Il ritorno di Marco
Era trascorsa una settimana da quando Ludovico aveva iniziato con il suo ruolo di custode. Lentamente stava prendendo sempre più confidenza sia con i demoni sia con le sue capacità.
Si era reso conto che lui riusciva a distinguere un demone da un semplice umano grazie ad alcuni particolari che sembravano apparire soltanto a lui. Che fossero le corna, il fumo che usciva dalle narici, una coda che sfuggiva da sotto un vestito o, come il cliente abituale a cui stava preparando un caffè lungo, il suo gemello parassita attaccato al collo. Una testa poco più grande di un'arancia, con un paio di centimetri di collo, sulla spalla riusciva a notare del movimento che lo disgustava, non riusciva e non voleva immaginare quale altro pezzo spuntasse, e ringraziò che non potesse vedere attraverso i vestiti come un supereroe.
Ludovico cercava di rimanere concentrato sul volto di Davide, ma era alquanto difficile dato che suo fratello amasse parlare, di ogni cosa, poi andava da un argomento all'altro talmente in fretta che i suoi discorsi erano impossibili da seguire, ironia del caso quale nome si era andato a scegliere il fratellino? Golia. Anche se a lui un nome da umano non serviva poiché lo potevano vedere soltanto i demoni.
Davide si gustava tranquillo il caffè, sfogliando il giornale, attratto dalle notizie sportive, tifava per una squadra di serie B locale, la S.S. Montenese, Golia gli aveva subito spiegato com'era nata su questa sua fissazione, nella squadra giocava un giovane demone per cui aveva perso la testa.
«Hei, c'è la foto della squadra!» Esultò Golia roteando appena il capo «Fai vedere a Ludovico dai!».
«Smettila di rompere o indosso la sciarpa».
«Quanto sei insensibile, nemmeno una piccola soddisfazione vuoi dare a questo tuo povero fratello, che da anni, ma che dico secoli, fa sempre ciò che tu vuoi, decidi sempre tu e io sono stufo».
A Ludovico effettivamente faceva un po' pena, sempre e solo attaccato come una cozza senza poter mai soddisfare i suoi bisogni.
«Sempre la stessa storia» e stizzito, pagò la consumazione, lasciò il giornale sul bancone, salutò e andò via, con Golia che si lamentava per il trattamento ricevuto, ma appena vide entrare Chiara fischiò e si lasciò sfugge ad un commento poco educato sulla giovane, che fortunatamente non poteva né vederlo né sentirlo.
Chiara salutò Davide con uno dei suoi migliori sorrisi.
«Buongiorno capo».
«Buongiorno, com'è andato l'esame?» Prese il giornale per ripiegarlo, ma prima decise di guardare la foto, i suoi occhi si sgranarono, era incredibile, riusciva a notare chi fosse un demone anche se in foto. Il rubacuori era il portiere della squadra, un vero armadio, una sorta di minotauro Grazie che era stato lodato come il miglior portiere del girone.
Chiara indossato il grembiule gli si fermò di fronte e con orgoglio gli mostrò la sua patente A.
«Tadan!» e gliela sventagliò sotto al naso.
«Brava, adesso dovremmo festeggiare».
«Sì, ma Angelo dov'è?».
Ludovico non vedendolo da nessuna parte disse :«Credo che sia di sotto».
«Ok, allora lo aspettiamo» preso il vassoio, iniziò a passare dai vari clienti a controllare se desideravano altro.
Dopo una mezzoretta Chiara tornò dietro al bancone e domandò :«Angelo?».
Ludovico se n'era completamente dimenticato, intento com'era a evitare che un serpente sbucato da chissà dove, se infilasse nella tazza di un normalissimo cliente al suo fianco.
«Non so, vado a controllare».
Se ci stava mettendo tutto quel tempo, era probabile si trovasse al portale, non poteva certo far scendere lei a controllare. Con lo strofinaccio che teneva in mano, colpì la testa del rettile che sibilò stizzito.
«Dannate mosche» disse all'uomo che lo guardò infastidito.
Almeno il rettile era tornato dal suo padrone, intento a giocare a briscola a un tavolino poco distante, l'animale s'infilò su per i pantaloni e Ludovico rabbrividì.
«Vado a controllare» posò una mano sulla spalla della ragazza che le sorrise.
