Capitolo 44: Il corvo a metà
Firenze, 1471
Gittato lo fissò a bocca aperta, come una pecora disturbata nell'atto di brucare. La sua buffa espressione lo fece quasi scoppiare a ridere – non fosse stato per l'angoscia che gli attanagliava le budella privandolo anche della forza per un gesto tanto semplice come emettere una risata.
«Caspita, Neri, è... così tanto tutto insieme.»
«A chi lo dici, a chi lo dici» sospirò lui sconfitto. «Non so proprio che pesci pigliare.»
Gittato si grattò distrattamente il mento, osservando l'andirivieni della bottega del correggiaio di fronte alla quale si erano seduti a parlare. Nonostante l'acquazzone del giorno prima la strada era perfettamente praticabile e qualche carretto arrancava nel fango di quando in quando, trasportando via merci o depositandole.
«Onestamente, se uno dei miei genitori venisse a riprendermi non esiterei un solo istante a seguirlo, anche fosse in capo al mondo» mormorò Gittato, quasi tra sé e sé. Le dita del ragazzo andarono istintivamente al collo, dove, nascosta alla vista tra le pieghe degli abiti, portava appesa a un cordino logoro di cuoio la mezza medaglia di bronzo la cui rispettiva metà era in mano ai suoi genitori, chiunque essi fossero. «Non t'invidio per niente. E Leonardo che ne pensa?» aggiunse titubante.
Neri sollevò le spalle affondandoci in mezzo la testa, come una tartaruga che ritira il capo entro i confini sicuri del proprio guscio.
Leonardo che ne pensa? Vorrei proprio saperlo, si disse mestamente. Il fatto era che non diceva niente. Il suo tocco era una presenza confortante, ma il suo silenzio lo uccideva; Neri aveva provato a domandargli un consiglio, sperando che il ragazzo lo implorasse di restare con lui, fornendogli una scusa per cavarsi dall'impaccio di dover fare una scelta, eppure Leonardo non aveva cercato di influenzarlo – anzi, aveva sfacciatamente evitato l'argomento.
Lo capiva, però. Sapeva che l'ultima cosa che voleva era che lui lo lasciasse per andarsene chissà dove, proprio ora che si erano finalmente trovati; d'altro canto, sarebbe stato crudele ed egoista trattenerlo come una zavorra in quella città, accanto alle tentazioni della sua vecchia vita, quando Neri aveva finalmente l'occasione di conoscere il mondo e di farsi un nome – riprendersi un nome. E, soprattutto, di far parte di una vera famiglia, la sua.
Aveva detto a Leonardo che suo padre era un mercante giramondo, e che desiderava insegnargli il mestiere e introdurlo negli affari di famiglia. Il che, a quanto aveva capito dai discorsi di Ranieri, non era del tutto lontano dalla realtà.
Maledetto! imprecò rivolto a Leonardo. Proprio ora mi diventi comprensivo! E allo stesso tempo lo amò ancor di più per l'enorme sacrificio che quella neutralità sapeva costargli.
«Diamine!» esclamò balzando in piedi, colto da un pensiero improvviso. «Leonardo mi sta aspettando! Devo andare Gittato, a presto.» E si mise a correre ancora prima di ricevere una risposta.
Il ragazzo lo stava aspettando già da un po' quando lui lo raggiunse, ansante e con due pozze umide sotto le ascelle nonostante la temperatura rigida. Era seduto sulle scale di casa con accanto una vecchia borsa di belle marrone da cui fuoriuscivano alcuni fogli di carta. «Pensavo non ti facessi più vedere» scherzò vedendolo arrivare di corsa. Poi i suoi occhi scuri si rabbuiarono per un istante e aggiunse nervosamente: «Tutto bene, vero?»
«Sì» annuì Neri, quasi senza fiato. «Ho solo perso la cognizione del tempo. Scusa per il ritardo.»
«Non fa niente, il sole è ancora alto. Abbiamo tutto il pomeriggio» rispose Leonardo sorridente. Un momento dopo, però, la sua espressione cambiò nuovamente.
Neri si voltò per vedere cosa aveva provocato quel cambiamento repentino e si ritrovò faccia a faccia con suo padre. Quella parola aveva ancora uno strano sapore – padre.
