di sigarette abbandonate in bicchieri o piatti. Sembrava che fosse lì da mesi e non da giorni.
Angelo non disse nulla, ma dalla sua espressione era ben chiaro che non apprezzasse quel casino. Si chiese com'era possibile che quel ragazzo fosse il nipote di Taddeo.
Ludovico preparò del caffè e si mise a cercare negli armadietti qualcosa da mangiare, riuscì a trovare dei biscotti e del prosciutto in frigo. Da quando era lì non era andato a fare la spesa, così aveva fatto fuori tutto ciò che era già in casa.
Al borbottio della caffettiera Ludovico prese le tazzine, spense e versò, il profumo che emanava era talmente intenso che inspirò a fondo con gusto. Una volta accomodato sorseggiò il caffè, guardando Angelo che se ne stava ritto dall'altro capo del tavolo.
«Lei dov'è ora?».
«Chi?».
«La rossa, la gatta».
«Tan? In giro come sempre, non riesce a stare per troppo tempo qui, si annoia facilmente».
«Avrei voluto parlarle, sai quando tornerà?».
«No, è alquanto lunatica, tornerà quando sarà stanca dei demoni».
Ludovico bevve tutto il caffè, iniziando a rigirare la tazzina osservandone il fondo, come a cercar di legger il significato nascosto in quella macchia. Gli sarebbe piaciuto incontrare la donna, gatto, demone. Dalla visione aveva percepito che lei era un demone tra i più potenti e pensava che domandando a lei avrebbe avuto maggiori risposte su suo zio, ciò che gli era accaduto e su quanto lo attendeva.
«Qualcosa ti turba?»
Ludovico sospirò, poggiandosi contro la spalliera :«Vorrei scoprire cos'è accaduto realmente a mio zio » si grattò il mento con la barbetta di tre giorni :«adesso mi appare tutto sotto una luce diversa, poi quei strani simboli che ha scritto».
«Quali simboli?».
«Quelli sul taccuino che era accanto a lui, me lo ha dato uno dei poliziotti che si è occupato dell'indagine ».
Angelo s'allarmò, che lui sapesse del caso di Taddeo si erano occupati i carabinieri del comando più vicino :«Sicuro fosse un poliziotto?».
«Certo, mi ha detto di chiamarsi Numisma, o qualcosa del genere».
«Posso vedere questo taccuino?».
Ludovico andò a cercarlo nel casino di carte che aveva lasciato sul tavolino, appena lo trovò si mise a sfogliarlo cercando la pagina incriminata :«Ecco vedi? Io non riesco a capire cosa volesse dirmi mio zio».
Angelo appena vide i cinque simboli in fila impallidì. Si trattava dei segni di riconoscimento che lasciavano i demoni accanto al loro nome quando entravano nel regno degli umani, una sorta di timbro. Ma questi erano i segni di demoni di livello superiore, assenti da quella dimensione da diversi secoli. Che Taddeo avesse iniziato a sospettare qualcosa sulle reale origine del nipote e si fosse messo a indagare per conto proprio arrivando a quei nomi? Sicuramente non poteva dire nulla al giovane, l'ultima cosa da fare era dirgli che era per metà demone.
«Non so che dire, dovrei fare delle ricerche».
Doveva trovare il modo di fargli pensare a qualcos'altro, invece di iniziare a fare il detective. Cosa non meno importante, doveva capire chi fosse questo Numisma. Cazzo, proprio ora doveva essere da solo, ci sarebbe voluto l'aiuto di qualcuno di cui potersi fidare. Ma chi fra i demoni mezzi svitati che frequentavano il locale?
Sì, quella sarebbe stata una lunga giornata.
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