Capitolo 30: Interludio

Firenze, 1471

Neri poteva sentire lo sforzo nei muscoli del proprio braccio mentre dosava le sue ultime energie per bilanciare la tensione della corda tesa applicando una forza uguale e contraria.

La freccia era incoccata al suo arco, i suoi occhi puntati sul bersaglio con determinazione e fermezza. Tutto ciò che doveva fare era un altro centro.

Dipendeva tutto da quell'ultimo tiro.

Le dita pizzicavano e una fastidiosa goccia di sudore lungo la schiena minacciava di spezzare la sua concentrazione, ma lui non allentò la presa nemmeno per un istante. Inspirò a fondo, contò fino a tre, e poi buttò fuori l'aria. Scoccò la freccia con un sibilo.

Centro.

La folla esplose in urla e applausi, giubilante.

Doveva ammetterlo, aveva offerto loro un gran bello spettacolo quel pomeriggio. Il tiro con l'arco era una delle sue specialità dopotutto. I suoi avversari gli avevano dato filo da torcere, certo, ma aveva avuto la vittoria in tasca fin dall'inizio.

«Davvero un bel lancio, Neri» si complimentò Gittato dandogli una pacca sulla spalla. «Ma avresti anche potuto lasciar vincere quel ragazzino!»

«Sì, avrei potuto. Ma poi non ti avrei offerto da bere con i soldi del premio» rispose lui.

«Ah ah, ora sì che mi piaci.»

«Ma dov'è finito Leonardo?»

«Non lo so» disse Gittato. «Da qualche parte qui intorno con sua sorella.»

Sicuramente Piera gli stava dando il tormento per andare a vedere i mangiafuoco per cui andava matta. Per una volta Neri non la biasimò per i suoi capricci; avevano tutti bisogno di un po' di svago dopo quello che avevano passato. Ed era a questo che serviva quella giornata all'insegna della spensieratezza e del divertimento.

Dopo un'intera settimana trascorsa nel timore di essere stanati e di finire scannati come vacche da macello da Francesco de' Pazzi e dal suo scagnozzo, dopo le scoperte sconvolgenti e i momenti di terrore per ciò che era accaduto a Leonardo, tutti loro desideravano solo respirare aria fresca e dimenticare per qualche ora i loro guai.

L'inizio del Carnasciale era un'ottima occasione di cui approfittare.

Firenze offriva molte distrazioni in quei giorni con le sue vie affollate di giullari, menestrelli, venditori ambulanti, e ancora: compagnie di attori itineranti, mostre di animali esotici, danze.

Per non parlare poi dei giochi di Carnasciale. Fra giostre equestri in armatura, tornei di spada, arceria e sbandieratori, il divertimento era assicurato.

Neri avvistò finalmente l'amico tra la folla e lo raggiunse. «Ehi»

«Ehi, Filottete!» esclamò Leonardo sorridente. «Riesci sempre a tirare fuori dal tuo arsenale un'abilità inaspettata. Quando la smetterai di stupirmi?»

«Non so. Tu quando smetterai di stupirti del fatto che sono semplicemente straordinario?»

L'altro scoppiò in una fragorosa risata. Stava molto meglio ora. «Andiamo dai, Piera ci aspetta più avanti.»

«Non dovresti lasciarla gironzolare da sola Leonardo, è pericoloso. Sai che possono tornare alla carica da un momento all'altro.»

Era vero che dalla sera della festa le acque sembravano essersi calmate – forse fin troppo per i suoi gusti – ma non era il caso di abbassare la guardia. Per colpa sua erano tutti in pericolo; avevano un nuovo nemico, e non era qualcuno da sottovalutare.

«Lo so» rispose il ragazzo, «ma è proprio qui. Non l'ho mai persa di vista. Non correrei il rischio, lo sai.»

Neri sospirò. Era vero. Forse era lui che si preoccupava troppo. Ma chi poteva biasimarlo con tutta la gente che si stavano mettendo contro?

Il quartetto prese a passeggiare per le vie agghindate e profumate come non mai. Per lo meno, lo erano adesso che l'aroma zuccheroso dei cenci e delle frittelle di riso invadeva l'aria come un irresistibile e peccaminoso richiamo; non lo sarebbero più state al calar del sole, quando i porci sarebbero stati lasciati liberi di scorrazzare per la città per ripulirla dai rifiuti.