«Vedo che non è un buon momento per disturbare. State uscendo?» chiese Ranieri adocchiando la borsa e gli attrezzi da pesca che Leonardo si era appena sistemato in spalla.
«Ah, sì, andiamo a pesca» rispose Neri preso un po' alla sprovvista. «Che ci fai qui?»
L'uomo si sistemò il mantello che una folata di vento aveva increspato. «Ero solo venuto a dirti che riparto domattina all'alba. Sarò lieto di averti con me, se lo vorrai.» Fece un breve cenno di saluto a entrambi e si dileguò senza dire altro.
Neri guardò Leonardo. Aveva lo sguardo fisso nel punto in cui fino a pochi istanti prima era stata la figura imponente di suo padre. «Non un corvo tagliato a metà ...» sussurrò il ragazzo, «un'aquila. Lo stemma dei della Gherardesca.»
Il ricordo di quel giorno passato insieme agli amici tra le vie affollate di una Firenze in festa per il Carnasciale riaffiorò inatteso come un fulmine a ciel sereno. Com'era che aveva detto la zingara a Leonardo? Il corvo ti porterà gioia e ti porterà dolore, ma è il tuo destino.
In effetti, lo stemma della sua famiglia mostrava una mezz'aquila nera coronata su fondo dorato in una metà, mentre l'altra era occupata da due quadrati sovrapposti verticalmente, uno di colore rosso e uno argento. Le profezie non erano mai accurate, un'aquila nera poteva benissimo essere scambiata per un corvo dopotutto, supponeva Neri.
E se fosse stato proprio lui quello a cui la chiromante si riferiva... Gioia e dolore. Quale avrebbe arrecato a Leonardo adesso? Forse erano stati davvero destinati a incontrarsi, ma erano anche destinati a rimanere insieme?
Continuò a rimuginare su quella domanda fino a quando giunsero al punto del lungofiume dove avevano intenzione di fermarsi. L'altro ragazzo si sistemò su un sasso nell'erba umida, estraendo dalla borsa i suoi strumenti da disegno e mettendosi subito all'opera, mentre lui prese la canna da pesca e iniziò a preparare un'esca. Non aveva mai pescato in vita sua, ma qualche tempo prima Leonardo gli aveva promesso di insegnargli; essendo cresciuto in campagna aveva fatto abbastanza esperienza, anche se solo per puro diletto.
Una volta presa la mano, non fu difficile per Neri fare dei buoni lanci; quanto alla risposta da parte dei pesci era tutta un'altra storia. Però era piacevole godersi il sole e la vista del paesaggio tranquillo mentre Leonardo disegnava accanto a lui. A un primo sguardo sembrava tutto così immobile rispetto alle acque guizzanti che scorrevano sotto di loro, eppure la terra pullulava di vita quanto il fiume che la attraversava, con i minuscoli lombrichi che strisciavano tra i sassi e gli scoiattoli che emettevano brevi squittii, risvegliandosi occasionalmente dal sonno invernale per consumare un po' di cibo; poi c'erano i segni della presenza umana, anche se scemavano allontanandosi dalla città: campi coltivati in lontananza, piccole case e stradine accennate nel terreno brullo.
Un paesaggio idilliaco come quelli descritti dai poeti. Non c'era da meravigliarsi che gente come Dante o Petrarca ne fosse stata ispirata.
«Che bel sorriso» disse Leonardo, mettendo giù la matita per scrutarlo meglio. «A che pensi?»
«A niente» rispose Neri prendendo una bella boccata d'aria fresca; tutt'altra cosa rispetto a quella satura che si respirava in città. «Mi godo il momento, ecco tutto.»
«Certo, è bene che ne approfitti prima di partire.»
La testa di Neri scattò nella sua direzione, girando come una trottola impazzita. «Cosa? Non ho affatto detto questo.»
«No... ma lo hai pensato. Non mentire, non ce n'è bisogno con me» disse Leonardo con leggerezza tornando al suo disegno. «Ci ho pensato anch'io» continuò con la stessa noncuranza. «Credo che dovresti andare con tuo padre.» Ecco, lo aveva detto. Le parole avevano il sapore amaro della bile, quasi gli fossero state tirate via a forza dalla bocca con una pinza, ma le aveva pronunciate.
