Capitolo 5: La bottega

Firenze, 1471

Nei due giorni che aveva trascorso insieme a Leonardo, Neri aveva scoperto due cose importanti sul giovane: la prima era la sua natura unica e geniale; la seconda era che circondarsi del caos più completo gli risultava essenziale come l'aria che respirava. Gli oggetti orbitavano nella stanza senza un principio preciso, seguendo il flusso incontrollato di idee che lo dominava persino nel sonno, quando mormorava formule matematiche e termini dai suoni esotici, il cui significato gli era del tutto sconosciuto.

Dal momento che aveva abbandonato il suo lavoro per strada – almeno per il momento – Neri aveva trovato un modo per tenersi occupato nelle lunghe ore che Leonardo passava alla bottega e durante cui non aveva dunque bisogno dei suoi servizi, e allo stesso tempo era un modo per rendersi utile e ricambiare l'ospitalità ricevuta. Purtroppo, come aveva immediatamente compreso, il compito che si era prefisso era alquanto arduo; non appena aveva manifestato la sua intenzione di mettere in ordine il piccolo monolocale e sbrigare le faccende di casa, Leonardo si era opposto vivamente, rifiutando l'idea che qualcuno mettesse mano tra la sua roba. A quanto pareva esisteva un ordine segreto – e inviolabile – che soltanto lui riconosceva.

Per questo Neri gettò avvilito lo straccio, stanco, dopo diverse ore, di girare intorno ai mobili, sollevando le pile disordinate di carte e facendo attenzione a rimetterle esattamente nello stesso punto dopo aver spolverato la superficie sotto di ognuna. Persino il pavimento era ingombro di strani marchingegni!

Rinunciando all'impresa, si afflosciò contro il vano della finestrella che si affacciava sulla via sottostante, concedendosi un goccio del forte alcolico che Leonardo conservava sotto il suo materasso. La strada non era particolarmente affollata a quell'ora del giorno, ma diversi passanti fecero la loro comparsa, impegnati in attività disparate.

Tuttavia qualcosa non tornava.

Notò un uomo bassino con il cappuccio calato sulla testa appoggiarsi disinvoltamente alla facciata di una panetteria lì vicino, godendosi apparentemente i raggi caldi del sole in una bella giornata invernale. Il fatto era che Neri era certo di aver visto lo stesso uomo passare di lì anche il giorno precedente. Una strana sensazione di prurito alla base del collo gli suggerì che non si trattava di una coincidenza.

Alla fine decise che era inutile starsene là a inventare ipotesi fantasiose sullo sconosciuto, e si ripropose di uscire a prendere un po' d'aria fresca. Si incamminò per le vie più trafficate di Firenze, lasciandosi attirare dal chiacchiericcio delle donne e dagli strilli allegri dei monelli, finendo all'incrocio di Via dell'Agnolo con Via Pentolini – dove Leonardo gli aveva detto che si trovava la bottega del suo maestro, Andrea del Verrocchio. Neri immaginò gli artisti che passavano di là per sostenere dei colloqui nella speranza di essere assunti; era un mondo sconosciuto per lui che aveva sempre vissuto tra la feccia della società. Ora che si trovava lì, però, la curiosità iniziava ad avere la meglio su di lui, e Neri si chiese se fosse vietato dare una sbirciatina all'interno – poteva provarci, quantomeno.

L'intonaco intorno al massiccio portone di legno all'entrata era scrostato e caduto via in pezzi da lungo tempo, ma l'edificio aveva nonostante ciò un che di maestoso. L'odore acre di trementina e altri solventi investì Neri non appena ebbe superato l'uscio, seguito immediatamente da un turbine di movimento e colore che lo catturò nella sua spirale – nessuno stava fermo, ogni persona lì dentro sembrava avere un compito ben preciso, e lavorava alacremente per portarlo a termine. Il grande stanzone che si apriva di fronte a Neri disponeva di diverse postazioni: da una parte alcuni giovani erano chini a mescolare pigmenti; dall'altra c'erano alcuni che levigavano tavole di legno, pioppo forse; altri ancora intagliavano o dipingevano su tela.

Neri si fermò ad ammirare il lavoro di un ragazzino più giovane di lui, il ritratto di una madonna illuminata da una calda luce che pareva avvolgerla come in un sogno; i colori con cui era dipinta erano così luminosi e limpidi che credé quasi potesse allungare la mano sottile e sfiorarlo con le dita.

