Convivenza
Marco attese che Ludovico si fosse addormentato, poi scese lentamente la scala a chiocciola, entrò in quell'appartamento in cui aveva passato tanto tempo. Nonostante il buio lui riusciva a vedere bene, non era cambiato molto, a parte il disordine, sembrava che gli oggetti all'interno dei mobili avessero deciso di andarsene in giro per casa come in quel vecchio film animato che a lei piaceva guardare nonostante conoscesse tutte le battute a memoria.
Cucina e salotto costituiva un unico grande ambiente, la stufa di ghisa era nell'angolo, una finestra dagli infissi di legno ritinteggiati di verde si affacciava sul lato destro del locale, invece su quello che dava alla piazzetta, la parete era occupata per intero da metà rosone in vetro colorato, le sfumature andavano dal blu cobalto al cremisi. Il soffitto era a volta, il bello di aver ricavato la propria casa in una chiesa sconsacrata.
Qua e là ancora s'intravedevano gli affreschi, essi non rappresentavano scene di santi o ispirate ai testi sacri, ma ti portavano sul campo della battaglia che vi era stata tra gli angeli ribelli e l'esercito celeste. Si avvicinò all'angolo di sinistra e cercò tra le varie figure una in particolare.
Con le sue candide ali volava fiero e con la spada trafiggeva il cuore a uno degli angeli che fino a poco tempo prima aveva chiamato fratello. Angelo, o come lo avevano sempre chiamato Belial, solo grazie al suo rango aveva ottenuto il privilegio di non essere rinchiuso all'inferno, anche se nulla riuscì a sottrarlo dalla sua punizione, bruciare vivo per secoli senza mai morire.
Ciò lo calmò parecchio, o almeno era ciò che sembrava, Marco sapeva bene quanto fosse bravo a nascondere le sue vere intenzioni. Si era anche opposto alla scelta di mettere lui come aiutante dei custodi, ma ci fu qualcuno di molto più influente che sembrava non aspettasse altro.
Mise da parte quei pensieri ed entrò nella camera di Ludovico, portandosi a pochi centimetri dal letto rimase a fissarlo, cercano nei suoi lineamenti qualcosa che lo accumunasse alla sua versione umana, ma vi trovò ben poco, era tutto sua madre. I capelli scuri ribelli, gli zigomi alti, il naso dritto, la carnagione, solo nelle labbra differiva, quelle di lei erano carnose, rosee, piacevoli da sentire sulla propria pelle.
Si chinò e tracciò un segno sula fronte di Ludovico per evitare che si svegliasse, si mise cavalcioni su di lui, gli afferrò la testa con entrambe le mani e penetrò nella sua mente. Tralasciò i ricordi più recenti, andando a ritroso di decenni, fino alla sua infanzia, al primo ricordo nitido che avesse di lei.
Era seduto in braccio a lei su di una poltrona e gli leggeva un libro sulla fattoria, ricco d'immagini colorate. Risentire la sua voce, percepire il suo profumo, il calore del suo abbraccio, sentire nuovamente la sua risata, gli fecero dimenticare per un istante di essere un demone. Abbandonò quell'episodio e fece un balzo in avanti, lui non avrà avuto più di sei, sette anni spiava attraverso la porta socchiusa sua madre che piangeva intenta a guardare una foto, una di quelle che si scattavano con l'istantanea, dove nel giro di qualche anno le immagini iniziano a sbiadire e lentamente svanire del tutto, i volti, i paesaggi tutto era dissolto, perso per sempre. Un altro salto, il giorno del suo diploma e lei, sempre bella e raggiante, così come per la sua laurea, i compleanni.
Erano sempre stati solo loro due, in quella casa troppo grande, durante festività che si sarebbero dovute passare in famiglia. Sembrava che lei non fosse riuscita a riallacciare i rapporti con i suoi, anche da Taddeo si era allontanata, o forse a spingerla a evitare quel luogo era Ludovico, voleva tenerlo al sicuro, a distanza dal portale, da lui.
