Capitolo 9: Imprevisto
Firenze, 1471
La piazza di Santa Maria Novella era caotica, e Neri riusciva finalmente a trovare un senso, uno scopo proprio che lo rendeva legittimamente parte di quel mondo che prosperava nella luce. Mentre prima aveva provato una certa vergogna a mescolarsi tra la folla e a partecipare a quel trambusto gioioso da spettatore, quasi come un guardone invidioso, adesso poteva camminare a testa alta tra i palazzi e le fontane, salutando i monaci domenicani diretti al convento davanti alla basilica che incontrava per strada.
Neri si coprì gli occhi, proteggendoli dai raggi luminosi che si riflettevano sulla superficie chiara della facciata marmorea della chiesa. Quando venivano giocate delle partite di calcio in livrea – soprattutto durante il periodo del Carnasciale – era solito arrampicarsi in cima ai tetti degli edifici più bassi per osservare i nobili gareggiare nella piazza vestiti con i loro abiti sfarzosi, adorava quegli eventi. Tirò fuori la lingua davanti a un ragazzino lentigginoso che lo fissava accigliato e procedé verso l'indirizzo che gli era stato indicato. Doveva limitarsi a consegnare un pacchetto e per quel giorno era fatta.
Il suo nuovo impiego come garzone non era affatto faticoso come si sarebbe aspettato, sebbene lo facesse girare come una trottola per la città. Quando aveva detto a Leonardo che intendeva cercarsi un altro lavoro e pagare una parte dell'affitto, l'amico aveva avuto di che ridire – ma era una cosa normale per lui fare sempre il bastian contrario – così Neri aveva rinunciato a cercare di convincerlo e si era messo alla ricerca da solo. Grazie al suo aspetto ordinato, ai vestiti puliti, e alla lettera di raccomandazione che aveva costretto Leonardo a scrivergli, Neri aveva ottenuto facilmente un lavoro più che onesto.
Era la prima volta che gli succedeva in tutta la vita, e si sentiva orgoglioso di se stesso come non mai. Niente truffe, niente travestimenti, niente pericoli – quasi.
Dei piccioni si levarono in volo sopra di lui e Neri si coprì la testa nel timore di essere colpito a tradimento dagli uccellacci. Si incamminò a passo svelto verso il portico ombroso di un'abitazione poco distante e, giunto al portone, bussò con decisione. Gli venne ad aprire una donna anziana e lo condusse dal padrone di casa. Neri osservò di sottecchi le pareti spoglie, punteggiate qua e là da dipinti di poco valore, e la mobilia di solido legno adorna di chincaglieria spicciola – le vecchie abitudini erano dure a perire. A vederlo, quel posto non valeva nemmeno la fatica di scassinare la serratura, ma Neri era un osservatore abbastanza scaltro e sapeva che una casa così pulita e ben tenuta, con una serva a disposizione, doveva appartenere a qualcuno che possedeva un bel gruzzolo, magari persino qualcuno che diffidava dei banchieri e che preferiva curare personalmente i propri interessi tenendosi stretti i suoi guadagni.
Neri venne fatto accomodare in uno studiolo modesto, come il resto della casa, e il padrone lo raggiunse un momento dopo. Non appena l'uomo gli fece un cenno di saluto con le dita grassocce, invitandolo a sbrigarsi, lui lo riconobbe con orrore: era il tizio che aveva derubato al mercato.
Un improvviso senso di vertigine lo assalì mentre si rendeva conto che non aveva via di scampo. Lottando contro ogni istinto che gli urlava di scaraventare a terra il botolo e scappare a gambe levate, Neri raddrizzò la schiena e si fece avanti stringendo il pacchetto tra le mani sudate. «Ecco a voi messere, il vostro pacco.»
L'altro prese l'oggetto e lo squadrò con curiosità. «Ci siamo già visti per caso?»
Neri mandò giù il groppo che gli si era formato in gola e rispose fingendo una sicurezza che non gli apparteneva: «Non direi proprio, messere. Questo è il mio primo giorno di lavoro.»
Il botolo annuì, poco convinto, ma lo lasciò andare. Neri si voltò verso la porta e uscì più in fretta che fosse possibile senza apparire troppo impaziente.
«Aspetta un momento!» gli intimò l'uomo.
Neri si bloccò con un piede a mezz'aria, e infine si costrinse a voltarsi indietro.
«Hai dimenticato la tua mancia ragazzo.»
Neri lo ringraziò silenziosamente mentre tirava un enorme sospiro di sollievo e si fiondò fuori di lì come se avesse il Diavolo alle calcagna. Aveva il cuore che gli batteva così forte da temere che gli lasciasse dei lividi sul petto.
Proseguì oltre gli obelischi, diretto verso casa di Leonardo, quando a un tratto si sentì afferrare per una manica e venne trascinato in una stradina deserta. Si divincolò e provò a urlare, ma la stretta dell'aggressore era come una tenaglia serrata e una mano ruvida gli copriva la bocca; chiunque l'avesse preso sapeva il fatto suo e riuscì a schivare ogni singolo colpo che Neri provò ad assestargli nelle costole e negli stinchi. All'improvviso il ragazzo avvertì solo aria intorno a sé, ma realizzò troppo tardi la caduta. Finì per sbattere col mento sul lastricato di pietra della strada, senza aver modo di ripararsi il viso con le mani, e l'impatto delle ginocchia lo fece gemere.
«Che c'è, ti sei rammollito?» lo sbeffeggiò una voce familiare.