Neri non emise un fiato.
«Insomma, io col mio ci parlo a malapena. A volte preferirebbe persino non avermi come figlio. Ma questo non significa che tu non debba conoscere tuo padre e che non possa instaurare un buon rapporto con lui. Te lo meriti, dopo tutto quello che hai passato» concluse Leonardo con voce sempre meno salda.
Allora lui si alzò, e semplicemente lo strinse in un tenero abbraccio, affondando il volto tra le onde scure dei suoi capelli per nascondere le lacrime che iniziavano a pizzicargli gli occhi. Leonardo lasciò cadere la matita e il foglio su cui stava disegnando sul terreno, senza curarsi che il suo lavoro si sarebbe rovinato così facendo. Ricambiò la sua stretta con una più decisa e disse: «Avanti Neri, cosa sarà mai stare separati per un po'? Al tuo ritorno mi troverai sempre qui. Ad aspettarti.» Le stesse lacrime che sentiva scorrere sul proprio viso riempivano anche la voce di Leonardo.
«Sicuro che ce la fai? Non è che poi ti manco troppo, oppure peggio» riuscì a biascicare lui tra un tentativo e l'altro di mandare giù il groppo che gli si era fermato in mezzo alla gola.
«Peggio? Che c'è di peggio?» chiese l'altro, suonando stranamente divertito.
«Beh... che senza nessuno a controllarti finisci nuovamente per tirarti addosso qualche catastrofe. Ovvio, no?»
Leonardo rise stavolta. Gli poggiò le labbra calde sul collo e gli sussurrò a fior di pelle: «Prometto che farò il bravo, se non starai via troppo a lungo.»
Neri si ritrasse dal suo abbraccio, ma solo per afferrargli il volto rigato di lacrime tra le mani e guardarlo dritto negli occhi mentre diceva: «D'accordo, ma se poi scopro che ne hai combinata una delle tue giuro che te la vedi con me.»
L'altro si accese con un sorriso che andava da orecchio a orecchio e gli baciò la punta del naso. «È una promessa, bada bene.»
Consumarono le ultime ore che li separavano dall'alba in una contagiosa frenesia di urgenza e di abbandono. C'era così tanto da dire, da fare, da imparare l'uno sull'altro, eppure così poco tempo. L'unico conforto che restava a entrambi era quello che potevano prendersi in quegli ultimi momenti insieme, frutto di una tenera passione da custodire gelosamente nei ricordi che li avrebbero aiutati a superare il tempo che li avrebbe tenuti separati.
In un momento di veglia appannata, Neri si girò sulla branda, sistemandosi su un fianco, lo sfrigolio della paglia che riempiva il materasso accompagnava i suoi movimenti. Leonardo aveva il volto affondato nel cuscino e i ciuffi scuri gli coprivano gli occhi; gli angoli della sua bocca erano inclinati leggermente verso l'alto, come se sorridesse.
Leonardo. Il suo Leonardo.
«Ehi» gli sussurrò, improvvisamente inquieto, «resta sveglio insieme a me. Ho paura di addormentarmi.»
L'altro si stropicciò gli occhi e si lasciò scivolare più vicino a lui sotto le coperte, avvolgendolo protettivamente come il bozzolo di una crisalide, quasi con fare materno. Tracciò con dita leggere l'arco sottile delle sue sopracciglia, più e più volte, finché il respiro di Neri tornò regolare. «A volte mi chiedo come hai fatto in tutti questi anni a conservare la tua innocenza, nonostante tutto – nonostante tutti.» Poi gli sfiorò la fronte con le labbra.
Nonostante la sua ferrea determinazione a restare vigile e il timore che se si fosse addormentato si sarebbe risvegliato troppo tardi, Neri si sentì trascinare irrimediabilmente dalla stanchezza verso quel limbo di incoscienza da cui persino i sogni erano esiliati.
«Non preoccuparti, puoi chiudere gli occhi ora. Io sono accanto a te. Dormi. Dormi.» L'ultima cosa che Neri distinse, prima di sprofondare nel sonno, fu il sapore di Leonardo sulle labbra, e il suo respiro che gli carezzava la guancia.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top