Un altro balzo, al giorno in cui fu convocato per il riconoscimento di Taddeo, poi un poliziotto. Si fermò a studiarlo in quell'uomo vi era qualcosa di familiare, ma essendo dentro un ricordo non riusciva a capire se fosse realmente un uomo o qualcos'altro. L'indomani avrebbe chiesto a Ludovico, magari parlandone qualche piccolo dettaglio gli sarebbe tornato alla mente.
Uscì dai suoi ricordi e si sdraiò al suo fianco, quella situazione era spossante anche per un demone come lui.
Cercare di capire cosa fosse accaduto realmente a Taddeo era importante, non potevano rischiare una qualche fuga di demoni. Poi ripensò a quando era arrivato lì decenni prima, spedito sulla terra a cercare di riparare al casino fatto da un altro demone del suo stesso livello. Se in mezzo a tutta quella storia ci fosse stato lui? Se volesse recuperare ciò che gli era stato tolto e nascosto in quelle terre?
Avrebbe dovuto parlare della sua vecchia missione con Angelo e Tan, magari assieme avrebbero avuto più possibilità di riuscire a raccapezzarsi in quel casino. Ludovico si rigirò nel letto, Marco trattenne il fiato e rimase a fissarlo finché non fu sicuro che continuasse a dormire. Sorrise nel sonno, in quel momento gli venne la stramaledetta voglia di rivederla, ma non poteva farlo, poi lei avrebbe solo cercato di ammazzarlo, se era ancora una testa calda come se la ricordava.
Ludovico si svegliò più assonnato di quando era andato a dormire, seduto sul bordo del letto, si stiracchiò e rimase imbambolato per un poco, meditando se tornare a dormire o alzarsi, ma l'impegno con il portale non ammetteva scioperi e assenteismo, poi doveva pur lavorare al Silta e non approfittare di Angelo. Si alzò, cercò i vestiti e si diresse in bagno, quando aprì la porta della sua camera, s'immobilizzò, fece un passo indietro e richiuse la porta.
«Ma che diamine?».
La riaprì e sì, era tutto vero, casa sua improvvisamente era diventata uno specchio, il paradiso per ogni maniaco dell'ordine e del pulito, non gli sembrava che Angelo avesse accennato a qualcuno che si occupasse delle faccende domestiche. Camminò per la stanza osservandosi attorno, come se si trovasse in un luogo sconosciuto. Sulla cucina la caffettiera con un post-it attaccato "devi solo accendere, guarda nel forno" si chinò, aprì lo sportello e tirò fuori una torta di mele e la poggiò sul tavolo.
Trovò curioso il fatto, si trattava del dolce preferito di sua madre, sgranò gli occhi e istintivamente mise i vestiti contro i boxer, cercò tracce della sua presenza, una valigia, la borsa o un cappello, adorava i cappelli, ma non vi era nulla di tutto ciò.
Entrò Marco, si era scordato di lui.
«Buongiorno».
«Salve» Marco lo squadrò, andò a prendere un coltello dal cassetto e si tagliò una fetta di torta, tolse il foglietto dalla caffettiera e accese il gas «Tu non fai colazione?».
«Io? Sì, prima vado, io ho, insomma a dopo» si chiuse in bagno e tirò un sospiro di sollievo, quel demone, anche se in versione umana lo metteva in soggezione.
Quando ebbe finito, ritrovò Marco seduto a tavola che a braccia conserte lo puntava come un pitbull, sarebbe tanto voluto scappare da lì, ma cercò di comportarsi normalmente, dopotutto non poteva fargli nulla di male era lì per aiutarlo.
Si versò il caffè e presa una fetta di torta prese posto all'altro capo del tavolo,
«Dunque, Marco, tu davvero puo aiutarci a capire cos'è accaduto realmente a mio zio?» sorseggio il caffè «Lo conoscevi da molto, qui tutti ne parliamo bene»
«Ci proverò, non l'ho frequentato molto» "ho preferito la sorella" avrebbe aggiunto, ma era meglio evitare, almeno per il momento o forse era meglio se non lo avesse mai scoperto «Poi se qualcuno va in giro a eliminare custodi va fermato».