Piera continuava a fermarsi e ad ammirare ogni più piccola novità con occhi sgranati dalla meraviglia. La sua esuberanza era un po' snervante a dirla tutta. O era lui a essere cinico, chissà.

Neri non riusciva a godersi quei passatempi come faceva una volta. Di solito per lui quelle ricorrenze erano entusiasmanti, ci si buttava a capofitto – anche perché in tutto quel trambusto le occasioni di alleggerire un riccastro non mancavano mai. Ma non quel giorno. Quel giorno non smetteva di lanciare sguardi incerti a Leonardo, chiedendosi cosa gli passasse per la testa o semplicemente desiderando che gli rivolgesse un sorriso.

Non andava bene. Avrebbe dovuto comportarsi come se niente fosse successo, ma non ci riusciva. Erano giorni che il ricordo di quel bacio lo tormentava.

Il fatto che provasse un'attrazione per un altro uomo non era di per sé un problema, anzi era una cosa abbastanza comune, nonostante la Chiesa Cattolica condannasse la sodomia; ma Leonardo era suo amico, e Neri era impreparato a gestire quei sentimenti inaspettati e del tutto sconosciuti che iniziava a provare per lui. Se avesse fatto qualcosa di sbagliato? Se lo avesse ferito, o se Leonardo avesse ferito lui? Bisognava ammetterlo, non era certo la persona più costante che conoscesse, sia nei suoi variegati interessi sia nei rapporti personali. E Neri non aveva la benché minima esperienza.

C'erano troppe cose che potevano andare storte. Assecondare quegli istinti voleva dire rinnegare ogni suo principio, ogni regola che si fosse mai imposto. Aveva già lasciato che Leonardo entrasse di soppiatto nella sua vita, non avrebbe permesso che entrasse anche nel suo cuore.

Doveva evitarlo a ogni costo. Ma come?

«Ehi, ragazzo. Dico a te.»

Neri si voltò verso la persona che gesticolava nella sua direzione, invitandolo ad avvicinarsi. Si trattava di una donna non più giovanissima, ma la cui bellezza traspariva ancora nei tratti decisi del volto bronzato su cui spiccavano due occhi di un blu intenso come le acque più profonde dell'Arno.

«Ti andrebbe ti farti leggere la mano?» gli domandò con voce suadente scuotendo la folta chioma di ricci scuri. «Il mio nome è Zorela, sono una chiromante.»

Lui ne osservò con scetticismo gli abiti sgargianti da gitana e rispose: «Grazie Zorela, ma non ti offendere, preferisco spendere i miei soldi per qualcosa di più utile.»

La chiromante gli rivolse uno sguardo divertito con un lampo di comprensione negli occhi – tra furfanti ci si riconosceva.

«Quindi non credi che conoscere il tuo destino sia utile?» insisté comunque.

«Il destino non è diverso da un paio di dadi truccati. In un modo o nell'altro, il risultato sarà sempre lo stesso. A che serve conoscerlo in anticipo se non posso comunque cambiarlo?»

«A prepararti, ovviamente» ribatté lei.

Neri fece spallucce. «Io mi tengo sempre pronto in ogni caso.»

«Il mio amico non è interessato, ma io sì» si intromise allora Leonardo. «Quanto vuoi per leggere la mia di mano?»

La donna lo squadrò attentamente da capo a piedi, e disse: «Sei soldi per un bel giovane come te.»

Lui ignorò del tutto il complimento e le chiese invece: «Ha importanza se non credo in questo genere di cose?»

«Non ha importanza che tu creda oppure no, la tua mano sa tutto di te» asserì la chiromante con solennità prendendogli il polso. «Interessante. Vedo una vita longeva e costellata di successi. La fama sarà tua compagna negli anni a venire, e persino quando non sarai altro che cenere il tuo nome verrà ricordato con ammirazione da molti.» Si interruppe per qualche istante, scrutando con attenzione le linee sul palmo di Leonardo. «Che strano...»

«Cosa è strano?»

«Questo segno. Credo sia un corvo, un corvo dalle ali spiegate. Ma è a metà.»

«E cosa vuol dire?»

«Chi può saperlo? Di certo però avrà un ruolo importante nella tua vita.»

