Capitolo 34: Controllo

Firenze, 1471

Pareva quasi di osservare un dipinto, le nuvole soffici scaldate da un tenue tono d'albicocca e, tra di esse, uno squarcio di cielo venato di bianco che riteneva gli ultimi, luminosi strascichi del giorno che volgeva al suo termine.

Se davvero esisteva un Paradiso, Neri non dubitava che avesse quell'aspetto.

Si lasciò avvolgere dalla pace che era calata sulla città insieme al sole, ascoltando distrattamente lo sciabordio dell'acqua che scorreva dolcemente tra i piloni addormentati del Ponte Vecchio. Ormai non c'era quasi più nessuno per le vie e gli innamorati sostavano, appoggiati al parapetto, approfittando del tacito assenso dell'Arno per rubare qualche momento di intimità.

Per qualche motivo, non lo turbò il fatto di essere lì da solo con Leonardo, così vicino da potergli sfiorare il braccio con il gomito. Per pochi istanti ancora voleva ignorare la promessa che aveva fatto a se stesso e godere senza riserve di quel minuscolo contatto tra di loro. Come se il suo corpo avesse una memoria tattile, si infiammò al ricordo del tocco avido dell'altro ragazzo, evocando in lui sensazioni che erano in parte delizia e in parte monito.

«Ora basta» scattò all'improvviso, mettendo a tacere pensieri che minacciavano di far vacillare la sua risolutezza. «Dobbiamo rientrare.»

Leonardo gli rivolse un'occhiata in tralice, ma lo seguì senza dir nulla.

Percorsero la strada fino a casa in silenzio. Ora che Piera era finalmente stata affidata alle cure di monna Agata, la Priora dello Spedale degli Innocenti, ne sarebbero seguiti parecchi di quei momenti di quiete e Neri non sapeva se sarebbe stato in grado di comportarsi normalmente. Erano solo lui e Leonardo ormai, non aveva più una scusa per rifugiarsi nei battibecchi con la ragazza e fingere che nulla fosse cambiato nel modo in cui si rapportava all'amico. Ma qualcosa era cambiato, e anche Leonardo se ne era accorto, anche se non capiva bene cosa. Lo aveva notato subito, fin da quando si era risvegliato a casa di Bandini.

Neri sperò che quell'imbarazzo tra di loro – l'imbarazzo che lui stesso aveva creato – svanisse al più presto.

«Mi mancherà Piera» disse Leonardo con sguardo perso davanti a sé, dando voce ai suoi stessi pensieri. «Lei è così... rumorosa. Si nota la sua assenza.»

Neri annuì.

Era stato difficile per tutti dirle addio, soprattutto per il fratello, ma in quel momento era più sicuro per lei allontanarsi da Firenze, e doveva farlo prima del grande giorno. Poteva andare tutto a rotoli e lei non doveva trovarsi nei paraggi per subirne le conseguenze insieme a loro se questo fosse accaduto.

Neri ricordò con affetto il momento in cui si erano salutati, quando lei lo aveva stretto forte e gli aveva sussurrato all'orecchio: «Prenditi cura di mio fratello, capito?»

«Sai che lo farò» aveva risposto lui.

Poi la ragazza aveva abbracciato Leonardo e persino Gittato, che era rimasto un po' sorpreso.

Neri sorrise. Gli era parso che quell'ultimo abbraccio fosse durato un po' più di quello che Piera aveva riservato a lui.

«Però mi fa piacere che siamo di nuovo solo noi due» continuò Leonardo. «Ricordi com'era, prima che iniziasse tutto questo?»

Lui si lasciò sfuggire un ghigno e rispose: «Dio, se ricordo. Bei tempi, di sicuro non rischiavamo la pelle ogni giorno.»

«Ti manca rimanere in posa per ore in posizioni stravaganti?» lo stuzzicò l'amico.

«Era comunque meglio di adesso» rispose lui con espressione nostalgica.

«Sai Neri, stavo appunto pensando che è da un po' che non ho occasione di ritrarti. Che ne dici di guadagnarti la paga?»

Lui aggrottò la fronte, passandosi distrattamente una mano nei corti capelli biondi. «Correggimi se sbaglio, ma mi sembra di non aver ricevuto un solo quattrino da te per l'ultimo lavoro. E ti pago pure una parte dell'affitto con le mance delle consegne, quindi non ti devo proprio un bel niente.»

Leonardo sbuffò come se quelli fossero dettagli irrilevanti e replicò: «Va bene, se ci tieni a puntualizzare possiamo dire che è così.» Poi lo guardò con quel luccichio intrigante negli occhi scuri a cui Neri non sapeva resistere. «Fallo per me allora. Posa per me.»