A Ludovico in fondo a quegli occhi neri che lo fissavano, gli sembrava di vedere ardere le fiamme dell'inferno da cui era uscito, si chiedeva che diamine avesse da squadrarlo a quel modo, neanche sospettasse di lui per la morte di suo zio, poi le sue ultime parole fecero breccia nella sua mente ancora assonnata.
«In che senso potrebbe esserci in giro qualcuno che uccide custodi? Io sono un custode» Si puntò il viso col dito.
«Tranquillo è solo una possibilità, ma appena verranno a sapere che ci sono io, non commetteranno sciocchezze».
Ludovico già s'immaginava come in uno di quei vecchi film in bianco e nero sulla mafia americana. Lui che sistemava il bar per la chiusura e gli assassini che entravano e facevano fuoco con i loro mitra su tutto e lui. Trivellato di colpi, cadeva a terra morto.
«Adesso sì che sono tranquillo».
Marco lo guardò di traverso.
«Scusa, senza offesa è solo che avere un demone per angelo custode mi sembra alquanto strano».
«Che ricordi hai di tuo zio?».
Ludovico fu spiazzato da quel repentino cambio di argomento.
«Non molti, mia madre non veniva spesso qui, quando capitava affittava un appartamento, praticamente il bar l'ho visto sempre e solo da fuori da bambino».
Sua madre sembrava detestare quel luogo, non le aveva mai chiesto il motivo, pensando che forse come aveva tagliato i ponti con i suoi genitori si fosse allontanata anche dal fratello.
«Tua madre che tipo è?».
«Che c'entra lei adesso?» Gli chiese alzando un sopracciglio.
«Per fare conversazione, almeno la smetterai di pensare che voglia azzannarti».
Ludovico arrossì, "possibile che legga nel pensiero?": «Beh, è mia madre cosa posso dirti, è testarda, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, passionale nel suo lavoro e sempre disponibile» finì la sua fetta di torta «Ti piacerebbe, anche se non credo verrà mai qui, non è venuta neanche per il funerale dello zio».
«Avevano litigato?».
«Sì, non so per cosa di preciso, ma una volta al telefono le ho sentito dire che aveva sbagliato a tornare qui, che non era cambiato nulla e che lui era sempre lo stesso idiota, ipocrita, egoista e tante altre cose che non sto a elencare».
«Credi si riferisse a Taddeo?».
«No» s'incupì e si alzò, non voleva parlare di quella cosa, si era già aperto fin troppo con lui. «Sarà meglio che vada, il lavoro mi attende» si affrettò ad andarsene prima che potesse fargli qualche altra domanda.
Quella volta sua madre al telefono stava parlando di suo padre, era tornata al paese quando lui era fuori per l'estate con gli amici. Lo aveva incontrato, almeno questo aveva dedotto dalla conversazione che era riuscito a origliare, l'aveva visto, abitava ancora lì e si domandò se sapesse di lui, se avesse mai desiderato conoscerlo.
Da bambino chiedeva spesso di lui, sua madre provava a spiegargli che era una persona su cui non si potesse contare e crescendo, iniziò a capire che lui effettivamente non c'era mai. Pensò che sua madre avesse ragione, in fondo gli sarebbe bastata qualche ora di viaggio per incontrarlo o una telefonata, ma non vi era mai stato un avvicinamento da parte sue e alla fine Ludovico aveva smesso di chiedere e di cercare di capire chi potesse essere.
Ma adesso era nuovamente al paese a Ponteosso e lui ancora non si era palesato, oppure era uno dei clienti abituali soltanto che non riusciva o non voleva avvicinarsi a lui, provare a conoscere quel figlio che non aveva mai visto.
Una volta di sotto trovò Angelo in ufficio seduto alla scrivania che controllava delle bolle di consegna.
«Buongiorno» gli disse senza alzare gli occhi dai fogli.
«Buongiorno» si avvicinò, gettò una rapida occhiata ai vari incartamenti felice che fosse Angelo a occuparsi di certe cose «Se sapevo di trovarti già qui ti avrei portato una fetta di torta».