«Chi ti ha dato il permesso di stare qui?»

Neri si trovò di fronte un ragazzo grassoccio e bruttino, con untuosi ciuffi neri che spuntavano da sotto il berretto rosso calcato sul capo. Era diversi centimetri più basso di lui e le guance rubiconde gli davano un aspetto infantile, ma a giudicare dal contegno autoritario con cui si atteggiava doveva essere di qualche anno più vecchio dei colleghi nella bottega, e di Neri stesso. Lui si sentì inchiodato dallo sguardo torvo del ragazzo e lo fissò come un baccalà, senza spiccicare parola.

«Sta' buono Pietro, e tornatene a lavoro, che a questo qui ci penso io. È con me.» La calda voce di Leonardo gli provocò un moto di sollievo tale che Neri quasi si accasciò contro di lui quando il giovane gli mise un braccio intorno alle spalle e lo tirò via dicendo: «Vieni, amico mio. Non dar retta a quello lì.» Poi, sottovoce, aggiunse: «Pietro di Cristoforo Vannucci gioca a fare il padrone, ma non è un granché come pittore se vuoi il mio parere.» La sua risata sommessa riverberò attraverso Neri nel punto in cui i loro corpi aderivano.

«Mi dispiace» disse lui imbarazzato. «Non volevo causare problemi. Ero solo curioso e...»

«Ma quale problemi? Anzi, hai fatto bene a venire. Guarda là.» Leonardo gli indicò la parte più distante della stanza, dove alcuni ragazzi erano intenti a scribacchiare sui loro blocchi da disegno. «Vedi quelle stoffe? Sono drappeggiate su dei modelli di terra, così che gli allievi ne copino alla perfezione ogni singola piega... Anch'io ho eseguito spesso quell'esercizio, sai, quando ero solo un apprendista. Ma ora sono un assistente del maestro e lo aiuto nei suoi lavori più importanti» concluse con orgoglio.

«Ma guardate come si pavoneggia il nostro Leonardo. Non dovresti essere con il maestro, anziché irretire bei giovinetti con parole altisonanti?»

Neri sentì il ragazzo irrigidirsi leggermente contro di lui e ritirare immediatamente il braccio che gli teneva ancora sulle spalle nel modo più naturale che gli riuscì.

«Sandro, anche tu qui. Pensavo ti fossi messo in proprio, devo supporre quindi che ti abbia invitato il maestro.»

«Sì, mio caro Leonardo. Forse avremo ancora occasione di lavorare insieme.»

Neri osservò con soggezione i lineamenti cesellati ed eleganti del nuovo arrivato, il modo in cui la sua folta chioma biondo cenere si trasformava in oro liquido là dove i raggi del sole la colpivano, e come i suoi occhi ambrati brillavano di una strana luce attraverso le fessure formate dalle palpebre pesanti – e non gli piacque affatto il modo in cui la sua bocca si inclinò in un sorriso compiaciuto.

«Bene» disse Leonardo con poca convinzione. «Il maestro è nel suo studio, se vuoi raggiungerlo.»

L'altro mantenne il suo sorriso enigmatico e rispose: «Lo so, ci sono appena stato. Ti sta cercando, a proposito, dovresti andare prima che s'incollerisca. Farò io compagnia al tuo giovane amico, non temere.» L'uomo concentrò il suo sguardo calcolatore su Neri e aggiunse: «Magari potremmo discutere di lavoro, se gli interessa fare da modello...»

«Lavora già per me, Sandro, non gli interessa la tua offerta» lo interruppe bruscamente Leonardo.

«Lascia che sia lui a deciderlo» replicò l'uomo tenendo insistentemente i suoi occhi su Neri, facendolo sentire come un pesce infilzato all'amo.

«Non è una sua scelta» si intromise nuovamente Leonardo. «Mi ha concesso l'esclusiva, quindi non puoi averlo.»

L'altro riportò allora lo sguardo su di lui con un sorriso magnifico e spontaneo, ma i suoi occhi erano glaciali mentre soppesava le parole di Leonardo. Neri capì che dovevano esserci parecchi sottintesi che non riusciva ad afferrare in quella conversazione serrata e tesa. La rivalità tra i due pareva essere di vecchia data, oltre che tagliente come una garrota, e lui non ci teneva certo a provarne il filo in quanto oggetto della loro contesa – qualunque ne fosse la reale causa.

