Capitolo 17: Andare in pezzi
Firenze, 1471
Nuvole grigie, cariche con la promessa di un nuovo temporale, solcavano il cielo di Firenze sospinte dal leggero alito di Zefiro.
Tuttavia, essere bersagliato da gocce d'acqua grosse come acini d'uva appariva come un'alternativa di gran lunga preferibile alla molesta compagnia di Piera.
Neri aveva bisogno di una tregua.
Per fortuna la ragazza aveva stremato se stessa a forza di chiacchiere inutili, e si era appisolata verso mezzodì. Così lui aveva potuto approfittarne per farsi un giro. Aveva camminato fino a piazza San Lorenzo con una mezza idea per la testa, sperando di ricevere l'illuminazione lungo la via.
Era un'idea folle. Non poteva tradire Leonardo a quel modo – ma la tentazione era forte. Temeva che se lo avesse affrontato di petto avrebbe potuto inventarsi una scusa, e lui doveva essere certo che l'amico non fosse in qualche brutta situazione. Con Piera che gli stava continuamente attaccata, Neri non poteva di certo mettersi a indagare, eppure qualcun altro avrebbe potuto farlo...
Incrociò un paio di occhi verdi in mezzo al via vai. «Gittato, come te la passi?» chiese non appena gli fu vicino.
«Potrei passarmela meglio» rispose l'altro senza entusiasmo.
Non si erano più visti dalla disavventura che era quasi costata la vita a entrambi qualche giorno prima. Erano sfuggiti all'agguato per il rotto della cuffia, grazie alla prontezza di Neri e a una buona dose di fortuna. Chiunque avesse assoldato Gittato non aveva mai avuto intenzione di lasciarlo andare via con la sua ricompensa.
La delusione del ragazzo era più che comprensibile, e Neri poteva capirlo meglio di chiunque. La speranza era pericolosa quanto il gelo dell'inverno per gente come loro: penetrava nelle ossa, intorpidiva i sensi, e uccideva senza pietà. Per questo non si doveva mai, mai, cedervi. Eppure anche lui lo aveva fatto, quando aveva incontrato Leonardo.
«Ti va di mangiare un boccone insieme a me?» chiese a Gittato.
Entrarono nel primo posto aperto e ordinarono un pranzo da re: bistecca, formaggio, prosciutto di cinghiale, lardo e pane fresco a volontà, il tutto irrorato da una caraffa di buon vino speziato.
«Come mai ti sei fatto vivo?» farfugliò Gittato con un pezzo di carne al sangue tra i denti.
Neri intrecciò le dita sul tavolo, incredulo, con una sensazione di nausea di fronte a tutto quel ben di Dio. Non gli era mai capitato prima, eppure sentiva che le sue budella aggrovigliate non avrebbero trattenuto un solo boccone. Lottò tra sé e sé per qualche istante, ma alla fine decise di rinunciare. «Volevo solo vedere se stavi bene.»
Gittato lo guardò di sottecchi con aria scaltra, prendendo qualche fetta di lardo dal suo tagliere, ancora intatto. «Sicuro, come dici tu, Neri.»
Il locale si stava facendo affollato, i tavoli erano pieni di avventori e persino il bancone era quasi del tutto occupato.
A un tratto, mentre si portava il bicchiere di vino alla bocca, Neri sentì un suono che gli fece gelare il sangue. Si voltò di scatto rovesciando il vino, con Gittato che imprecava per lo spreco.
Era proprio lei.
Si alzò e si diresse verso il gruppetto di nullafacenti con l'aria più seria e minacciosa di cui fosse capace. «Lasciate andare la ragazza» tuonò Neri.
Piera lo guardò con occhi colmi di lacrime e di gratitudine, e si lanciò senza esitazione verso di lui, nascondendosi alle sue spalle.
«Fatti un po' gli affari tuoi» starnazzò un ragazzo robusto sputacchiando saliva qua e là. «Ci stava tenendo compagnia, non è vero caramella?»
Neri sentì le dita tremanti di Piera stringersi sulla sua casacca.