«Torta, da quando prepari dolci?».
«A dire il vero credo l'abbia fatta quel Marco» disse alzando gli occhi al soffitto e abbassando il tono della voce.
«Torta di mele scommetto» sorrise, ricordandosi di quante avesse mangiate quell'estate, alla fine ne era nauseato, ma loro ne andavano matti, tornò serio.
Sarebbe dovuto intervenire o provare almeno a parlargli e far sì che capisse che era meglio non giocare a quel modo con un'umana, ma preferì non dare troppo peso alla cosa, in fondo lei sarebbe ritornata a casa e lui nuovamente rinchiuso all'inferno.
«Angelo potresti venire?» entrò Chiara sorridente come sempre «Buon giorno Ludovico» si fermò alla porta «C'e un fornitore, ma la merce non corrisponde all'ordine fatto» i suoi occhi passavano da Angelo a Ludovico aspettando che uno dei due si decidesse a fare il lavoro che gli competeva.
«Vado io» disse Ludovico «Di cosa si tratta?» e la oltrepassò.
Chiara sorrise ad Angelo e seguì Ludovico iniziando a spiegargli l'accaduto.
Angelo si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, intrecciò le mani dietro la testa, chiuse gli occhi e sospirò.
«Carina la tua amichetta».
«Lasciala in pace, hai già fatto abbastanza danni» gli disse categorico continuando a tenere gli occhi chiusi.
«Non deve essere semplice per "uno come te" trattenersi per tutto questo tempo, soffocare i propri desideri» Marco poggiò le mani sul ripiano della scrivania e diede una rapida occhiata ai fogli sparsi «Perderti in conti e burocrazia degli umani ti aiuta a distrarti?» non riuscendo a fare breccia in quella sua apparente freddezza rincarò la dose «Sai, quasi quasi le chiedo se vuol venire a farsi un giro con me dopo il lavoro, alle donne piacciono ancora i motociclisti dall'aria del bello e dannato?».
Gli andava di provocarlo, era stufo di quel suo lato da tranquillo umano cinquantenne che sembra non aspettare altro di arrivare all'età pensionabile.
«Ascoltami, lascia in pace Chiara, siamo intesi?» Aprì gli occhi, brillavano luminosi come il sole, la luce angelica che sopiva dentro di lui era ancora potente, anche se non poteva utilizzarla.
«Calma amico» disse alzando le mani «Stavo solo scherzando, ho altro cui pensare adesso».
«Anche l'altra volta dicevi di avere un compito importante da svolgere, eppure il tempo di fare lo stronzo l'hai trovato».
«Ho capito, la ragazzina è roba tua, non la tocco» sorrise, sperando di riuscire a irritarlo ancora.
«Chiara non è "roba" di nessuno» non voleva cedere alle sue provocazioni così decise che fosse meglio lavorare dietro al bancone, con la speranza che se ne andasse da qualche altra parte a passare il tempo «Invece di giocare cerca di capire cos'è accaduto a Taddeo».
«Agli ordini capo».
Per quanto gli seccasse ammetterlo Angelo aveva ragione, doveva sbrigarsi a capire cosa fosse accaduto a Taddeo e per farlo avrebbe dovuto cominciare da dove era finito tutto l'ultima volta, l'eremo della Cacciata.
Marco alzò la serranda che rumorosamente si lasciò sollevare con non poche remore, avrebbe dovuto ingrassare l'ingranaggio, con le mani su i fianchi rimase per un attimo a osservare il piccolo garage che si trovava nel vicolo alla destra del locale, era occupato unicamente dalla sua moto, coperta da un telo e lo scaffale con gli attrezzi che occorrevano per la manutenzione e un paio di taniche.
Quella moto era la cosa con cui si era divertito di più in assoluto durante le sue escursioni sulla terra. Certo anche in groppa al suo Cerbero si era divertito durante la guerra dei trent'anni, ma la sua bambina era tutta un'altra storia.
