Capitolo 13: Il canto di Orfeo
Firenze, 1471
La porta si aprì con un lieve cigolio e lo accolse l'odore d'inchiostro e pergamena, misto a quello fumoso dei carboni nel piccolo braciere che riscaldava la stanza.
Neri non era mai stato grato a Dio come in quel momento. C'era mancato davvero poco che finisse male quella sera.
«Nottataccia?» Leonardo lo squadrò da capo a piedi, inarcando un sopracciglio scuro quando il suo sguardo si posò sulla stoffa delle braghe di Neri, ridotta a brandelli intorno al polpaccio destro. Era ancora sveglio, nonostante l'ora, e stava lavorando, come faceva spesso quando non riusciva a prendere sonno, ma aveva l'attenzione completamente puntata su di lui adesso.
Neri emise un sospiro stanco e chiuse la porta, andandosi a sedere sul pavimento accanto alle braci morenti.
«Voglio saperlo?» chiese Leonardo con tono piatto, quasi retorico.
Lui fece cenno di no con la testa.
Dopo un momento l'altro ragazzo si alzò in piedi e disse: «Tu hai bisogno di bere.»
«Co-cosa?»
«Hai un'aria stravolta, ti serve un bicchiere di vino – anzi, meglio una caraffa intera.»
Neri non poté che concordare. In ogni caso, ormai l'unica cosa che gli rimaneva da fare era attendere l'indomani per vedere se Gittato si sarebbe presentato sano e salvo all'appuntamento con il loro mandante per ricevere il compenso, come pattuito. Così si lasciò trascinare per le strade buie e deserte di Firenze – se si escludevano loschi malviventi e donne di malaffare, ovvio. Gli Ufficiali della Notte invece sembravano aver deciso di prendersi una pausa dalla loro consueta ronda, concedendo qualche ora di libertà a chiunque volesse indulgere nel cosiddetto "vizio fiorentino", come lo chiamavano i francesi. Alcuni affermavano addirittura che i sodomiti a Firenze fossero più delle puttane, e che fosse più pericoloso mandare in giro i figli che le figlie – e in effetti, in diverse occasioni, Neri aveva sorpreso più d'un Ufficiale a sollazzarsi con gli stessi individui che avrebbe avuto invece il compito di arrestare per tali atti nefandi consumati in vicoli bui e maleodoranti.
Giunsero davanti a un edificio a due piani dalla facciata color ocra che gli pareva vagamente familiare. Leonardo batté quattro colpi sul portone d'ingresso, due veloci e due lenti, e un energumeno con almeno tre dita di lardo che gli uscivano dalla cintola dei pantaloni li accolse all'interno.
Neri si ricordò in quell'istante di essere già stato lì, la prima volta che aveva incontrato Leonardo.
Il bordello era affollato come Santa Maria Novella nel giorno di Natale. Uomini di ogni genere e di ogni età stavano in fila per qualche minuto di appagamento ben remunerato – chi per lussuria e chi per il semplice bisogno di contatto umano, seppur così misero e squallido.
Neri osservò i loro volti rubicondi senza invidiarli affatto.
Si avventurò nel labirinto di tende e alcove colorate dietro Leonardo, cercando di evitare l'alito fetido degli ubriachi e le morbide rotondità che le prostitute gli strusciavano addosso per rendersi più invitanti, e molte di loro lo erano davvero. Ma lui non riusciva mai a guardare quel genere di donna senza provare amarezza – il fatto era che le compativa più di quanto le desiderasse. Dopo anni di solitudine e rabbia e tristezza aveva ormai accettato e compreso le scelte di sua madre, di tutte quelle donne, e proprio per questo sapeva che non avrebbe mai trovato quello che cercava tra le braccia di una di loro.
Salirono le scale verso il piano di sopra, dove le assi di legno del pavimento non erano appiccicose e imbrattate di birra scadente e fluidi corporei come quelle del piano terra. Infine si accomodarono in una stanzetta ben arredata dalle dimensioni modeste, ma capiente abbastanza da accogliere una ventina di persone, sparpagliate qua e là e comodamente distese. Leonardo gli fece cenno di sdraiarsi per terra su un enorme cuscino color porpora a forma di fagiolo, poi prese posto sul cuscino accanto al suo e si avvicinò al suo orecchio per farsi sentire sopra la musica del quartetto d'archi che suonava in fondo.
«Credo che ti piacerà quello che fanno qui» disse, e fece un cenno a una ragazza in piedi lì accanto. Dopo poco arrivò una caraffa di vino rosso e profumato, non la robaccia che bevevano di sotto.