«Gittato!»
«Non ti si vede in giro da un po' Neri, ora capisco perché. Ti sei dato una bella ripulita, eh?» L'altro ragazzo lo aiutò a rimettersi in piedi. Era molto più alto e robusto di lui, e gli bastò tirarlo su con una mano. Neri lo guardò sorpreso, notando che il suo vecchio amico aveva tagliato i suoi lunghi capelli castani e ne rimanevano ormai solo pochi ciuffi cortissimi che gli stavano dritti in testa come gli aculei di un porcospino; i suoi astuti occhi verdi lampeggiavano divertiti davanti all'espressione ebete di Neri.
«Ti piacciono?» chiese passandosi una mano sul capo. «Gentile concessione del priore Guidacci. Ha pensato che fosse una punizione sufficiente per il mio crimine e io l'ho preferita di gran lunga a una cella nelle Stinche.»
«E il crimine sarebbe?» chiese Neri curioso, sapendo che Gittato andava molto fiero della sua chioma e che non vi avrebbe rinunciato facilmente.
«Te lo racconto se mi offri una caraffa di birra. Oggi è un'occasione speciale per te, dico bene? Bisogna festeggiare» rispose l'altro con un sorriso complice.
Così si ritrovarono in uno squallido locale vicino a Ponte Vecchio, a fare baldoria con la migliore birra che si potesse trovare a Firenze e dintorni. Lo avevano scoperto insieme per caso, un paio d'anni prima, e ci tornavano ogni volta che ne avevano motivo – e possibilità economica.
«E così ora vivi con questo da Vinci, dico bene? Sembra proprio un bel tipo. Magari, ora che sei in confidenza con lui, riusciamo a ricavarci qualcosa...»
«Non dirlo nemmeno per scherzo!» lo ammonì Neri. «Leonardo è un amico e non merita di essere imbrogliato dopo tutto quello ch'ha fatto per me.»
«Va bene, va bene. Come vuoi Neri. Tanto Firenze è piena di gente ricca da mettere nel sacco.» Gittato mandò giù un sorso tutto d'un fiato e ordinò un altro giro. Non era cambiato affatto, sempre vigile e pronto a un altro colpo. Viveva alla giornata ma sapeva darsi da fare e, come Neri, aveva un raro talento nel riconoscere una buona occasione.
Era così che si erano conosciuti da bambini, cercando di fregare lo stesso fessacchiotto, e da allora erano diventati soci. Come lui, Gittato non aveva altri che se stesso, gettato via da chi lo aveva messo al mondo, come suggeriva il nome che gli avevano dato all'Ospedale degli Innocenti, dove era stato abbandonato alla nascita. Una volta aveva confidato a Neri di come spesso avesse pregato il Signore che i suoi genitori tornassero a riprenderselo, come accadeva per alcuni bambini, ma questo non era mai successo a lui; poi aveva avuto la fortuna di essere adottato da un importante monsignore che voleva insegnargli il latino e il greco e farne un rispettato uomo di chiesa, ma questo si era rivelato più interessato ad alcune attività fisiche che non necessitavano di saper leggere e scrivere. Gittato aveva comunque imparato molto da quel sant'uomo, come ad esempio quanto impiega una persona a soffocare con il suo stesso cazzo ficcato giù per la gola.
Neri fu felice nel vedere che se la cavava ancora bene anche senza di lui. Gli raccontò un altro po' di Leonardo e della nuova e inaspettata piega che aveva preso la sua vita, mentre ridevano e scambiavano aneddoti affacciati al Ponte Vecchio a lanciare sassi alle imbarcazioni che percorrevano l'Arno sotto di loro. Era passata da parecchio tempo l'ora dei vespri quando Neri finalmente lo salutò e s'incamminò verso casa.
Nella stanza c'era buio pesto quando aprì la porta ed entrò barcollando. Chiedendosi dove fosse finita la luna, si mise a cercare a tentoni il suo pagliericcio con il solo desiderio di stendersi.
«Dove sei stato fino a quest'ora?» ringhiò nel buio la voce di Leonardo. Neri si accorse solo allora che il giovane era seduto a braccia incrociate in mezzo alla stanza, con la sedia rivolta alla porta da cui era appena entrato.
«Leonardo, non pensavo fossi sveglio» farfugliò lui. «Ero fuori con un amico e ho perso la cognizione del tempo.»
«Ma sei ubriaco?» chiese il giovane alzandosi in piedi. «Incredibile! E io che stavo qui a preoccuparmi che fossi finito ammazzato da qualche parte. Hai idea di quanto fossi in ansia non vedendoti rincasare?»
Neri non capiva cosa ci fosse da preoccuparsi, lui badava a se stesso da quando... da quando ne aveva memoria! «Non dovevi stare in pensiero, ho diciotto anni e posso stare fuori una notte per festeggiare il mio compleanno se mi va!»
«Oggi è il tuo compleanno?» Il tono ferito di Leonardo stranamente lo colpì, e Neri cercò di spiegargli. «Ma, non è proprio...»
«Sai che c'è, lascia stare» lo interruppe l'altro. «Hai ragione, io non ho nessun diritto di farti la predica. Puoi uscire con chi vuoi, andare dove vuoi, quando vuoi. Ora se non ti dispiace me ne vado a dormire, buonanotte.» Neri lo sentì gettarsi sulla sua brandina, e poi il silenzio.
Non sapeva che altro fare, quindi disse: «Va bene, buonanotte.»
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