Scesa la scala a chiocciola dai gradini consumati, imboccò la galleria che conduceva al portale e sentì delle voci, erano confuse a causa dell'eco che si veniva a creare, ma molto concitate e c'era più di una persona.
Arrivato, ritrovò Angelo assieme a Tan, il lottatore di sumo che in realtà si chiamava Thiros e un uomo, o meglio un demone, dall'aspetto di un uomo sulla quarantina, capelli castani, occhi neri, atletico e molto alto.
Ludovico deglutì, loro vedendolo si zittirono.
«Qualcosa non va?» Si costrinse a dire per non fare la figura dell'imbranato.
«Sì, è solo che Thiros non vuole timbrare il suo lasciapassare» spigò prontamente Tan andandogli incontro «Ciao Ludovico è bello rivederti» gli girò intorno passando la punta delle dita sul suo corpo, facendo sì che un brivido percorresse tutto il giovane.
«Smettila di giocare, io ho cose importanti da fare» le disse acido lo sconosciuto.
«Calmati, adesso Ludovico risolverà questo piccolo inconveniente».
«Quel timbro non è valido, lo dice l'ultimo comunicato» precisò Thiros.
«Sì, del 1865 dovresti aggiornarti» lo zittì Angelo.
I due continuarono a battibeccare, Tan stufa strappò dalle mani di Thiros il foglio col timbro e lo diede a Ludovico.
«Leggi qua».
Ludovico iniziò a leggere e nel suo cervello si sentì un bip, immagini apparvero di fronte ai suoi occhi, come se fra lui e gli altri fosse spuntata una lastra di vetro tendente al verde che fungeva da schermo. Si sentì strano, come il protagonista di un film fantascientifico, file si aprirono automaticamente, sfogliando, cercando fino a trovare l'argomento che lo interessava.
«Qui sembrerebbe tutto in regola».
I due litiganti si zittirono, Tan riprese il foglio e lo sconosciuto sembrò rilassarsi.
«Adesso che è tutto risolto puoi andare» fece notare Angelo a Thiros che, evidentemente infastidito oltrepassò il varco che si richiuse.
Ludovico rimase a fissare il nuovo arrivato, un campanellino d'allarme nella sua testa gli diceva che avrebbe dovuto fare molta attenzione con lui.
«Bene, allora procederei con il resto delle pratiche» disse più a se stesso che agli altri intanto che occupava posto alla sua scrivania. Aprì il registro e sfogliò fino ad arrivare alla colonna delle entrate.
«Lei è?» Alzò appena lo sguardo da sopra il registro.
«Iorica, ma puoi chiamarmi Marco».
Ludovico segnò l'entrata e gli porse lo spillo, Marco/Iorica si punse la punta del dito e lasciò cadere una goccia del suo sangue accanto al suo nome e subito comparve il suo simbolo.
«Benvenuto sulla terra».
«Come no» e si diresse verso l'uscita.
Ludovico lo osservò allontanarsi, scosse il capo, richiuse il registro e si accorse che Angelo e Tan lo fissavano come se stessero aspettando che gli accadesse qualcosa.
«Che c'è?».
«Nulla, vado ho da fare» disse Tan che si tramutò in gatta e corse via saltellando.
«Dovremmo parlare di una cosa» gli disse Angelo «Quel Marco dovremmo ospitarlo per qualche tempo».
«Come mai?».
«Potrebbe aiutarci a capire qualcosa sulla morte di Taddeo».
«Perché invece di dirmelo, se ne sono andati via tutti?».
«Affari».
«Affari! E speri che io mi beva una scemenza del genere, dovrete iniziare a darmi qualche spiegazione».
«Questa sera, te lo prometto».
Ludovico non era per nulla felice di quella situazione, si era ritrovato a fare il custode di quel dannato posto, strappato dalla sua vita, monotona Sì ma sicura, era stato lasciato la sua ragazza, perché lei in quel buco di posto non si sarebbe mai trasferita, "aveva progetti ben più ambiziosi per il suo futuro che cercare di ripopolare un piccolo borgo", questo aveva scritto nel messaggio che gli aveva mandato.
«Chiara è arrivata?» Gli domandò Angelo deviando l'argomento.
«Sì, ti sta aspettando».