Neri lo sorseggiò con calma, godendosi quel leggero formicolio provocatogli dalla curiosità, tanto quanto dall'alcol. Nel chiarore dorato delle candele riflesse sui drappi lucidi emersero le ragazze, sfilando tra gli sguardi ammaliati dei presenti, ognuna accompagnata da una melodia diversa e appropriata al soggetto che rappresentava: una aveva la pelle bianchissima, il corpo nudo completamente dipinto, e stava in posa come una vera Afrodite; un'altra indossava un morbido drappo sui fianchi, lasciando scoperta solo la parte superiore del busto, con i seni pieni che oscillavano leggermente mentre incoccava una freccia sull'arco che maneggiava col fare di un'esperta amazzone.
Diana, ricordò Neri. Era la stessa ragazza che aveva aiutato lui e Leonardo a svignarsela durante la loro fuga rocambolesca.
Lo spettacolo andò avanti per un po', poi le ragazze si sparsero per la stanza intrattenendo gli ospiti e bevendo con loro. Leonardo si alzò e si diresse verso i musicisti, chiamandone uno e gesticolando rivolto al suo strumento. Quello allora annuì e gli cedette il posto, insieme alla sua lira. Il giovane gli rivolse un sorriso e si sistemò sullo sgabello, seguendo la musica suonata dagli altri tre.
Neri rimase colpito dalla delicatezza con cui le sue dita affusolate pizzicavano le corde, producendo un suono tanto perfetto che gli fece venir voglia di piangere. D'altra parte, perché non avrebbe dovuto essere così? Leonardo sapeva mettere passione e dolcezza in ogni cosa che faceva, le sue mani erano capaci di precisione brutale e di soave leggerezza allo stesso tempo. La perfezione era il suo Dio, e lui lo venerava con fervore e lo onorava anche nel più squallido dei posti.
Neri rimase a fissare la danza delle sue dita per tutto il tempo, senza accorgersi che a poco a poco la stanza si era svuotata e che erano rimasti solo loro due. Leonardo mise da parte la lira, poggiandola con cura sul pavimento, e si andò a sdraiare nuovamente accanto a lui. Si versarono dell'altro vino, e ancora, e ancora, finché non furono completamente ubriachi.
Senza sapere perché, Neri si ritrovò a blaterare su quanto si sentisse insulso; tutti lo avevano sempre preso in giro per il suo aspetto mingherlino e i suoi lineamenti delicati ed effeminati, per l'assenza di barba e peluria. «Mia madre doveva avere senso dell'umorismo per chiamarmi Neri, con questa zazzera bionda» ridacchiò arruffandosi i capelli.
«O forse no» rispose Leonardo. Era sdraiato sulla schiena, con una mano posata sugli occhi chiusi. «Sai che in ebraico il tuo nome vuol dire "il mio lume, la mia luce"?» Poi si voltò verso Neri, allungando il braccio su di lui per sfiorargli il colletto con le dita. «Io ti trovo molto bello.»
Il modo in cui Leonardo giocherellava coi lacci della sua camicia gli faceva battere il cuore in un modo strano.
«Mm... grazie.» La voce di Neri era impastata, e non per via del vino, ma perché non riusciva a parlare con quei profondi occhi scuri puntati addosso.
Uno schiocco improvviso li fece sussultare entrambi.
La porta si era spalancata, e Diana stava sulla soglia con un tizio aggrappato al suo sedere voluminoso. «Leonardo!» esclamò sorpresa. «Che fate ancora qui voi due? Filate via, devo lavorare.»
Così vennero buttati fuori e si ritrovarono a barcollare verso casa nelle prime luci dell'alba.
Salirono le scale, raggiungendo miracolosamente indenni l'appartamento, e caddero sfiniti ai lati opposti dell'uscio. Neri avvertì immediatamente un suono insolito, un singhiozzare sommesso. Alzò la testa di scatto e, nonostante la vista offuscata dall'alcol, riconobbe la figura di una ragazza con il volto in lacrime accovacciata sulla branda di Leonardo.
«Piera! Che ci fai qui?» esclamò il ragazzo con evidente sorpresa.
«S-sono scappata» rispose lei, e iniziò a singhiozzare più forte.
Leonardo si voltò verso Neri, spaesato, come a chiedergli aiuto. «È mia sorella» fu la sua unica spiegazione.
Siamo nella merda, pensò lui.
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