Prologo

Ludovico si versò da bere, sfogliò per l'ennesima volta la piccola agenda su cui spiccava a grandi lettere il suo nome sulla prima pagina, quegli strani simboli non era riusciti a trovarli neanche in rete, iniziava a pensare che fossero frutto dell'immaginazione dello zio.

Il bar era chiuso dal giorno prima, in cui si era celebrato il funerale di Taddeo, fratello maggiore di sua madre. Sorseggiò l'ultimo goccio del liquido ambrato, doveva ammettere che suo zio si riforniva di roba bella forte.

Iniziò a tirar somme su quanto sarebbe potuto valere quel buco di posto, allestito in una chiesetta sconsacrata nel centro di Ponteosso. Il mobilio era datato, o meglio vetusto, sembrava di entrare in una di quelle locande che si vedono nelle serie fantasy. Suo zio aveva degli strani gusti, si domandò come mai sua madre non lo avesse mai fatto entrare quelle poche volte che erano saliti a trovarlo.

Il paese era una topaia, andava avanti per inerzia, incastrato sotto le gelide cime di Monte Amaro. Controllava i siti delle poche agenzie di vendita in zona, purtroppo c'era poco da rallegrarsi. L'eventualità di tenerlo era da escludersi, sarebbe stato solo un inutile spreco di denaro.

Qualcuno picchiettò alla finestra, Ludovico trasalì, chi mai poteva essere a quell'ora?

La sagoma di un gatto contro il vetro lo tranquillizzò, l'animale non voleva saperne di andarsene e iniziò un miagolio incessante. Ludovico, stanco della sua insistenza, prese la scopa e andò per scacciarlo, appena aprì la finestra, il gatto fulvo balzò dentro e di corsa andò a sistemarsi sul bancone.

«Dannato animalaccio» disse minacciandolo con la scopa.

«Hai ragione sul dannato».

Ludovico si paralizzò con la scopa alzata a mezz'aria, quell'animale aveva appena parlato, oppure era un'allucinazione dovuta alla stanchezza e alla bottiglia che si era scolato?

«Animalaccio non credo proprio» sotto i suoi occhi, il gatto divenne una nuvola rossa, da cui scaturivano lingue di fuoco, quando si fu diradata, seduta sul bancone al posto del gatto c'era una donna, tremendamente sensuale, i capelli rossi le scendevano fino alla vita, sulle labbra aveva messo un rossetto traslucido, il corpo formoso era strizzato in un corsetto nero e pantaloni di pelle. Accavallò le gambe e sorrise.

Gli cadde la scopa di mano, provò a dire qualcosa, riuscì solo a balbettare. Indietreggiò, si girò e corse alla porta, che non voleva saperne di aprirsi.

«Apriti dannazione». Infilò nella toppa le chiavi, ma non funzionava, la prese a calci, non si mosse di un millimetro. La prese a pugni «Aiuto, aiutatemi vi prego».

«Calmati, non serve a nulla agitarsi tanto, tranne che a farti venire un colpo».

La donna in un battito di ciglia fu tra Ludovico e la porta.

«Come?» trasalì.

La donna lo trattenne afferrandolo per la cinta :«Ascolta, non ho tempo da perdere» lo tirò di più contro il suo corpo, il calore che emanava e la dolce voce, ammaliarono Ludovico :«O meglio, non abbiamo tempo da perdere, sono già passati cinque giorni senza controlli, non oso immaginare il casino che hanno fatto di sotto».

«Di sotto?» riuscì a dire con un filo di voce, guardare negli occhi magnetici di quella donna lo faceva sentire leggero.

«Sì, non sei ancora sceso?».

«No».

«Quell'inetto di Angelo cosa crede di fare?» disse adirata, schioccò le dita e furono trasportati nello scantinato, illuminato da una fioca luce ambrata.

Ludovico a quel punto fu certo che si trattasse di un sogno.

La donna avanzò sicura nello scantinato, la seguì repentino, non gli andava di restare solo in quella situazione allucinante. Il rumore del tacco dodici che indossava riecheggiava in quell'ambiente che stranamente sembrava non finire mai, come se si espandesse a ogni loro passo.

Giunsero in una grande camera ricavata scavando il tufo, c'era un pungente odore di stantio, muffa e zolfo. Seduto a un grande tavolo, nel lato destro della stanza, Angelo era intento a leggersi i tarocchi.

«Iniziavo a chiedermi quando saresti arrivata».

«Io? Questo è un compito che toccava a te».

Ludovico osservava attonito la scena.

La donna si avvicinò al tavolo, vi si poggiò e incrociò le braccia :«Che scusa hai per questo tuo comportamento, sai bene quanto sia -».

Angelo girò un'altra carta e lei iniziò a studiare il loro significato con aria preoccupata :«Se le cose stanno così».

La donna svanì dal tavolo per apparire abbracciata a Ludovico, lo baciò con trasporto e lui ricambiò, soffocando un urlo quando lei gli morse la lingua e succhiò il sangue che ne uscì.

«Adesso tocca a te». Ludovico riuscì solo a ubbidire talmente era forte il controllo mentale che aveva su di lui.

Appena sentì il sapore ferroso in bocca, qualcosa dentro di lui scattò. Per un istante vide la donna per com'era realmente e ne ebbe paura, l'immagine demoniaca svanì, ma non dalla sua mente, rimanendo impressa in un angolo recondito. Si staccò dalla donna che lo guardò stranita.

Ludovico si voltò verso Angelo e non riuscì a trattenere un urlo. L'uomo di mezza età, stempiato, con la barba ingrigita sul mento e la pancetta non esisteva più. Ora seduto al tavolo, stava una figura molto simile a un uomo, ma completamente ustionata. Avena un paio di ali spennacchiate e bruciate che continuavano a stargli attaccate per miracolo.

«Ora possiamo cominciare con le spiegazioni» gli sussurrò la donna all'orecchio poggiandosi lasciva a lui.

Quelle emozioni erano troppe per Ludovico, la testa gli scoppiava, il suo stomaco era in subbuglio, gli si appannò la vista e tutto iniziò a roteare. La donna iniziò a parlargli in una lingua sconosciuta, che lo cullò come una nenia, chiuse gli occhi e si lasciò andare. Adesso c'era soltanto buio e pace.

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