Levò il telo alzando una nuvola di polvere e le girò attorno ammirandola, era bella come se la ricordava la sua Road king nero e cromo, Angelo nonostante lo detestasse aveva mantenuto la parola data e se n'era preso cura. Controllò i chilometri, ci aveva girato parecchio, ma non ce lo vedeva col suo aspetto attuale andarsene in giro per le strade con quel gioiellino.
«Ci facciamo un giro?».
«Tan, come mai da queste parti?» Le diede una rapida occhiata, indossava jeans neri, una camicetta verde e stivaletti di pelle neri.
«Smettila di trattarmi da stupida, cosa credi, che non sappia cosa ti passi per la testa?».
«Sentiamo e cosa vorrei fare oltre un bel giro in moto» preso un panno iniziò a lucidare la sua Bimba.
«Controllare se ciò che hai nascosto è ancora al suo posto» si avvicinò e chinandosi si controllò nello specchietto «Non sono stata informata sui dettagli, ma i miei collegamenti li ho fatti, facendo ricordare a chi era qui all'epoca cose che potevano sembrare inutili».
«Quindi mia grande indagatrice, cosa hai scoperto?» Chiese seccato a causa del tempo che gli stava facendo perdere.
«Decenni fa un demone è stato "umanizzato" non so quale» lo guardò dritto negli occhi per cercare di capire se avesse fatto centro, il suo sguardo però era indecifrabile «A chi è toccato il compito di nascondere la sua essenza demoniaca? A te, sei stato mandato sulla terra per la celare in qualche luogo consacrato e svolto il tuo compito ti sei goduto delle ferie qui al paese».
Marco rise :«Sai, sei diventata davvero brava, adesso puoi anche andare, come potrai immaginare avrei da fare».
«Qui ti sbagli, se ti hanno consegnato alla mia supervisione ci sarà un motivo, quindi dove vai tu andrò io, sarò la tua ombra» si diresse allo scaffale e andò dritta alla scatola contenente il suo casco, era lei a divertirsi ad andarsene in giro con la moto e non Angelo e si era fatta fare un casco personalizzato con ovviamente un bel gatto fulvo su un lato e le fiamme dall'altro. L'altro nero lo porse a Marco.
«Ma che bello, peccato tu non abbia la tua di moto altrimenti avremmo potuto fare come i poliziotti di quella vecchia serie» tolto il cavalletto spinse la moto in strada.
«Chi i CHIPS?»
Marco inforcò la sua Bimba e Tan dopo aver abbassato la saracinesca montò dietro.
«Sì, tu saresti ottima come Jon e io Ponch».
Tan alzò gli occhi al cielo :«Contento tu, ma al ritorno tu sarai la zavorrina».
Messo in moto si avviarono, sperando che ciò che era stato messo al sicuro fosse ancora al suo posto.
Passarono di fronte al Silta e accomodato a uno dei tavolini esterni sul sagrato vi erano Davide e Golia.
«Quello è Marco» disse Davide.
«Che perspicacia» sbuffò il gemello.
«Che ci fa di nuovo qui, quelli come lui non dovrebbero uscire tanto spesso» si grattò il mento.
«Ma se manca da più di vent'anni».
«No, non ti ricordi qualche anno fa è stato di nuovo qui al paese».
«Sicuro fosse lui?» Golia cercava di ricordarsi dell'evento.
«Sì, sicurissimo, litigava con quella donna» picchiettò col dito sulla tempia a cercare di ricordare «La sorella di Taddeo».
«Sarà, ma io non ricordo».
«Certo, con la nocciolina che ti ritrovi in quel cranio».
«Ah, ricominciamo!?».
Un serpente sinuoso scivolò via da sotto il loro tavolino per rientrare, placido ritornare dal suo padrone e sibilargli all'orecchio ciò che aveva udito, l'uomo continuando a leggere il suo quotidiano sorrise, estrasse dalla tasca interna della giacca una moneta raffigurante su un lato una testa di demone, sull'altro una fiamma e la lanciò in aria, la moneta roteò vorticosamente e sparì.
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