«Io ho parecchio da fare, in ogni caso» annunciò Neri per levarsi dall'impaccio. «Non posso restare più a lungo.»

Non appena fece per voltarsi in direzione dell'uscita, Leonardo lo trattenne per un braccio. «Non andartene, ho quasi finito qui. Dammi solo qualche minuto e ti raggiungo.» Lanciò un'occhiata significativa all'altro uomo e aggiunse: «Aspettami qui, Neri. Quando torno voglio trovarti esattamente in questo punto.»

Neri annuì, non sapendo ribellarsi di fronte all'espressione seria di Leonardo. Il giovane si allontanò di fretta, sparendo in cima alla scala che collegava quella parte della bottega a un secondo piano; il grosso dell'attività sembrava concentrarsi lì, quindi al piano superiore dovevano esserci lo studio del maestro e le sue stanze private.

«Leonardo sa essere molto affascinante» osservò l'uomo, quel tale Sandro. «Ed è anche un giovane molto promettente. Peccato che la consapevolezza che ha del proprio talento lo renda tanto insolente e sfrontato talvolta. Ma, d'altronde, credo sia parte del suo fascino. Non trovi?»

Neri rimase spiazzato da quella domanda. In ogni caso non giudicava prudente intraprendere quell'argomento proprio con lui.

Sandro gli rivolse un sorriso sagace e riprese: «Il maestro Verrocchio sta lavorando a una nuova opera, commissionatagli da Lorenzo e Giuliano de' Medici in persona. Si dice che il nuovo David di Verrocchio sarà ancor meglio di quello di Donatello, l'espressione della vera forza e della potenza di Firenze stessa nel momento del suo massimo splendore, e Leonardo è fra i pochi prescelti che aiuteranno il maestro nell'impresa. Questo non è poi così sorprendente dal momento che è sempre stato uno dei suoi allievi prediletti, ma non è certamente l'unico artista con doti notevoli che questa fucina di talenti abbia prodotto.» Sandro esitò, e aggiunse: «A ogni modo, se dovessi mai stancarti di Leonardo, vieni a trovarmi. Chiedi di Sandro Botticelli.» Con quelle parole si congedò e si allontanò tra i drappelli di allievi indaffarati, lasciando Neri perplesso.

Certo che Leonardo aveva proprio delle conoscenze eccentriche.

Come promesso, dopo pochi minuti il giovane fece ritorno e lo condusse fuori dalla bottega. Percorsero la via di casa in silenzio, mentre il crepuscolo avanzava pian piano stendendo una coperta di stelle sulla città. Neri infilò le mani nelle tasche scucite delle sue braghe, torcendosi le dita dalla voglia di chiedere di più riguardo al giovane uomo di poco prima, ma non lo fece per paura della reazione di Leonardo, il quale aveva già una faccia scura e, evidentemente, poca voglia di chiacchierare.

Quando giunsero finalmente in vista dell'appartamento il ragazzo si bloccò di colpo, facendo inciampare Neri che lo seguiva a un paio di passi di distanza. Quest'ultimo imprecò coloritamente e brontolò: «Ma che ti prende adesso?»

Leonardo lo afferrò e lo spinse dentro a una strada laterale. Una volta che furono al sicuro nelle ombre scure di un alto edificio gli indicò la donna che passeggiava avanti e indietro davanti alle scale, sbuffando nervosamente come un cavallo in preda a una colica. «La vedi quella? È la mia padrona di casa. Deve essere venuta a riscuotere l'affitto, sono un po' in ritardo coi pagamenti.»

Neri gli rivolse un'occhiata in tralice con uno strano presentimento e chiese: «Quanto in ritardo, Leonardo?»

Lui tentennò e alla fine ammise: «Un paio di mesi... o forse tre, non ricordo.»

«Che cosa? E come pensavi di pagare me se non hai nemmeno il denaro per pagare l'affitto?»

Leonardo lo zittì con un gesto eloquente, spingendolo ad avanzare lontano da lì. «Ho del denaro, ma basta solo per uno di voi – e tu ne hai più bisogno di quella vecchia cornacchia, concordi?»

Neri si morse la lingua per non contraddirlo.

«Avanti, leviamoci di torno prima che ci scopra. Facciamoci una bevuta e torniamo quando se ne sarà andata» disse Leonardo sogghignando mentre gli allungava una pacca sulla schiena.

Neri mise su il broncio, ma in fondo fu contento nel rivederlo sorridere.


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