Leonardo sollevò un sopracciglio. «Un corvo tagliato a metà, eh? Può darsi, ma non mi pare una gran rivelazione, Zorela.» Le consegnò i suoi soldi e fece per andarsene.

«Il corvo ti porterà gioia e ti porterà dolore, ma è il tuo destino» gli urlò la donna prima di accalappiare un altro passante.

«Hai buttato i tuoi soldi Leonardo» lo rimproverò Neri.

«Sì, lo so. Il corvo, che sciocchezza! Se lo sarà inventato perché mi avrà visto al mercato; qualche volta ci vado e compro degli uccelli, per lo più li libero sul momento. Ora che ci rifletto, è proprio quello che stavo facendo quel lunedì, poco prima che ci scontrassimo.» Un sorriso gli illuminò il volto.

Neri distolse rapidamente lo sguardo e lo fissò in avanti. «Davvero? E perché fai una cosa del genere?»

«Non lo so» rispose l'amico ridendo. «Perché mi piace vederli liberi, suppongo. E per ammirarli mentre si librano in volo, naturalmente. Un giorno voglio volare come un uccello, voglio librarmi anch'io libero nell'aria, in alto dove nessuno può raggiungermi.»

Quell'osservazione riuscì a strappargli un sorriso. «Sei un inguaribile sognatore Leonardo.»

Piera arrivò in quell'istante correndo. «Presto, venite! Lorenzo sta per uscire a fare il suo discorso.»

Piazza della Signoria era gremita di gente che premeva per avanzare verso il palazzo al suo centro, proprio di fronte al quale era stato allestito un sontuoso palco di legno con tanto di baldacchino in tela dorata guarnito di frange e nappe. Lo stemma dei Medici – sei palle poste in cinta in campo d'oro, cinque rosse e una blu decorata da gigli dorati all'arme di Francia – campeggiava lì in cima.

Tra qualche istante, il giovane signore della città e la sua consorte avrebbero fatto la loro comparsa per porgere di persona i loro migliori auspici ai cittadini e per inaugurare i festeggiamenti del Carnasciale. Poiché le feste, le rappresentazioni e le solennità che ogni anno facevano bella Firenze erano sì volte all'onore e alla riverenza dell'altissimo Iddio, ma anche a soddisfare il piacere del potentissimo popolo fiorentino.

Tra squilli di tromba e acclamazioni appassionate, Lorenzo de' Medici salì sul palco salutando la folla adorante con un sorriso fiero, seguito dall'austera moglie Clarice Orsini.

I due non avrebbero potuto essere più dissimili nemmeno se fossero stati il sole e la luna: lui era un giovane vigoroso, amante della vita e dei suoi piaceri, dell'arte e della cultura; lei era una fanciulla graziosa e di buona statura, ma accanto al compagno appariva rigida e compassata, sempre accompagnata da quell'aria profondamente religiosa. Ma poco importava che i due non avessero nulla in comune fintanto che la loro unione risultava conveniente a entrambe le loro famiglie.

Non sorprendeva, dunque, che Lorenzo dedicasse i suoi versi più dolci a un'altra donna. Eppure, il pancione che Clarice sfoggiava quel pomeriggio nel suo rigoroso abito blu era una chiara dimostrazione che il giovane signore di Firenze aveva continuato ad assolvere ai suoi doveri coniugali anche dopo che il suo matrimonio era stato benedetto con la nascita della prima figlia, la piccola Lucrezia.

Neri si ritrovò a osservare con curiosità la coppia, quando notò un dettaglio. Si trattava del gioiello che Clarice portava al collo.

Una collana di giada con un cammeo d'avorio.

Solo allora riconobbe una delle guardie personali della famiglia de' Medici in piedi sul palco: lo stesso uomo che aveva assoldato Gittato per rubare la preziosa collana e gli aveva poi teso un'imboscata.

Era certamente lui, Neri non dimenticava mai un volto.

Sorrise a se stesso, incredulo. Povero Lorenzo, pensò. La tua pia e devota moglie ha più spine d'una rosa.

Dunque il furto non era stato altro che il gesto di sfida di una donna gelosa e ferita nei confronti del marito infedele. Forse, dopotutto, non erano così male assortiti come poteva sembrare.

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