Angelo accelerò il passo, Ludovico invece proseguì lentamente, cercando di mettere ordine nella sua testa su tutte le cose che stavano capitando.
Finalmente, iniziavo a pensare fosse stati inghiottiti in un'altra dimensione» esclamò Chiara andando ad afferrare Angelo per un braccio.
«Dov'è? Fammela vedere dai» le scompigliò il caschetto castano.
Chiara prese la sua patente con la nuova categoria segnata, da oggi si poteva considerare una vera centaura, la passò a Angelo che dopo averle dato un'occhiata gliela ridiede.
«Adesso tocca a te» gli rammentò la ragazza sorridendo.
«Cosa?» S'intromise Ludovico.
«Mi aveva fatto una promessa» disse sorridendo Chiara iniziando a strappare l'alluminio dal collo di una bottiglia di spumante.
«Più che altro è stata un'estorsione» la punzecchiò Angelo.
Ludovico non riusciva a seguire il loro discorso, tra i due aveva notato una certa complicità, ma dopotutto Chiara lavorava lì da ormai due anni, era normale quel tipo do rapporto anche perché lei era amichevole con tutti, anche i demoni la trovavano simpatica.
«Mi ha obbligato a farle guidare la mia moto una volta presa la patente» porse i bicchieri a Chiara che li riempì con lo spumante.
«Hai una moto?».
«Non è proprio mia, la tenevo da parte per un amico» Angelo divenne serio «A proposito Chiara, questo mio "amico" è tornato».
«Davvero? Voglio conoscerlo».
«Ogni cosa a suo tempo, dovremmo chiedere a lui per la moto e non so se-».
«Tranquillo, penso a tutto io, nessuno resiste al mio fascino» e gli fece l'occhiolino, uno dei clienti richiamò la sua attenzione e andò subito a occuparsene.
«Non dirmi che il tuo amico è il tale di prima».
«Già» e per troncare il discorso sul nascere si diresse a un tavolo cui si erano appena seduto dei nuovi clienti.
Ludovico scolò lo spumante che ancora aveva e cercò di pensare ad altro.
Finalmente era giunta l'ora di chiusura, Angelo era andato ad accompagnare Chiara come sempre e Ludovico stava controllando che fosse tutto a posto prima di chiudere le luci.
La porta fu aperta, lo scampanellio attirò Ludovico che senza voltarsi disse :«Mi dispiace siamo chiusi».
«Lo so, sono qui per la camera».
Si voltò e si ritrovò di fronte quel tizio : «Marco giusto?».
«Sì, conosco la strada tranquillo» alzò la mano a fermarlo, Ludovico lo guardò stranito intanto che lo oltrepassava e s'infilava nell'ufficio.
Si affrettò a chiudere la porta a chiave e gli andò dietro, Marco stava salendo per la scala che conduceva al suo appartamento, invece di fermarsi lì continuò a salire. Ludovico si rese conto che ancora non era salito fino in cima, immaginando che vi fosse soltanto il campanile, riprese la sua salita.
Marco aveva aperto una vecchia porta polverosa, dall'altra parte vi era una piccola stanza, molto austera, vi era un vecchio letto singolo in ottone, un armadio a un'anta di quelli che si trovano nelle vecchie case col grande specchio dal lato esterno, un comodino e un'unica finestra.
«Tranquillo so dove stanno le cose, mi hanno già ospitato» si buttò sul letto alzando una nuvola di polvere.
Ludovico era infastidito da quel suo modo di comportarsi, ma dopotutto cosa ci si poteva aspettare da un demone, così si congedò dicendo :«Oook, per ogni evenienza mi trovi di sotto e il mio nome è Ludovico, a domani».
Rispose con un mugugno, appena la porta fu chiusa andò ad affacciarsi dalla finestra, il borgo era un piccolo cumulo di luci ambrate che illuminavano vicoli e piazzette che andavano svuotandosi, la gente ritornata nelle proprie case terminava l'eterno rituale di quelle giornate all'apparenza sempre uguali.
Si accese una sigaretta, ripensando alle raccomandazioni di Tan su Ludovico, nessuna parola sulle sue origini, era ancora tropo presto e come darle torto, se l'avesse saputo forse l'avrebbe allevato insegnandoli i compiti di un custode del suo livello, ma per quanto tempo il sangue del suo sangue non avrebbe sentito il richiamo?
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