«È proprio il caso che vi leviate di torno» rispose la voce fredda e sicura di Gittato alle sue spalle. Alla vista del ragazzo, alto e possente, quelle canaglie arroganti esitarono. Neri si abbassò per impugnare il suo coltello, lasciando che intravedessero lo scintillio della lama affilata.
Stavano attirando troppi sguardi. Presto qualcuno sarebbe andato a chiamare le guardie cittadine e allora le cose si sarebbero messe davvero male per loro.
«Lasciateci passare e non avrete problemi» disse Neri sottovoce a quello che si atteggiava a capetto del gruppo.
Quello lo lasciò andare verso l'uscita, e all'ultimo momento gli tirò un pugno sul naso.
Scoppiò immediatamente il caos nella taverna. I colpi volavano a destra e a manca, due dei mocciosi si avventarono su Gittato mentre gli altri due si occupavano di Neri e Piera. Lui era in ginocchio con la faccia imbrattata di sangue e gli lacrimavano troppo gli occhi per riuscire a capirci qualcosa. Sentì i grugniti di Gittato e i gemiti dei ragazzi che finivano a terra sotto i suoi pugni; poi qualcuno gli tirò un calcio nelle costole, mozzandogli il respiro. Allora Piera si divincolò dalla presa del suo aggressore e afferrò uno sgabello, scagliandolo sul ragazzo alticcio che l'aveva chiamata caramella. La moglie dell'oste urlò qualcosa da dietro il bancone, ma Gittato aveva già afferrato Neri per la collottola e lo stava trascinando fuori di lì, preceduto da Piera che se la stava dando a gambe levate.
Appena furono fuori pericolo si fermarono a riprendere fiato.
«Che razza di putiferio che avete scatenato voi due!» ansimò la ragazza.
«Noi due!» fece Gittato. «È cominciato tutto per causa tua, caramella.»
Piera lo guardò indignata, con il viso ancora bagnato di lacrime di rabbia, e gli strillò: «Non chiamarmi così!»
«Basta, basta» mugugnò Neri tappandosi il naso fra indice e pollice. «Per favore smettetela subito – soprattutto tu!» Puntò la mano libera verso la ragazza. «Perché diavolo mi hai seguito? Ah, no, non ti azzardare a rispondere! Sei solo una mocciosa incosciente, ecco perché.»
«Ma chi è questa? La conosci allora» disse Gittato con espressione confusa e incuriosita.
«Sì, la conosco. Si chiama grandissima rottura di coglioni.»
«Siete solo volgari... criminali!» starnazzò Piera esasperata.
Gittato scoppiò a ridere a crepapelle, battendo il pugno sulle ginocchia con le lacrime agli occhi. «Lo sai che sei proprio buffa, ragazzina? Hai sentito Neri, ci ha dato dei criminali – a noi!»
«Criminali, certo» disse Neri. «Ladri di sicuro. Presto sarò anche un assassino se la prendo.» E si alzò di scatto, cercando di afferrarla per la gonna, ma lei riuscì a sfuggirgli. «Vieni qui Piera, o giuro che ti faccio male davvero.»
La ragazza lo guardò spaesata, come se non lo riconoscesse – o come se lo vedesse sul serio per la prima volta – indietreggiando fino a trovarsi spalle al muro. Ormai senza vie di fuga, chiuse gli occhi e si lasciò scivolare per terra piangendo silenziosamente.
Se ne stava lì, rigida e pallida come un lenzuolo, con un'espressione di puro terrore sul viso. Neri non capiva il perché di quella reazione, ma aveva imparato abbastanza sulla mocciosa da sapere che qualcosa l'aveva sconvolta. Si sarebbe aspettato che scalpitasse con urla isteriche o patetici singhiozzi, che tentasse la fuga, invece eccola lì, paralizzata.
Neri le si avvicinò e si chinò davanti a lei, poggiandole delicatamente una mano sulla spalla. Piera sembrò rabbrividire a quel contatto, ma poi si piegò in avanti e si abbandonò contro il suo petto. Lui le accarezzò i capelli, non sapendo che altro fare. «Cosa c'è?»
La ragazza emise un suono strangolato e mormorò delle parole, ma Neri impiegò diversi secondi a comprenderne il significato.
«Ho ucciso un uomo.»
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