E così si ritrovarono nel piccolo alloggio che condividevano da quella che oramai pareva una vita intera, lui stravaccato sulla branda e Leonardo seduto sullo sgabello con carboncino e carta alla mano, esattamente come ai vecchi tempi.

«È da un pezzo che scarabocchi lì sopra, posso dare un'occhiata?»

«Sì, certo. Ecco.» Leonardo voltò il ritratto in modo che lui potesse ammirarlo.

Era... orrendo.

«Ma che hai fatto? Non sono così, io! Che diavolo è quel coso enorme?»

Il volto raffigurato sulla pergamena aveva dei tratti a dir poco raccapriccianti, con occhi sporgenti e un testone grande come la cupola del duomo. Gli assomigliava un po' a dir la verità, ma era tutto talmente esagerato.

Leonardo scoppiò a ridere di fronte alla sua espressione orripilata. «È soltanto una caricatura, Neri. Tu sei molto più avvenente, te lo assicuro.»

Fu grato che in quel momento la scarsa luce nella stanza fosse sua complice nel tentativo di celare all'amico il rossore che sentiva salire lungo il collo, fino alle orecchie. A volte Neri malediva se stesso per essere un ragazzino alle prime armi; bastavano una parola o uno sguardo di Leonardo per mandarlo in brodo di giuggiole.

«Senti... ieri ti ho visto parlare con Sandro alla giostra.»

Il calore che provava si tramutò all'istante in ghiaccio nelle vene. «Ah, mi hai visto» riuscì soltanto a dire.

«Già» confermò Leonardo, scrutandolo con intensità nella penombra come se attendesse una qualche confessione. «Allora, di cosa avete parlato?»

A Neri sembrò di essere attaccato nel sentirsi rivolgere quel tono aspro, e non gli piacque affatto. «Niente di che. Ma poi perché ce l'hai tanto con lui, che ti avrà mai fatto?»

«Non mi va di parlarne. Tu comunque devi stargli alla larga!» sbottò l'altro ragazzo. Era raro che si infervorasse a quel modo, e per cosa poi? Lui non aveva fatto nulla di male. Neri non capiva per quale motivo dovesse sollevare un polverone ogni qual volta si parlasse di Sandro Botticelli.

«Io devo?» La sua voce si alzò di parecchie note, divenendo stridula come quella d'un gatto preso all'uscio. «Leonardo da Vinci» sputò con tanto sdegno da congelare l'espressione sul volto dell'amico, «tu non mi possiedi. Non sono il tuo giocattolo e non devo fare proprio un cazzo di quello che mi dici! Adesso mi sono stancato di stare a sentirti. Se non vuoi dirmi che problemi hai con Botticelli bene, ma non venire a darmi ordini su chi posso o non posso frequentare!»

Che diavolo! Aveva lottato una vita intera – aveva patito la fame – pur di non aver padrone alcuno, e di certo non avrebbe permesso a un moccioso ricco e viziato di trattarlo a quel modo. Un conto era che Leonardo mostrasse un po' di gelosia nei suoi confronti, quello poteva anche fargli piacere; ma rivolgersi a lui con tale autorità... era semplicemente inaccettabile.

E che ne era poi della loro amicizia? Che ne era della fiducia?

«Sai che ti dico? Dopotutto credo che accetterò l'invito di Sandro, è stato molto gentile con me ieri.» Si alzò in piedi, dandosi delle pacche sulle braghe per lisciare qualche piega qua e là.

«Ma come, adesso?» boccheggiò Leonardo. «È notte fonda.»

«Non credo che sarà un problema, anzi. Non aspettarmi in piedi» disse chiudendosi la porta alle spalle con un colpo secco che fece sussultare persino lui.

La cosa era degenerata senza che nemmeno se ne rendesse conto. Un momento erano lì a ridere e scherzare, e quello dopo... Neri si pentì delle parole amare come il veleno che gli erano uscite dalla bocca non appena mise piede fuori di casa, la tentazione di tornare sui suoi passi e chiedere scusa tanto forte da fargli male. Ma non poteva. Non per orgoglio, ma perché lo doveva a se stesso; non poteva sempre cedere a quei pericolosi istinti che lo spingevano verso Leonardo – verso un baratro senza fondo – doveva imparare a frenarsi e a frenare lui, una volta per tutte.

Forse una notte con Sandro Botticelli poteva restituirgli quel controllo.

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